Maria Cristina Corsini è stata Responsabile del Dipartimento di Arte moderna e contemporanea della sede romana di Finarte Casa d'Aste, della quale è stata anche Direttrice dal 2005 al 2010.
Dal 2010 è esperta di Arte moderna e contemporanea presso la sede romana della storica casa d’aste viennese Dorotheum. Grande conoscitrice dell’arte italiana del Novecento è da tre decenni osservatrice attenta e ovviamente partecipe delle complesse e mutevoli vicende del mercato dell’arte moderna. Ci è sembrata dunque una guida ideale per descrivere la situazione odierna per quel che concerne il suo settore di competenza, nel contesto di una breve indagine sulla salute del mercato dell’arte in quest’epoca di crisi nella quale coinvolgeremo altri testimoni eccellenti.
1) Per cominciare, vorrei una tua valutazione d’insieme sul momento attuale del mercato dell’arte contemporanea in Italia e fuori dall’Italia. Che effetti ha prodotto e sta ancora producendo sul nostro settore la famigerata crisi economica che grava sull’occidente?
La distinzione fra la scena italiana e quella internazionale oggi più che mai appare indispensabile, come traspare assumendo come osservatorio la realtà di Dorotheum che, pur essendo presente su tutto il territorio europeo con una fitta attività di reperimento, svolge le proprie aste esclusivamente a Vienna e vanta storicamente un’affaccio privilegiato su tutto il mercato europeo centro-orientale. Oggi le aste di arte moderna e contemporanea di Dorotheum presentano caratteri di spiccata internazionalità, frutto di un grande lavoro di equipe. La crisi economica che sta attraversando tutto l’occidente rende ancor più chiaro il fatto che le grandi fortune economiche sono oggi situate fuori dall’Italia, e che le poche ancora dislocate nel nostro paese prediligono nei loro investimenti sull’arte un profilo decisamente contenuto. Di qui la riduzione di numero e di volume d’affari delle case d’asta italiane, nonché l’orientamento delle grandi case d’asta internazionali come Christie’s, Sotheby’s o Dorotheum a limitare alla rappresentanza e al reperimento la propria attività in Italia, riducendo o azzerando l’organizzazione di aste in Italia, dove la circolazione di denaro e l’entità delle transazioni è considerata troppo modesta. Tutto ciò, nonostante le ben note limitazioni imposte dalla nostra legislazione all’esportazione delle opere fuori dai nostri confini, e nonostante il contenuto appeal internazionale di buona parte degli autori italiani moderni e contemporanei che costituiscono lo zoccolo duro del nostro mercato interno.
2) L’arte contemporanea è ormai da anni il settore trainante a livello globale del mercato dell’arte. Quali sono le ragioni di tale supremazia? La crisi ha intaccato questo primato o ha addirittura allargato la forbice rispetto agli altri settori tradizionali (arte antica e dell’Ottocento, mobili e arredi, libri e materiale cartaceo, gioielli etc.)?
La forbice è sempre esistita perché gli interessi economici sull’arte contemporanea sono ben maggiori, in primo luogo per un fatto numerico, essendo la disponibilità di opere di artisti viventi molto più abbondante, il rifornimento più agevole e continuo e in generale gli investimenti e i finanziamenti più consistenti, anche grazie alla certezza dell’attribuzione che nell’arte antica e dell’Ottocento è molto rara. Il fermento sul contemporaneo è dunque legato, da un lato, al fatto che gli artisti sono ancora produttivi, ma anche alla maggiore vicinanza culturale e di gusto e quindi alla più immediata comprensibilità delle opere rispetto all’arte antica, il cui apprezzamento presuppone conoscenze più vaste e strumenti interpretativi più sviluppati. Un rilevante fattore di interesse, inoltre, dipende dal fatto che gli scambi sono molto veloci e i tempi di incremento degli investimenti potenzialmente piuttosto brevi: anche se in confronto all’arte antica sul lungo termine i rischi di svalutazione sono maggiori. Tali rischi, peraltro, difficilmente potranno coinvolgere i grandi maestri oggi generosamente premiati dai risultati di vendita, come Fontana, Burri, Manzoni, Castellani, Boetti, Afro, tanto per fare pochi nomi… Ovviamente la crisi attuale non ha fatto altro che aumentare questa forbice a vantaggio dell’arte contemporanea.
3) La ragione principale della tradizionale minore rilevanza economica del mercato artistico italiano rispetto a piazze come l’Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti, risiede nell’impostazione rigorosamente protezionistica della nostra legislazione artistica. Senza pensare di stravolgere tale impianto, quali ragionevoli interventi si potrebbero introdurre, dal tuo punto di vista di operatrice decisamente esperta del settore, per agire positivamente sulla situazione di oggettivo enpasse in cui versa in mercato in Italia?
La prima questione sulla quale sarebbe opportuno metter mano concerne l’innalzamento del limite attualmente vigente di 50 anni per le opere che devono essere sottoposte al giudizio delle Soprintendenze in merito alla loro esportabilità, e portarlo ad almeno 70-80 anni. Contestualmente si dovrebbero accelerare i tempi e snellire le procedure per la concessione dell’esportazione - iter che attualmente implica tempi medi di attesa di circa 40-45 giorni per sapere se un bene ha ottenuto l’attestato di libera circolazione - ipotizzando un meccanismo di silenzio-assenso con tempistica non superiore ai 10-15 giorni. Infine, punto problematico ma fondamentale, tutte le opere che vengono sottoposte a notifica, e che quindi non possono più uscire dall’Italia, dovrebbero essere comprate dallo Stato, immaginando forme di acquisto che, stante la cronica mancanza di fondi del ministero, facciano magari leva su sgravi fiscali a favore dei proprietari corrispettivi al valore del bene notificato, eventualmente anche da scalare nell’arco di un certo numero di anni.
4) Che consigli daresti a un aspirante collezionista di arte contemporanea che si affacciasse al mercato in questo momento? Come e dove muoversi nella abbondanza dell’offerta? La crisi può costituire un’opportunità interessante anche per l’acquirente di arte contemporanea?
L’aspirante collezionista di arte contemporanea ha oggi la fortuna di disporre di molti strumenti che un tempo non c’erano, quindi il primo e più ovvio consiglio è quello di utilizzarli al meglio, informandosi capillarmente sull’oggetto del suo interesse. Penso in primo luogo ai vari date-base, aggiornati, efficienti, ricchissimi di indicazioni, che monitorano in tempo reale il mercato e in particolare il mondo delle aste (Artprice, Artnet etc.). Poi ovviamente bisogna frequentare con assiduità le gallerie, le mostre, i musei, le esposizioni delle case d’asta e le aste: bisogna insomma allenare l’occhio, sensibilizzarsi alla qualità (che nell’arte contemporanea è un parametro più complesso e sfumato rispetto all’arte antica), dotarsi delle conoscenze che un collezionista deve necessariamente possedere per approdare alla formazione di un proprio gusto. Se si vogliono fare degli investimenti oculati, per avere presente la storia economica di un artista ed essere al corrente di ciò che meglio lo rappresenta, quali periodi della sua attività e quali temi siano maggiormente richiesti e premiati dal mercato, il termine di riferimento delle aste resta comunque imprescindibile, perché sotto il profilo dei valori commerciali è quello che garantisce la maggiore trasparenza e fotografa il mercato reale con meno ambiguità. Infine, una buona regola per l’aspirante collezionista è cominciare dalla grafica e in genere dalle opere su carta, che costituiscono una facile merce di scambio e permettono di allenare l’occhio spendendo cifre contenute, per passare poi a opere più importanti e investimenti maggiori.
5) Come si orienta il dipartimento di arte moderna e contemporanea di una grande casa d’aste internazionale come Dorotheum sul fronte della proposta di autori giovani già presenti sul mercato ma i cui valori non sono ancora consolidati? Riservate uno spazio anche ad artisti in via di affermazione oppure perseguite esclusivamente una politica legata ai nomi già consacrati sul mercato mondiale?
Una grande casa d’aste che guarda al mercato internazionale come Dorotheum deve necessariamente scegliere per le proprie vendite opere che siano già richieste dal mercato e ben difficilmente può decidere di scommettere su artisti giovani, anche se in via di affermazione. Nelle aste minori si cerca di effettuare qualche tentativo circoscritto in questo senso: c’è da dire, però, che in quei casi le vendite in asta necessariamente devono essere effettuate sulla base di valori più contenuti di quelli che un gallerista ha interesse a difendere nell’ambito dei propri spazi espositivi.
6) Esiste ancora una declinazione regionale del mercato, oppure quest’ultimo, grazie a internet e ai sempre più pervasivi ed efficienti strumenti di comunicazione e informazione, si deve intendere pienamente globalizzato?
Nonostante internet, esiste sempre uno spazio per quegli artisti che sono particolarmente legati a un gusto e a una memoria locale e che hanno mercato principalmente all’interno del proprio contesto culturale. Si tratta, in effetti, di opere che reggono meglio di altre l’impatto della crisi: penso a certi ottimi pittori napoletani o triestini o veneziani, che sono ricercati e collezionati quasi esclusivamente nelle loro regioni ma che in quell’ambito realizzano sempre risultati di tutto rispetto e per i quali è più ridotto il rischio di un ridimensionamento del valore economico.
7) Puoi darci qualche anticipazione riguardo pezzi di particolare interesse che saranno presentati da Dorotheum nella prossima tornata di aste autunnali?
La prossima grande asta di Arte Moderna e Contemporanea si terrà il 27 e 28 novembre, subito a seguire la Vienna Art Week, che si svolge dal 19 al 25. Fra i pezzi più interessanti che saranno proposti all’incanto segnalerei due opere di Kounellis, un grande pannello di ferro con quattro cannelli di fiamma ossidrica risalente agli anni ’80, stimato € 130-200.000, e una composizione più recente, connubio tra la pittura e i materiali prediletti del sacco e della carta, stimata € 80-100.000; poi un piccolo Cretto Bianco di Burri del 1971, molto prezioso come esecuzione e tra i primissimi esempi di cretto sperimentati dall’artista, proveniente tra l’altro da un importante collezionista romano storicamente molto vicino a Burri, stimato € 100-140.000; uno Schifano particolarmente significativo del 1962, uno smalto su carta applicata su tela, pieno periodo pop-art, in vendita a una stima interessante di 70-100.000 euro. Nel moderno figurativo segnalerei un piccolo calligramma di De Chirico della fine degli anni ’20 dipinto ad olio, di bellissima qualità, con stima intorno ai 120.000 euro, e un inedito Gino Severini degli anni ’30, di carattere molto intimista, raffigurante la Balia con la piccola Romana nella casa di Anagni, con stima 80-120.000 euro.
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Kounellis | Burri | Severini |
8) Per concludere ci indicheresti qualche pittore italiano del XX secolo i cui valori ti sembrano oggi sottostimati dal mercato ma passibili di futura crescita (o ricrescita)?
Mario Tozzi e Alberto Savinio sono grandi nomi del nostro Novecento figurativo che oggi si attestano su cifre relativamente molto basse e per i quali è lecito attendersi future e significative rivalutazioni; un altro nome oggi ingiustamente quasi caduto nel dimenticatoio è Turcato, che certamente ha prodotto tanto e non sempre allo stesso livello, ma è un artista degno di nota che secondo me ha i numeri per risalire in futuro.
Luca Bortolotti