Orsi è uno dei pochi nomi costantemente associato a
Caravaggio (ed anche il catalogo ci dice che
Caravaggio lo “frequentò assiduamente nei suoi primi anni romani”) sia durante il soggiorno a Roma, quanto dopo. E’ presente con il pittore in molti dei casi giudiziari che lo riguardarono, e sappiamo che preparò versioni di composizioni già famose per diversi clienti, anche trattando opere che erano palesemente originali. Come ad esempio i due dipinti venduti al
Duca D’Altemps nel 1611 per 155 scudi, che sembrano essere stati un
Suonatore di Liuto con caraffa di fiori, e un
Ragazzo morso dal ramarro, i quali sono descritti particolareggiatamente in inventari del 1619/20. Il fatto che le versioni della
Cena in Emmaus e della
’Incredulità di san Tommaso, portate da Béthune a Parigi nel 1605, devono essere state eseguite mentre
Caravaggio era ancora in città, come anche le copie delle opere fatte poco dopo la partenza nel 1606, dimostra che l’
Orsi ebbe un ruolo molto intimo ed attivo nella promozione delle opere di
Caravaggio presso committenti importanti quali i
Mattei, i
Costa, e forse anche
Del Monte. Ci sono molti esempi di copie da originali celebri, ed è verosimile considerarlo il
dealer dell’artista, forse sino al punto di completare delle opere lasciate incompiute.
E’ anche poco corretto nei riguardi dei pittori del Seicento del genere della natura morta vedere sempre
Caravaggio come fondatore della tradizione, e questa probabilmente sarà anche l’impressione che molti matureranno, considerato il posto d’onore che occupa nella mostra il
Cesto di frutta dell’
Ambrosiana.
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Il fascino ossessivo di
Caravaggio per i particolari che gli si presentavano davanti agli occhi, ha in verità ben poco a che vedere con le altre splendide confezioni esposte nella mostra a
Villa Borghese. Anche se volessimo considerare gli interni magnifici e gay della Villa come veicolo adatto per un barocco esuberante, la frutta e la cacciagione delle due nature morte facenti parte del sequestro dei beni di
Giuseppe Cesari da parte di
Scipione Borghese, starebbero meglio in una sala da pranzo o in un castello di caccia più che con i capolavori che il cardinale aveva radunato. Ma c’è comunque un rapporto fra queste opere e quelle di
Caravaggio che è molto valido esplorare, perché quando è arrivato a Roma aveva molto di più in comune con gli artigiani e i decoratori d’interni del mondo di
Orsi che non con gli intellettuali dell’
Accademia di San Luca.
Impiegato da artigiano dal siciliano
Lorenzo Carli, il nuovo arrivato condivideva il mestiere di
Orsi, e per bisogno si condusse all’
Ospizio della Trinità dei Pellegrini, ad un passo dalla sua abitazione al di sopra di una taverna. Partecipava alla vita della comunità fondata da
Filippo Neri, che privilegiava chi lavorava con le proprie mani. Quanto ad
Orsi, a parte la fama che aveva per le ‘grottesche’ all’antico, si sa che lavorava per la più importante bottega di pittura esistente a Roma, quella dei
Cesari d’Arpino, eseguendo opere essenziali ed importanti di decorazione per molti committenti, aveva anche fama di saper riconoscere il talento di individui eccezionali ed era ben messo e di fisico prestante. E’ noto che sia stato Prospero a presentare il nuovo eccezionale talento, suo amico, a vari clienti, tra cui i
Mattei e i
Giustiniani, e forse anche al
Cardinal del Monte, per via di un rapporto nato perché anche questi mecenati avevano bisogno di pittori decoratori quanto di pittori di storia. Il fratello di Prospero,
Aurelio Orsi, aveva insegnato la poesia latina a
Maffeo Barberini, futuro papa, e quindi questo poté far si che il
Merisi fosse introdotto presso uno dei suoi primi clienti; allo stesso modo la sorella
Orinzia, sposando
Gerolamo Vittrice, fece da tramite per la commissione di due quadri fondamentali, la
Maddalena e il
Riposo dalla fuga in Egitto della
Galleria Doria.
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Famoso per essere il ‘turcimanno’ di
Caravaggio,
Prospero Orsi era capace di incoraggiare il pittore nella invenzione di quadri adatti ai mecenati che gli faceva conoscere, e anzi il pittore aveva bisogno della direzione e anche di una certa manipolazione per creare immagini adeguate e riconoscibili. Non dobbiamo essere troppo timidi per individuare il contributo dell’
Orsi nei quadri di
Caravaggio, a partire dal vaso di fiori nel
quadro Corsini, nel ritratto di
Maffeo Barberini (non incluso nella mostra ma riprodotto nel catalogo) il giovane rampollo della importante famiglia che aveva la sua residenza principale nella
Casa Grande sulla
Via dei Giubbonari, proprio accanto all’abitazione di
Prospero.
Sembra davvero che la resa pittorica più rigida dei drappi e dei fiori sia diversa da quella molto più morbida delle fattezze e delle mani del ritrattato. Le somiglianze del vaso di fiori con quelle del vaso nel quadro ‘
Hartford’ sono innegabili, e mostrano che sono della stessa mano. Anche se questi elementi hanno consentito il paragone con
Caravaggio stesso, la proposta di
Zeri, di riconoscervi la sua mano giovanile, è stata giustamente respinta. La resa del personaggio, del viso e delle mani, è il primo esempio di quella straordinaria capacità da parte del
Merisi di cogliere le fattezze di un personaggio, una delle doti che
Orsi sicuramente gli ha riconosciuto.
Fino a questo punto conosciamo poco delle opere di questa fase giovanile di
Caravaggio, ma sappiamo che diversi degli amici di
Prospero erano raffigurati tra i venti o più ritratti eseguiti in questo periodo, e ciò sarebbe stato del tutto compatibile con il genio imprenditoriale di
Prospero, teso a cercare di favorire questo talento. Nel progresso che
Caravaggio fa verso soggetti più ambiziosi, è anche possibile intravedere una
mise-en-scène che si riconduce al suo promotore.
Ci sono altre possibilità che
Prospero possa aver partecipato in alcuni dei dipinti di
Caravaggio, soprattutto in determinati particolari che si

evidenziano ‘primitivi; tale è il pettine del quadro ora a Detroit della
Marta che rimprovera a Maria la sua vanità, o il violino molto ‘legnoso’ dei
Musici al
Metropolitan Museum. Alle volte questo serviva per aggiungere una chiave iconografica, oppure qualora si fosse dovuto completare un quadro rimasto non finito a causa degli eventi tormentati della vita di
Caravaggio. D’altra parte, la formula della composizione di figure a mezzo busto, con due personaggi dietro una tavola, con o senza natura morta, è una formula compositiva nata durante il rapporto
con Orsi. E la messa in scena dei primi quadri con diversi personaggi, tale la
Cena in Emmaus, con il suo tavolo pieno di natura morta, si palesa molto vicino alle rappresentazioni del
‘Maestro di Hartford’. Questo è ben illustrato se mettiamo a confronto la tavola coperta da un tappeto, in una tra le più importanti di queste nature morte esposte a
Villa Borghese, con quella della versione della
Cena in Emmaus eseguita per l’ambasciatore
Filippo de Béthune, il quale la portò a Parigi nel 1605, e che verosimilmente è stata attribuita a
Prospero. La composizione del quadro, ora a Loches, nel Touraine, sottolinea l’uso di una tavolata di natura morta in originale, ora conservata alla
National Gallery di Londra, un prodotto del periodo in cui la protezione di
Prospero forniva

al
Merisi la possibilità di estendere il suo repertorio oltre le singole figure che poteva vendere tramite la bottega di
Costantino Spada, vicino
San Luigi dei Francesi.
Prospero merita maggior fama per le opere che ha eseguito, bisogna peraltro ricordare che egli era nel mestiere di pittore decorativa già da venti anni rispetto a quando
Caravaggio arrivò nell’Urbe. Era quindi più anziano di una generazione, essendo nato nel 1558 a Faleri (oggi Civita Castellana). Quindi, la constatazione da cui occorre partire è che la tradizione decorativa a cui appartengono queste opere nasce ben prima che
Caravaggio entrasse in scena, e che le opere date al
Maestro di Hartford / Prospero Orsi non hanno molto a che fare coll’esplosione di carattere caravaggesco che avvenne in Roma, allo stesso modo quanto non sia il fare molto spinto di un
Bartolomeo Cavarozzi, che ha molti più rapporti con il naturalismo proseguito per altre vie a Firenze e Roma. E’ sempre una gioia rivedere la celebre
Fiasca Spagliata con Fiori oggi a Forlì, ora a confronto con il suo ‘doppio’ per la prima volta in mostra, ma non rimane chiaro se questo sia o meno un proseguimento nell’ambito di
Caravaggio, se non, forse più, una continuazione dell’opera del suo grande nemico
Tommaso Salini.
Queste interpretazioni non sono neanche state prese in considerazione in questa mostra, che perderebbe in effetti alquanto della sua motivazione se accettasse che
Caravaggio possa aver ricevuto qualche ispirazione dal lavoro decorativo tipico di una professione come quella a cui Prospero Orsi

apparteneva, e magari si scoprirebbe che
Caravaggio stesso non era padrone dell’ intellettualità che altri gli hanno attribuito. E anche quando il genere del
‘Maestro di Hartford’ è rapportato alla caraffa tonda -che subito fa venire in mente
Caravaggio-, questo elemento non possiede quel carattere di natura osservata, talmente tipica del maestro. E forse sarebbe stato più utile tracciare l’impatto che questo talento limitato ebbe sul corso di una carriera artistica al cui parto fu presente. Possiamo credere che queste sue nature morte, come anche, per estensione, quelle di
Floris van Dijck e, per ulteriore estensione, di tutta la tradizione secentesca della natura morta olandese, fossero originate da questa temperie, mentre invece rappresentano più una espressione dell’abbondanza italiana e della ricca cucina meridionale, celebrata già nel Cinquecento sin dal tempo di
Raffaello e di
Giovanni da Udine.
La interpretazione odierna dell’opera del Maestro di Hartford è che essa sia originata da una intensa riflessione sulla esperienza di
Caravaggio, e che l’influenza sia tutta in questa direzione, costituendo la frutta, i fiori e la celebre caraffa solo richiami più modesti delle pitture del grande maestro. La mostra ci da infatti l’impressione che uno degli elementi principali della fama di
Caravaggio sia che sia stato lui stesso il movente stellare della nascita della tradizione dei pezzi per le sale da pranzo, che hanno decorato non solo le sale romane, ma anche le pareti dei ricchi mercanti olandesi e i magnifici saloni di Park Avenue. La presenza della celebre
Canestra di frutta, con particolari sparsi per tutto il catalogo, richiama ripetutamente questo intendimento. Ma non si considera il fatto che l’opera stessa rimase poco a Roma, portata via da
Federigo Borromeo, e dunque è molto difficile credere che possa aver avuto chissà quale impatto sull’ambiente artistico romano, e invece ci si chiede di immaginare che potrebbero essere stati realizzati perfino altri capolavori, ugualmente strepitosi. Ma per
Caravaggio la natura morta era solo una parte della sua osservazione del mondo

attorno a lui e che egli si dava l’obiettivo di fissare; sarebbe stato forse più rilevante associare la
Canestra con quell’ elemento della
Cena ad Emmaus, di cui
Scipione Borghese aveva due versioni, una nella sua Villa e l’altra in città, nel fastoso Palazzo Borghese, oppure con la
Caraffa di fiori presente nel
Suonatore di Liuto originale di
Cardinal del Monte.
di
Clovi WHITFIELD