Giovanni Cardone Marzo 2023
Fino al 28 Maggio 2023 si potrà ammirare la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo la mostra Salto nel Vuoto. Arte al di là della Materia a cura di Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta. Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, la programmazione della GAMeC si apre con Salto nel vuoto. Arte al di là della materia, il terzo e ultimo capitolo del progetto espositivo pluriennale ideato da Lorenzo Giusti dedicato all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo. Avviata nel 2018 con la mostra Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile e proseguita nel 2021 con Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione, Salto nel vuoto chiude la Trilogia della Materia esplorando il tema della smaterializzazione e creando un racconto trasversale che evidenzia le connessioni esistenti tra le indagini sul vuoto intraprese dai primi movimenti dell’avanguardia storica e sviluppate dai gruppi sperimentali del secondo dopoguerra, le ricerche sul flusso risalenti agli anni della prima informatizzazione e l’utilizzo di nuovi linguaggi e realtà simulate nell’epoca post-digitale.

L’esposizione presenta i lavori di alcuni grandi protagonisti e protagoniste della storia dell’arte del XX secolo e pionieri dell’arte digitale insieme ad autrici e autori delle generazioni più recenti, grazie ai prestiti di importanti istituzioni internazionali e di collezioni private. Nello specifico, Salto nel vuoto rivolge lo sguardo a quegli artisti e artiste che, in tempi diversi, hanno indagato la dimensione del vuoto negandola nella sostanza o identificandola quale mera dimensione ideale, o il cui lavoro si è rivelato in grado di riflettere i cambiamenti epocali nella percezione della dimensione materiale, introdotti dall’emergere dei paradigmi del software e dell’informatizzazione, così come dalla rivoluzione digitale e dalla sua sistematizzazione. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulle neoavanguardie e suoi linguaggi contemporanei apro il mio saggio dicendo : Volevo parlare di “neoavanguardie” si rinvia implicitamente a quella “linea dell’arte”, italiana e non solo, che traccia una sorta di collegamento tra le avanguardie storiche e le tendenze germinate dalle ceneri dell’informale, ovvero tra “due avanguardie” come il Futurismo e la Pop Art è evidente in questo senso che molti degli sforzi messi in campo tra la fine degli anni Cinquanta e il decennio successivo (dalle esperienze ‘oggettuali’ del Nouveau Réalisme alle invenzioni ottiche e cinetiche dell’arte programmata fino alla pratica dell’happening) possono contare su soluzioni già collaudate agli inizi del secolo e da esse ripartire, in accordo a mutate condizioni storiche, economiche, sociali e tecnologiche . Alcune grandi mostre (tra cui si ricordano per importanza Erste Internationale Dada-Messe alla Otto Burchard Galerie di Berlino nel 1920, L’Exposition Internationale du Surréalisme alla Galerie des Beaux-Arts di Parigi nel 1938 e le newyorkesi First papers of Surrealism e Art of this Century nel 1942) costituiscono precedenti rilevanti nel bagaglio d’immagini e idee che informa i nuovi protagonisti della scena artistica, cui si associano, nel secondo dopoguerra, iniziative di diversa provenienza e portata, dall’allestimento del primo Ambiente nero di Lucio Fontana (Galleria del Naviglio, Milano, 1949) alle mostre Mouvement (Galerie Denise René, Parigi, 1955) e This is Tomorrow (Whitechapel Gallery, Londra, 1956).

Suonano allora come un “incoraggiamento” le parole che Emilio Villa sceglie per l’introduzione al primo numero di “Appia Antica” – apparso alle soglie del nuovo decennio – che riprendono non a caso l’ottimismo vitalista delle avanguardie storiche per un loro consapevole superamento: “Agli artisti, giovani e meno, noi enunciamo il monito: tutto è stato fatto, e niente è stato fatto: per cui tutto è da fare e non c’è niente che non si possa fare”. Focalizzando la prospettiva di indagine sulla storia e microstoria espositiva del decennio, ovvero sull’evoluzione delle prassi e dei criteri di scelta caratterizzanti l’ambito privato, risultano di maggiore interesse i contributi di artisti e raggruppamenti concentrati attorno alla possibilità di una dilatazione spaziale dell’opera, che spesso conduce a situazioni critiche, se non di aperto conflitto, con le convenzioni espositive: la produzione di oggetti-installazioni che fisicamente valicano il confine ideale circoscritto dalla cornice e dal piedistallo si traduce infatti in un’invasione ‘territoriale’, nell’occupazione dello spazio espositivo e nell’appropriazione di ciò che lo abita, spettatore compreso; mostra inoltre con evidenza la maturazione e l’autonomia raggiunte dai linguaggi nei confronti delle strutture espositive e la loro (pur temporanea) ‘incontenibilità’. Lo spazio dell’opera si sovrappone all’ambiente e alla sfera del vissuto, interseca discipline non esclusivamente artistiche, fuoriesce nel campo urbano e nella natura, attraversa insomma l’utopia di un’adesione al mondo intero: “Di fatto il trapasso è dalla rappresentazione autoreferenziale e mobile, del dipinto e della scultura, a un’immersione referenziale e in situ, dove l’arte si configura in relazione o in situazione agli aspetti di un territorio o ambiente: si localizza e diventa un intervento nel e con il mondo” . L’arco cronologico qui considerato si estende dalla fine degli anni Cinquanta (dall’avvio dell’attività di collettivi come il gruppo T e la rivista-galleria Azimuth a Milano, il gruppo N a Padova) alla fine degli anni Sessanta; una conclusione - necessariamente simbolica di questo percorso potrebbe essere individuata proprio nel 1970, con la mostra Conceptual art, arte povera, land art alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino e il terzo e ultimo Festival del Nouveau Réalisme a Milano, che consacrano e “storicizzano” correnti sorte ai margini (se non in aperta opposizione) alle strutture della cultura istituzionale. Accanto alla vicenda dei nouveaux réalistes, le tendenze principalmente seguite e di cui si terrà conto nel delineare l’attività espositiva delle gallerie, sono quelle di Azimuth, della Pop Art e della “declinazione” romana di Scuola di Piazza del Popolo, dell’arte programmata, cinetica e minimalista fino all’Arte Povera. Minore attenzione verrà invece riservata a orientamenti come la poesia visiva, la mec-art, la nuova figurazione che pur contribuendo al rinnovamento dei linguaggi artistici contemporanei non interferiscono direttamente con il sistema espositivo tradizionale; similmente, ma all’estremo opposto, si situano le operazioni di “de-materializzazione” cui l’opera va incontro con la diffusione dei linguaggi concettuali, che liberano l’artista dalla “schiavitù” dell’oggetto e utilizzano materiali e tecniche diverse come veicolo strumentale per l’affermazione dell’idea. Anche l’happening e la performance in cui confluiscono le manifestazioni Fluxus, l’Azionismo e la Body Art, che non producono oggetti ma che occupano in modo analogo lo spazio espositivo attraverso la presenza stessa del loro autore, costituiscono in questo senso un’ideale frontiera del rapporto dialettico tra contenuto e contenitore. Si tralasciano infine le nuove tecnologie, sia per ragioni cronologiche (lo sviluppo più compiuto della video arte appartiene alla storia del decennio successivo), sia perché il rapporto instaurato con i nuovi dispositivi devia dal discorso condotto e concentrato sulle soluzioni moderne di una nuova oggettualità.

Nel primo capitolo, attraverso una selezione degli spazi espositivi privati nei maggiori centri italiani (Venezia, Roma, Milano, Torino, Genova e Bologna, cui si affiancheranno le iniziative di città come Padova, Napoli e Amalfi) e la ricostruzione cronologica della loro attività connessa alla produzione delle neoavanguardie, vengono tracciati i profili e le linee critiche seguite dalle gallerie, il cui numero in costante espansione nel corso del decennio rispecchia l’incremento del mercato artistico sull’onda del boom economico. Un ampliamento della prospettiva nazionale, estesa al territorio francese e alla scena parigina in particolare, riguarda la vicenda del Nouveau Réalisme, corrente che per la sua storia specifica, per i suoi protagonisti e sostenitori, ha coinvolto e congiunto strettamente l’Italia e la Francia dalla seconda metà degli anni ’50: nel secondo capitolo ne viene ricostruita la vicenda a partire dalla storia espositiva, in cui emerge il rilevante sostegno ricevuto dalle sedi private (per l’ambito francese si ricordano le gallerie Colette Allendy, Iris Clert, J e Rive Droite); il collegamento instauratosi con la città di Milano, frutto di una condivisione di intenti tra il critico Pierre Restany e la galleria Apollinaire di Guido Le Noci, è tanto importante da spostare proprio nel capoluogo lombardo l’esordio del gruppo la prima mostra è ospitata nel 1960 alla Galleria Apollinaire di Milano, dove Yves Klein aveva già esposto i primi monocromi nel ’57 e la conclusione ufficiale del percorso comune dei suoi membri, con il terzo e ultimo Festival Nouveau Réaliste del 1970. Le scelte operate dai galleristi possono confrontarsi e spesso avvalersi del sostegno continuativo della critica d’arte, che in alcuni casi imprime una vera e propria direzione preferenziale al programma espositivo; del resto il dibattito critico condotto in Italia in questi anni assume un peso rilevante anche in chiave internazionale, come sottolinea proprio Restany alla fine del decennio “Mais c’est sans doute en Italie que l’effort de renouveau a été le plus grand”, citando i “fils spirituels” di Argan ,Lea Vergine, Maurizio Calvesi, Tommaso Trini, Umberto Eco, Guido Ballo e Gillo Dorfles. Di pari importanza, la collaborazione con artisti stranieri o con galleristi di altre città e stati - quando il proprietario non è il medesimo, con sedi attive in centri diversi - rende possibile il confronto con realtà diverse ma anche il passaggio di opere e l’esportazione di mostre da una città all’altra (con un certo impatto sul tessuto artistico locale). Sostenute da gestioni “illuminate”, caratterizzate da flessibilità e tempismo (assai superiori alle istituzioni pubbliche), le gallerie diventano lo spazio franco della sperimentazione e allo stesso tempo una ‘cassa di risonanza’ per il successo dei nuovi linguaggi; si tratta di una funzione essenziale e di una trasformazione enorme rispetto alle prime gallerie, attive in Italia dal primo dopoguerra, che funzionano come botteghe di vendita di opere d’arte, limitano quasi sempre il proprio raggio d’azione al mercato locale e trascurano gli investimenti - fattore imprescindibile e “alla moda” negli anni seguenti - in materia di promozione, lancio e vernissage delle esposizioni. La trasformazione della tradizionale idea di “oggetto” artistico e della sua percezione da parte del pubblico, lo sconfinamento tra discipline e linguaggi diversi, l’infrazione dei limiti e delle ‘postazioni riservate’, comportano dalla fine degli anni ’50 un necessario aggiornamento dei criteri di scelta e della prassi espositiva; non è un caso che numerosi esponenti e raggruppamenti artistici attivi nel corso del decennio si rivolgano in prima istanza alle gallerie private, che in queste abbiano avuto il loro esordio e vi siano stati ospitati a più riprese, come è accaduto per il Nouveau Réalisme, gli artisti della “Scuola di Piazza del Popolo”, il gruppo T e l’Arte Povera. Le sperimentazioni condotte delle nuove avanguardie e le conseguenti ripercussioni sullo spazio espositivo vengono osservate nel terzo capitolo, con particolare attenzione alla produzione di oggetti dalle variabili sempre più incerte, sia nello spazio interagendo, occupando, modificando l’ambiente in cui l’opera è inserita che nel tempo avvicinandosi, con la nozione di durata, a ‘consumazioni’ effimere e a forme più o meno esplicite di spettacolo. Le “nuove dimensioni della scultura” (Kultermann) conducono ben presto ad una crisi della stesso spazio espositivo: nel tentativo di adeguarsi alle nuove dinamiche accogliendo mostre-performance o “eventi” di breve durata come il “Teatro delle mostre”, le gallerie si spingono fino a rinunciare ai propri connotati, al ruolo tradizionalmente condiviso di contenitore passivo e sfondo neutrale per l’esposizione delle opere, al contrario impegnandosi nella loro realizzazione e prestandosi ad una più o meno manifesta trasfigurazione. Le gallerie trasformate in supermercato, palestra, ring, scuderia, dimostrano una notevole prova di ‘elasticità’ in relazione alle proposte dei nuovi linguaggi; allo stesso modo il loro sviluppo dimensionale (che non a caso si appropria, recuperandone anche la dicitura, di spazi destinati alla raccolta e all’accumulo come il “deposito” e il “garage”) sembra sottendere nelle grandi metrature la volontà di inglobare e contenere la maggiore porzione di realtà possibile. Tuttavia, nonostante questi sforzi, con l’avvicinarsi degli anni Settanta sarà inevitabile l’uscita delle azioni artistiche dallo spazio della galleria a favore di una - pur temporanea - occupazione dello spazio urbano e naturale operazioni che sembrano appunto affermare, nella varietà dei luoghi individuati e riutilizzati dagli artisti, l’inutilità di una sede espositiva deputata. È opportuno ricordare infine la marginalità della produzione artistica delle neoavanguardie rispetto ai circuiti del mercato: interrogato sui profitti della sua attività di gallerista e se questa gli avesse ‘dato da vivere’, Gian Tomaso Liverani (Galleria La Salita, Roma) rispondeva senza esitazioni “No assolutamente.

Lo facevo proprio per il bisogno di poter realizzare qualche cosa, riempire certi vuoti. Non c’era mercato e quindi neanche rapporti economici. Ero io che dovevo comprare qualcosa dagli artisti”. La situazione in Francia non è migliore e i suoi protagonisti non mancano in più occasioni di lamentare la mancanza di attenzione da parte del mercato, confesserà una delle figure più brillanti e coraggiose della scena contemporanea, la gallerista Iris Clert. D’altro canto, l’esistenza generalmente breve delle sedi sperimentali a meno che non subentri un cambiamento di rotta o un adeguamento a indirizzi più lucrativi è sintomatica di frangenti eccezionali, in cui l’entusiasmo e il fervore creativo si mescolano e suppliscono alla scarsità dei mezzi economici. L’assenza di guadagni è un dato rilevante, poiché le gallerie che si distinguono per il sostegno accordato alle correnti più innovative rappresentano gli unici spazi disponibili al “rischio” ovvero ad essere coinvolte in operazioni potenzialmente fallimentari al contrario la sopravvivenza delle sedi veniva generalmente affidata ai “grandi nomi”, ai maestri locali e, per quanto concerne la situazione in Italia e Francia, al filone informale. Si può allora ravvisare in questo frangente storico l’instaurarsi di un meccanismo virtuoso, con caratteristiche uniche e forse non più ripetibili, che permette alle nuove generazioni di maturare senza eccessive pressioni e di essere “scoperte” dall’intuizione di mercanti-galleristi innovatori, capaci di scommettere e investire al tempo stesso. Un ruolo che muta in breve tempo e oggi appare quasi irriconoscibile: “Ma negli ultimi lustri, essendo aumentata la concorrenza ed essendo molto più costose le operazioni di lancio in grande stile, i mercanti hanno puntato sempre più di frequente su investimenti a breve termine, in vista di una resa immediata dei capitali investiti. In questo senso, il funzionamento del sistema artistico è diventato progressivamente sempre più rapido su scala internazionale, e la logica economica di necessità sempre più condizionante, tale da non poter più rispettare i tempi autonomi, non programmabili, di maturazione delle nuove ricerche artistiche”. La mostra si articola in tre sezioni tematiche –
Vuoto, Flusso e Simulazione – che inquadrano altrettante modalità di messa a fuoco, rappresentazione ed espressione dei principi della smaterializzazione, e si snoda in un percorso esperienziale che sollecita la percezione dello spettatore da un punto di vista visivo e corporeo.
Vuoto
La prima sezione è dedicata alla rappresentazione del vuoto come spazio immateriale. Una dimensione forzatamente negata, continuamente smentita e fondamentalmente contraddetta dalla materialità stessa dell’opera d’arte. Accoglie una serie di lavori di artiste e artisti che, in tempi diversi, hanno operato, soprattutto in pittura, attraverso i principi della riduzione estrema, del minimo contrasto e dell’impercettibile, raccontando il vuoto come una dimensione immaginativa, ideale o concettuale. Contraddistinte dalla presenza dominante del bianco, nelle prime sale il percorso espositivo si snoda tra le estroflessioni di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani,i fogli in plastica trasparente perforati a cadenza regolare di Dadamaino, le composizioni minimaliste di Jean Degottex e AikoMiyawaki fino alle sperimentazioni con la luce e lo spazio di Ann Veronica Janssens. I lavori di artisti e artiste del primo e del secondo Novecento sono posti in dialogo con opere recenti di alcuni tra i più significativi protagonisti dell’arte internazionale degli ultimi anni.
Flusso
Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta alcune mostre storiche hanno interpretato sviluppi come la smaterializzazione dell’arte, l’avvento di opere-sistema e opere-processo, l’ampliamento dei linguaggi come conseguenza della crescente informatizzazione della società, dell’avvento dell’elaborazione dei dati e delle piattaforme globali di comunicazione, affiancando per la prima volta opere d’arte contemporanea, dispositivi tecnologici e i primi esempi di new media art.
Proseguendo idealmente questa linea di ricerca, la sezione
Flusso presenta una selezione di opere di epoche diverse, dalle avanguardie storiche ai giorni nostri, testimoni del radicale impatto dell’informatizzazione e delle reti digitali sulla percezione della realtà materiale. Le dimensioni indagate sono quelle della materialità non-atomica dei dati, del bit come unità minima dell’informazione, del pixel come unità minima dell’immagine digitalizzata, del software come processo che può o meno generare un output sensibile. La sezione rende dunque conto della complessa maniera di esistere dell’arte nel cosiddetto “Informational Milieu”. Le sale ospitano lavori di precursori come Giacomo Balla, Umberto Boccioni, František Kupka, Pablo Picasso;opere che introducono al dinamismo percettivo dell’Arte Programmata e di Fluxus insieme ad altri lavori degli anni Sessanta e Settanta che rappresentano sistemi complessi e basati su processi, istruzioni e programmi – da Agnes Martin a Roman Opa?ka, da Vera Molnar a Lillian F. Schwartz – accanto a numerose opere recenti di artiste e artisti internazionali.
Simulazione
L’età dell’informazione ha vaporizzato la realtà in una serie di esperienze relazionali, comunicative e mediali, in cui la materia di cui è fatto il reale si sublima nell’intangibilità del “virtuale”. Vissuto inizialmente come una dimensione radicalmente altra, accessibile solo attraverso un temporaneo abbandono della realtà reso possibile da specifiche tecnologie immersive analogiche come i panorami o digitali come i caschi di realtà simulata il virtuale è andato progressivamente identificandosi con la realtà stessa, a mano a mano che le nostre relazioni ed esperienze venivano facilitate da schermi, dispositivi e reti di comunicazione. La terza sezione si concentra quindi sullo snodo tra reale e virtuale, in un percorso cronologicamente altalenante che pone in dialogo opere che indagano criticamente l’impatto delle simulazioni sul nostro modo di percepire la realtà concreta Lynn HershmanLeeson e Seth Price, tra gli altri con altre che, attraverso il mezzo pittorico, ne amplificano la percezione creando potenti illusioni visive Richard Estes, Duane Hanson, René Magritte e altre ancora che costruiscono realtà alternative convincenti e immersive, mediate o meno dall’uso di dispositivi tecnologici di realtà virtuale e realtà aumentata, in un percorso che procede da lavori pionieristici a opere recenti, da Rebecca Allen a John Gerrard, da JonRafmana Timur Si-Qin. Sulla linea delle pubblicazioni che hanno accompagnato le precedenti mostre della
Trilogia, il catalogo di
Salto nel vuoto edito da Officina Libraria e GAMeC Books con progetto grafico di Studio Temp sarà costituito dai testi dei curatori Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta e da approfondimenti sulle opere in mostra affidati a storici dell’arte italiani e internazionali.
L’introduzione di ciascuna sezione del catalogo è affidata a un testo di carattere scientifico,inedito in lingua italiana, ritenuto di particolare importanza per lo sviluppo del progetto espositivo: Karen Barad per la sezione dedicata al
Vuoto, Luciano Floridi per la sezione dedicata al
Flusso e Myron W. Krueger per la sezione dedicata alla
Simulazione. Chiude il volume la ripubblicazione di un saggio diItalo Calvino, derivato da una conferenza del 1967 intitolata
Cibernetica e fantasmi, in cui lo scrittore descrive la letteratura come processo combinatorio, soffermandosi sull’impatto della teoria dell’informazione sulla letteratura, sulla creazione e sulla nostra visione del mondo, sulla fine dell’autore, sul rapporto uomo-macchina, e su quella che allora non veniva ancora chiamata intelligenza artificiale.
In Mostra i Seguenti Artisti :
Josef Albers, Agostino Bonalumi, Regina Cassolo Bracchi, Enrico Castellani, Dadamaino, Jean Degottex, Aleksandra Domanovi?, Ann Veronica Janssens, YayoiKusama, Francesco Lo Savio, Scott Lyall, Fabio Mauri, AikoMiyawaki, Andrés Ramírez Gaviria, Antoine Schmitt, Gerhard von Graevenitz. Carla Accardi, Cory Arcangel, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Maurizio Bolognini, Paolo Cirio, John F. Simon Jr., Channa Horwitz, Ryoji Ikeda, VladanJoler, František Kupka, Sol LeWitt, Mark Lombardi, Agnes Martin, Eva e Franco Mattes, Vera Molnar, Roman Opa?ka, Trevor Paglen, Pablo Picasso, Casey Reas, Evan Roth, Lillian F. Schwartz, HitoSteyerl, Addie Wagenknecht. Arte Programmata 1962: Gruppo T Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco Gruppo N [Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi], Getulio Alviani, Enzo Mari, Bruno Munari. Fluxus [Nanni Balestrini, John Cage, Robert Filliou, Alison Knowles, Yoko Ono, Nam June Paik, Mieko Shiomi]. Rebecca Allen, Gazira Babeli, Petra Cortright, Constant Dullaart, Richard Estes, John Gerrard, Elisa Giardina Papa, Duane Hanson, Lynn Hershman Leeson, Agnieszka Kurant, JODI, René Magritte, MSHR, Katja Novitskova, Seth Price, Jon Rafman, Rachel Rossin, Manuel Rossner, Jeffrey Shaw, Timur Si-Qin, Ai Weiwei.
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Salto nel Vuoto. Arte al di là della Materia
dal 3 Febbraio 2023 al 28 Maggio 2023
dal Lunedì al Venerdì dalle ore 15.00 alle ore 19.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Martedì Chiuso