
Claudio Strinati è stato Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Roma e poi per il Polo Museale Romano fra il 1991 e il 2009, quando è stato nominato Dirigente Generale del Ministero per i Beni e le Attività culturali. In quegli anni ha concepito grandi esposizioni imperniate sull’arte del Seicento romano dedicate a Domenichino, Pietro da Cortona, Giovanni Lanfranco, Orazio e Artemisia Gentileschi, Alessandro Algardi. Ha inoltre curato le grandi mostre Sebastiano del Piombo (2008, Roma, Palazzo Venezia) e Il Quattrocento romano (2008, Roma, Museo del Corso). La mostra Caravaggio, anch’essa da lui curata, tenutasi a Roma presso le Scuderie del Quirinale nel 2010, ha avuto un successo clamoroso risultando tra le più visitate in Italia dal dopoguerra.
Fra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano il ciclo di volumi Il mestiere dell’ artista, edito da Sellerio, un volume su Raffaello, edito da Scripta maneant, e uno su Bronzino, edito da Viviani. Nel 2010 è uscita presso l’editore Skira un’imponente pubblicazione su I Caravaggeschi, da lui ideata e curata da Alessandro Zuccari.
Grande specialista dell’arte romana del XVI e XVII secolo, è tra i maggiori conoscitori della pittura di Caravaggio: la figura più accreditata, dunque, per affrontare con occhio critico e sguardo panoramico un bilancio sugli ultimi vorticosi, controversi decenni di studi caravaggeschi.
D. La Caravaggio-mania non conosce flessioni da almeno tre decenni a questa parte e l’ancora recente centenario della morte, nel 2010, sembra avere definitivamente aperto le cateratte. Senza poter ricordare qui le molte novità proposte (variamente rigorose o fantasiose), le infinite pubblicazioni di ogni genere e le tantissime mostre, più o meno grandi, utili e serie, che si sono succedute nell’ultima decina d’anni imperniate sull’opera e sull’influsso di Caravaggio, vorrei chiederti innanzitutto quali ti sembrano i contributi più significativi alla conoscenza del grande pittore scaturiti da quest’ultima ondata inarrestabile di interesse.
R. Innanzitutto gli studi di carattere tecnico: le indagini tese a chiarire come lavorava Caravaggio, il suo rapporto col disegno, le incisioni sulla tela, la preparazione, gli studi sulla luce e l’uso di strumenti ottici.
Per spiegare la sua eccezionalità gli studi moderni sono sempre andati alla ricerca di un segreto di Caravaggio. In un primo momento il segreto è stato individuato nei significati della sua pittura, e si sono cercati e analizzati i misteri che erano celati nei suoi dipinti, che venivano interpretati in modo diversi e spesso diametralmente opposti: laico e religioso, intimista e aggressivo, epico e lirico, e il suo grande fascino è sembrato derivare proprio da questa grande ricchezza di significati e di interpretazioni. Poi si è passati a cercare il suo mistero da un lato negli elementi costruttivi e tecnici del suo dipingere, e dall’altro nella sua biografia, che è stata scavata capillarmente, con un profluvio di documenti inediti - diretti, indiretti o del tutto collaterali - nel tentativo di fare luce sui tanti aspetti oscuri della sua vita, che del resto a loro volta hanno contribuito ad alimentarne il fascino e l’attrattiva. Ancora oggi, di fatto, non è chiaro quali fossero i suoi orientamenti ideologici e culturali (ammesso che ne avesse di precisi), se fosse coltissimo o ignorante, ateo o devoto, assassino o virtuoso, se avesse una bottega, se replicava le sue opere o meno: e bisogna dire che proprio attraverso quest’ultima porta si è aperta la strada alla deplorevole corsa all’inedito a oltranza, con l’inevitabile corollario degli aspetti commerciali connessi.
Quanto alle mostre di questi anni, esse si sono caratterizzate per un duplice orientamento: la concentrazione sulla personalità del maestro, sovente con forzature attributive, ovvero sull’ambiente, col risultato di trasformare la presenza di Caravaggio, in primo luogo a Roma, in una specie di cupola del Brunelleschi, che secondo Alberti copriva con la sua ombra tutti i popoli toscani, cosicché l’ombra del Caravaggio è venuta a ricoprire tutti i pittori attivi nei primi decenni del Seicento. Dopo un’iniziale rifiuto della categoria di caravaggismo si è così finito per trovare una componente caravaggesca in tutti, rafforzando ulteriormente la centralità della figura di Caravaggio, come se i pittori dell’epoca non potessero che aderire o rigettare il suo esempio, ma sempre in confronto dialettico con la sua produzione. Caravaggio è così diventato il faro dell’arte italiana, e le tante mostre su di lui hanno alimentato questa immagine e questo mito, che il pubblico internazionale riconosce e condivide. Oggi Caravaggio è diventato l’artista italiano per antonomasia, che piace a tutti, dallo specialista all’appassionato, dal professore fino all’uomo della strada. A mio avviso non si tratta di un fenomeno di moda, ma sostanziale: nella storia dell’arte italiana Caravaggio sale su tutti, dando più di ogni altro l’idea dell’unicità e della personalità spiccatissima: più ancora, a mio avviso, dei sommi artisti del Rinascimento, che oggi per lo più vengono percepiti come lontani e ancorati esclusivamente al proprio tempo. In questo distacco l’arte contemporanea ha giocato un ruolo importantissimo, annichilendo di fatto la nostra capacità di relazionarci in modo genuino e autenticamente partecipe all’arte antica, con pochissime eccezioni fra cui Caravaggio, che nella percezione comune è diventato qualcosa di più di un semplice pittore: un guru, una specie di fenomeno che parla oscuramente a tutti gli uomini attraverso la pittura, e i cui dipinti si contemplano senza quasi più discernere la qualità, che ovviamente non è sempre uguale né è sempre vertiginosa.
Pensa alla produzione giovanile. I quadri che oggi sono convocati a comporre l’attività giovanile del Caravaggio si appoggiano alla famosa e un po’ semplicistica constatazione di Bellori: che progressivamente egli “ingagliardì gli scuri”. Ma io penso che la differenza fra Caravaggio chiaro (giovanile) e Caravaggio scuro (maturo) non si spiega solo così e che molti dei dipinti chiari possano essere frutto della collaborazione con altri pittori, di cui oggi non sappiamo più nulla ma che le fonti attestano in stretti rapporti con lui. Ricordo qui solo il caso di Filippo Trisegni, di cui non è noto nemmeno un quadro. Caravaggio, essendo percepito come una sorta di dittatore (per quanto dittatore buono), ha prodotto l’effetto di tutti i dittatori: ha fatto sparire tutti gli altri, come se lui fosse l’artefice di tutto e le persone della sua cerchia delle semplici figure di contorno. E come di ogni dittatore, di lui si può dire qualsiasi cosa: che ha rovinato l’arte italiana o che l’ha portata al suo apice; che i suoi seguaci furono pittori pessimi oppure eccezionali.
D. Vorrei una tua valutazione riguardo alcuni dei nodi problematici caravaggeschi più scottanti. Procediamo con ordine, cominciando dal periodo giovanile legato all’apprendistato milanese presso Simone Peterzano e dai disegni recentemente attribuiti a Caravaggio.
R. La querelle che si è accesa recentemente attorno alla proposta di assegnare a Caravaggio un gruppo di disegni conservati presso il Castello Sforzesco è fondata ma rischia anche di confondere le acque: penso, infatti, che sia probabile che Caravaggio nella sua fase di formazione lombarda abbia avuto una attività disegnativa e che in quella pletora di fogli esaminata dai due studiosi possa celarsi qualche autografo caravaggesco. Perplessità maggiori nutro, invece, circa la possibilità di scovare la mano di Caravaggio all’interno dei dipinti del Peterzano, un artista pignolo, dallo stile organico e ben riconoscibile: e quand’anche Caravaggio avesse messo le mani su qualcuno di essi, non ci direbbero nulla circa l’emersione di una personalità artistica di spicco.
D. Passiamo all’arrivo a Roma e alla prima attività romana.
R. Quanto al primo periodo romano, non credo che i quadri più giovanili siano frutto della mano esclusiva del Caravaggio. Ritengo che opere come
Il Baro Kimbell (fig. 1) o la
Buona ventura Capitolina (fig. 2) siano stati eseguiti in collaborazione e siano frutto di un’attività legata a qualche bottega. Sappiamo, ad esempio, che Caravaggio fu a bottega presso tal Lorenzo Carlo, che le fonti qualificano come un artista “dozzinale”: il che ovviamente non significa autore di quadri brutti ma piuttosto seriali, destinati al più largo smercio possibile e dunque eseguiti in bottega. Contrariamente all’impostazione superuomista longhiana dell’artista solitario che non si ripete mai, la sua attività romana prende avvio all’interno delle botteghe, a partire dalla formazione tizianesca dovuta alla scuola di Peterzano. All’inizio potrebbe avere collaborato con Minniti o con Grammatica, questo non siamo in grado di stabilirlo con certezza: ma quel che è certo è che di colpo Caravaggio diventa perfetto, pienamente compiuto e indipendente (e autografo); e che poi non cambia più, tranne che nelle ultime opere siciliane, che a mio avviso, peraltro, si devono anch’esse ritenere eseguite con interventi di collaboratori.

C’è poi il rebus rappresentato dal Riposo durante le fuga in Egitto Doria-Pamphili (fig. 3), che resta per me uno scoglio insuperabile, un’opera misteriosa e strabiliante che non si lega perfettamente con nessun’altra opera di Caravaggio: né alle opere giovanili tipiche, né ai capolavori della fase Del Monte. Sta di fatto che quel livello di lirismo sognante, vien da dire “gentileschiano”, non lo si ritrova altrove. E allora mi domando: l’ha dipinto in collaborazione con qualcun altro? Quando l’ha eseguito? Certo si tratta di un’opera sublime, di una mente eletta e vastissima di concezione, che ha raggiunto una grande esperienza e una profonda comprensione della vita: detto banalmente, io una simile profondità e maturità in tutti gli altri dipinti assegnati al periodo giovanile di Caravaggio non la vedo. Bei quadri, ovviamente, ma non certo opere sublimi. A conferma di tale problematicità e difficoltà di collocazione gli studiosi di fatto tendono a sorvolare sul Riposo Doria Pamphili, cavandosela più o meno sempre con le stesse cose: il paesaggio, la natura morta, la luminosità, la poeticità… C’è da dire poi che, tanto per cominciare, è un quadro che andrebbe pulito.
D. Affrontiamo ora il tema scottante degli inediti e delle riscoperte caravaggesche.
R. Non mi pare il caso di soffermarsi né sul Sant’Agostino, né sulle varie nuove redazioni del Suonatore di liuto… Più interessante è il San Giovanni Battista disteso, in collezione privata a Monaco di Baviera: anch’esso, però, non mi pare una novità così significativa. Riguardo a inediti e riscoperte di Caravaggio il punto comunque è un altro: per come la vedo io se un dipinto inedito che viene proposto con l’attribuzione a un grande maestro non aggiunge nulla alla conoscenza di quel maestro, se pure quell’attribuzione dovesse rivelarsi esatta si tratterebbe pur sempre di una scoperta poco interessante. In genere il finto inedito si riconosce proprio per il fatto che non aggiunge nulla alla conoscenza del pittore a cui è riferito. In questo senso l’unica vera grande scoperta degli ultimi decenni è stato il soffitto Del Monte, che per molti versi oggi deve essere considerato un pilastro degli studi su Caravaggio: e infatti quasi tutti gli studiosi caravaggeschi dapprima lo rifiutarono proprio perché veniva a modificare l’immagine consolidata del pittore. Ricordo che Maurizio Marini, massimo esperto del Caravaggio, alla prima impressione pensò addirittura ad Antonio Pomarancio.
Purtroppo ormai lo specialista di Caravaggio vive solo per pubblicare qualche inedito del maestro e quindi immancabilmente lo scopre: ma non c’è dubbio che la gran parte di queste scoperte è destinata al dimenticatoio. Non so se ci siano o no ancora dipinti sconosciuti di Caravaggio da scoprire, ma di sicuro io negli ultimi decenni di veri e importanti inediti caravaggeschi ne ho visti ben pochi, per non dire nessuno. La stessa Cattura di Cristo oggi a Dublino (fig. 4) è un dipinto molto bello, ma che io considero un tipico “copyright Caravaggio”: fa parte, cioè di quei quadri che lui realizzava nel suo momento di grande successo, facendo approntare varie versioni dai suoi aiuti alle quali poi aggiungeva il tocco finale del maestro. Come si spiega, altrimenti, la quantità di buone versioni coeve di Incredulità di San Tommaso, Catture nell’orto etc., alle quali si aggiungono sempre nuovi esemplari in tutto analoghi? Io penso che l’originale di queste innumerevoli redazioni non ci sia; nel caso di questi dipinti “seriali” non c’è quasi mai, secondo me, un prototipo totalmente autografo da cui discendono tutti gli altri.
D. L’attenzione sui caravaggeschi ha indiscutibilmente raggiunto un livello senza precedenti. Al di là delle ambiguità di un’etichetta ormai impiegata come un passepartout, si tratta a tuo avviso di una esercizio doveroso di rivalutazione o c’è anche il rischio di incongrue sopravvalutazioni?
R. Personalmente i caravaggeschi mi piacciono molto: ho anche ideato insieme a Alessandro Zuccari i due volumoni pubblicati da Skira a loro dedicati. Detto in breve, penso che i caravaggeschi siano pittori molto interessanti, però essenzialmente per gli specialisti. Perché in fondo in primo luogo sono una pletora di imitatori, per quanto molto spesso dotati di grande mano. I caravaggeschi sono il divertimento dello storico dell’arte, mentre per lo più sono di scarso appeal per il grande pubblico, con qualche eccezione di artisti di particolare personalità, o magari caravaggeschi solo per un periodo della loro attività, o che di fatto sono caravaggeschi per modo di dire. A me piacciono particolarmente i più antichi, come Giovanni Baglione o Antiveduto Grammatica, che più che caravaggeschi sono competitori di Caravaggio e quindi assimilano degli elementi però fanno molto a modo loro, caratteristica che li rende autonomi e più interessanti. Si potrebbe dire con una formula che fra i caravaggeschi ci sono vari grandi pittori, ma non altrettanti grandi artisti. Orazio Borgianni per esempio è un grande artista, ma in fondo ben poco caravaggesco. Bartolomeo Manfredi mi piace molto per la sua potente arcaicità, e anche lui, in fondo, pur dipendendo da Caravaggio, è un artista molto personale. Spadarino è certamente un pittore di grande qualità, ma la sua fisionomia reale secondo me va ancora messa a fuoco adeguatamente, sebbene i suo pochi dipinti certi siano di alta fattura. C’è da dire che evidentemente la categoria di “caravaggeschi” ha assunto un’estensione eccessiva che andrebbe mitigata: ma commercialmente rende e inoltre serve a fare le mostre, dove si possono avere pochi dipinti di Caravaggio ma molti dei caravaggeschi: ancor più facilmente, va da sé, quando si amplia tale etichetta fino alle sue estreme propaggini, includendo artisti che con Caravaggio hanno legami e affinità alquanto labili.
D. Vorrei interrogarti intorno alle ragioni della moda caravaggesca, nella quale hai la tua fetta di responsabilità (basti pensare all’incredibile successo della mostra alle Scuderie del Quirinale). Come ti spieghi, in generale, l’attrattiva potente esercitata dalla pittura naturalistica del Seicento (che riguarda in primis Caravaggio e i caravaggisti, ma può essere estesa ad altri protagonisti della pittura europea del Seicento, come Vermeer e i grandi realisti olandesi del ‘600, Georges de la Tour, Rembrandt, Velazquez etc.), che oggi sembra una sigla più di ogni altra capace di attrarre il pubblico degli appassionati d’arte nella sua interezza? Non è quasi paradossale che tale apice di interesse giunga a valle della lunghe e fortunate vicende dell’arte contemporanea “d’avanguardia”, la cui leadership nell’interesse del mondo dell’arte in ogni sua componente (a cominciare dal piano commerciale, che in questo è un termometro implacabile) non è mai stata tanto forte?
R. Ogni volta che nel campo artistico si impone una personalità che viene percepita dal pubblico come emanazione e attuazione del naturalismo e della naturalezza si produce una calamitazione irresistibile e globale, che si accompagna alla sensazione di una presenza stabile e costante nella cultura contemporanea di quella personalità, capace di parlare a tutti gli uomini fuori dalle epoche e dai limiti geografici. E’ come se nelle immagini di Caravaggio tutti riconoscessero oggi una totale spontaneità di espressione, l’adesione profonda a quella radice naturale, che è il vero, che si trova depositata dentro di noi: sia quel sentimento più o meno ipocrita o sincero, spontaneo o indotto.
In fondo il Caravaggio soddisfa anche la domanda di sperimentazione, di “avanguardia” potremmo dire, che l’arte contemporanea ci ha abituato a cercare nelle opere d’arte, perché è percepito come un avanguardista, un pittore aggressivo e moderno che vive l’approccio coi suoi personaggi sempre in modo attuale, con una presenza che non viene mai meno: e di conseguenza non si può fare a meno di pensare che la sua pittura non sia confinata al suo tempo ma abbia in sé un elemento di perenne attualità.
D. La bibliografia caravaggesca degli ultimi decenni forma da sola una non piccola biblioteca: ciò premesso, pensi che ci siano aspetti della sua produzione su cui è ancora necessaria una migliore messa a fuoco?
R. Oltre alla fase giovanile, quella tarda. In particolare quest’ultima è per me una specie di guazzabuglio indecifrabile, anche perché non si capisce più bene come lavorasse Caravaggio, che infatti esegue contemporaneamente opere tra loro assai diverse: si pensi all’
Adorazione dei pastori e alla
Resurrezione di Lazzaro, entrambe oggi al Museo di Messina (figg. 5 e 6). Ciò è probabilmente dovuto a un assetto di lavoro di cui ignoriamo ancora molti aspetti, non da ultimo in merito alla presenza e al ruolo dei collaboratori locali.

Un altro punto cruciale è costituito dalla sua effettiva posizione nei confronti dell’Ordine di Malta, che in genere viene liquidato attraverso la semplice sequenza dei fatti: cavalierato-carcere-fuga. Ma a mio avviso si tratta di una vicenda che deve ancora rivelare aspetti ben più compositi. Non è casuale che la più alta, la più sublime e la più complessa opera che Caravaggio realizza nella sua fase tarda sia la Decollazione del Battista di Malta: dietro alla genesi di un opera così perfetta ci deve essere un lavorio di cui motivazioni e modalità non sono ancora ben chiare. Penso, infine, che i veri inediti di Caravaggio che potrebbero riemergere in futuro riguardano proprio i suoi ultimi anni, perché le fonti citano parecchie opere eseguite in quegli anni che sono oggi irreperibili; e più in generale ritengo che la nostra idea del periodo tardo di Caravaggio - sempre in fuga, sempre costretto a lavorare in fretta e furia - sia sostanzialmente falsa e che in quegli anni, in effetti, egli abbia dipinto parecchio e talora anche abbastanza pacatamente: ma purtroppo è scomparso quasi tutto. Infine c’è l’episodio finale della morte, su cui forse ora Vincenzo Pacelli ha scoperto documenti importanti, che si presenta ancora pieno di aspetti abbastanza oscuri.
Quanto alla bibliografia, penso che i libri innumerevoli su Caravaggio pubblicati in questi ultimi anni si somiglino un po’ tutti, compresi i miei, e che probabilmente ancora non sia arrivato il tempo per procedere alla necessaria revisione critica complessiva. C’è molto da riscrivere su di lui, evitando di fare quello che ormai facciamo tutti: ripeterci gli uni con altri, abitudine che rende minime e marginali le differenze e le novità all’interno del profluvio di pubblicazioni, mentre il disegno generale rimane sempre sostanzialmente immutato. Il peso dei luoghi comuni negli studi caravaggeschi è decisamente troppo grande, e una chiave per avviare questo processo di ripensamento e revisione è certamente rappresentata dal periodo tardo.
D. Vorrei concludere con una domanda un po’ più frivola: dopo tanti anni dedicati anche allo studio di Caravaggio, qual è o quali sono i suoi dipinti che ami maggiormente?
R. In primo luogo il Soffitto Del Monte (fig. 7). E poi il Suonatore di liuto dell’Ermitage (fig. 8), del quale pare che il Caravaggio stesso ebbe a dire che fosse il più bel pezzo di pittura che facesse mai (e io sarei d’accordo con lui). Ma più di ogni altra trovo il Soffitto un opera libera, divertente, spiritosa, arguta, tumultuosa e solidissima: al contempo naturalistica e non naturalistica, classicista e non classicista.
Secondo me in quell’opera c’è già tutto Caravaggio, con in più una verve straordinaria, che di rado si ritrova in seguito. Si vede che era giovane, bello, baldanzoso, noncurante delle molte difficoltà poste da quell’opera singolare: di contenuto, compositive e spaziali, vista l’angustia dell’ambiente.
Ti dico la verità: è una delle poche opere d’arte di fronte alle quali io effettivamente mi emoziono.
Luca Bortolotti, 15 ottobre 2012