
Dal 1997, anno della sua costituzione, la locale sezione di
Italia Nostra si è attivata per valorizzare il patrimonio del
Comune di Cascina con seminari nelle scuole, conferenze e promuovendo restauri di rilievo: ad es. la seicentesca
chiesa di S. Croce e
l’architrave dell’ingresso principale della Pieve di Cascina; inoltre ha direttamente provveduto a restaurare alcune tele della stessa
Pieve.
Tra queste sono da ricordare quella che rappresenta "il buon vescovo",
san Carlo
Borromeo, e il
Miracolo di santa Caterina che ha aperto, come nel caso del
Cristo deriso, (cm 140 x 110) interessanti quesiti relativi allo loro attribuzione. Si tratta di meritorie azione di recupero e rilettura di opere presenti nel territorio che potrebbero permettere di ampliare il catalogo di autori ancora poco conosciuti.
Nel caso del
Cristo deriso il restauro riguarda un’opera appartenente al
Seminario che dalla fine del ‘700 ha sede nell'
antico convento domenicano di
Santa Caterina d’Alessandria. Il convento, che nel tredicesimo

secolo possedeva una delle più importanti biblioteche domenicane e un importante studio presso il quale insegnò quasi certamente
Tommaso d’Aquino, divenne uno dei centri di diffusione della sintesi tomista. Qui, tra la fine del Trecento e i primi anni del Quattrocento fu
magister oltre che autore della raccolta di sermoni e discorsi d’occasione, nota come
Sermones Scholastici , Simone da Cascina, uno degli avi della
famiglia Da Cascina, finanziatrice di parte del restauro.
Il quadro, databile intorno alla seconda metà del Seicento, rappresenta uno dei momenti più dolorosi del racconto della Passione (Matteo, cap. 27): Cristo, cui è stata messa in mano una canna come segno dello scettro per ridicolizzarne la regalità, viene incoronato di spine e sbeffeggiato da uno degli sgherri che lo circondano. Gli sgherri sono raffigurati in modo grottesco mentre insultano il Cristo con gesti eclatanti come l’esibizione della lingua e delle ‘corna’: si tratta di atti denigratori tra i più comuni raffigurati dai pittori per rappresentare questo momento drammatico.
Gli sgherri che deridono il Cristo, nonostante le indicazioni del Concilio di Trento che chiedeva un minimo di fedeltà alla realtà storica, sono

rappresentati come dovevano essere vestiti i bravi del tempo.
La presentazione del restauro è stata introdotta da
don Francesco Bachi, rettore del Seminario, che ha porto i suoi
saluti e ringraziamenti e da Lucia Casarosa, presidente della sezione di Cascina di
Italia Nostra.
Don Severino Dianich ha fornito un’attenta interpretazione teologica del dipinto ed ha sottolineato come la riflessione sul dramma della passione, anche nei suoi aspetti più crudi, sia una caratteristica dell’arte tardo medievale e moderna.
La restauratrice
Moira Colombini ha illustrato gli interventi compiuti: sistemazione di alcune lacerazioni – minime – della tela, una delicata pulitura, infine la stuccatura e la ripresa del colore. Per quanto riguarda la
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cornice, coeva, la restauratrice ha provveduto ad effettuare una complessa opera di consolidamento, stuccatura e ripresa della doratura. A restauro ultimato, il dipinto ha acquistato piena leggibilità: ad esempio, sono emersi particolari prima indecifrabili come la figura di fondo che con un guanto ferrato spinge la corona di spine sul capo del Cristo.
Il prof.
Pierluigi Carofano dell
’Università di Siena ha proposto con cautela un’ipotesi di attribuzione: mancando documenti relativi alla provenienza del quadro, ne ha suggerito l’appartenenza all'ambiente culturale dell’area veneta, attribuendo la tela a
Francesco Rosa, un artista originario di Genova, attivo a Venezia dal 1663 al 1679, che aderì al linguaggio formale dei cosiddetti “pittori tenebrosi”.
La pulitura ha messo in evidenza il personaggio che sembra conficcare la corona di spine sulla testa del Cristo con un movimento quasi a spirale, come di torchiatura. Questo ha suggerito possibili rapporti con la tradizione iconografica del " torchio mistico": come il torchio era lo strumento che veniva usato per spremere l’uva, così gesti riferibili alla torchiatura venivan
o a simboleggiare la spremitura del sangue di Cristo nel calice di salvezza.
La serata è terminata con una pagina musicale, la trasposizione di
due sonate di Bach per flauto e chitarra, proposta da
Stefano Agostini, flauto e Veronica Barsotti e Salvo Marcuccio, chitarre.