L’opera fu realizzata dal Sanzio per Sigismondo de’Conti (1432? – 1512), nobile folignate, storico e segretario di papa Giulio II. Il dipinto era stato commissionato per la chiesa francescana di Santa Maria in Aracoeli a Roma, dove rimase fino al 1565, anno in cui fu trasferita a Foligno per volontà della nipote del donatore. La pala d’altare – un olio su tavola trasportato su tela – presenta diversi tratti tipici dello stile maturo del pittore ed è di qualità notevolissima. Raffaello ha rappresentato una visione di Sigismondo, cui appaiono la Madonna e il Bambino nel cielo costellato di angeli, che si confondono nell’azzurro celestiale.
Maria compare all’interno di un disco luminoso, per la spiegazione del quale è stato evocato più volte il riferimento al passaggio dell’Apocalisse (XII, 1) in cui si parla di una “donna vestita di sole” (“Mulier amicta sole”). Il rimando apocalittico era servito nella tradizione iconografica precedente all’elaborazione del motivo dell’Immacolata Concezione, al principio del Cinquecento ancora privo di uno standard figurativo. Benché non ci siano elementi probanti che consentano di interpretare in chiave inequivocabilmente immacolista l’immagine, l’ipotesi ha avuto un certo seguito tra gli specialisti (per un riepilogo delle principali questioni ermeneutiche e una proposta di lettura dell'immagine come prodotto dell'impegno di Sigismondo in difesa degli interessi di Giulio II in occasione della crisi interna alla Chiesa romana scoppiata nel 1511, si veda, ad esempio, Regina Stefaniak, Raphael's Madonna di Foligno: Civitas sancta, Hierusalem nova, in "Konsthistorisk tidskrift/Journal of Art History", Volume 69, Issue 2, 2000, pp. 65-98).
In ogni caso, vale la pena sottolineare come l’artista urbinate – con trovata originale – abbia sostituito la più convenzionale mandorla di luce, spesso raggiata, impiegata di norma come dispositivo di presentazione della Vergine (o della “mulier” di cui parla il testo biblico), con un cerchio giallo-arancio, che fa spiccare il busto di Maria e il Bambino nel cielo. Legato alla fonte giovannea, comunque, sarebbe anche l’arco luminoso che pare collocato sopra la città dello sfondo: potrebbe trattarsi, secondo alcuni, della falce di luna associata all’iconografia della donna apocalittica, sebbene non manchino studiosi inclini a descrivere il dettaglio come un arcobaleno (stranamente monocromatico, nel caso).
Va detto, poi, che nella letteratura sul dipinto si è assestata anche un’altra ipotesi relativa al suo significato, parzialmente sovrapponibile a quella connessa al tema dell'Immacolata Concezione: in base a questa seconda prospettiva, l'immagine alluderebbe alla visione della Madonna con il Bambino avuta dall'imperatore Augusto proprio laddove in seguito sarebbe sorta la chiesa dell'Aracoeli (la leggenda è raccontata in diverse fonti medievali), istituendo una sorta di parallelo tra il committente e Ottaviano.
Quale che sia il contenuto semantico dell’opera, l’artista ha provveduto comunque a dare prova di formidabile realismo e di classicheggiante armonia compositiva, vivacizzata dalla naturalezza fisionomica e dall’animazione delle figure. Raffaello ha ritratto il donatore di profilo, secondo lo schema (umanistico) derivato dalle medaglie antiche: nondimeno, tale soluzione gli ha permesso di raffigurare Sigismondo nell’atto di contemplare la straordinaria epifania, senza dover ricorrere a innaturali pose del personaggio o ad artifici compositivi che avrebbero attenuato i pronunciati effetti di realtà. Presentato alla Vergine da san Girolamo, il committente è inginocchiato in preghiera di fronte alla Madonna che pare ricambiare il suo sguardo e, si direbbe, presentargli direttamente il Bambino. Girolamo, da parte sua, impone la mano sul capo di Sigismondo, esibendo una formula gestuale antica, che in ambito cristiano costituisce un segno di protezione e benedizione.
Attraverso una rete calibratissima di gesti e di sguardi, inoltre, il pittore ha congegnato un raffinato meccanismo di inclusione dello spettatore nello spazio della finzione. Sono in particolare Francesco in primo piano, sulla sinistra, e Giovanni Battista, subito dietro, i delegati a condurre all’interno del mondo dell’immagine chi osserva; il santo di Assisi, mentre guarda in direzione della Vergine, indica con la mano destra alla Sacra Famiglia la presenza dello spettatore. Il Battista, invece, compie l’usuale gesto deittico verso Gesù, rivolgendo nel contempo lo sguardo “in macchina”, per così dire, e chiamando in tal maniera in causa coloro che si trovano al di qua dell’immagine.
L’artista ha ulteriormente fatto appello allo spettatore, prospettandogli in maniera evidente la tavoletta (“tabula ansata”) esibita dall’angelo al centro della composizione e singolarmente priva di iscrizioni. Il dipinto si configura, insomma, quale esempio di quei meccanismi di “transitività” tra reale e immaginario studiati magistralmente da John Shearman (Arte e spettatore nel Rinascimento italiano [1992], Milano 1995, in part. pp. 100-101 sulla pala raffaellesca), che all’inizio del Cinquecento raggiungono un grado di elaborazione molto sofisticato.
L’opera contiene un ulteriore elemento su cui si è appuntata l’attenzione degli studiosi. In prossimità della mano destra di Girolamo, si scorge un corpo celeste che precipita su un edificio. Il dettaglio è stato interpretato variamente: l'ipotesi prevalente considera il particolare come un'allusione ad un episodio che sarebbe occorso al donatore, rappresentando il meteorite caduto sulla sua casa umbra, rimasta miracolosamente illesa. Il dipinto, insomma, in questa cornice interpretativa, costituirebbe (anche) un ex-voto per lo scampato pericolo della dimora del nobiluomo di Foligno, città cui - per alcuni studiosi - alluderebbe lo scorcio urbano sullo sfondo. Proprio il fondale paesaggistico, del resto, ha da sempre catturato l’interesse degli specialisti: la pala di Santa Maria in Aracoeli, in effetti, tradisce la più significativa influenza della pittura veneta nel catalogo raffaellesco. I caseggiati riprodotti sono quelli che fanno da quinte sceniche in molti dipinti veneziani di primo Cinquecento, così come alla tipica tavolozza lagunare rimandano gli accordi cromatici scelti dall’autore. Questi tratti rappresentano comunque un’eccezione nell’ambito della produzione del maestro di Urbino e derivano presumibilmente dalla curiosità per la cultura figurativa padana importata a Roma in quegli anni da Sebastiano del Piombo e Lorenzo Lotto. Secondo Arnold Nesselrath peraltro (Raphael and Pope Julius II, in Raphael: from Urbino to Rome, cat. della mostra (Londra, National Gallery, 2004-2005), a cura di H. Chapman, T. Henry, C. Plazzotta, London 2004, p. 288), il paesaggio sarebbe stato eseguito da Dosso Dossi.
La mostra milanese, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti e allestita nella sala Alessi, sarà accompagnata da una serie di iniziative volte ad informare il pubblico a proposito delle diverse questioni qui solo accennate: visite guidate, video, una web application, tra l’altro, renderanno ampiamente fruibile il capolavoro raffaellesco, permettendo l’accesso ai suoi vari livelli di senso.
Francesco Sorce, 7/12/2013
RAFFAELLO A MILANO
La Madonna di Foligno
Milano, Palazzo Marino
Piazza della Scala, 2
dal 28 novembre 2013 al 12 gennaio 2014
Ingresso libero
Orari di apertura al pubblico
Tutti i giorni dalle ore 9.30 alle 20.00
(ultimo ingresso alle ore 19.30)
giovedì dalle ore 9.30 alle 22.30
(ultimo ingresso alle ore 22.00)
Chiusure anticipate
7 dicembre, chiusura alle ore 12.00
24 e 31 dicembre, chiusura alle ore 18.00
Aperture straordinarie
aperto i giorni 8 e 25 dicembre 2013 e 1 gennaio 2014
Informazioni al pubblico 24h/24
Numero verde gratuito 800.14.96.17
Didascalie delle immagini
Raffaello, Madonna di Foligno, 1512ca, olio su tavola trasportato su tela, 301 x 198 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, per cortesia dell'ufficio stampa della mostra