Giovanni Cardone Febbraio 2022
 
 
Fino al 17 Aprile 2022 si potrà ammirare al Palazzo Blu di Pisa la mostra di Keith Haring a cura di  Kaoru Yanase Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection . L’esposizione è stata realizzata dalla Fondazione Pisa in collaborazione con MondoMostre e con la straordinaria partecipazione della Nakamura Keith Haring Collection e con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Toscana e del Comune di Pisa. Questa mostra vuole rende omaggio all’artista statunitense universalmente riconosciuto tra i padri della street-art, che proprio a Pisa ha soggiornato nel 1989, per dipingere su una parete del convento di San Antonio, il celeberrimo murale ‘Tuttomondo”. Il progetto nacque da un incontro casuale tra l'artista e il giovane studente Piergiorgio Castellani avvenuto a New York nel 1987. Castellani propose ad Haring di realizzare qualcosa di grande in Italia e l'artista accettò, fu così che prese forma il “Keith Haring Italian Project”. La mostra presenta per la prima volta in Europa una ricca selezione di opere di oltre centosettanta provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, che si trova nel museo dedicato all'artista, in Giappone. Fanno parte della collezione, e sono in mostra a Pisa, opere che vanno dai primi lavori di Haring fino agli ultimi, molte serie complete quali Apocalypse  del 1988, Flowers,  del 1990 e svariati altri disegni, sculture nonché grandi opere su tela come Untitled  del1985. Ampiamente riconosciuto per le sue opere d'arte dai colori vivaci e giubilanti, i lavori di Haring sono familiari e noti anche a chi non conosce la sua breve parabola artistica perché i suoi omini stilizzati e in movimento, i suoi cuori, i suoi cani e i suoi segni in generale fanno parte del bagaglio di immagini pubbliche e non solo, in tutto il mondo, e sono proprio queste ad averlo reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta.
L’esposizione ripercorre l’intera carriera artistica di Haring e l’ampia gamma di tecniche espressive da lui indagate pittura, disegno, scultura, video, murales, arte pubblica e commerciale, iniziando dai disegni in metropolitana, Subway Drawings, 1981-1983 (gesso bianco/carta/pannelli di legno) che restano tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle diciassette serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, la sua ultima serie su carta che riproduce le prime e più pure narrazioni visive nate nel 1981, pubblicata nel 1990, un mese prima della sua morte. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Keith Haring che è divenuta modulo monografico e seminario universitario. Nello scritto affermo:  È molto difficile stabilire dove e quando sia nato il graffitismo, l’arte murale, o, come viene definita oggigiorno, la “street art”. È addirittura molto difficile assegnare a questa o queste pratiche un nome che venga riconosciuto globalmente dagli stessi artisti e dagli spettatori. Street Art: Complesso di pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali che intervengono nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, originariamente provviste di una fisionomia alternativa, spontanea, effimera e giuridicamente illegale salvo poi essere, in una fase posteriore, parzialmente sanzionate e fatte proprie dalla cultura popolare di massa, dal mercato e dalle istituzioni, prospettiva che contribuisce a rendere molto problematica a oggi una puntuale individuazione del campo, che rimane estremamente liquido e aperto a molteplici visioni. “Enciclopedia Treccani s.v. street art” Secondo questa definizione, all’interno del termine Street Art risiedono anche pratiche quali il graffitismo e il writing in tutte le loro sfaccettature, dal momento che anch’esse potrebbero essere definite come “pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali”. Nonostante ciò, però, non tutti sarebbero d’accordo nell’includere quei terribili scarabocchi disegnati sui muri delle nostre case all’interno del grande mondo della street art. Quindi posto una domanda come definire questi movimenti? La stessa Treccani afferma la difficoltà di offrire “una puntuale identificazione del campo” e di conseguenza spetta ad ogni singolo creatore o fruitore di queste “opere” stabilire se siano artistiche o meno, se siano belle o brutte e siano giuste o sbagliate.
Dovendo cercare le origini della street art non si può che risalire a tempi antichissimi in cui l’uomo dipingeva le ruvide pareti di grotte e caverne. Vista la principale attività del tempo le immagini rappresentate erano soprattutto scene di caccia o animali stilizzati i cui significati erano probabilmente magici e propiziatori. Tra i più illustri esempi ci sono la grotta di Altamira con dipinti di circa 18.500 anni e le famosissime grotte francesi di Lascaux e Pech-Merle che oltre ad avere raffigurazioni create circa 25.000 anni fa, al  suo interno sono visibili alcune impronte in negativo di mani ottenute attraverso la colorazione della parete attorno alla mano appoggiata. Parlando di mani bisogna anche ricordare le famosissime rappresentazioni di mani in negativo della Cueva de las manos in Argentina . Volendo fare un paragone si potrebbe ironicamente affermare  che queste rappresentazioni di mani siano le prime forme di firma individuale di uomini che anticiparono il fenomeno moderno del tagging . Ovviamente, altri illustri esempi possono essere ritrovati in Africa come nelle grotte di Laas Gaal in Somalia con dipinti risalenti al IX-VIII millennio a.C. o in Sudamerica come nel Parco nazionale Serra da Capivara dove sono rappresentate circa 30.000 figure dipinte su roccia, le più antiche datate 26.000 – 20.000 anni fa. Tralasciando alcuni aspetti importanti della storia dell’arte che all’interno di questo elaborato non assume una rilevanza fondamentale al fine della comprensione di alcuni ambiti della street art, non bisogna dimenticare l’utilizzo artistico-espressivo dei muri nella civiltà egizia, in quella assira, in quella greca e romana e cosi via fino ai giorni nostri. Un accenno va però fatto in particolare all’Europa medievale dove veniva spesso utilizzato l’affresco per comunicare o semplicemente lasciare un messaggio alla comunità. Ancora più spesso questo tipo di arte veniva utilizzato a fini didascalici come nel caso di cattedrali e chiese dove si potevano, e si può tutt’ora, trovare raccolte di immagini che narrano scene della vita di Gesù. Se la norma era dunque dipingere all’interno non mancano esempi di affreschi e pitture murali anche all’esterno; esempio ne è la recentemente restaurata facciata di una casa a Mantova dipinta per mano di Mantegna o alcuni monasteri rumeni tra cui quello di Moldovi?a risalente al 1532. Anche all’interno del testo sacro, la Bibbia, troviamo un esempio di utilizzo di scrittura murale al cui interno è racchiusa una profezia decifrata da Daniele per il re Baldassarre. Anche in questo caso si può osservare come l’utilizzo della scrittura su parete non è fine a sé stesso ma ha un qualche scopo. Le origini dell’arte murale vanno ricercate soprattutto all’interno della cultura messicana post-rivoluzionaria, dunque intorno agli anni ’20 e ‘30 del secolo scorso. In questo periodo grandi artisti come Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros realizzano grandi opere che verranno riconosciute a livello internazionale. I tre artisti erano accumunati dalla voglia di creare un arte che fosse fortemente ideologica, narrativa, educativa e popolare, quattro caratteristiche tipiche della street art in generale, antica e contemporanea. Diego Rivera dopo una giovinezza tra Messico, Spagna e Italia nel quale conosce importanti artisti come Picasso e Modigliani che lo introducono alla scena artistica, nel 1922 si iscrisse al Partito Comunista Messicano e cominciò a dipingere i suoi murales sugli edifici pubblici di Città del Messico. Attraverso le sue opere ha la grande capacità di rappresentare vicende del suo popolo, dei peones e della loro schiavitù. Protagonisti dei suoi murales furono anche le tre figure fondamentali della rivoluzione messicana Hidalgo, Juarez, Zapata e in seguito anche Marx e Lenin; quest’ultima opera Man at the Crossroads, creata nel New York City's Rockefeller Center venne subito distrutta da Nelson Rockefeller per via della propaganda anti-capitalista rappresentata e lui venne licenziato. José Clemente Orozco  fu anche lui, insieme a Diego Rivera  promotore del cosiddetto Rinascimento Murale Messicano. Grande muralista, girò le più importanti città americane ed europee facendosi conoscere per le sue grandi opere. Differentemente dal suo compagno Diego Rivera era un personaggio pessimista e cupo che rappresentava le difficoltà e la sofferenza che ogni uomo deve patire per ottenere i suoi diritti. Questa sua visione della vita e soprattutto della rivoluzione messicana al quale è molto legato si traduce in dipinti il cui tema è sempre drammatico e i colori sempre forti e scuri. David Alfaro Siqueiros  non fu soltanto un pittore ma anche uno dei 10 grandi protagonisti della rivoluzione messicana al fianco di Zapata.
Dopo una serie di viaggi, torna in patria nel 1922 ed, insieme a Rivera ed Orozco, partecipa alla grande nascita della pittura murale messicana. “Senza la rivoluzione non ci sarebbe stata la pittura messicana”. Queste le sue parole sul quale basa tutta la sua arte. La sua idea era quella secondo cui l’arte ha lo scopo di parlare direttamente al popolo affinché quest’ultimo intervenga e cambi la società corrotta; proprio per questo motivo le sue opere trovano dimora lungo le strade, in luoghi aperti a chiunque e gratuiti; dell’arte devono poterne fruire tutti. Imprigionato più volte per i suoi ideali nel 1966 gli venne conferito il massimo riconoscimento governativo, il Premio Nazionale d’Arte. Questi tre artisti, Rivera, Orozco e Siqueiros, vengono considerati a livello internazionale come i precursori dell’arte murale moderna. Gli obiettivi e i temi delle loro opere differiscono sicuramente da quelli di oggi, ma la base rimane la stessa e le motivazioni anche: la voglia di esprimersi e la voglia di comunicare qualcosa a tutto il mondo; la voglia di protestare e di andare contro il sistema. Per quanto molte persone non lo vogliano accettare, anche la più piccola ed insignificante scritta che troviamo sui muri della nostra città, ha in fondo un perché e potrebbe essere ritenuta come una minuscola forma di protesta. Le prime forme di arte murale in Italia differiscono, in parte, da quelle della rivoluzione messicana. Per quanto anch’esse rappresentassero la cultura di un popolo e la situazione di uno stato, non provenivano da un movimento rivoluzionario bensì dal potere stesso. Durante il periodo fascista  dal 1922 al 1943 è il regime che detta le regole e che vuole creare un’arte pubblica con forte rilevanza sociale, autocelebrativa e propagandistica. Nel 1933 il pittore nonché muralista Mario Sironi pubblica il Manifesto della pittura murale nel quale afferma: "La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori.”  Questa un’altra frase indicativa dell’utilizzo dell’arte che veniva fatto nel periodo fascista: “Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione educatrice. Essa deve produrre l'etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale.” Il Graffitismo, o meglio il writing, nasce negli anni ’70, come parte della sottocultura dei ghetti (conosciuta come Hip-hop), attorno alle città americane, tra le quali, la più importante, New York. Difficile stabilire una data precisa nella quale sia nata o un percorso ben definito che abbia seguito questa nuova pratica. Diverse ragioni rendono questo compito molto arduo: l’enorme numero di graffiti sparsi per il mondo; la lontananza di questa “arte” dai canali tradizionali e legali; la spesso repentina cancellazione. Nonostante i media e il senso comune non facciano alcuna distinzione, sarebbe più consono definire come due pratiche differenti il graffitismo e il writing. Molto vicine tra loro e spesso con fini pressoché identici, si differenziano principalmente per la forma e la tecnica utilizzata. Si potrebbe affermare che il graffitismo nasca a partire dal writing a seguito di una ricerca e uno studio più attento del lettering . La nascita del Graffitismo è dovuta alle problematiche socio-culturali di alcuni quartieri disagiati della New York degli anni ’70 e di altre metropoli; Come afferma Baudrillard le 14 scritte nascono a partire da spinte assai differenti: La tendenza ad affermare la propria esistenza o identità individuale, la protesta delle minoranze e qualche volta anche pretese artistiche. In questo periodo la forte emarginazione dei giovani dei ghetti, neri e latinos ha portato gli stessi a ribellarsi e a reagire alla forte repressione e discriminazione delle minoranze cercando una maniera per esprimersi, far sentire la propria voce e soprattutto protestare. Agli albori del graffitismo lo scopo principale di un writer era quello di bombardare (“Bombing ") più pareti possibili con la sua firma (“tag”). Il più famoso tra di essi è TAKI 15 183 al quale addirittura il New York Times dedicò un articolo rendendo cosi ufficiale la  nascita del nuovo movimento. Non era però l’unico: la voglia di riappropriarsi di un’identità e di uno spazio urbano ha portato molti giovani a scrivere quante più volte possibile la propria tag in giro per il quartiere o per la città.Con il tempo, i cosiddetti writers cominciano a voler qualcosa di più e la tecnica viene affinata attraverso uno studio più attento del lettering. La semplice tag o scritta non basta più per poter prevalere e farsi riconoscere all’interno dell’enorme panorama venutosi a creare. Tra le migliaia e migliaia di “banali” scritte è necessario ora far risaltare la propria firma attraverso una più raffinata ricerca stilistica dei caratteri e utilizzando “attrezzi” che rendessero più appetibili le opere come la bomboletta spray. Esempi di lettering potrebbero essere il bubble style, bar style, computer style, 3D style o wild style che si differenziano tra loro in base all’utilizzo di, rispettivamente, lettere arrotondate, lettere squadrate, lettere “digitali”, lettere 3D o lettere di difficile comprensione ed intricate. Detta anche Aerosol-art si presenta inizialmente come un’evoluzione del writing per poi trovare una propria indipendenza e dignità artistica. Intorno al 1974 c’è poi un’ulteriore evoluzione che porta gli artisti ad incorporare all’interno dei loro lavori anche figure, personaggi e scenari extra-alfabetici divenendo cosi a tutti gli effetti una branca dell’arte. Nello stesso periodo, parallelamente comincia a svilupparsi una nuova tecnica che acquisirà poco a poco sempre più importanza fino a raggiungere il culmine con i lavori di Banksy di cui si parlerà nei capitoli successivi: la Stencil Art . Da questo periodo in poi, o meglio, dagli anni ’80 in poi, con la nascita di nuove tecniche e con lo sviluppo sempre più indipendente dal punto di vista artistico di queste pratiche, gli artisti stravolgono l’idea iniziale di writing e graffitismo puntando ad un pubblico. Mentre negli anni ’70 lo scopo principale di un writer era quello di bombardare con la propria firma più muri possibili per riappropriarsi dello spazio urbano e per acquisire una certa notorietà all’interno della subcultura dell’Hip hop, ora il writer cessa di essere solamente un writer e diventa un artista, con dei messaggi universalmente comprensibili e con la speranza di un riconoscimento a livello pubblico. È per questo motivo che, proprio in questi anni, cominciano a nascere le prime esposizioni il cui tema è proprio l’arte di strada. Tra i primi artisti riconosciuti globalmente come tali c’è Keith Haring che fu proprio sotto l'egida del graffitismo che iniziò a definire la propria identità artistica: dopo aver lasciato gli studi alla School of Visual Art cominciò questo suo percorso che lo portò a diventare famoso in tutto il mondo per i suoi personaggi stilizzati e bidimensionali. Dopo la tradizionale ed “illegale” formazione artistica sulle pareti delle stazioni e dopo essere stato multato per il suo lavoro più volte, approda finalmente nelle famose e rinomate gallerie d’arte grazie anche all’aiuto di Andy Warhol. Altro grande artista, nonché amico di Haring e Warhol, era Jean-Michel Basquiat . Dopo un inizio di carriera dedicato al writing sotto lo pseudonimo “Samo” diventerà ben presto famoso riuscendo a partecipare a grandi mostre come la Times Square Show  del 1980 o la New York-New Wave del 1981. Entrambi questi artisti furono un grande esempio per le generazioni a seguire che avrebbero voluto intraprendere il cammino di questo tipo di arte, un’arte molto innovativa e le cui “regole” dovevano ancora essere scritte. Furono loro i primi a dare grande visibilità a quella che oggi viene definita street art. Come si può evincere dalla foto sopra Jean-Michel Basquiat ha iniziato come writer e non, detto in maniera forse superficiale, come artista. Agli inizi della sua carriera lui e l’amico Al Diaz cominciano a tappezzare alcuni quartieri della Grande Mela con frasi come “SAMO© sales idiots and gonzoids…”, “SAMO©…4 mass media mindwash”, “SAMO as an alternative 2 playing art with the ‘radical chic’ sect on Daddy’s$funds”. Tutto ciò dovrebbe far riflettere molto sul fatto che una persona che oggi verrebbe ritenuta un vandalo e che in realtà lo era ritenuta anche allora, sia poi diventato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, riuscendo a portare, insieme a Keith Haring, questo movimento dalle strade metropolitane alle gallerie d’arte. Ognuno,writer o medico che sia, cantante o avvocato, fotografo o architetto, deve iniziare dalle basi, deve imparare e deve far esperienza prima di poter giungere al traguardo finale, ovvero quello di essere riconosciuto come effettivo facente parte della categoria per cui tanto ha lavorato. Tutti coloro che criticano le “tags”, le firme e gli scarabocchi sui muri della propria città definendole “non-artistiche” e vandaliche, ma che poi apprezzano le opere di Keith Haring solo perché all’interno di una galleria, dunque, dovrebbero riflettere su questa storia. Non bisogna rimanere ancorati alle ormai antiquate idee secondo cui costoro siano semplici vandali, bisognerebbe cominciare a capire che molti di loro hanno un messaggio, hanno qualcosa da dire e hanno trovato nelle pareti l’unico mezzo per trasmetterlo. Posso dire che Keith Haring faceva parte della fascia di giovani istruiti, appartenenti a famiglie benestanti, i quali si avvicinavano alla Graffiti Art grazie ai proprio studi. Da un piccolo paesino della Pennsylvania, decise di trasferirsi a New York, dove l’incontro con bande anonime di graffitisti di strada, fa sì che comprenda ogni aspetto di questa forma d’arte. Il graffitismo praticato su muri e vagoni, può essere considerato secondo rispetto ad uno di tutt’altra natura, presente ormai da decenni e decisamente più raffinato: il cartellonismo pubblicitario, che è come una seconda e artificiale pelle sui muri di tutta la città. Nel 1980 si accorge dei fogli neri opachi che coprono le pubblicità a cui è scaduta la tassa di affissione nei corridoi delle stazioni della metropolitana . Sono una specie di lavagna che gli permette di comunicare con un pubblico ampio, popolare, che quasi di sicuro non mette mai piede né in una galleria d’arte né in un museo. Per cinque anni produce centinaia di questi graffiti, denominati subway drawings, facendosi multare ripetutamente e persino arrestare per atti di vandalismo. La gente però inizia ad accorgersi di lui, e la sua arte semplice e simbolica diventa una compagnia familiare per i pendolari che vanno in ufficio, tanto che qualcuno inizia a strappare i disegni per portarseli a casa; molti di questi lavori saccheggiati, furono rivenduti a diversi musei. L’artista viaggiò nelle diverse capitali del mondo, spesso con mezzi di fortuna come il semplice autostop, e in ognuna di questa città lasciò il riconoscibile disegno dell’omino stilizzato e colorato, il suo segno caratteristico più noto. Dopo essere divenuto famoso grazie ai murales, espose i suoi lavori fra Club di vario genere e vernissage più o meno improvvisati. Le novità da lui proposte, risultano esplosive e non mancano di attirare l’attenzione degli intenditori più smaliziati: trasmette ed inventa un nuovo linguaggio urbano. All’inizio degli anni ’80, Haring si ripropone di ripassare i fumetti con l’aiuto di uno scanner, ma per rendere le immagini più scarne, li trasforma in tracciati schematici e volutamente poveri . Le caratteristiche di tutte le sue opere, dalle prime produzioni fino alle ultime, rispecchiano perfettamente lo stile della Graffiti Art: le immagini vengono sempre riportate su superfici bidimensionali, per questo vengono trattate in modo semplice e ridotto, con contorni schematici e generalizzati. Nei primi tempi, l’artista riporta anche il riquadro, che nei fumetti serviva a separare una scena da un’altra a scopo narrativo; ne ritroviamo un esempio in alcune opere senza titolo del 1984 . Ben presto, si rese conto che utilizzare un riquadro risultava limitante, così se ne liberò definitivamente, per fare in modo che il flusso degli intrecci grafici sulle sue opere, si prolungasse il più possibile. Nel 1983, Haring in una celebre serie di interventi, tracciò dei profili incredibilmente puri ed incisivi, privi di ripensamenti su un fondo nero: sono presenti solo due colori, ovvero il nero dello sfondo ed il bianco utilizzato per creare la traccia. Per alcune opere, come si è già detto, si ispirò a dei fumetti: un soggetto comune a Roy Lichtenstein che tra l’altro era amico dell’artista, è Topolino , che può essere considerato come l’eroe principale dell’epica fumettistica. Ma sono presenti anche dei pagliacci e Pierrot: il suo intento resta comunque quello di far perdere consistenza alle icone, per svuotarle dall’interno. Nelle opere, compaiono semplicemente dei profili di corpi interi; al loro interno, sono presenti dei segni grafici, e spesso questi corpi si intrecciano tra di loro: l’arto di una figura entra nella fessura di un’altra. Possono variare i colori, sia dello sfondo che del contorno delle opere, ma alcune caratteristiche non cambiano mai: tutte le linee sono spesse e i fondi sono piatti, sempre privi di sfumature. I segni grafici che riempiono la superficie, sono spesso dei bastoncini o dei puntini: è grazie alla loro presenza, che le opere perdono ogni iconismo, divenendo un qualcosa di completamente astratto. La ripetizione di questi segni diventa quasi ossessiva, ma mai monotona. La sua è un’arte di segni, simboli, icone, che per la loro stessa natura veicolano un messaggio chiaro, semplice, immediatamente accessibile ed universale, in un certo senso. L’elemento che più viene ridotto nei lavori di Haring però, è il colore: anche sotto quest’aspetto, va contro ad uno dei principi sacri dell’arte, ovvero il fatto che i colori andassero stesi con delle sfumature. I colori chiave si riducono ad un massimo di tre per dipinto e spesso sono il nero, il rosso ed il bianco. L’artista non si limitò alla bidimensionalità, come invece facevano altri graffitari: si divertiva a dipingere vestiti ed oggetti. Tra gli abiti, ricordiamo quelli indossati dall’amica e cantante Madonna nel video Into the groove, nel 1985. Crea grandi sculture di bambini in metallo  o dell’uomo mezzo cane e mezzo uomo  ma oltre a queste, Haring disegnò su macchine, biciclette, statue  e vasi.  Si dedicò anche alla body art, lui stesso si fotografò nudo e ricoperto di vernice bianca. Con quest’ultima, è possibile fare un confronto con la cultura primitiva: anche nell’antichità si usava dipingere il corpo, in particolare quello dello sciamano chiamato ad officiare qualche rito; in generale, la Graffiti Art rimanda ai dipinti rupestri della preistoria.
In un evento, l’artista armato di spray, si avventò sugli spettatori e cominciò a firmarli dal vivo, lasciando sul corpo di ognuno una traccia di sé; firmò persino una carrozzina con dentro un neonato, che stava passando in quel preciso istante. Col passare degli anni, gli interventi si fecero sempre più estesi e monumentali, come se fosse impegnato in una corsa con la quale doveva bruciare un carburante interiore: dalle pareti delle metropolitane, a facciate intere di palazzi. Divenuto famoso a metà degli anni ’80, Keith Haring venne chiamato un po’ ovunque, a confezionare murales, vetrine, apparati decorativi. Dalle vetrate della National Gallery of Victoria di Melbourne in Australia distrutte per protesta, perché i suoi disegni appaiono come un insulto alla pittura aborigena al muro di Berlino dai tessuti per una collezione dello stilista Stephen Sprouse all’etichetta d’artista per i vini Château Mouton Rothschild inserendosi in una lista che comprende nomi del calibro di Picasso, Dalì, Cocteau, Mirò, Chagall e Kandinsky da un muro nell’ospedale per bambini del principato di Monaco. Gli varrà un’onorificenza ufficiale raramente concessa a chi non è monegasco da parte della principessa Carolina. Nella lista è incluso un dirigibile che vola sopra Parigi, un casinò in Belgio accanto alle decorazioni originali di Réné Magritte, una giostra per un parco di divertimenti a tema in Germania, un invito a forma di disco inciso a 45 giri per una festa di compleanno della principessa Gloria von Thurn und Taxis. Tra gli interventi più importanti, ricordiamo quello del 1983 a Milano per Fiorucci; la maggior parte dei lavori realizzati in quell’occasione, in un giorno e una notte in un happening non stop, nel 1998 verranno messi all’asta dalla galleria d’arte parigina Binoche; riempì di graffiti i muri, i mobili e perfino i soffitti con colori fosforescenti. Altra svolta epocale della sua carriera è l’incontro personale con Andy Warhol, a cui fu legato da amicizia sincera e profonda; possiamo dire che sotto certi aspetti, l’allievo supererà colui che egli considerava il suo maestro. A differenza di Warhol, sarà un omosessuale pubblicamente dichiarato e nel momento in cui si scoprirà sieropositivo diventerà un attivista che lotta in prima linea insieme ad Act Up. Nel 1988, gli venne diagnosticata l’AIDS; le ripercussioni della diagnosi, furono evidenti sia nella sua vita che nella sua arte. L’annuncio della malattia, fatto tramite un’intervista a “Rolling Stone”, crea un generale shock e non fa che incrementare la sua fama. Nelle opere, cominciano a comparire numerosi riferimenti sessuali; i segni rappresentati, diventano messaggi in cui si intuisce la tragedia. Affronterà e rappresenterà a modo suo, i temi di attualità della sua epoca: dalla minaccia dell’annientamento nucleare all’oscenità dell’apartheid in Sud Africa fino all’orrore dell’Aids simbolizzato come un serpente in una delle sue opere , e il bisogno che le persone hanno di avere uno scambio emotivo in un mondo che iniziava a conoscere le rivoluzioni della tecnologia. Anche la sua sessualità, inquieta e senza sosta, lascerà tracce inequivocabili nel suo linguaggio visuale, ma è rarissimo vederle nelle grandi mostre retrospettive che gli si dedicano. La sua produzione omoerotica, che rasenta la pornografia elevata ad arte, è quella che indubbiamente rappresenta la più grande e censurata pietra dello scandalo nel percorso artistico di Haring. Una rarissima testimonianza al riguardo sono i murales, tuttora visitabili, che dipinse nei bagni del Gay Lesbian Community Service Center nel Greenwich Village, a poca distanza da dove si trova un suo innocente murale dipinto sulla parete di una piscina pubblica all’aperto. In queste opere compaiono molte scritte, recanti il messaggio che l’artista vuole trasmettere, mentre la qualità delle opere non cambia: il tipo di disegno, le linee, i segni ed i colori restano invariati. Prima della sua morte, fonda la Keith Haring Foundation, che si propone tutt’oggi di continuare le lotte che l’artista stesso aveva cominciato. L’ultima grande opera di Keith Haring, fu dipinta in Italia, precisamente sulla parete esterna del convento di Sant’Antonio a Pisa: credeva che l’arte fosse capace di trasformare il mondo, poiché le attribuiva un’influenza positiva sugli uomini. Forse non è a caso che il suo ultimo capolavoro pubblico lo intitolò Tuttomondo ,ed è un coloratissimo murale di centottanta metri quadri, in cui riproduce tutti i simboli che lo hanno reso celebre. Il percorso allestito nelle sale di Palazzo Blu dagli architetti di Panstudio, si divide in nove sezioni: dal Principio, prima sezione, in cui si raccontano gli inizi e la vita nella città di New York, dove Haring si trasferisce nel 1978 per studiare alla School of Visual Arts. In quel periodo fa coming out. Inizia con semplici segni grafici a disegnare bambini, animali, cuori, televisori, angeli, piramidi e omini, con il gesso bianco, sopra i pannelli pubblicitari inutilizzati delle stazioni metropolitane di New York. Le foto dei suoi lavori iniziano a circolare e il suo stile diventa subito molto riconoscibile perché crea un linguaggio che si legge a colpo d’occhio, il “codice Haring”. E la sua fama presso il pubblico cresce rapidamente. La sezione Oltre i Limiti, ci porta dentro i colori fluorescenti che brillano sotto la luce nera dell’artista, attraverso una serie di cinque serigrafie, Untitled (Fertility Suite), pubblicata dalla Tony Shafrazi Gallery nel 1983, in cui Haring da spazio alle sue icone, simboli di vitalità e fertilità, sempre in movimento, forse agitate. Subito dopo Le Storie in cui è esposta l’opera The Story of Red + Blue, 1989, una serie di litografie realizzata espressamente per i bambini divenuta così nota da essere usata per diversi concorsi di storytelling e inserita nei programmi educativi in molte scuole americane. Haring a Pisa  racconta l'avventura pisana di Keith Haring, l’amicizia dopo l’incontro fortuito con Piergiorgio Castellani, e il lavoro corale per la realizzazione del murale “Tuttomondo” su una parete del Convento di Sant’Antonio: la Chiesa che mise a disposizione la superficie da dipingere, il Comune e la Provincia che coordinarono il progetto, gli studenti dell'università che aiutarono l'artista come assistenti. Si passa poi alla Musica  ovunque Haring lavori, sulla strada o nel suo atelier, c’è sempre. Le sue opere incarnano il suono delle strade di New York e dei locali più cool. Collabora alla creazione di un gran numero di cover, una delle più note è per un album di David Bowie del 1983 che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio. Insieme alla musica la sezione Messaggio l’obiettivo di Haring è raggiungere il maggior numero di persone possibile e i poster sono uno strumento in grado di stabilire una connessione immediata col pubblico. Il Poster for Nuclear Disarmament, del 1982, è senza parole, ma invoca visivamente la fine dell’energia nucleare. Da allora Haring realizza oltre cento poster per pubblicizzare le proprie esposizioni, concerti, prodotti o per sensibilizzare le persone ai temi che ha particolarmente a cuore: la prevenzione dell’AIDS, i diritti dei gay, l’apartheid, il razzismo, l’uso delle droghe, la guerra, la violenza e la salvaguardia ambientale. In Simboli e ICONE , troviamo Radiant Baby, Dog, Angel, Winged Man, Three-Eyed Face, la serie pubblicata nel 1990, che include i personaggi più iconici della sua intera opera. Come si legge nei diari, The Radiant Baby simboleggia l’innocenza, la purezza, la bontà e il potenziale di ognuno. Distopia Rivelata è una sezione dedicata a una fase di maturazione e consapevolezza di Haring. Come si nota in Apocalipse, 1988, la materia della sua arte si fa più profonda e complessa. Come omosessuale che convive con l’AIDS, la politica e la paura diventano i temi dominanti dei suoi lavori. In collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs lavora a questa serie, offrendo un assaggio del suo inferno personale: ogni immagine realizzata con la tecnica del collage, riprende la poesia, e utilizza pubblicità, referenze di storia dell’arte e teologia cattolica per amplificare le scene di caos. Energia Primordiale  piramidi affollate di omini, animali, soli, maschere, il body painting e i totem. L’opera di Keith Haring diventa uno spazio fra arte vernacolare e arte accademica, fra creazione e appropriazione. I suoi lavori celano poteri misteriosi di provenienza non occidentale, ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché a simboli antichi e mitologici. La Fine dell’Inizio  chiude la mostra con le immagini che meglio raffigurano il linguaggio iconico di Haring: piramidi, dischi volanti, cani, serpenti e bambini che si mescolano a figure erranti ed extraterrestri. Nel 1990, poco prima di morire, Haring pubblica la sua ultima edizione su carta, The Blueprint Drawings. «Questi 17 disegni sono nati in poche settimane fra dicembre 1980 e gennaio 1981. Gli originali li ho realizzati su pergamena con inchiostro Sumi perché avevo intenzione di riprodurre tutti i disegni in cianografia. Li portavo regolarmente al cianografo locale, dove mi divertivo a cercare di spiegarne il contenuto agli addetti ai macchinari. Nel giro di qualche settimana, in negozio, tutti avevano grande familiarità con i miei disegni. (…) Quelle stampe sono una perfetta capsula del tempo dei miei inizi a New York City», Keith Haring New York City 4 gennaio 1990.  Keith Haring ha vissuto gli sconvolgimenti della New York degli anni '80 quando l'economia americana era in crisi e la città era preda di violenza, droga, discriminazione e povertà. Haring si è sempre impegnato attraverso le sue opere a sensibilizzare il pubblico su temi quali l’energia nucleare, gli aspetti negativi dell’era tecnologica, la salvaguardia dell’ambiente, il razzismo dilagante, l’uso delle droghe e la prevenzione contro l’AIDS. Sin dall’inizio della sua carriera Haring trova il modo di fondere ciò che è inequivocabilmente riconosciuto come arte con la vita di tutti i giorni. E con il soggetto del bambino, individua il mezzo più efficace per assicurarsi l’immortalità. Nessuno sa quanti bambini abbia disegnato. Due giorni prima di morire, troppo debole anche per parlare, prende un pennarello e tenta ripetutamente di disegnare qualcosa, poi finalmente ci riesce: è il bambino radiante. Un neonato che sprigiona raggi di potere ricevuto dall’universo; che possiede un’energia infinita; che gattona incessantemente, senza fermarsi mai, verso ogni dove, sfidando ogni pericolo. E dopo la morte di Keith, nel corso degli anni Novanta fino al caos dei giorni nostri, questa immagine iconica continua a trasmettere il suo messaggio di gioia. Il bambino radiante rappresenta Keith Haring stesso. Come diceva Keith Haring: “L’arte è vita. La vita è arte. L’importanza di entrambi è esagerata e fraintesa”.
 
 
 
Palazzo Blu di Pisa
Keith Haring
dal 12 Novembre 202i al 17 Aprile 2022
dal Lunedì al Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00
 
 
Per tutte le immagini presenti Courtesy of Nakamura Keith Haring Collection © Keith Haring Foundation  - Foto Mostra si ringrazia Antonello Tofani