
Noto per gli esiti d'asta stratosferici raggiunti da alcuni suoi lavori (in linea con quelli dell'altrettanto osannato-contestato suo collega britannico Damien Hirst) oltre che per il tribolato matrimonio con l'ex pornostar Ilona Staller, approda a Palazzo Corsini a Firenze come
ospite d'onore alla Inaugurazione della Biennale Internazione dell'Antiquariato,
Jeff Koons. Se lo consideriamo come un tentativo di rilancio del c
òté glamour, come scrive sul Giornale dell'Arte
Laura Lombardi, in una ricca
Guida alla Biennale, allora l'evento, per così dire, può pure avere un qualche senso. Forse. Ultimamente in effetti era apparso un po' appannato quel titolo di mondanità che ha caratterizzato la mostra fiorentina per tanti anni, al punto da divenirne un vero e proprio connotato. Non giureremmo però sulla riuscita artistica della iniziativa; non siamo ancora in grado di stabilire se il risultato sarà pari alle attese, se cioè effettivamente questa idea -su cui pare aver scommesso molto il nuovo segretario generale della mostra, l'antiquario
Fabrizio Moretti (negozi a Firenze, Londra e New York) - della contaminazione antico-contemporaneo potrà produrre quel rilancio del settore dell'alto antiquariato apparso parecchio appannato, quanto meno in

Italia, negli ultimi anni. Effetto della crisi, si dirà, ed è vero, ma lo sono state altrettanto, o rischiano di esserlo, anche certe scelte sbagliate.

Sicuramente non basta la non proprio originalissima idea intromettere una scultura di Koons,
Pluto e Proserpina (acciao inox, da
Il Ratto di Proserpina (da
Gian Lorenzo Bernini), in piazza della Signoria, di fronte alla Loggia dei Lanzi, o il
Gazing Ball (gesso e vetro, dal
Fauno Barberini) per promuovere un dialogo tra antico e moderno. Perchè se è vero che l’arte autentica non ha età, in certi casi, come questo, il risultato è scontato e Koons non regge il confronto, neppure con i calchi in gesso di
Michelangelo o
Donatello. Non è certo un gesto eretico aver organizzato l’iniziativa, ma Moretti sembra ignorare che In effetti il 'contemporaneo' che lo statunitense propone appare lontano anni luce dall'idea stessa che la città di Firenze trasmette -e che si è affermata come una sorta di metaforico 'logo'- di città elegante e raffinata, di una bellezza esteticamente superiore, colta e nobile, dove giusto in ragione di ciò, il mercato antiquario di alto lignaggio sembra trovare la sua sede di rappresentanza ideale, essendo peraltro in grado di percepire l’urgenza di aprirsi –così almeno è stato spesso- oltre che agli addetti ai lavori e ai
connoisseur anche a settori di pubblico più larghi, secondo la constatazione logica che la vera cultura riesce sempre ad educare e ad ampliare gli interessi delle persone promuovendone l’ansia di partecipazione, innalzandone il senso estetico. Ora, a dire il vero, quanto propone Koons

ci sembra si muova in una direzione esattamente opposta: mascherata forse dall'idea di annullare le distanze tra arte 'eletta' - per la
upper class- e arte 'negletta' -per la
middle class- (così almeno è stata letta la sua produzione da taluni critici nord

americani), in realtà
dall'artista statunitense viene riproposta la concezione, non nuova nel mondo artistico anglosassone,
di una società pacificata e senza conflitti grazie alla mediazione di
un'arte 'popolare' o meglio resa tale in quanto creduta capace di appagare totalmente e di smorzare così ogni conflitto. C’è alla base, a guardar bene,
una visione edulcorata del conflitto sociale, l'esatto contrario della Art nata nella Factory, in cui
Wharol sperimentava le
possibilità eversive del linguaggio Pop, con una critica allusiva ancorchè spietata dei riti e delle usanze capitalistiche.
Frutto di un'elaborazione concettuale che al di là dell’ annullare le distanze sociali -ammesso che quest'intenzione ci sia mai stata- invece le cristallizza, l'opera di Koons -promosso pomposamente quanto impropriamente dal
web magazine Artribune, in un'intervista di qualche mese fa, "reuccio del Pop e massimo erede della lezione wharoliana"- materializza l'idea del
Kitsch in un neppure troppo complesso gioco di mascheramenti, allusioni, riverberi, utilizzando lampade, plastica, metalli vari, nella logica dell'abbattimento delle barriere fra vita ed arte, dove ciò che dovrebbe colpire è proprio il fatto che l'artista possa e sappia fortemente reinterpretare il soggetto.
Non è certo la prima volta però che l'immagine -in pittura o in scultura- venga interpretata in un modo visionario (o magari appena vistoso). Il codice

figurativo entro il quale il 'gesto', cioè la mano dell'artista rimaneva vincolata legandolo ad una forma è stato oltrepassato da tempo, fino al superamento dei codici convenzionali, per cui se la forma è pur sempre

riconoscibile, protagonista diviene l’intervento dell’artista. Che ciò avvenga tramite il colore, il gesto, l’espressività, la carica della personalità o l’energia, il lungo percorso di decostruzione e reinterpretazione della forma non è iniziato ieri. Come pure l’idea della banalizzazione del soggetto o della provocazione per suo tramite; l’arte, come affermava
Tristan Tzara nel lontano 1950, sviluppa “… una realtà che ci trasferisce in un mondo di altre condizioni e possibilità … (che) appartiene nelle sue innumerevoli variazioni allo spettatore”(da
M. De Michelis,
Le avanguardie artistiche del Novecento, Mi, 1966).
Sono parole che testimoniano bene la carica polemica e dirompente alla base dei movimenti nati negli ultimi decenni. Dunque è nella capacità di arricchire di significato quanto proviene ed appartiene alla quotidianità che consiste esattamente la grandezza dell’arte contemporanea, posto che l’artista sappia comunicarlo al pubblico e sia in grado di farlo reagire. In questo senso per quanto ci riguarda non è certo l’esito esorbitante quanto sconsiderato di certe battute d’asta a fornire il giudizio probante; se è vero che direttori di case d’asta, mercanti e galleristi sanno fare molto berne il loro lavoro di promozione imponendo spesso delle vere e proprie mode, altrettanto vero è che queste però prima o poi passano.
pietro di loreto