Giovanni Cardone Luglio 2021
Fino al 18 Settembre si potrà ammirare al Museo MART di Rovereto la mostra La Forza del Vero. I Pittori Moderni della Realtà da un’idea di Vittorio Sgarbi a cura di Beatrice Avanzi, Daniela Ferrari e Stefano Sbarbaro.  Oltre settant’anni dopo, il Mart di Rovereto ricostruisce la complessità della vicenda dei Pittori moderni della realtà. la mostra La forza del vero sottolinea la comunanza d’intenti che unì i sette artisti. Attraverso percorsi indubbiamente personali, Acci, Annigoni, A. Bueno, X. Bueno, Guarienti, Sciltian, e Serri si riappropriarono come dice Sbarbaro: “dei modelli pittorici offerti dagli antichi maestri e trovarono “un punto di convergenza nella formulazione di una pittura colta e raffinata, ricca di rimandi e di citazioni non soltanto di carattere formale”. La mostra consente inoltre di approfondire le ricerche sulle carriere dei singoli artisti, già note agli studiosi per ricchezza e complessità, e di ricostruirne la significativa parabola all’interno della storia dell’arte italiana del XX secolo. Alla fine del 1947 il nascente gruppo dei Pittori moderni della realtà allestisce una mostra nella galleria della rivista “L’Illustrazione Italiana”, a Milano in via della Spiga. L’esposizione è accompagnata da un opuscolo-manifesto firmato da quattro degli artisti presenti: il più anziano è Gregorio Sciltian, pittore russo di origine armena attivo a Milano. Con lui ci sono il milanese Pietro Annigoni e i fratelli di origine spagnola Xavier e Antonio Bueno, tutti e tre di base a Firenze. In mostra sono inoltre presenti il trevigiano Carlo Guarienti,anche lui di stanza a Firenze, e i fiorentini Alfredo Serri e Giovanni Acci. Da lì a due anni, i Pittori moderni della realtà organizzeranno altre quattro mostre, a Firenze, Roma, ancora Milano e Modena. Seppur apprezzati dal pubblico si parla di ventimila visitatori in quindici giorni per la prima tappa milanese , dai collezionisti e da diversi artisti, sono disapprovati dai critici che, fraintendendo le loro intenzioni come dichiara il curatore Sbarbaro :” li accusano di passatismo, oleografia fotografica e di un vuoto virtuosismo seicentista lontano dalla poetica del realismo”. Se non bastasse, le loro posizioni ideologiche sono decisamente eterogenee: i Bueno antifranchisti, iscritti da giovani al partito comunista svizzero, Annigoni dichiaratamente antifascista Sciltian antibolscevico fuggito dalla Russia. Al contrario, ciò che accomuna i Pittori è il desiderio di una rinascita della pittura che corrisponde a una parallela rinascita dell’umanità dopo la distruzione, le privazioni e la sofferenza del recente conflitto mondiale. Nella ricerca di virtù artistiche pure, reali e pertanto eterne, c’è il desiderio di valori morali e spirituali assoluti, l’aspirazione a quella autenticità che ritengono possa essere debitamente rintracciata solo nella“vera pittura”. Rivendicano una “pittura morale nella sua intima essenza”, un orizzonte ideologico che non ritengono appartengaalle ricerche artistiche che negano il dato reale. Nel manifesto siglato nel 1947 Sciltian, Annigoni e i fratelli Bueno si schierano contro gli esiti del modernismo e gli “abbagli” dell’École de Paris, condannano le avanguardie e il nascente astrattismo a cui preferiscono la grande tradizione pittorica italiana. Determinante nella formulazione di quella che è una e vera propria sfida artistica e culturale, è l’apporto di Giorgio de Chirico che ha consolidati rapporti di stima con tutti e quattro gli artisti. I Pittori moderni della realtà si scagliano duramente contro le decadenti espressioni artistiche di molti contemporanei, manifestazioni della regressione e della rovina imperanti. A questi linguaggi contrappongo una rievocazione di antichi e più alti modelli stilistici, provenienti dal passato. Nonostante dichiarino intenti di fratellanza, universalità e neutralità, al di là delle asserzioni relative a un’arte alla portata di tutti, i Pittori tradiscono un atteggiamento polemico che sembra disapprovare almeno mezzo secolo di pittura e che fatica a trovare corrispondenza teorica nel contesto socio-culturale dell’epoca. Il mondo dell’arte marginalizza e respinge duramente le loro istanze, non totalmente comprese e considerate radicali e anacronistiche. Subissato dalle critiche, il gruppo di disgrega principalmente per via dell’insita e notevole eterogeneità: le distanze ideologiche, le incompatibilità culturali e le differenze anagrafiche portano in breve alla fine di una notevole e originale esperienza artistica. In una mia ricerca storiografia e scientifica sui Pittori Moderni della Realtà che divenne seminario universitario apro il mio saggio dicendo : In occasione della prima mostra di Milano del 1947 gli artisti pubblicarono un volumetto con il loro programma artistico. Nel testo di accompagnamento dichiararono di essere uniti da un sentimento fraterno e semplicemente motivati dal far conoscere le proprie opere al pubblico. Inoltre giustificarono questa convinzione con la certezza di essere dalla parte della ragione rivelando la concezione militante del fare artistico. A supporto di questa visione supportarono la loro convinzione con termini quali forza, fede, ideali. Storicamente contestarono l’École de Paris considerata come una esperienza che rappresentava una tendenza universale di decadenza. Diversamente gli artisti rivendicarono la loro appartenenza alla tradizione italiana fonte di salvezza e rinascita artistica. Con queste dichiarazioni i Pittori Moderni della Realtà presero posizioni di autarchia culturale e artistica. Nello stesso tempo rifiutarono l’arte astratta considerata figlia di una società in sfacelo, svuotata di contenuti e auto-referenziale. Il rifiuto degli artisti si estese anche a tutta l’arte a partire dal Postimpressionismo considerata espressione di falso progresso e del pericolo che minacciava l’umanità. Noi riaffermiamo invece quei valori spirituali e più precisamente morali senza i quali fare opera di pittura diventa il più sterile degli esercizi. Noi vogliamo una pittura morale nella sua più intima essenza, nel suo stile stesso, una pittura che in uno dei momenti più cupi della storia umana sia impregnata di quella fede nell’uomo e nei suoi destini, che fece la grandezza dell’arte nei tempi passati. Noi ricreiamo l’arte dell’illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative. Noi non ci prestiamo ad alcun ritorno, noi continuiamo semplicemente a svolgere la missione della vera pittura. Immagine di un sentimento universale, noi vogliamo una pittura capita da molti e non da pochi “raffinati”. Di fronte a un nuovo accademismo o passatismo, fatti di avanzi di formule cubiste e di sensualità impressionista standardizzata, noi abbiamo esposto una pittura che, incurante di mode e di teorie estetiche, cerca di esprimere i nostri sentimenti attraverso quel linguaggio che ognuno di noi, a seconda del proprio temperamento, ha ritrovato guardando direttamente la realtà”. All'indomani del 1945, restaurata la libera circolazione d'idee e persone, Antonio Bueno avrebbe potuto teoricamente far rientro in Francia, com'era anticamente nei suoi progetti. Ma una scelta del genere ormai non poteva più neanche prenderla in considerazione. In Italia infatti, contro ogni sua aspettativa e quasi contro il suo stesso desiderio, aveva cominciato a farsi conoscere come pittore, e italiani erano i suoi unici estimatori e protettori; nonostante permanessero certe difficoltà d'integrazione, e nonostante il provincialismo dell'ambiente fiorentino non promettesse grandi possibilità di carriera, erano delle ragioni materiali, di sussistenza, a condizionare le sue decisioni. Molto peso ebbe poi la rinnovata situazione familiare in cui Bueno si era frattanto venuto a trovare. Fra i suoi vicini di casa in via di Camerata aveva conosciuto una giovanissima ragazzina, Evelina Hay, figlia di un aristocratico scozzese trapiantato a Firenze: per prima cosa ne fece la propria modella in innumerevoli dipinti e disegni, e poco più tardi (ancora nel corso della guerra) la prese in moglie, senza attendere neppure che finisse di crescere e ultimasse i suoi studi. Antonio continuava naturalmente a convivere assieme alla madre, al fratello Xavier e alla cognata Julia. La famiglia, man mano che si ampliava, veniva sempre più a somigliare a una sorta di confusionaria "comunità tribale" (per usare una definizione della Chamorel): nell'immediato dopoguerra Xavier aveva già due figli, un maschio e una femmina, e nel frattempo era nato anche il primogenito di Antonio, Francesco Saverio. In precedenza, attorno al 1943, si era reso necessario un nuovo trasloco (probabilmente anche per ragioni di spazio); la scelta era caduta su villa "Il Pozzo", una costruzione posta giusto alle pendici della collina fiesolana.
Qui Antonio e i suoi familiari trascorsero gli anni peggiori della guerra, in indicibili ristrettezze, adattandosi a coesistere coi militari tedeschi (che avevano requisito molte ville del vicinato) e industriandosi in ogni modo di tener celato l'ebraismo della madre Hannah. Guai veri e propri non ve ne furono, comunque, perché fortunatamente la nazionalità spagnola li teneva al riparo dai rischi maggiori. A guerra finita, insomma, tanto Antonio che Xavier Bueno avevano parecchie ragioni per cominciare a considerare l'Italia una valida patria adottiva. La famiglia, soprattutto, e le passate tribolazioni, li obbligavano a un contegno più responsabile; né l'uno né l'altro avrebbe avuto il coraggio di smembrarla o condursela appresso in nuove peregrinazioni europee.La situazione culturale postbellica mise i fratelli Bueno di fronte a delle scelte non facili. Riaperte le frontiere dopo vent'anni di catalessi autarchica, l'arte italiana si affannava ora a recuperare il tempo perduto; proliferavano correnti e movimenti di vario genere, tutti più che mai ansiosi di novità e tutti ispirati a modelli d'importazione. I due Bueno, che avevano già fatto diretta esperienza dell'École de Paris, non provavano affatto la necessità di un aggiornamento del genere; tuttavia, nel nuovo contesto generale, era inevitabile che ricominciassero a nutrire dubbi sulla propria pittura (gli stessi, più o meno, che già li avevano turbati alla vigilia della prima mostra italiana, nel 1942). Sino a quel momento non si era ancora presentata una seria occasione di confronto con la critica e con gli altri artisti; la stampa che aveva recensito le loro mostre aveva espresso solo lodi banali e generiche, e in realtà i maggiori consensi li avevano espressi a titolo personale certi collezionisti e amatori lombardi (Kroff, Finazzi, Cesati, Toninelli), personaggi che Xavier e Antonio stimavano "soprattutto per il loro portafoglio". Adesso però quel confronto non era più differibile; urgeva trovare al più presto una collocazione, schierarsi, dimostrare le ragioni di certe scelte. Xavier, da parte sua, cercò di aggirare l'ostacolo riproponendo la stessa pittura che l'aveva reso noto a Parigi dieci anni prima, una pittura ricca d'impegno sociale, di denunce e di vis polemica; Antonio invece, che non aveva maniere più antiche da rivisitare, attraversò un periodo di forte imbarazzo. Sentiva che le prove compiute sino ad allora non erano abbastanza "moderne", ma non vedeva alternative fra l'ottuso conservatorismo borghese da una parte e la disgregazione nichilista dell'avanguardia dall'altra. In certi momenti arrivò a pensare di lasciar da parte la pittura e farsi architetto: era di nuovo la lezione di Le Corbusier che l'ispirava, a suo parere "l'unico che avesse trovato uno stile davvero moderno ed efficace".Xavier presentò i suoi nuovi lavori in una personale alla galleria "Il Camino" di Milano, nel 1946, redigendo per l'occasione un testo molto duro nei confronti dell'avanguardia (definita in blocco "postimpressionismo decadente"); e ancora più dura fu la reazione della critica, che stroncò la mostra. Incattivito dall'insuccesso, egli meditò quindi una reazione in senso ancor più purista; ritenendo ormai impossibile conquistare il favore della critica, si mise a cercare alleati per essere in grado di combatterla. Il primo ad essere arruolato fu naturalmente Antonio, anche se un po' controvoglia; aderirono poi anche Pietro Annigoni e Gregorio Sciltian (col quale i Bueno avevano già avuto modo di familiarizzare nel corso della guerra). Non si trattava di una compagine davvero inedita, in quanto i quattro artisti si conoscevano già bene, avendo collaborato ed esposto insieme in varie occasioni precedenti; la maggior novità era costituita dall'insegna comune ("I Pittori Moderni della Realtà") e se si vuole dal proposito di lasciar agire su piano parallelo la pratica pittorica e l'argomentazione teorica. Il gruppo, il cui unico nesso operativo era l'osservazione "oggettiva" del vero, della natura "fonte prima ed eterna della pittura", e la sua riproduzione il più possibile fedele, aveva intenti esplicitamente polemici e sicuro dell'appoggio del pubblico, cercava lo scontro frontale con la critica, che vedeva ormai irrimediabilmente compromessa con la "dittatura dei vari formalismi postimpressionistici". Come si vide poi in seguito, non si trattava di un'alleanza molto sensata. Antonio, a onor del vero che all'indomani del '45 avvertiva anche più di Xavier il problema dell'isolamento, avrebbe preferito coinvolgere artisti d'altra estrazione, e tentò in effetti di contattare i fratelli Barraud, la cui pittura sentiva ben più affine alla propria; ci fu anche uno scambio di corrispondenza ma  per la mancanza di una conoscenza personale e per la difficoltà d'intrattenere rapporti operativi fra Ginevra e Firenze  la cosa non ebbe seguito. Sciltian e Annigoni, insomma, erano sul momento gli unici interlocutori disponibili, e sottoscrissero senza alcuna difficoltà il bellicoso progetto di Xavier. Ecco il programma dei "Pittori Moderni della Realtà", riassunto in un opuscolo dal tono discutibile e un po' apodittico che venne diffuso in occasione della loro prima mostra ufficiale (tenutasi a Milano, alla galleria de "L'Illustrazione Italiana", nel novembre del 1947): Fra il 1947 e il 1949 il gruppo allestì in tutto cinque mostre e gradualmente si allargò sino a raggiungere la cifra massima di diciannove membri. Il successo di pubblico fu considerevole (alla prima mostra milanese, ad esempio, sfilarono ben ventimila persone) e notevole come al solito fu pure l'interessamento e l'appoggio esterno del collezionismo. La critica, come nelle previsioni, reagì malissimo, e in un certo senso fu raggiunto l'obiettivo di "fare scalpore"; su quasi tutti i più importanti giornali i "Pittori Moderni della Realtà" si videro attribuire gli appellativi di "fotografi", "pittori antiquari", "copisti da museo", e altri titoli spregiativi del genere. Per difendersi da questi attacchi e opporsi in qualche modo a quello che definivano "ostruzionismo critico", i quattro artisti diedero vita anche a una propria pubblicazione ("Arte", che si stampava a Firenze), della quale Antonio fu il direttore responsabile. Con queste premesse, era prevedibile che il gruppo non dovesse avere vita facile. I problemi principali, come fu ben presto evidente, nascevano tuttavia dallo scarso amalgama dei suoi componenti. La "assoluta reciproca stima" sbandierata nel proclama iniziale era in realtà più che altro nominale; i fratelli Bueno stimavano sinceramente Annigoni e Sciltian per le loro qualità umane, ma avevano molte riserve nei riguardi della loro pittura, che sentivano assai distante dalla propria. Essi non condividevano affatto l'umore sinistro, la teatralità dei due loro più anziani colleghi; per il proprio realismo documentativo e quotidiano, cercavano di valersi al contrario dei mezzi più semplici e antiretorici. Ancora più gravi erano poi le incomprensioni ideologiche: fra i Bueno e Sciltian, soprattutto, ex attivisti comunisti i primi e fuoriuscito antibolscevico il secondo Sciltian era difatti originario di Rostov sul Don e viveva esule in Italia dal 1923. L'opera dei "Pittori Moderni della Realtà" fu genericamente intesa come reazionaria da parte della critica, che forse non seppe cogliere l'intento "poversitico" delle nature morte e delle composizioni di Antonio e Xavier; e i due fratelli non potevano tollerare a lungo un equivoco tanto madornale. Loro si ricollegavano al passato solamente nella pratica pittorica, non certo nell'ideologia; miravano a far pittura moderna con gli strumenti degli antichi, ma più che a reintegrare la dignità tecnica della propria arte, il "mestiere" di un tempo, non pensavano davvero. L'unica loro colpa, in fondo, era quella di essersi dotati di esuberanti mezzi tecnici in un'epoca in cui questi stavano perdendo ogni importanza. Altri spiacevoli equivoci, che riuscirono purtroppo fatali per la sopravvivenza del gruppo, sorsero quando la stampa cominciò a cercare d'identificarne la "guida", lo stratega. In realtà esso non aveva alcuna strutturazione gerarchica, ma l'opinione pubblica aveva necessità di semplificazioni del genere. Il primo a essere chiamato in causa fu Giorgio de Chirico il quale, pur non avendo preso parte a nessuna mostra dei "Pittori Moderni della Realtà", era ritenuto da molti il loro regista occulto. Bisogna dire che de Chirico aveva seguito molto da vicino l'operato di questi artisti - fra l'altro era diventato collaboratore fisso di "Arte"; quando però essi si accorsero che la sua presenza andava facendosi troppo ingombrante, non esitarono un istante a prenderne le distanze; e tale scopo, nel 1948, Antonio si incaricò di scrivere una lettera aperta di totale sconfessione, che venne pubblicata dall' "Europeo" Un altro indiziato ricorrente era poi Sciltian, forse perché dei quattro soci fondatori era quello più in là con gli anni; e ne nacquero polemiche tanto aspre da indurlo alla fine a ritirarsi. Nel 1949 dunque, per tutti i citati motivi, il gruppo dei "Pittori Moderni della Realtà" si sciolse. Il bilancio dei suoi due anni di vita era sostanzialmente negativo: tutte le polemiche sollevate non avevano sortito altro effetto che quello d'innervosire la critica, e in sostanza i quattro artisti si ritrovarono ancora più invisi e isolati di quanto non fossero prima di essersi associati. Altra conseguenza nociva fu l'incrinatura dei rapporti fra i due fratelli Bueno: Antonio difatti restò lungamente scettico e risentito dell'esperienza comune con Annigoni, Sciltian e i vari altri comprimari del gruppo, tendendo spesso a esagerarne le conseguenze che a suo parere si tradussero in "vent'anni di miseria" e rimproverò sempre il fratello maggiore, che in effetti aveva goduto sino ad allora di un grande ascendente su di lui, di averlo coinvolto in una "battaglia contro i mulini a vento", insensata e controproducente.
Il manifesto


“Noi, ‘Pittori moderni della realtà’, siamo riuniti in un gruppo fraterno per mostrare al pubblico le nostre opere. La simpatia e la comprensione con le quali esso ha accompagnato e assecondato in questi anni i nostri sforzi, la certezza di essere nel vero, di aver ragione noi e gli altri torto, ci hanno convinto dell’opportunità e della necessità di questa mostra. Siamo compatti con la nostra forza, la nostra fede, i nostri ideali e la nostra assoluta reciproca stima. In contrapposto all’École de Paris, nata in Francia ma rappresentante una tendenza universale di decadenza, la nostra arte nata in Italia rappresenta un avvenimento di speranza e di salvezza per l’arte e questa mostra vuole essere un primo effettivo contributo alla lotta che si accende. Non ci interessa né ci commuove una pittura cosiddetta ‘astratta’ e ‘pura’ che, figlia di una società in sfacelo, si è vuotata di qualsiasi contenuto umano ripiegandosi su se stessa, nella vana speranza di trovare in sé la sua sostanza. Noi rinneghiamo tutta la pittura contemporanea dal postimpressionismo a oggi, considerandola l’espressione dell’epoca del falso progresso e il riflesso della pericolosa minaccia che incombe sull’umanità. Noi riaffermiamo invece quei valori spirituali e più precisamente morali senza i quali fare opera di pittura diventa il più sterile degli esercizi. Noi vogliamo una pittura morale nella sua più intima essenza, nel suo stile stesso, una pittura che in uno dei momenti più cupi della storia umana sia impregnata di quella fede nell’uomo e nei suoi destini, che fece la grandezza dell’arte nei tempi passati. Noi ricreiamo l’arte dell’illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative. Noi non ci prestiamo ad alcun ritorno, noi continuiamo semplicemente a svolgere la missione della vera pittura. Immagine di un sentimento universale, noi vogliamo una pittura capita da molti e non da pochi ‘raffinati’. Ben prima di incontrarci, ognuno di noi aveva sentito profondamente il bisogno di ricercare nella natura il filo conduttore che ci permettesse di ritrovare noi stessi nel labirinto delle scuole che si sono moltiplicate nell’ultimo mezzo secolo. Ognuno di noi si è spontaneamente rivolto alla realtà, fonte prima ed eterna della pittura, fiducioso di riscoprirvi la propria parola. Di fronte a un nuovo accademismo o passatismo, fatti di avanzi di formule cubiste e di sensualità impressionista standardizzata, noi abbiamo esposto una pittura che, incurante di mode e di teorie estetiche, cerca di esprimere i nostri sentimenti attraverso quel linguaggio che ognuno di noi, a seconda del proprio temperamento, ha ritrovato guardando direttamente la realtà”. Pietro Annigoni, Antonio Bueno, Saverio Bueno, Gregorio Sciltian.
Il Percorso espositivo è diviso in sei sezioni :
La forza del vero. I Pittori Moderni della Realtà
 
A oltre settant’anni dalla sua conclusione, l’esposizione ricostruisce la vicenda dei Pittori Moderni della Realtà. Questo gruppo di artisti, dalle provenienze e storie più diverse, esordisce nel 1947 a Milano con una mostra e un manifesto programmatico che si scaglia contro gli esiti del modernismo e gli “abbagli” dell’École de Paris e difende, invece, la grande tradizione pittorica rifacendosi, in particolar modo, all’arte seicentesca, da Caravaggio alla pittura spagnola e fiamminga.  Ai firmatari del manifesto Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni e i fratelli Xavier e Antonio Bueno si aggiungono, nelle mostre del gruppo, Giovanni Acci, Alfredo Serri e Carlo Guarienti. Tutti loro condividono la predilezione per un realismo minuzioso e la ricerca di antiche tecniche pittoriche in linea con il “ritorno al mestiere” propugnato da Giorgio de Chirico, con il quale questi artisti intrattengono rapporti di reciproca stima.  L’esperienza dei Pittori moderni della realtà si conclude dopo soli due anni e cinque mostre, tenutesi in diverse città italiane. Le loro opere, apprezzate dal pubblico e dal mercato collezionistico, sono invece osteggiate da gran parte della critica poiché giudicate anacronistiche e frutto di una visione puramente mimetica della realtà. La mostra approfondisce l’indagine sulla ricerca di questi artisti prima e dopo il loro breve sodalizio, presentando opere che vanno dagli anni Venti, quando Sciltian giunge in Italia, alla fine degli anni Cinquanta, mettendo in luce le peculiarità del lavoro di ognuno di loro e la sua evoluzione nel corso del tempo. 
Gregorio Sciltian. Il primo caravaggesco del Novecento
Nella formazione del gruppo dei Pittori moderni della realtà Gregorio Sciltian (Nakhichevan-on-Don, 1898-Roma, 1985) riveste un ruolo di primo piano. L’artista di origine russa giunge in Italia all’inizio degli anni Venti ed esordisce con una personale alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma (1925) presentata in catalogo da Roberto Longhi. L’eminente critico riconosce nella sua pittura evidenti echi caravaggeschi e una minuziosa resa dei dettagli che ricorda quella delle nature morte fiamminghe e spagnole: riferimenti importanti per il giovane artista che aveva ammirato la Madonna del Rosario di Caravaggio già durante i suoi studi a Vienna, dopo aver lasciato la Russia in seguito alla Rivoluzione d’ottobre. Sciltian si inserisce in quel processo di riscoperta della pittura caravaggesca iniziato nel 1922 con la Mostra della pittura italiana del Seicento e Settecento, allestita a Palazzo Pitti a Firenze. Se i suoi primi dipinti realizzati in Italia, come il Ritratto del pittore futurista Ivo Pannaggi o L’autoritratto con la famiglia Bianchi (1925), testimoniano la sua singolare mediazione tra la Nuova Oggettività tedesca e il Realismo Magico, emerge anche una sensibilità cromatica di ascendenza seicentesca (L’uomo che si pettina, 1925) che in seguito si accompagnerà a consapevoli riferimenti alla pittura di Caravaggio e di Velázquez (Bacco in osteria, 1936).  Le sue nature morte si fanno, nel corso del tempo, sempre più affollate di oggetti e ricche di dettagli, con un effetto trompe-l’œil che realizza “l’illusione di realtà” perseguita dall’artista. Tra queste opere vi è anche un omaggio a Roberto Longhi, dove si vedono le riproduzioni di un quadro di Manet (tra i primi artisti a riscoprire la pittura spagnola del Seicento) e della celebre Muta di Raffaello, nonché gli occhiali che ci ricordano l’acuta capacità di osservazione del celebre storico dell’arte: colui che riconobbe in Sciltian il primo caravaggesco del Novecento.
Pietro Annigoni. L’eredità della bottega rinascimentale
Pietro Annigoni orienta la propria ricerca sul primato del disegno secondo il modello della scuola toscana, ingaggiando una personale sfida con gli artisti del passato. Trasferitosi con la famiglia a Firenze dalla Lombardia, Annigoni decide di proseguire gli studi artistici nel capoluogo toscano anche dopo che il padre ingegnere viene richiamato a Milano. Forte di un talento prodigioso, si avvicina alla pittura dei maestri rinascimentali approfondendo l’uso di tecniche antiche come la tempera grassa, l’affresco e l’incisione. Fin dal 1932 stringe un legame duraturo con un altro artista che entrerà a far parte, come lui, dei Pittori moderni della realtà: Alfredo Serri (Firenze, 1898 – 1972). Benché più vecchio di una decina d’anni, Serri è suo allievo e amico fraterno, oltre che instancabile animatore di quel vivace clima bohémien che caratterizza lo studio di Annigoni in Santa Croce, come si vede nell’Autoritratto del 1936. L’atelier è protagonista di diversi dipinti degli anni Trenta e Quaranta dove si riconoscono, sul cavalletto, opere presenti in questa mostra, come La partenza (1939) – qui a confronto con un paesaggio settecentesco di Magnasco –  o il monumentale Sermone della montagna (1938-1953), esposto in una delle prossime sezioni. I ritratti e gli autoritratti si confrontano, anch’essi, con una grande tradizione pittorica, dal Rinascimento nordico (si veda l’Autoritratto del 1946) al ciclo degli alienati di ThéodoreGericault, al quale Annigoni sembra rifarsi con il suo Cinciarda (1942), un medicante che posa per lui in più di un’occasione, e con La vecchia del cardo (1941): opere che riflettono il clima cupo degli anni della guerra. 
I fratelli Bueno. Un doppio sguardo sulla realtà
Xavier e Antonio Bueno arrivano a Firenze nel gennaio del 1940 per un viaggio di studio e vi rimangono a causa dell’entrata in guerra dell’Italia. Qui stringono amicizia con Pietro Annigoni, che nel 1942 li aiuta a realizzare la loro prima mostra presso la galleria Ranzini di Milano. Il talento e la straordinaria padronanza delle tecniche pittoriche dei due fratelli spagnoli non passa inosservata e presto il loro lavoro viene apprezzato da Gregorio Sciltian e da Giorgio de Chirico. Durante gli anni della guerra i Bueno restaurano opere antiche gravemente danneggiate che antiquari senza scrupoli rivendono poi come originali: un’attività ai limiti del lecito che permette loro di mantenersi e li spinge ad approfondire la conoscenza delle tecniche pittoriche tradizionali, fabbricando i colori a partire dai pigmenti come si faceva nelle antiche botteghe. Dal 1938, quando Antonio aveva raggiunto il fratello maggiore a Parigi, aveva preso avvio un intenso sodalizio artistico che per i successivi dieci anni intreccia le vicende biografiche e professionali dei Bueno. Ne sono testimonianza le opere dipinte a quattro mani come i due doppi autoritratti: in uno si vedono i due fratelli in carrozza durante una gita con la moglie di Xavier, Julia Chamorel, e un amico; nell’altro si riconoscono le riproduzioni di un quadro di Manet del periodo spagnolesco e di un ritratto di dama di Piero del Pollaiolo che sarà un riferimento per la pittura di Antonio. Nel lavoro dei due fratelli si distinguono, tuttavia, dei caratteri peculiari. Xavier esordisce, negli anni parigini, con una pittura militante dai temi sociali che riflettono la sua adesione al partito comunista e dalla pennellata densa e pastosa che richiama la grande tradizione spagnola, mentre Antonio adotta una visione lenticolare che guarda alla scuola fiamminga.
I Pittori moderni della realtà 1947-1949
L’espressione “pittura della realtà” risale al 1934 e alla mostra Lespeintres de la réalité en France auXVIIesièclecurata da Charles Sterling al Musée de l’Orangerie di Parigi nel 1934: un’altra pietra miliare del processo di rivalutazione critica dell’arte barocca, non più considerata una fase di decadenza dopo gli splendori del Rinascimento. Nella breve avventura dei Pittori moderni della realtà confluiscono le ricerche dei quattro firmatari del Manifesto che accompagna la loro prima mostra, dove si legge: “Noi ricreiamo l’arte dell’illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative. Noi non ci prestiamo ad alcun ritorno, noi continuiamo semplicemente a svolgere la missione della vera pittura. (…) Ben prima di incontrarci, ognuno di noi aveva sentito profondamente il bisogno di ricercare nella natura il filo conduttore che ci permettesse di ritrovare noi stessi nel labirinto delle scuole che si sono moltiplicate nell’ultimo mezzo secolo”. Un pensiero sicuramente condiviso anche dai tre artisti che si uniscono a Sciltian, Annigoni e ai fratelli Bueno in occasione delle cinque mostre realizzate dal 1947 al 1949: Giovanni Acci, Carlo Guarienti e Alfredo Serri. Dalle minuziose nature morte di quest’ultimo, al rigoroso studio dell’anatomia con il quale Acci costruisce le sue figure, fino agli evidenti riferimenti quattrocenteschi della pittura di Guarienti, le loro opere ribadiscono la vocazione al vero e il dialogo con il passato che caratterizza questo breve ma significativo capitolo della storia italiana del Novecento. Nelle opere esposte in questa sezione si riconoscono due tendenze. La prima è legata agli anni della guerra: opere come Ritratto di padre di Acci, il Cinciarda di Annigoni e i Vagabondi di Sciltian sono allegorie che riflettono lo scenario tragico di quel periodo e assumono un significato di impegno sociale. In questo senso il Sermone della Montagna, anche per la sua esecuzione durata ben quindici anni, rappresenta una sintesi della poetica dei Pittori moderni della realtà.
La seconda tendenza è, invece, orientata a un colloquio più sereno con il visibile, alla gioia di una visione naturalistica senza implicazioni di denuncia di cui sono esempio le opere di Alfredo Serri e Antonio Bueno.
Atmosfere metafisiche: il rapporto con Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico, il padre della Metafisica, rappresenta un riferimento costante nelle carriere dei Pittori moderni della realtà. Sciltian lo incontra al suo arrivo in Italia e tra i due s’instaura un profondo legame durato tutta la vita. “Gregorio Sciltian è il plastico per eccellenza. È plastico quando dipinge, plastico quando parla, è plastico quando gesticola” scrive de Chirico, facendoci cogliere quanto la resa dei volumi sia l’elemento fondante della pittura dell’artista russo. Anche per i fratelli Bueno ha parole di sincero apprezzamento, definendoli “due giovani pieni di ingegno che possiedono già un gran mestiere e sono l’antitesi di tanti analfabeti della pittura”. Il suo ascendente sui due fratelli è evidente in opere quali Composizione metafisica del 1940, in cui Antonio segue diligentemente i precetti espressi dal pictoroptimus nello scritto Il ritorno al mestiere, dove raccomanda di premunirsi di “qualunque calco in gesso”, busti o statue classiche, per ricopiarli centinaia di volte al fine d’impadronirsi della vera tecnica che le tendenze “moderniste e secessioniste” hanno messo in discussione. Tutti i componenti del gruppo dei Pittori moderni della realtà, inoltre, si accostano all’enigmatico tema dechirichiano del manichino, stimolati dalla committenza di Sandro Rubboli, un collezionista di Milano che aveva costituito un’ampia raccolta attorno a questo soggetto. L’esposizione è accompagnata da un catalogo pubblicato da L’Erma di Bretschneider con saggi criticidi Vittorio Sgarbi,Emanuele Barletti, Emiliana Biondi e Paolo Baldacci, Daniela Ferrari, Stefano Sbarbaro e Luca Scarlini.
 
Museo Mart di Rovereto
La Forza del Vero. I Pittori Moderni della Realtà
dal 15 Maggio 2022 al 18 Settembre 2022
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 21.00
Lunedì Chiuso