Fra i tantissimi elogi espressi in punta di florilegio sull'arte di Raffaello, su di lui fattosi mito appena poco dopo la morte, dovrebbe forse un poco sorprendere quello di un critico americano, lontanamente immaginabile dalle temperie iconologiche europee. Si vuol dire di Bernard Berenson (
1865-1959), che così leva la sua ode sul pittore urbinate: «
Dinanzi alla pittura del giovane Raffaello, si prova un’impressione acuta ed esaltante; come se, di mattina presto, nell’aria fredda e lavata, improvvisamente ci trovassimo in un mondo più bello, dove gente leggiadra partecipa ad una cerimonia festosa, e armoniose distanze dolcemente si seguono verso l’orizzonte lontano». Vi si coglie non tanto l'acutezza ermeneutica di un giudizio fondato su valori e contenuti artistici (sui quali, tra l'altro, il critico ne ha ben donde), quanto, piuttosto, l'alea di un'impressione sentimentale, come se, virtualmente, Berenson s'indugiasse a muoversi sul lastricato dello
Sposalizio, e fiutasse l'aria, ammirato da così tanto ingegno, profuso nel disegno del tempio a culmine della scena e nella composta, quasi immota, armonica composizione dei personaggi che la animano.

E si tratta, tuttavia, solamente del
giovane Raffaello; come a dire che il
più bello deve ancora arrivare. Raffaello, in effetti, appena ventunenne, con il suo
Sposalizio della Vergine (
1504), ha esibito il suo biglietto da visita: tanto basta per far aprire gli occhi a quanti, borghesi e signori, s'industriano ad arricchire le loro residenze nobiliari con capolavori d'arte d'ogni genere. Il giovane, infatti, inseguito da copiose commissioni, si prodiga nel non tradire attesa alcuna; anzi, semmai, s'ingegna nel trarne profitto per affinare la propria arte, tanto posseduta d'innato e spontaneo fascino da attrarre l'ammirata attenzione dei più. Nascono, in questa prima stagione, sotto le influenze e le suggestioni pedagogiche del padre Giovanni e del maestro Perugino, opere che vanno a collocarsi nelle prime stanze di quello che sarà il virtuale museo raffaellesco, ridondante di raffigurazioni, ove, di volta in volta, la finezza esecutiva sfuma profilandosi immediatamente nei caratteri propri della grande arte, che, sempre secondo Berenson, hanno nome di
valori tattili,
movimento e
composizione.
I primi privilegiano l'uso di colori dove non si sa se parlare di inusitata, delicata e raffinata leggiadria è osar troppo. Basta , d'altronde, per capacitarsene, passare in rassegna con lo sguardo, opere quali la primordiale
Madonna col Bambino (
1498), ove la finezza del disegno fa da contrappunto alla magistrale composizione, che vede un Bambino, dolcemente dormiente sul seno materno e la Madre, amorevolmente attenta a sorreggerlo, mentre il suo sguardo è preso dalla lettura di chissà quali presagi. L'arco abbassato sulle due immagini circoscrive e racchiude uno spazio e un tempo d'ineffabile letizia, ma non ne dà scampo nella congerie di vicende che presto scriveranno sulle tavole del tempo un drammatico seppur sacro racconto. Fu opera strabiliante del quindicenne Raffaello? La cronaca e, un po' meno, la storia, che di questa si alimenta, propendono per un quasi sicuro
sì : sarebbe la prova provata dell'innata
chiamata di Raffaello all'arte della pittura, questa certamente nobilitata da un pennello siffattamente divino.
Il
movimento, altro peculiare carattere nella visione critica di Berenson, è da cogliere (secondo il mio avviso, modestissimo, ma di sicuro effetto e di piacevolissima sensazione visuale), nella capacità d'immaginare una virtuale
animazione nell'affresco in esame. Allora è possibile appagarsi nello scorgere, magari, il
miracolo del moto del capo della Madre verso il suo Bambino — come a volerne sfiorare la bionda testolina — così come il quasi consentaneo, leggero fremito del Bimbo, che s'accoccola viepiù tra le braccia materne.
Ma l'altro
movimento, a cui più precisamente forse allude Berenson, è nel gioco di rapporti tra i volumi figurativi e gli spazi circostanti, che, quasi a mo' di incastri musivi, vanno a comporre quello che, il più delle volte in Raffaello, è il sorprendente, finale effetto
compositivo: vi si sommano, infatti, i due accennati caratteri, che, quasi all'
unisono compongono la melodia pittorica che, come un succedaneo
magnificat, risuona in tralice da ogni opera dell'urbinate.
Il cennato
Sposalizio della Vergine conclude - se così si può dire - la stagione
giovanile di Raffaello. La sua primissima
stanza comprende, naturalmente, opere di grandissimo pregio, ove tra l'altro, in particolare, s'adombrano le inevitabili influenze di artisti quali Piero della Francesca, Antonio del Pallaiolo, Melozzo da Forlì, e non solo, le cui opere Raffaello può ammirare e studiare, con l'aiuto paterno, nelle sale a lui familiari del Palazzo Ducale di Urbino; ma è pensabile che le
chiavi d'oro, che il Perugino aggiunge alle sue, gli apriranno l'accesso al tempio che conterrà sue
mirabilia pittoriche per sempre memorabili.
Luglio, 2020
Luigi Musacchio