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La celebre fontana di piazza di Spagna, meglio nota come “La Barcaccia”, tornata alla ribalta per i recenti fatti di cronaca e la deprecabile aggressione subita da parte dei tifosi olandesi il 19 febbraio 2015, sembra che negli ultimi tempi sia stata declassata ad opera dello scultore tardo-manierista Pietro Bernini (1562-1629), piuttosto che del figlio, il ben più famoso cavalier Giovan Lorenzo Bernini (1598-1680). (1)
Questo hanno riportato articoli di giornali e comunicati stampa, ma così sentenziavano gli stessi pannelli che per quasi un anno hanno recintato il cantiere durante i lavori di restauro della fontana, diretti dalla Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali (ottobre 2013 – settembre 2014), in contrasto con la posizione nettamente prevalente della critica e lo stato degli studi: non solo non si tutela adeguatamente il nostro patrimonio, ma lo si sminuisce per superficialità e mancanza di approfondimento!
Cesare D’Onofrio è stato lo studioso del secolo scorso che ha più volte insistito nel riferire interamente la progettazione della Barcaccia a Pietro Bernini, a partire dal volume Le Fontane di Roma edito nel 1957. Le argomentazioni di D’Onofrio prendevano le mosse da una schematica affermazione di Giovanni Baglione, il quale asseriva che lo scultore fiorentino “alla piazza della Trinità de’ Monti, con bel capriccio, fece la fonte in forma di Barca, con Imprese del Papa”.
D’Onofrio trovò una conferma della sua ipotesi nella contabilità per la costruzione del manufatto (1627-29), pubblicata da Oskar Pollak sin dal 1909, che è vistata da Pietro Bernini in qualità di Architetto dell’Acqua Vergine, incarico affidatogli da Urbano VIII e assunto nel 1629 dal figlio subito dopo la sua morte. (2)

Tuttavia le due fondamentali biografie berniniane, sia quella data alle stampe nel 1682 da Filippo Baldinucci, ispirata prevalentemente alla documentazione e alle testimonianze messe a disposizione dalla famiglia del sommo artefice, in primo luogo dal primogenito monsignor Pietro Filippo, sia quella pubblicata dall’altro figlio Domenico Bernini (1713), ne riferiscono l’ideazione esclusivamente a Giovan Lorenzo, soffermandosi con dovizia di particolari sull’argomento e citando dichiarazioni dello stesso inventore. Effettivamente anche la prima pubblicazione che nomina la Barcaccia, il Ritratto di Roma moderna di Pompilio Totti (1638), parla di “vago disegno del cavalier Bernino”, con la conferma delle guide romane successive.
In ogni caso D’Onofrio, i cui meritori studi storici su Roma sono ben noti ai ricercatori, tende nei suoi scritti sull’argomento a radicalizzare le posizioni, come se padre e figlio fossero in opposizione o avessero attività completamente distinte. In realtà lavoravano nella stessa bottega al primo piano del Casino Bernini a Santa Maria Maggiore, collaboravano da sempre e vivevano assieme nell’appartamento al primo piano nel medesimo immobile. Solo nel 1629, dopo la morte del padre, Giovan Lorenzo andrà a risiedere temporaneamente a Santa Marta, presso San Pietro, portando con sé anche la madre e i fratelli.
Resta ovvio che tutti i progetti usciti dalla bottega berniniana sino alla fine degli anni ’20, per filiale rispetto e opportunità, siano stati oggetto di comune discussione e confronto, anche quelli in cui appare ormai evidente la piena autonomia creativa del talentuoso figlio e il distacco dallo stile arcaicizzante del padre. Quest’ultimo collaborava negli stessi anni, in funzione subalterna e di pura supervisione ad alcune fasi esecutive, anche alla realizzazione del Baldacchino di San Pietro (1624-33), dato che ormai il cavaliere era divenuto il soprintendente di tutte le fabbriche e le principali imprese artistiche del pontificato Barberini (1623-44). Lo stesso deve essere avvenuto per la Barcaccia.
La critica, da sempre, è nettamente orientata verso un’attribuzione della fontana a Giovan Lorenzo, affermata perentoriamente persino da Hans-Ulrich Kessler nella sua recente ed esaustiva monografia su Pietro, o, in alternativa, ad una sua determinante collaborazione in termini di ideazione. Il fondamentale saggio di Howard Hibbard e Irma Jaffe del 1964, oltre a sviluppare una complessa lettura iconologica dell’opera, ritenuta tipica della sintassi e del linguaggio berniniano, poneva in risalto le contraddizioni dell’ipotesi di D’Onofrio. Vari studiosi hanno esposto le ragioni stilistiche di un ovvio riferimento dell’invenzione della Barcaccia al giovane Bernini.

Sostengono la piena paternità del “cavalier Bernino”, a partire dalla basilare monografia di Stanislao Fraschetti (1900), i principali studiosi del Barocco e specialisti sull’artista, come Roberto Pane (1953), Valentino Martinelli (1953), Rudolph Wittkower (1955), Italo Faldi (1957), Luigi Grassi (1962), Howard Hibbard (1964), Valerio Mariani (1974), Franco Borsi (1980), Tod Marder (1998), compreso il citato Kessler (2005). Sono orientati per una collaborazione tra padre e figlio, a partire da Antonio Muñoz (1909) e Alois Riegl (1912), Marcello e Maurizio Fagiolo dell’Arco (1967, 2001), Charles Avery (1997) e Paolo Portoghesi (2011). Erano invece per la paternità di Pietro, in un primo momento Alois Riegl (1908), poi O. Pollak (1909), ma in particolare Cesare D’Onofrio (1957, ediz. 1962; 1967), con la conferma di Eugenio Battisti (1959).
Indubbiamente, anche se fu l’anziano Pietro Bernini a dirigere il cantiere dell’opera idraulica, questi si limitò a vistare e autorizzare i pagamenti ai lavoranti. L’idea progettuale è infatti talmente rivoluzionaria e geniale da essere incompatibile con il suo stile vetero-manierista. È indicativo il confronto con le fontane che lo scultore fiorentino aveva realizzato a Napoli in collaborazione con Michelangelo Naccherino, basate sulla giustapposizione di elementi in sistemi paratattici, ove la scultura è decoro sovrapposto all’architettura e motivo intercambiabile, non parte integrante della forma (Fontana del Nettuno, Fontana del Gigante). L’unitarietà d’invenzione della Barcaccia è in palese contrasto con il suo gusto antologico, ancora radicato su schemi rinascimentali.
La Barcaccia, portata a compimento tra il 1627 e il 1629, è invece la prima compiuta applicazione di un linguaggio innovativo, quello dell’emergente Barocco, che proprio in quegli anni si andava affermando per responsabilità soprattutto del giovane Bernini. La sua paternità nella concezione della fontana di piazza di Spagna è manifesta, come indicano esplicitamente i dati stilistici, che dovrebbero essere sempre considerati il vero fondamento della critica d’arte.
Viene qui superato lo schema “dellaportiano” delle fontane romane in voga sino ad allora, rigorosamente geometrico e architettonico, così definito per essere stato ideato nella seconda metà del ‘500 da Giacomo Della Porta e riproposto in innumerevoli varianti, Maderno compreso, secondo una tipologia costituita da una vasca mistilinea con al centro uno stelo sovrastato da tazza circolare.

Per il carattere inusitato ed eccentrico il manufatto di piazza di Spagna, una barca sgangherata che invece di galleggiare in un mare che è uno stagno vi affonda, partecipa della caratteristica ironia berniniana, motivo costante di tutta la sua produzione.
La critica ha fatto riferimento ad altri precedenti di fontane aventi come modello barche (la “Navicella” di Santa Maria in Domnica, quelle di villa d’Este a Tivoli e di villa Aldobrandini a Frascati, etc.), tuttavia la Barcaccia conserva solo l’idea mentale di un’imbarcazione, completamente trasfigurata dalla fantasia dell’artista, senza poppa né prua e priva di qualsiasi elemento che ne legittimerebbe la funzione. Si tratta di un unicum, come d’altronde lo sono tutte le opere di Giovan Lorenzo, sfuggente ad una rigorosa classificazione tipologica nel tipico ibrido tra arte decorativa, scultura e architettura.
Sono le stesse parole del geniale artista, che incassò la vasca nel terreno per sfruttare al meglio la scarsa pressione dell’acqua, riportate dal figlio Domenico, che confermano la prassi berniniana di adattarsi di volta in volta al genius loci: “Rispose acutamente il Cavaliere, che in quel caso dovevasi più tosto pensare, che l’Opera, e la Fonte si confacesse all’Acqua, che l’Acqua alla Fonte”.
Secondo Pane la particolare forma della fontana troverebbe “una sua anticipazione di gusto nel fantastico drago scuoiato della base di Apollo e Dafne”: paragone che ci sembra particolarmente calzante, soprattutto se si guarda la fontana dall’alto. Sebbene l’artefice non sia intervenuto probabilmente nemmeno con un colpo di scalpello in questa sua fantastica invenzione, ma abbia fornito sicuramente un modello plastico in terracotta, è il modellato la sua vera firma.
La duttilità e la sinuosità nel plasmare il travertino, tra volute, incavi e arricciamenti, mostra una sensibilità naturalistica che richiama le conchiglie e il mondo animale. Si tratta della stessa morfologia anti-geometrica, volta all’esaltazione della curva naturalistica, che troviamo in tutte le opere del Bernini, soprattutto nel settore delle arti decorative, avente una sublimazione nell’organo infestato dalla quercia Chigi in Santa Maria del Popolo e nei due tavoli con intrecci di cornucopie del Palazzo Chigi di Ariccia.
Francesco Petrucci, 28/02/2013
Note:
1) Le principali fonti storiche sulla fontana sono: P. Totti, Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, p. 336; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 infino a’ tempi di papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, p. 305; F. Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze 1682, pp. 13-14; D. Bernini, Vita del cavaliere Gio. Lorenzo Bernino, Roma 1713, pp. 58-59
2) Cfr. C. D’Onofrio, Le Fontane di Roma, Roma 1957, ediz. 1962, pp. 175-184; id., Roma vista da Roma, Roma 1967, pp. 337-398. Per la contabilità cfr. O. Pollak, La fontana detta la Barcaccia in Roma, in “Vita d’Arte”, 1909, pp. 515-520; id., Die Kunsttätigkeit unter Urban, VIII, 2 voll., Wien 1928-1931, I, pp. 12-14, II, p. 443. Fioravante Martinelli nella sua guida manoscritta di Roma redatta attorno al 1660-63, prendendo per buona l’affermazione di Baglione, ribadiva tale paternità (cfr. C. D’Onofrio, Roma nel Seicento, [1660-63], Firenze 1969, p. 286)
3) I principali studi sulla fontana, con ulteriore bibliografia, sono: S. Fraschetti, Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano 1900, pp. 116-118; A. Riegl, Die Entstehung der Barockkunst in Roma, Wien 1908; O. Pollak, La fontana detta la Barcaccia in Roma, in “Vita d’Arte”, 1909, pp. 515-520; A. Muñoz, Pietro Bernini, Siena 1909, p. 35; A. Riegl, Vita des G. L. Bernini, Wien 1912, pp. 34-36; O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, 2 voll., Wien 1928-1931, I, pp. 12-14; R. Pane, Bernini architetto, Venezia 1953, pp. 15-17; V. Martinelli, Contributo alla scultura del Seicento, IV, "Pietro Bernini e figli", in “Commentari”, IV, 1953, p. 150; R. Wittkower, Gian Lorenzo Bernini. The sculptor of the Roman baroque, London 1955, p. 242, n. 80; C. D’Onofrio, Le Fontane di Roma, Roma 1957, ediz. 1962, pp. 175-184; I. Faldi, recensione a C. D’Onofrio, Le Fontane di Roma, 1957, in “Bollettino d’Arte”, XLIII, 1958, p. 392; E. Battisti, in “Bollettino d’Arte”, XLIV, 1959, pp. 818 ss.; L. Grassi, Gianlorenzo Bernini, Roma 1962, pp. 198 e ss.; H. Hibbard, I. Jaffe, Bernini’s Barcaccia, in “The Burlington Magazine”, CVI, 1964, 733, pp. 159-170; C. D’Onofrio, Roma vista da Roma, Roma 1967, pp. 337-398; M. e M. Fagiolo dell’Arco, Bernini una introduzione al gran teatro del barocco, Roma 1967, n. 52; V. Mariani, Gian Lorenzo Bernini, Napoli 1974, pp. 32-33; F. Borsi, Bernini, Milano 1980, pp. 296-298; C. Avery, Bernini. Genius of the Baroque, London 1997, pp. 182-184; T. Marder, Bernini and the art of architecture, New York 1998, pp. 87-89; M. Fagiolo dell’Arco, L’immagine al potere. Vita di Giovan Lorenzo Bernini, Bari 2001, pp. 100-102, 312; H.-U. Kessler, Pietro Bernini (1562-1629), München 2005, pp. 405-409, n. E12; P. Portoghesi, Roma barocca, ediz. riveduta e ampliata, Roma 2011, p. 644.