Occorrerebbe possedere la capacità creativa di un grande scrittore per tratteggiare quelle che i più, ormai, intravvedono in quest’opera le luci aurorali della nascita di un genio assoluto: Raffaello da Urbino.
La storia inizia con le poche stringate parole del Vasari:
“Nella casa di Giovanni Santi in Urbino è una tavola di mano di Raffaello, nella quale è una Madonna a sedere col Figliuolo in braccio, e S. Giuseppe e S. Giovanni Battista fanciullo, e due Angeli che gli adorano; la quale opera, di bellissimo colorito e di disegno molto buono, era tenuta in pregio da Raffaello”. In realtà, per via di alcuni fraintendimenti circa le interpretazioni del testo vasariano, ci si trova, invece, innanzi ad un affresco e tale è stato sempre considerato: lo dice chiaramente la tecnica dell’esecuzione sulla parete della camera da letto dove sarebbe venuto alla luce il pargolo Raffaello.
Qui non si vuole prendere in esame la “vexata quaestio” dell’attribuzione dell’opera a Raffaello ovvero a suo padre Giovanni magari scorgendovi influenze del Perugino
(Cavalcaselle, Morelli, Berenson, Ragghianti e altri) e di tutta la scuola fiorentina del Quattrocento
(Piero della Francesca per la diafanità della luce che illumina l’affresco,
Domenico Ghirlandaio per l’uso di colori tenui quanto luminosi,
Andrea del Verrocchio per la rappresentazione più che realistica dell’insieme, la stesura delicata delle mani della Vergine e la morbidezza del viso del Bambino).
Si vuole, all’incontrario, soffermarsi e sostare, come e per quanto conviene, per godere del momento cristallino in cui la pittura di un genio realizza il miracolo della riproduzione di un’immagine di bellezza altrimenti impossibile. Innanzi a questa
Madonna di Casa Santi, magari interrompendo per una volta il flusso delle suggestioni critiche e disponendosi, come in un accorato soliloquio, a concordare emozione e attenzione sulla falsariga, quasi un rigo musicale, delle coordinate che fanno di questo affresco l’ormai acclarato “certificato di nascita” di Raffaello pittore.
Si fa risalire l’opera in parola al 1484: Raffaello ha quindici anni, frequenta la bottega del padre Giovanni Santi e la scuola del Perugino e, per questo, ne ha di che per alimentare la sua innata propensione: l’accademismo del padre e l’innovazione stilistica del Perugino gli squadernano il
teatro possibile del suo genio in cui realizzare gli ideali di bellezza che nei secoli erano già stati appannaggio di artisti inarrivabili: Prassitele, per esempio, con la sua
Afrodite di Cnido o le sculture di
Demetra e
Persefone o, ancora, l’incantevole
Afrodite con Eros.
La
Madonna di Casa Santi si pone sul piano elevato dei capolavori d’ogni tempo, per i quali le osservazioni critiche non sono quasi mai all’altezza di indicarne fino in fondo unicità e significato.
L’affresco – in cui non è dato scorgere le figure di San Giuseppe e San Giovanni Battista fanciullo nonché i due angeli in adorazione – non solo per l’età iniziatica di Raffaello ma soprattutto per i parametri pittorici che lo rendono opera unica e straordinaria nel suo genere, ambisce così a collocarsi nel tempio delle opere umane assolute.
Ciò che, al primo cospetto, risalta è la composizione quanto mai armonica del dipinto, contenuta nella classica e quanto mai amata leornadesca “piramide” tuttavia compresa nel chiuso di una nicchia a sesto largo, dove l’ombra della raffigurazione tenta forse un impossibile “trompe l’oeil”.
L’occhio dell’osservatore, già appagato da codesta prima impressione, si posa quindi a contemplare la scena nel suo insieme: una Mamma, a cui al momento pare difficile assegnare fattezze divine, seduta su un comune giaciglio, tiene in grembo, paciosamente addormentato, il suo piccolo, abbracciato da mani amorevolissime. Mai, finora, un putto era stato raffigurato nella trama d’un disegno parimenti puro e parimenti espressivo nella posa: le sue braccine, soavemente sovrapposte, inventano un comodo guanciale sul grembo materno; il suo viso, altresì, incanto dell’immagine bambina, non teme rivali nella storia della pittura, se non, forse, nella sembianza del bambino che appare, gioiosamente espressiva, nel
Racconto del Giorno del Correggio.
Il viso della Madonna, il crine racchiuso sulla nuca e coperto da un velo trasparente, appare di netto profilo. Ella è intenta nella lettura di un libro posto su un leggio: un particolare che interrompe l’assoluta ed unica spazialità del dipinto per introdurvi l’elemento suppletivo dell’azione nel tempo. La Vergine è così sorpresa, con delicata tensione, nella lettura d’una preghiera o, forse, d’un presagio. La scena s’anima così d’un tratto e diventa possibile l’impossibile: ossia “vedere” di fatto, benché in una realtà immaginifica, la Madonna nell’atto di stringere a sé, accovacciato, il suo Bambino e, in contemporanea, vederla intenta nella lettura. La pittura può vantare per questi esiti alcunché di prodigioso e Raffaello, in tali imprese, è maestro impareggiabile.
Ma, si conceda di tornare sulla composizione dell’affresco nel quale, per le sue dimensioni medie (97 x 67 cm) campeggia la figura monumentale della Vergine in uno sfondo architettonico ridotto ai suo elementi essenziali: una nicchia, appunto. Il che contribuisce a delineare un forte senso allo spazio e – grazie soprattutto all’ombra che vi si scorge – conferisce un’evidente e suggestiva profondità alla scena.
A proposito, poi, degli elementi che “costruiscono” le figure nel dettaglio è pressoché impossibile non vedervi le suggestioni della scuola del Perugino: una soffusa e idealizzante dolcezza permea entrambe le figure. I volti appaio segnati da una delicatezza sognante come anche i lineamenti non si sottraggono a indici sublimi di finezza. E non vorrà sembrare eccessivo sottolineare la serena compostezza delle figure, sposata alla cura delle mani e all’eleganza dei gesti.
I colori, del resto, figli della luce e anteprima del cromatismo tutto raffaelliano della luminosità, nella loro bilanciata soluzione di continuità tonale, creano la necessaria e composta volumetria dell’insieme. Si è detto della possibile influenza della scuola del Perugino; eppure, già fin d’ora, Raffaello la surclassa in quanto ad una maggiore libertà compositiva, attentamente coniugata con una più spiccata naturale spontaneità. Per non dire, infine dell’espressività dei volti, di fronte alla quale si smarrisce anche la più fervida e più seria analisi critica.
Nel tripudio dell’arte sacra del periodo rinascimentale (
Leonardo, Michelangelo, Correggio), troneggia questa
Madonna di Casa Santi, preannuncio della futura e immortale gloria di Raffaello da Urbino.
Luigi Musacchio
giugno 2024
fig. 1 Madonna con bambino, 1498 circa, affresco 97 x 97 (casa Santi Urbibo)