Di Giovanni Cardone Giugno 2021
Fino al 7 Novembre 2021 si potrà ammirare la nuova mostra di Damien Hirst Archaeology Nowa cura  di Anna Coliva e Mario Codognato in questo viaggio meraviglioso sono esposte oltre ottanta opere dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievabl che affiancano i capolavori antichi e comprendono sculture sia monumentali che di piccole dimensioni, realizzate in materiali come bronzo, marmo di Carrara e malachite. Anche i dipintidi Hirst Colour Space, in Italia per la prima volta, sono allestiti all’interno della collezione permanente, mentre la sua scultura colossale ‘Hydra and Kali’,è nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera. Il progetto è stato reso possibile grazie al generoso supporto di Prada, che indaga gli ambiti di ricerca come l'arte, l'architettura, la filosofia, la letteratura con l'obiettivo di elaborare linguaggi e progetti innovativi, in un continuo dialogo con gli scenari più ampi della contemporaneità. In questo viaggio che mi ha portato da Napoli a Roma nella città eterna, dove si sono confrontati i più grandi ‘Geni’ della storia dell’arte da Caravaggio al Tiziano dal Berninial Canova. Vedere le opere di Hirst nella Galleria Borghese per me è stato bello, io penso che è questa la funzione diun museo di saper unire tradizione ed innovazione ma nel contempo possiamo dire che un artista contemporaneo come Hirst ha saputo magistralmente dialogare con la superba collezione dei capolavori della statuaria romana classica e della pittura italiana del Rinascimento fino ad arrivare a quella del Seicento.Nel vedere il capolavoro indiscusso come il Ratto di Proserpina sono rimasto come sempre senza parole, è stato scolpito dal  Bernini a soli 23 anni narra che il dio degli inferi ghermisce la primavera e la fa sua, nelle tenebre del sottosuolo. La terra diverrà arida, fredda, inospitale, per rinascere al ritorno di Kore, “la fanciulla” dalle vesti colme di fiori. Così gli antichi spiegavano i ciclo delle stagioni e, forse, l’alternanza di gioie e tristezze nelle vite degli uomini. In molti hanno provato a trasferire su tela o sulla pietra la potenza di un mito che così efficacemente ci parla di vita e di morte. E nel contempo nel vedere l’opera di Hirst ho immaginato una vicenda che ha rivoluzionato il nostro essere  ‘anthropos’ ovvero uomini, tutto succedeva tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo quando la pax romana e lo slancio dei mercati favorivano la creazione della cultura sincretista, Cristo e la sua religione si faceva largo a fatica tra il vecchio paganesimo lo Zoroastrismo, il Giudaismo eil culto di Iside. Ma nel contempo nella sua opera ho vistomiti e tradizioni diversiche sisono diffusi prima ancora che delle migrazioni, che purtroppo fanno parte di quel sistema ovvero,‘Internet’l’uomo è stato alienato nel suo essere non nel suo apparire questo lo si evince dalla suaesistenza che è fatta dipassato e presente, oriente e occidente, che senza volerlo si mescolano e si ibridano. I lavori di Hirst hanno completato la molteplicità di invenzioni e tecniche presenti nella collezione museale, mostrando l’incredibile abilità dell’artista di unire concetti e narrazioni con l’eccezionale capacità necessaria a creare queste complesse opere, che è stata una costante di questa istituzione. Come dice Anna Coliva : “Archaeology Now nella Galleria Borghese non si pone in contrasto ma spinge a conclusione la fanta-storia e, più che nella narrazione, attua l’elemento fancy (nel significato che dà Coleridge) nel gioco filologico apparentemente impossibile dell’artificio linguistico, perfetto ma non confondibile con l’imitazione” , oppure come dice Mario Codognato massimo esperto del lavoro di Damien Hirst, analizza le opere su tela e la pittura, che ‘per molti versi abbatte la barriera tra arte e morte’ dell’artista, con un focus sulla nuova serie presentata in mostra, dicendo : “I suoi dipinti impregnano sulla tela gli stessi grandi temi affrontati nelle sue opere scultoree, non attraverso una mimesi della realtà ma piuttosto attraverso una compenetrazione fisica tra mondo e superficie pittorica, tra l’illusorio desiderio di fermare il tempo e l’inevitabile decadimento della vita in natura”. Mentre Geraldine Leardi racconta la mostra attraverso le sue sale, studiando la materia, la temporalità e serialità delle opere , è dice : “anche l’inganno è terreno della sfida in questa mostra, che immette opere strategiche e misteriose in un luogo con una forte vocazione alla affermazione e dissimulazione di sé, al gioco di specchi e, per quanto indirettamente, all’illusione”. Dario Franceschini Ministro della Cultura dice : “ La cultura è ripartita, è tornata con iniziative straordinarie. L’originalità di questa mostra, è una prova di quello che succederà nei prossimi mesi. Passata l’epidemia ci sarà un grande ritorno delle iniziative culturali e della capacità dei musei di innovare. I turisti stanno tornando, quelli italiani e anche quelli stranieri e il governo è al lavoro per modificare le norme e favorire il ritorno del turismo internazionale, c’è grande voglia di turismo, di cultura, di bellezza , questa mostra sarà l’evento della rinascita per l’Italia intera“. Infine Damien Hirst dice :“ Per me è un onore vedere le mie sculture e i miei dipinti nella Galleria Borghese tra gli straordinari capolavori di Bernini, Caravaggio e Tiziano nello spazio in cui le loro opere erano state volute da Scipione Borghese, l’origine dei treasuresworks riguarda l’ossessione del collezionare arte, ed è un tentativo di tracciare una linea visiva ininterrotta dal passato attraverso gli ultimi duemila anni fino ai giorni nostri. Se tracciassimo quella linea, senza dubbio troveremmo Borghese. È difficile ma importante ricordare che Scipione Borghese era interessato all’arte del suo tempo quanto a quella antica, quindi avere una mostra contemporanea accanto a queste opere, per me ha totalmente senso e non vedo l’ora di vedere le mie nella Galleria Borghese”. Diciamolo subito Damien Hirst è un genio a dispetto di chi lo accusa di essere solo uno stratega di mercato o meglio di chi lo considera ripetitivo, senza avere più la capacità di aggiungere qualcosa alla sua visione artistica con questa mostra Damien Hirst seppellisce tutte le critiche sotto un corpus di lavori straordinari e stilisticamente innovativi che diviene tutt’uno con gli spazi  e con le opere della collezione di Villa Borghese. Certamente Damien Hirst è figlio della globalizzazione, questo lo si evince anche dal concetto filosofico di Bauman il quale ha focalizzato tutta la sua attenzione sul passaggio dalla modernità alla postmodernità, e le questioni etiche relative. Ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati. Bauman sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano. Tuttavia è importante rilevare che Bauman, a differenza di altri autori, rifiuta il termine “postmoderno” a favore di “modernità liquida”, proprio per indicare la labilità di qualsiasi costruzione in questa nostra epoca.  Possiamo dire infine che il linguaggio artistico di Damien Hirst è dunque soprattutto una riflessione sulla morte, sulla fragilità dell'esistenza, sul progressivo declino di tutto ciò che esiste al mondo.La Galleria Borghese che ospita questa meravigliosa mostra fu voluta dal cardinale Scipione nel 1600 che era nipote del pontefice Paolo V, famoso per aver realizzato molte opere pubbliche a Roma, per questo egli venne soprannominato “Pontefice Massimo” dai suoi contemporanei.Dopo soli due mesi dall’elezione di papa Paolo V, suo nipote Scipione divenne cardinale nonostante avesse solo ventisette anni e gli venne affidato l’incarico di occuparsi della collezione di opere d’arte di proprietà del Vaticano. Scipione ne approfittò per crearsi una collezione personale di grandissimo valore.
Il cardinal Borghese era dotato di notevole gusto artistico ed eccezionale intuito, e ben presto riuscì a creare una splendida raccolta dedicata soprattutto alle espressioni di arte antica, rinascimentale e contemporanea, quasi a voler far rivivere una nuova età dell’oro. Scipione non si faceva scrupolo di entrare in possesso delle opere anche con mezzi illegali, come nel caso dei 107 dipinti confiscati al pittore Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino, o del celebre dipinto di Raffaello chiamato “la Deposizione di Cristo”, fatto addirittura rubare da una cappella privata nella chiesa di San Francesco a Perugia. Per la costruzione di questa splendida villa terminata nel 1620  circa  vennero acquistati appezzamenti di terreno nei pressi della zona detta Pariolo. L’edificio fu progettato dagli architetti Flaminio Ponzio e Giovanni Vasanzio e fu pensato non solo per contenere le opere, ma come vera e propria oasi della cultura, luogo di delizia e armonioso incontro tra natura e arte, quest’ultima intesa sia come architettura che come pittura e scultura: oggi infatti la villa è un po’ il museo di se stessa, poiché non solo funge da contenitore di capolavori, ma è essa stessa un’opera d’arte. L’edificio si ispira allo schema cinquecentesco che riprendeva le ville romane, con avancorpi, portico a cinque arcate e terrazza riccamente ornata; oggi tuttavia la costruzione risulta meno ricca di un tempo quando era letteralmente tappezzata da molte sculture anche all’esterno. L’accesso al portico avveniva anticamente tramite una scala a due rampe che imitava quella di Michelangelo per il Palazzo Senatorio del Campidoglio. Nel tardo settecento questa scala venne smontata a causa di cedimenti del terreno e sostituita con un’altra. Solo nel 1994 essa è stata ricostruita com’era originariamente in base alle testimonianze tramandate nell’Archivio Segreto del Vaticano. Intorno alla villa venne realizzato un ampio giardino coltivato con rare piante esotiche ed attrezzato con due uccelliere popolate da pavoni, struzzi e colombi e arricchito dal serraglio dei leoni: si trattava quasi di un piccolo zoo. Curiose erano anche le “conserve della neve”, realizzate nei piani bassi, che erano dei veri e propri frigoriferi utilizzati d’estate per mantenere fresche le bevande. Nel ‘700 i Borghese aprirono il parco alla popolazione romana per sei giorni alla settimana e si riservarono il settimo per cavalcare insieme ai loro ospiti. All’inizio del ‘900 la famiglia Borghese decise di vendere la villa a causa dei suoi debiti. I banchieri Rothschild offrirono la cifra che il principe chiedeva per l’intera proprietà cioè quattro milioni di lire all’epoca solo per acquistare una delle sue opere-simbolo come  “ Amor sacro e amor profano”di Tiziano. Il principe preferì rifiutare perché voleva assolutamente che il celebre dipinto restasse nella villa mentre i Rothschild, se l’avessero comprato, l’avrebbero trasferito in una delle loro proprietà. Alla fine, nel 1901, la villa fu venduta allo Stato italiano per “soli” tre milioni e seicentomila lire: la cifra comprendeva l’edificio con i 557 dipinti e le 314 sculture in essa contenuti. Oggi la villa è organizzata su due piani al pian terreno troviamo quasi tutte le sculture e alcuni quadri, mentre al secondo piano è ospitata la pinacoteca.Questo progetto nasce da una delle ricerche più originali di Hirst negli ultimi vent’anni:Treasures from the Wreck of the Unbelievable esposta per la prima volta a Venezia nel 2017a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana. Qui aveva lavorato con materiali diversi - naturali, tecnologici e preziosi con eccezionale tecnica e abilità. Realizzate in marmo, bronzo, corallo, cristallo di rocca, pietre dure e inserite tra i capolavori della collezione della Galleria, queste opere esaltano il desiderio di multiformità del suo fondatore, il Cardinale Scipione Borghese. La sua fantasia era stata di superare le categorie, non solo tra le arti, ma anche tra realtà e finzione. La mostra presenta anche un gruppo di dipinti dalla serie di Hirst del 2016 intitolata Colour Space, che costituisce sia uno sviluppo degli Spot Paintings sia una rivisitazione della prima opera di quella serie in cui le macchie erano dipinte liberamente. Colour Space vede l’infiltrazione, nelle parole di Hirst, di “elementi umani”, queste opere sono “cellule al microscopio”. Rompono l’idea di una immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’una nell’altra, con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela.
 
Damien Hirst nasce nel 1965 a Bristol, cresce a Leeds e dal 1986 al 1989 studia belle arti al Goldsmiths College di Londra. Nel 1988 progetta e cura Freeze, una mostra collettiva divenuta il trampolino di lancio non solo per Hirst, ma per un’intera generazione di giovani artisti britannici. Dalla fine degli anni ‘80, realizza una vasta serie di installazioni, sculture, dipinti e disegni per esplorare le complesse relazioni tra arte, bellezza, religione, scienza, vita e morte. Con i suoi lavori  tra cui l’iconico squalo in formaldeide The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1991) e For the Love of God (2007), calco in platino di un teschio tempestato di 8.601 purissimi diamanti – investiga e sfida le certezze del mondo contemporaneo, ed esamina tutte le incertezze insite nella natura dell’uomo. Dal 1987 sono state organizzate in tutto il mondo oltre 90 mostre personali e ha partecipato a più di 300 mostre collettive. Nel 2012 la Tate Modern di Londraha presentato una grande retrospettiva sul suo lavoro in concomitanza con le Olimpiadi Culturali. Le mostre personali di Hirst includono, trale altre, il Qatar Museums Authority, ALRIWAQ Doha (2013-2014); Palazzo Vecchio, Firenze (2010); l’Oceanographic Museum, Monaco (2010);il Rijksmuseum, Amsterdam (2008); l’Astrup Fearnley Museetfur Moderne Kunst, Oslo (2005);il Museo Archeologico Nazionale, Napoli (2004); Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia (2017). Nel 1995 vince il Turner Prize. Vive e lavora tra Londra, Devon e Gloucestershire.
 
Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese, 5- Roma
Domien Hirst – Archaeology Now
Dal 8 Giugno al 7 Novembre 2021
Dal martedì alla domenica, dalle 9.00 alle 19.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00)
Lunedì – Chiuso