Giovanni Cardone Luglio 2021
Fino al 18 Settembre si potrà ammirare per la prima volta
la Retrospettiva del Gruppo di Piombino ideata, organizzata e promossa da Inner room Open Zona Toselli questo progetto di arte diffusa ci permetterà di conoscere meglio l’ultima ‘Avanguardia’, ovvero il Gruppo di Piombino che con la loro arte cercheranno di dare quell’input visto che questo progetto in dieci anni ha riqualificato l’area questo grazie anche al Comune di Siena, all’Ance di Siena alla Confindustria eall’ Ordine degli Architetti di Siena con questo evento si vuole festeggiare questi dieci anni . A quasi trent'anni dalla data di scioglimento del sodalizio di artisti Salvatore Falci, Stefano Fontana,
Pino Modica e Cesare Pietroiusti noto con il nome di “Gruppo di Piombino”, questa mostra ripropone alcune delle opere più rappresentative di quell'esperienza, che vide coinvolti gli artisti negli anni che vanno dal 1984 al 1992.Queste opere storiche che sonocristallizzate in una forma che rende testimonianza di una trasformazione
irripetibile e irreversibile e non più “funzionanti” e aperte all'interazione del pubblico sono raccolte all'interno spazi non ‘deputati’ dell'arte quali le aziende come CasaNova, Fusi&Fusi, Sali&Giorgi.
Ritroviamo quindi nella stessa mostra i due momenti dell'articolazione espositiva a due tempi, cara alla teoria dell'arte di Piombino. Da una parte i progetti site specific in corso d'opera, esperimenti che tendono di interagire conil pubblico che è inconsapevole in una visione estetica dell’arte, dall'altra opere che raccontano di un'interazione già avvenuta cheha definitivamente trasformato l'aspetto apparente o meno di oggetti di uso quotidiano, proiettandoli al di fuori della configurazione seriale e reindividualizzandoli. E proprio questa “non dimenticanza dell'oggetto”, questa sua mancata scomparsa dalla scena, che costituisce una delle principali caratteristiche che sembrano caratterizzare e distinguere Piombino dal movimento dell'Arte Relazionale, discorso più che mai attuale ma che sarebbe fuori luogo affrontare in questa sede. Facendo una mia ricerca storiografica e scientifica sul Gruppo di Piombino mi sono convinto che questo Gruppo sia l’ultima ‘Avanguardia’ e per questo che l’arte deve entrare in rapporto con questo mondo non può che essere un’arte capace di raccogliere e sintetizzare l’inquieta, stratificata, caotica e contraddittoria eredità delle Avanguardie e degli ultimi 150 anni di arte contemporanea. E forse anche oltre, poiché in effetti negli ultimi 150 anni, tra un’Avanguardia e l’altra non sono mancati momenti di “Ritorno all’ordine” in cui si è guardato indietro con occhi nuovi alla tradizione pittorica più antica. E anche questi momenti fanno parte del retaggio della Contemporaneità e hanno contribuito a forgiarne le forme. E questa è la linea che si è seguita in questi ultimi anni dove gli artisti devono essere in grado di recuperare e reinventare il retaggio delle grandi Avanguardie storiche, ma anche e soprattutto di sintetizzare e contaminare stili e linguaggi, trovando punti di contatto inediti e suggestivi. Il tempo delle Avanguardie è finito.
Si è aperto con l’Impressionismo e si è chiuso con la Transavanguardia. Per oltre un secolo ogni nuova generazione di artisti ha cercato di smarcarsi dalla generazione precedente proponendo una nuova, differente idea di arte contemporanea. Ora tutto questo sembra non funzionare più. Il meccanismo pare inceppato. A partire dal discorso generazionale. La prova lampante che un certo ‘meccanismo’ sia saltato balena agli occhi di tutti se si sofferma l’attenzione, senza pregiudizi, su di un fatto concreto, tangibile, facilmente riscontrabile: da molti anni ormai si è annullato un qualsiasi significativo ‘scarto generazionale’. In questo nuovo secolo e in questo nuovo millennio l’arte ha un linguaggio diverso e bisogna che l’artista e il fruitore diventino una cosa sola, ed essere nel contempo percettori di una lingua nuova,ma antica allo stesso tempo che deve essere riconoscibile ed autentica. E quello che ha fatto il Gruppo di Piombino attraverso i suoi artisti come ben dice
Domenico Nardone Critico Militante e Teorico dell’arte nel Gruppo di Piombino: “Rivedere dopo trent'anni e più, queste opere non appaiono ricoperte dalla patina del tempo, viceversa, la vitalità della spinta propulsiva che il progetto piombinese mostra ancora di poter esercitare, molto al di là della conclusione della sua esperienza storica, in barba ed a dispetto di tutto e di tutti, è qualcosa che non può fare a meno di sorprendere.Nel villaggio globale della comunicazione accelerata e diffusa, un'esperienza quasi inesistente sul mercato dell'arte, sistematicamente estromessa se non ostracizzata dal circo Barnum delle mostre organizzate e gestite dalla critica ufficiale, ignorata se non censurata dalla patinata e sedicente pubblicistica specializzata, nondimeno diviene progressivamente oggetto di un interesse crescente da parte delle nuove generazioni di storici ed artisti nel moltiplicarsi delle tesi e degli studi ad essa dedicate nelle Università e nelle Accademie di Belle Arti. Laterale, obliqua ed antagonista all'
historia oficial divulgata e propagandata ed ossessivamente strombazzata ai quattro venti dal Potere costituito in regime, prende corpo e si tramanda un'altra storia, una storia “altra” e differente, la storia sotterranea.
Dietro le quinte della scena illuminata a giorno dalle luci della critica servile, dove il Potere allestisce le sue
Fêtes Galantes, dietro lo sparato di quegli specchi di acciaio inox che restituiscono i ritratti di una borghesia ingessata ed immobile nei gesti e negli atteggiamenti che ripete e replica nel tempo, sempre identici a se stessi, di generazione in generazione, la storia sotterranea tesse ed intreccia inarrestabile il suo reticolo di relazioni e di sinapsi, germoglia e cresce, e progressivamente e con forza sempre maggiore preme contro la superficie.Mi ricordo, sì, io mi ricordo che Piombino è stata
comunità del sentire ante litteram quando nessuno ancora parlava di questo. Mi ricordo, sì, io mi ricordo del tramontare delle ideologie, del muro di Berlino smantellato pezzo per pezzo e venduto come gadget, della bandiera rossa ammainata dalle cupole del Cremlino..”. Nel continuare il mio percorso di ricerca storiografico posso dire che a metà degli anni Ottanta, più precisamente nel 1985, tre critici d’arte, che assieme ad Achille Bonito Oliva sono stati tra i lettori più attenti del panorama artistico italiano degli anni Settanta, mi riferisco a Renato Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daolio. Ad una prima veloce analisi, la mostra Anni ottanta assume un aspetto eterogeneo, i lavori degli artisti vengono catalogati, in una miriade di piccoli gruppi, categorie, etichette, che dovrebbero, secondo i curatori, fare capo ad un unico grande concetto unificatore, il postmoderno . Proprio quest’ultimocostituisce uno dei termini più ricorrenti nella critica di quegli anni, assieme agli aggettivi nuovo e magico, ai suffissi, post- e trans- ed ai neologismi transavanguardia, citazionismo, anacronismo ecc.. Per ogni termine coniato esiste un critico d’arte, per ogni gruppo esiste una mente unificatrice che si fa portatrice dei messaggi e della causa degli artisti scelti. Forse mai come nel periodo compreso tra la metà degli anni Settanta e il primo lustro degli Ottanta le figure del critico d’arte e dello storico dell’arte si avvicinano a quella del talent-scout. Il desiderio di un nuovo diverso che non sia una mera ricerca formale legata all’arte per l’arte, che non sia fredda, prettamente cerebrale ma divertita, forse impegnata, e che restituisca un ruolo di primaria importanza al pennello, induce gli artisti a far uscire dal cassetto i tubetti di colore e a proporsi nella nuova veste di pictores. Certo la pittura non ha mai smesso di essere frequentata nella seconda metà del secolo, ma la sua presenza è stata comunque legata ad una generazione formatasi negli anni ‘30, ‘40, ‘50, che ha perpetrato il proprio linguaggio fino a tarda età senza mai rinunciarvi, mi riferisco
ai vari Guttuso, Sassu, Treccani, Vedova, Guidi, Morlotti ecc., ma il lavoro svolto in occasione della mostra Anniottanta, tentava di mettere in vetrina una generazione che uscisse dall’atmosfera concettuale degli anni 60’-70’ e che nell’uso della pittura si ponesse nuovi intenti.Nel pieno degli anni Settanta, sembra riaffiorare un desiderio che già aveva caratterizzato le correnti avanguardistiche della prima metà del Novecento.
Infatti, anche se associamo al termine postmoderno il periodo degli anni Settanta e Ottanta, da un punto di vista analitico filosofico, esso trova origine e giustificazione solo prendendo in considerazione tutti gli ultimi 50 anni della nostra storia. Si può dire che il pensiero postmoderno è stato introdotto dalla traduzione dei testi dei filosofi che hanno maggiormente influenzato il postmoderno, soprattutto lo si evidenzianei due saggi ‘ Tra presenza e assenza due ipotesi per l’età postmoderna’ di Renato Barilli nel quale vi è una puntuale analisi del pensiero filosofico internazionale in Italia ha rappresentare questo sono
stati sicuramente Gianni Vattimo e Aldo Rovatti. Il pensiero debole di Vattimo e Rovatti, si presenta come il desiderio di contrapporre al pensiero cosiddetto forte, che regge gran parte dell’ultimo Nietzsche e che ha influenzato gran parte della cultura occidentale del ‘900, un pensiero diametralmente opposto che fa della debolezza un atto di forza,un pensiero già presente nella filosofia nietzschiana, ma che, calato nell’era postmoderna, assume una valenza guida. Nel cammino difficile verso il nichilismo l’uomo apprende la capacità di rompere le proprie catene con un pensiero che cerca l’autoaffermazione attraverso la negazione del pensiero precedente. Non necessariamente, spiega Vattimo, il contrapporsi alla filosofia del passato porta a soluzioni edificanti. Il pensiero debole si pone come atto conoscitivo attraverso la distruzione dell’atto forte dell’unità, attraverso il superamento dell’uno a cui si modella il conoscere, ecco il punto di forza da indebolire . Il pensiero debole sembra quasi trovare uno dei punti di maggiore ispirazione nella forza della relatività, del dubbio. Postmoderno, pensiero debole, molteplicità contrapposta ad individualità, globalità, implosione, come tutto questo può legarsi all’arte, e come l’arte ha risposto a questi stimoli.Con le teorie di Sergio Lombardo nel 1977 fu il punto di partenzaculturale del Gruppo di Piombino quando Nardone e Pietroiusti erano legati al Centro Studi della Psicologia dell’Arte “Jartrakor”, volendo superare la fase stanca e di declino della ricerca pura, in quegli anni, ha inteso restituire centralità alla sperimentazione. Ha puntato a cogliere tra gli spettatori esperienze imprevedibili, quindi eventuali. L’evento è diventato, così, elemento primario nella realizzazione dell’intero processo artistico. L’opera, nella sua fisicità, ha perso qualsiasi valore, senza la sua complementare unità: il fruitore. Il Gruppo di Piombino, pur collocandosi in una posizione di continuità con le
teorie del centro “Jartrakor”, è andato oltre. Mentre gli artisti eventuali operavano in un luogo deputato all'arte, ristretto e chiuso, quasi un laboratorio, i piombinesi trasferivano il loro lavoro all'aperto in un vero e proprio spazio pubblico. Mentre nel primo caso lo stimolo era già noto agli spettatori e perdeva pertanto la sua efficacia, nel secondo non doveva essere dichiarato a priori, ma doveva agire senza che il pubblico ne avesse la consapevolezza. Anche l’obiettivo dei piombinesi corrispondeva a quello dell’ Enventualismo che dice : “Che l’arte è un campione rappresentativo, o un modello rappresentativo dei più caratteristici valori di una cultura. L’arte varia al variare di questi valori. Lo scopo dell’arte è proprio quello di esprimere dei valori latenti che tentano di affermarsi caratterizzando una cultura storica. Quello che rende arte un oggetto è dunque il fatto che quell’oggetto è stato scelto a rappresentare certi valori, o sistemi di valori, che non erano mai stati rappresentati prima nella storia e che sono ritenuti una novità, o che comunque sono ritenuti caratterizzanti per una cultura nascente, che si vuole affermare nella storia dell’umanità e che vuole, attraverso la rappresentazione di quei valori nuovi, costruirsi un’identità storica originale. Ciò vale anche se questi valori nuovi che si vogliono affermare sono valori anacronistici. La cultura che si riconosce nei valori anacronistici, infatti, si vuole affermare nella storia come un’idealizzazione di valori del passato. E’ chiaro che questa idealizzazione non può ripetere il passato, ma rappresenta il punto di vista di una cultura attualmente emergente, che idealizza il passato e che perciò rifiuta la direzione verso la quale è orientato il progresso.Ciò che confuta con maggiore evidenza le teorie statiche dell’arte, quelle che ritengono sia l’arte ovvero incommensurabile ed eterna e senza progresso, ma orientata verso eterni e immutabili valori umani, perciò apprezzabile secondo il metodo del tutto o nulla, se è arte, allora è incommensurabile edeterna, altrimenti non è arte è proprio il fatto che, per quanto si vogliano perseguire valorianacronistici, l’arte è sempre databile storicamente.
L’incommensurabilità semmai è dovuta alladiversità e originalità degli scopi delle diverse culture storiche. Se gli scopi culturalmente condivisisono raggiunti, gli oggetti che rappresentano storicamente questo raggiungimento sono arte, quelliche continuano a raggiungere gli stessi scopi già storicamente rappresentati, magari perfezionandolitecnicamente, sono oggetti di artigianato. Gli oggetti di artigianato sono utili, ma non sono modellirappresentativi dei nuovi valori che generano una nuova cultura storica. Cambiare era il centro d’azione e d’uso e ciò che contava, per loro, era sempre il processo innescato da uno stimolo proposto a spettatori inconsapevoli”. Stefano Fontana in ‘Oggetti Smarriti’ del 1987 racconta con la sua opera che: In una piccola cittadina della Toscana, caratterizzata da un notevole flusso turistico, l'artista ha disseminato “a random” circa 500 rettangolini di legno di diverso colore. Tutti i rettangolini recavano sulla faccia posteriore una piccola piastra magnetica. Nella piazza principale punto di passaggio obbligato dell'itinerario turistico era stata collocata in bella vista una lavagna metallica
. Sui muri della cittadina erano inoltre stati affissi dei manifesti che raffiguravano alcuni rettangolini sormontati dalla scritta “Oggetti Smarriti”. Connettendo tra loro gli elementi descritti, i turisti hanno preso ad attaccare sulla lavagna i rettangolini che casualmente avevano trovato. Ogni ora circa, senza farsi notare, l'artista sostituiva la lavagna con una nuova. Dal momento che questa operazione ha avuto il corso di una intera giornata, ne sono risultate dieci configurazioni successive rese stabili dall'artista. I rettangolini, i manifesti e la lavagna fondano un sistema di possibilità virtuali praticamente infinite entro cui l'opera può essere realizzata. Allo stesso tempo questi elementi definiscono i termini di una situazione-problema che l'artista introduce, in maniera inapparente e non esplicita,
nel clichè di una visita turistica. La realizzazione dell'opera scaturisce dal rovesciamento di un comportamento largamente codificato. Essa va infatti a compimento solo se, da una pratica di appropriazione ed eventuale restituzione dietro ricompensa, la situazione creata dall'artista riesce ad ottenere una condotta di restituzione gratuita. Nel dettaglio, è probabilmente il piacere estetico nel comporre delle forme multicolori sulla lavagna a consentire il superamento dell'interesse pratico di appropriazione. Ed è proprio questa emancipazione del comportamento indotto dal principio di utilità che regola la vita
quotidiana che la realizzazione dell'opera assume a suo necessario presupposto a costituire il senso ultimo di questo lavoro di Stefano Fontana. Nel 1991 Stefano Fontana realizzò l'operazione Fatanon. L'idea era quella di simulare la campagna pubblicitaria di lancio di una inesistente linea di prodotti cosmetici, chiamata appunto Fatanon. L'artista mise a punto alcuni dispenser che mettevano a disposizione del pubblico i prodotti cosmetici e invitavano a provarli su delle teste e delle mani di gesso in essi inserite. Questi dispenser, affiancati da un manifesto che riproduceva la testa di manichino sottesa dalla scritta "Fatanon" in caratteri cubitali, furono istallati nei reparti di profumeria di alcuni supermercati. Dopo un certo periodo di tempo, Fontana ritirò i dispenser e li espose in una galleria con le tracce di smalti, rossetti, etc. che le prove del pubblico avevano lasciato sulle teste e le mani di gesso. L'elemento incongruo, inserito nel contesto di un'apparentemente normale campagna pubblicitaria, era senz'altro rappresentato dalle teste di gesso che sormontavano i dispenser e che richiamavano piuttosto la fisionomia dell'extraterrestre del film di Spielberg. Oltre a ciò. come forse già notato, il nome dell'inesistente marca di cosmetici celava l'anagramma del cognome dell'artista.Questa operazione catturava l'espressività involontaria presente nel modo in cui ognuno aveva provato i prodotti sulle teste, generando una scultura involontaria collettiva, secondo una dinamica paragonabile a quella del
cadavre esquis surrealista.
Le strategie di contrasto, messe a punto dal movimento subliminale diffuso nei confronti delle affissioni pubblicitarie, assumono spesso la forma dell'attacco diretto. Molte delle etichette adesive prodotte - la già citata ‘Nonè vero, tuttoilcontrarioè vero, inutile, vergogna’, etc. - possono tranquillamente essere giustapposte ai messaggi pubblicitari stigmatizzandone il contenuto.Una soluzione più radicale sembra tuttavia quella proposta dalla disordinazione
Pubblicità legale. Nell’ opera ‘Pavimenti 1987’ : “La prima operazione di Salvatore Falci consisteva in una serie di lastre di vetro, uniformemente ricoperte da uno strato di tempera nera, che venivano sovrapposte ad alcuni tavoli all’interno di spazi pubblici (pub, sale d’aspetto, aule di scuola, ecc.). Le lastre raccoglievano i segni che la gente lasciava su di esse a graffito. Falci le esponeva quindi ribaltate, sottolineando così il proprio interesse per l’aspetto grafico, piuttosto che per quello semantico, delle produzioni registrate. L’evoluzione successiva del suo lavoro ha ulteriormente precisato questo orientamento. Egli ha infatti messo a punto delle superfici che gli consentono di raccogliere – cristallizzandoli nella fissità della scrittura- i segni che le nostre azioni consuetamente lasciano nel pavimento” scrive Domenico Nardone che prosegue “Tanto nel caso dei tavoli che in quello dei pavimenti che accentuano il carattere involontario del fenomeno preso in esamel’operazione di Falci porta alla luce, nel contesto delle azioni che maggiormente riteniamo svolgersi sempre uguali a se stesse, differenze,
a volte macroscopiche, che possono essere ricondotte a specifici situazionali o ambientali”. Nota inoltre Nardone che l’aspetto che Falci sembra maggiormente condividere con i suoi allora compagni di strada, Stefano Fontana, Pino Modica e Cesare Pietroiusti, è quello del coinvolgimento del pubblico nel processo di produzione dell’opera. Pubblico come autore. “Le superfici di Falci rilevano le tracce di un fenomeno tra i più involontari e automatici immaginabili, quale quello rappresentato dalle azioni che normalmente si svolgono sul pavimento. Eppure le vistose differenze di grafia e di colorazione che emergono nel raffronto tra il pavimento di un ambiente e quello di un altro, stabilendo un nesso di relazione tra la tipologia delle azioni e le caratteristiche proprie dell’ambiente e delle situazione in cui hanno luogo, ne rivelano la non casualità” (Nardone).
La rilevazione è diventata rivelazione. (Laura Cherubini). Mentre Domenico Nardone dice su l’opera di Pino Modica : L’artista come “detective universale”, come lo definisce Renato Barilli, il contesto dell’intervento come “luogo del crimine”: questo l’approdo cui giunge Pino Modica in questa ultima fase dell’esperienza piombinese. Lo dimostra l’opera presentata alla galleria
Alice in occasione della mostra
Storie le lastre di vetro del bancone di un bar, retroilluminate, evidenziano le sagome degli oggetti che vi sono stati poggiati.La metafora dell’indagine poliziesca è calzante, e supportata dalle parole dell’autore l’oggetto ha bisogno di un
alibi per inserirsi nella realtà del quotidiano, per non essere riconosciuto come straniante; l’artista agisce come
detective che circoscrive e analizza gli indizi; le sagome degli oggetti e le impronte prese sul ‘luogo del delitto’ sono appunto gli
indizi, portatori di un’istanza di relazione, di un rapporto instaurato tra l’individuo, l’oggetto, lo spazio, frammenti di un’esperienza quotidiana, di un vivere il
delitto, infine, è quello operato dall’oggetto rispetto alla percezione dell’ignaro avventore, tratto in inganno,
autore preterintenzionale, complice suo malgrado dell’artista nella sua delittuosa soppressionetrasformazione degli aspetti ripetitivi dell’esperienza quotidiana.La ricerca di Modica scandaglia l’interazione tra individuo e macchina come avviene in
Labyrinth, Biliardino e Flipper e quella sulle Prove materiali. Infine Cesare Pietroiusti le sue opere : Sono riproduzioni ingigantite di piccoli comportamenti, azioni minuscole ed insignificanti di persone qualunque su oggetti qualunque. Quei lavori avevano alcune caratteristiche tipiche degli anni ottanta, perché grandi, costosi e curati nei particolari (e spesso apprezzati dai collezionisti…).La mia risposta alla ideologia “spontaneista” degli artisti neo-espressionisti era iniziata anche prima, a partire dal 1982 quell’anno pubblicai sulla “Rivista di Psicologia dell’Arte” un testo dal titolo Funzionalità ed estetica dello scarabocchio, dove era già esplicita una critica alla pittura anni ’80 e alla Transavanguardia. Forse si potrebbe dire che la mia era una reinterpretazione della critica che Sergio Lombardo aveva mosso, nei primi anni ’60, nei confronti dell’Action Painting. Questo progetto ‘Remedy’ nasce: “ dice il coordinamento inner room Open Zona Toselli ,per dare nuova vita attraverso la lettura dei luoghi, con una serie di installazioni artistiche, trasforma viale Toselli e stimolano l’indotto sociale, economico, culturale, tanto più se sostenute dai nuovi progetti comunali di mobilità e di riorganizzazione territoriale che stanno convergendo su questa parte della città”.Il ciclo
‘Remedy’ prevede un programma di mostre e performance personali dei membri del ‘Gruppo di Piombino’ e concerti in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana nelle aziende della Zona Artigianale di Siena.
15 luglio 2021, Stefano Fontana – Short Paper Message
‘Carrefour’ - Ateneo della Danza, Piazza Maestri del Lavoro
La Sosta dell’Artigiano – Via Dell’Artigianato,13
L’Officina, Via Guccio di Mannaia, 7
Gaston Intimo Chic, Viale Toselli 114Siena
28 Luglio 2021, Pino Modica – Opere Recenti
Sali&Giorgi – CasaNova - Gaston Intimo Chic,
Viale Toselli,92 – 25 - 114
Fusi&Fusi, Via Guccio di Mannaia, 15Siena
18 Agosto 2021, Salvatore Falci – In Hoc SignoVinces
Esterni del Villaggio ArtigianaleSiena
16 Settembre 2021, Cesare Pietroiusti – Comunione
(performance in atto unico)
Sede Confartigianato, Viale dell’Artigianato, 2Siena
15 luglio, 28 luglio, in collaborazione con Chigiana International Festival&Summer Academy, concerti degli allievi chigiani
San Marco Autocarrozzeria Via dell’Artigianato 4
Fusi&Fusi, Via Guccio di Mannaia, 15Siena