Rossella_Vodret(3)Rossella Vodret è stata Soprintendente Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma. Studiosa e appassionata della pittura del 600, e in particolare del caravaggismo, ha curato e gestito negli ultimi anni eventi artistici capitolini di grande rilievo. E’ autrice di numerose pubblicazioni, soprattutto su Michelangelo Merisi e i suoi seguaci, tematiche alle quali i suoi studi hanno apportato rilevanti contributi.


D. Dottoressa Vodret, Caravaggio e i caravaggeschi sono stati e sono al centro dei suoi studi. Le chiedo un bilancio critico di questo fenomeno la cui fortuna critica si direbbe inarrestabile.
R. Mi sono dedicata a questo argomento da quando mi sono laureata negli anni '70 con Cesare Brandi con un tesi su un caravaggesco senese, Francesco Rustici. Da lì ho continuato in questa direzione, proseguendo gli studi che, allora, in questo campo erano dominati dalla figura di Longhi, grandissimo storico dell’arte che però non aveva a disposizione tutti gli strumenti che abbiamo oggi e quindi, per quanto la sua figura resti assolutamente autorevole, alcune delle sue attribuzioni vanno riviste alla luce delle nuove scoperte della critica e soprattutto dei grandi progressi che le indagini diagnostiche hanno fatto negli ultimi tempi.

catalogo_Roma_al_tempo_di_CaravaggioD. Sugli esordi di Caravaggio tra gli studiosi ci sono ancora molte incertezze, anche alla luce dei nuovi documenti trovati da Francesca Curti all’Archivio di Stato. Qual è il suo pensiero in proposito?

R. Stiamo tutti cercando di dare un senso a questi documenti, che sono abbastanza complicati da capire. Dopo un primo momento di spaesamento, gli specialisti sono impegnati, ognuno con i suoi ragionamenti, a inserire le complesse vicende biografiche e le opere dei primi anni di Caravaggio a Roma dentro una stretta griglia documentaria. Un  documento inequivocabile  impone, infatti, di datare entro la Quaresima del 1596 l’apprendistato di Caravaggio presso la bottega del pittore Lorenzo Carli – il quale, secondo le fonti biografiche, fu  il primo contatto romano del pittore lombardo – mentre nel  luglio del 1597  il pittore era già al servizio del cardinal Del Monte. Questi dati collocano l’arrivo a Roma di Caravaggio all’inizio del 1596, forse anche alla fine del 1595, ma non si può andare troppo indietro nel tempo a causa della testimonianza dei biografi. Ne risulta che in poco più di un anno/ un anno e mezzo circa, a partire dal suo arrivo a Roma, Caravaggio ebbe una vita a dir poco frenetica: alloggiò presso mons. Pandolfo Pucci da Recanati (“monsignor insalata”), presso mons. Fantino Petrignani a s. Salvatore in Campo, poi per ben otto mesi presso il Cavalier d’Arpino, entro la quaresima del 1596 fu ricoverato all’Ospedale della Consolazione, poi provò a stare per suo conto; inoltre, nello stesso arco di tempo, frequentò le botteghe di Lorenzo Carli, di Antiveduto della Gramatica e del Cavalier d’Arpino. Alla difficoltà di scaglionare nel tempo tutte le vicende personali si aggiunge quella di datare le opere giovanili eseguite precedentemente a quelle per il cardinale Del Monte.

D. Sappiamo che da anni sta lavorando alla pubblicazione di un volume che raccoglie i risultati di tante campagne diagnostiche su Caravaggio: può anticiparci qualcosa?

R. In realtà si tratta di due volumi ed è un progetto promosso dal Comitato Nazionale per il IV anniversario della morte di Caravaggio che ha stanziato parte dei finanziamenti per nuove indagini sulle opere certe di Caravaggio, anche alla luce dei progressi degli strumenti diagnostici. Quindi abbiamo cominciato da Roma e abbiamo analizzato le 22 opere romane ma il progetto prevede, in seguito, di passare a studiare le 16 opere che sono in Italia e poi le altre che si trovano in giro per il mondo. Per ora ci siamo occupati delle 22 opere romane, i due volumi dovrebbero uscire a ottobre ed è un risultato importantissimo perché ci dà già alcune coordinate per stabilire quella che  era la tecnica esecutiva di Caravaggio, che mostra caratteristiche assai peculiari,  diverse da quelle degli  altri artisti a lui contemporanei.

D. Ci può fare un breve bilancio sulla mostra “Roma al tempo del Caravaggio”?
R. La mostra mi ha dato moltissima soddisfazione e ha ricevuto tanti apprezzamenti. Per me era un po’ la “mostra della vita”, il punto di arrivo di più di vent’anni di studi, quindi sono stata particolarmente contenta di realizzarla.
La mostra era incentrata su un periodo cruciale nel  panorama artistico romano: i primi trent’anni del ‘600. Gli anni che trascorsero dall’arrivo di Caravaggio a Roma, nel corso dell’ultimo decennio del ‘500, fino al 1630, costituiscono un momento irripetibile per la storia della pittura italiana ed europea, i cui esiti sono percepibili nello sviluppo delle correnti artistiche almeno fino al Settecento. Questo  periodo è di fondamentale importanza per la storia di Roma e della Chiesa Cattolica. Coincide, infatti, con il superamento del clima di tensione che era venuto a crearsi all’interno della Chiesa agli inizi del Cinquecento, a causa della scissione luterana e della susseguente reazione cattolica, e lo stabilizzarsi di nuove istanze teologiche, devozionali e politiche nelle quali maturerà il moderno Cattolicesimo. L’arte fu il veicolo principale di divulgazione dei nuovi messaggi. A Roma furono anni vivaci ed esaltanti in cui il papato cattolico celebrò, con l’anno santo 1600, la riconquista del suo predominio europeo. La città papale, con le sue ricche committenze, diventava la capitale culturale d’Europa, popolandosi di migliaia di artisti provenienti non solo da tutta Italia (tra cui Caravaggio), ma anche dalle grandi nazioni del vecchio continente: Spagna, Francia, Germania, Fiandre, Paesi Bassi.
Si creò qui una fucina irripetibile in cui artisti di formazione, lingua e cultura diverse lavorarono fianco a fianco scambiandosi soluzioni tecniche, stimoli, esperienze, modelli stilistici e iconografici. Grazie a loro in pochi anni vennero spazzati via gli sterili e noiosi stereotipi tardo-manieristi, e prese il via la più straordinaria rinascita artistica della Città eterna, i cui esiti saranno percepiti in tutta Europa fino alla fine del XVII secolo e oltre.

Alla_ricerca_di_GhiongratD. Recentemente ha curato un volume di studi sui libri parrocchiali romani (Alla ricerca di Ghiongrat. Studi sui libri parrocchiali romani 1600-1630, Roma, Erma di Bretschneider, 2011). Può parlarci del contenuto della pubblicazione?
R. E’ il frutto di una ricerca molto complessa che ha richiesto il lavoro di una equipe di dodici ricercatori che hanno lavorato per anni presso l’Archivio Storico del Vicariato di Roma. L’archivio conserva un notevolissimo nucleo di documenti che permettono di ricostruire straordinariamente in dettaglio la storia della popolazione romana e del suo alterno evolversi nel periodo compreso tra la seconda metà del XVI secolo e la fine dell’Ottocento. Si tratta dei registri degli Stati delle Anime e dei Libri dei Battesimi, dei Matrimoni e dei Morti, che danno conto dei nomi e delle generalità di coloro che risedettero a Roma nell’arco dei tre secoli compresi tra il Concilio di Trento e la fine del governo temporale della Chiesa cattolica.
Nonostante le molte lacune, la quantità di informazioni sui singoli abitanti registrati negli Stati delle Anime e nei Libri dei Battesimi, dei Matrimoni e dei Morti dell’Archivio del Vicariato costituisce una fonte di primaria importanza (un vero e proprio spaccato della vita dell’epoca) per ricostruire la storia demografica, sociale ed economica di Roma, così come per la storia dell’architettura e dello sviluppo urbanistico della città. Non minore è la rilevanza di questa documentazione per la storia dell’arte, poiché nei registri si riscontrano i nomi e le generalità di moltissimi artisti, nati, vissuti o morti a Roma, oppure che hanno abitato nella città anche solo per un periodo di tempo limitato: uno specchio fedele di vite reali, insomma.
Dall’analisi dei documenti è emersa una quantità notevolissima di dati e di informazioni fondamentali per indicare nuovi percorsi di ricerca. Il primo dato emerso è infatti la consistenza numerica degli artisti presenti nelle 70 parrocchie esistenti a Roma nel primo trentennio del XVII secolo. Negli oltre 6500 documenti riferibili ad artisti, i nomi registrati nei libri parrocchiali sono poco più di 2700, ma tra questi meno di 300 rappresentano personalità note, citate dalle fonti o di cui si conoscono opere. È la punta di un iceberg di dimensioni gigantesche. Il resto, circa 2400, rientrano in un sottobosco di “ignoti” difficilmente catalogabili come pittori dozzinali o di secondo piano, semplici garzoni, aiutanti di bottega: esigono perciò ulteriori approfondimenti storici. Un secondo spunto di riflessione riguarda i nomi di molti artisti che compaiono in associazione con quelli di importanti personalità dell’epoca: ricchi collezionisti, potenti cardinali, influenti membri dei ceti nobiliari, che spesso figurano nei registri in qualità di testimoni di nozze o di padrini di battesimo. Altrettanto evidente nei documenti è, d’altra parte, anche la rete di parentele, amicizie e intrecci familiari che legano tra loro artisti di provenienza, età o professione diversa. Queste sono solo alcune tra le tante tipologie di indagine che i documenti vicariali propongono alla nostra attenzione, rivelando risvolti insospettati.
Daniela Ciabattini, 20/04/2013