di Maria Cristina Bibbi
 
Il Martirio di Sant’Orsola è un dipinto a olio su tela eseguito nel 1610 da Caravaggio durante il suo secondo soggiorno nella città partenopea (il primo era avvenuto nel 1606-1607) e attualmente conservato presso la raffinata sala degli stucchi della Galleria d’Italia del gruppo Intesa Sanpaolo di Palazzo Zevallos a Napoli.
E’ l’ultima opera in stile “rembrandtiano” realizzata poco prima della sua morte e venne commissionata a Napoli dal collezionista nonché banchiere genovese Marcantonio Doria tramite il suo agente Lanfranco Massa; fu eseguita con molta rapidità, probabilmente perché Caravaggio era in procinto di partire per Porto Ercole, dove avrebbe dovuto adempiere a delle formalità per essere graziato dal bando capitale, ricevendo così l’indulgenza plenaria. La rapidità fu tale, che la tela non era completamente asciutta alla consegna: per accelerare questo processo degli avventati aiutanti la esposero al sole, causando l’ammorbidimento del colore.
Anche nell’Ottocento vi furono problemi conservativi. Infatti a seguito di un restauro la tinta ad olio non venne fatta seccare bene e aderì all’imballaggio.
In seguito alla morte dell’artista il dipinto venne inventariato nella residenza dei Doria a Genova con il titolo “Sant’Orsola sconfitta dal tiranno”. Li’ rimase fino al 1832, passando poi nelle mani del barone napoletano Romano Avezzana, dal quale fu acquistato a sua volta dalla Banca Commerciale italiana nel 1972; venne erroneamente attribuito a Mattia Preti in occasione della mostra del 1963, che si tenne a Napoli, “Caravaggio e i caravaggeschi”. L’attribuzione è stata definitivamente appurata con il ritrovamento nell’archivio Doria D’Angri di una lettera scritta nel 1960 da Lanfranco Massa.
Di recente e più precisamente nel periodo Settembre / Febbraio 2018 l’opera e’ stata anche sotto i “riflettori investigativi” della mostra “Dentro Caravaggio” di scena presso Palazzo Reale di Milano.
Come sua abitudine Caravaggio si allontana dall’iconografia tradizionale di Sant’Orsola: opta infatti di rappresentare il momento drammatico e realistico in cui la santa bretone, avendo rifiutato di concedersi al tiranno Attila, Re degli Unni, viene da lui trafitta impulsivamente (ma con pentimento immediato) attraverso una freccia. Lo sguardo della vergine martire è assente e annichilito, come se sapesse da sempre che quel momento sarebbe arrivato: non pare provare dolore, bensì una disinteressata e perlacea rassegnazione rivolta su se stessa, che si unisce alla smorfia di sgomento ed incredulità che lo stesso Caravaggio, raffigurandosi alle sue spalle in un autoritratto, manifesta.
 Il dipinto, permeato da un complesso gioco di luci e di ombre e da oscure sfumature dai marcati toni noir, è ambientato nella tenda di Attila, quest’ultima riconoscibile grazie al drappeggio sullo sfondo, che funge da sipario teatrale, nonché da specchio della turbolenta e travagliata vita umana e artistica con molte zone d’ombra del pittore. Secondo i critici e per il pubblico Caravaggio è l’artista più tormentato della Storia dell’Arte. In riproduzioni filmiche, come quella della spettacolare mostra immersiva tenutasi lo scorso Ottobre al Museo della Permanente di Milano, venne dipinto come un losco e minaccioso individuo con tonaca nera e cappuccio, che si aggirava solitario per le strade notturne. In realtà fu vittima e carnefice allo stesso tempo di se stesso, capace ogni volta di riemergere in maniera mirabolante da situazioni incredibilmente rocambolanti.
Solo una sinistra lama di luce taglia la scena, evidenziando la tunica color carminio di Sant’Orsola e il viso dell’alter ego del pittore dietro di lei.
Le figure sono definite da poche pennellate e scarsamente illuminate, quasi fossero inghiottite dal buio delle tenebre.
Questo cambiamento stilistico, rispetto alle opere iniziali della produzione artistica di Caravaggio, è lampante subito dopo la fuga dell’artista da Roma a causa dell’uccisione (accidentale?) di un tale Ranuccio Tommasoni.
Alcuni restyling del Martirio di Sant’Orsola hanno portato alla luce degli “indizi” interessanti: sono apparsi infatti alcuni numeri e scritte sul retro della tela originale, ossia 1616 (si ipotizza anno del primo inventario) e le lettere M.A.D., ovvero le iniziali del committente Marcantonio Doria (probabilmente incise dopo la morte di Caravaggio).
Inoltre in seguito ad un restauro recente avvenuto nel 2005 è affiorata una mano, che si frappone tra la Santa ed il suo assassino, quasi come a volersi opporre all’esecuzione del dardo; non sappiamo se fu celata da Caravaggio stesso o da interventi successivi.
Una mano che forse ha tramato nell’ombra, ora protagonista del libro “L’ultimo respiro del corvo” scritto da Silvia Brena e Luca Salvini, in libreria dal 13 di Giugno.
“Caravaggio e’ stato davvero ucciso? Come e da chi? E chi ha voluto la sua morte? Il mistero si nasconde tra le pieghe di una copia scomparsa di un quadro famoso, il Martirio di Sant’Orsola, dipinto dal Caravaggio poco prima di morire e da molti ritenuto una denuncia del suo assassinio. Un mistero che un critico d’arte Dante Hofmann dal fiuto pazzesco, ipocondriaco e coltissimo, è chiamato a risolvere tra mille peripezie ed insidie (mettendo a rischio la sua incolumità stessa) con l’aiuto di illuminanti flash back, che ricostruiscono la vera vita dell’artista e dei suoi tormenti” (cit. tratta dalla presentazione del libro).
Frutto di quattro anni di studio e di una meticolosa ricerca documentativa “L’ultimo respiro del corvo” intercala “a mano a mano” vicende realmente accadute a Caravaggio, svelando retroscena così inediti, con una trama da vero romanzo giallo, che ci farà trattenere il fiato fino all’ultima pagina.
Ci date una “mano” a scoprire la verità?
giugno 2019
 
Info
 
L’ultimo respiro del corvo – L’omicidio Caravaggio di Silvia Brena e Lucio Salvini, Casa Editrice Skira
In libreria dal 13 Giugno
Web: http://www.skira.net/books/l-ultimo-respiro-del-corvo-storie