Illustre storico dell’architettura contemporanea,
Giorgio Muratore (1946-2017) amava come pochi la città di Roma e la complessità della sua “stratificazione” meritevole di grande rispetto, ma soprattutto grande cautela quando si devono affrontare problemi di restauro e recupero di edifici moderni e contemporanei (molti dei quali attualmente in grave degrado), e non stravolgerli con progetti stravaganti e di effetto, realizzati da architetti capricciosi e protagonisti, acclamati dalla stampa conformista, modaiola, provinciale che costano enormi risorse economiche alla comunità. Di questo era convinto
Giorgio Muratore che coraggiosamente queste cose non le mandava a dire, lui che è stato membro del
Consiglio del DECOMO, l’associazione che dalla fine degli anni Novanta si batte per la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni e per la valorizzazione degli stessi. Ha dichiarato lo studioso, non molto tempo fa, “
Mi occupo ormai da diverso tempo di restauro del moderno e del contemporaneo e in tutto questo ho visto davvero poche cose andare a buon fine”. Un raro esempio virtuoso è stato invece il recupero della
Centrale di Montemartini con la sua valorizzazione di prestigioso materiale archeologico. Viceversa ha condannato vivamente la realizzazione del
MAXXI, “
corpo estraneo” ed “
espressione di provincialismo e arroganza che diede vita al mastodontico progetto”, ha detto senza mezzi termini
Muratore, aggiungendo che il recupero di quella porzione della
caserma di via Guido Reni sarebbe costato meno di un decimo dell’opera di
Zaha Modid (personalmente ho sempre condiviso queste parole dello storico architetto, e tuttora considero il
MAXXI “
un non luogo”, secondo la felice espressione dell’antropologo francese
Marc Augé, un “posto senza qualità” che si vanta di essere polifunzionale e che invece è un’inutile e sterile duplicazione delle funzioni dell’arte contemporanea, già egregiamente esercitata dalla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e dal
MACRO di Roma. Stesso discorso, per cui valgono le stesse considerazioni, riguarda l’ingombrante offensivo contenitore della “Ara Pacis”, definito dal nostro
Giorgio Muratore “
un monumento del malessere”, realizzato da
Richard Meier, distruggendo la storica teca di
Cesare Morpurgo (1890-1966) che era in armonia con il razionalismo della
Piazza Augusto Imperatore. E qui ho citato solo gli esempi più vistosi delle ferite inferte all’equilibrio del passato tessuto urbano antico e moderno preesistente della città di Roma.
* * *
E ora un ricordo personale, e qualche aspetto poco noto non ancora riportato nelle sue biografie, diffuse recentemente in articoli dopo la sua prematura scomparsa. Ho avuto l’onore e il privilegio di aver conosciuto
l’architetto Muratore quando ancora prestavo servizio alla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, verso la metà degli anni Novanta. Non fu un incontro ufficiale, bensì una conoscenza occasionale e cordiale, al “
Caffè delle Arti” della
Galleria, durante una pausa, lui dalla vicina
Facoltà di Architettura dove insegnava, quale ordinario di “
Storia dell’architettura contemporanea” presso la
Facoltà di Architettura “Valle Giulia”, io dal mio ufficio nel museo. E da questo incontro quasi amicale
(Muratore amava ovviamente l’arte moderna e contemporanea) nacque un nostro positivo sodalizio, anzi due; il primo fu quello nel quale
Muratore aderì prontamente al Comitato che si formò da parte di un ristretto gruppo di funzionari del museo, compreso il sottoscritto, che incluse i nomi di altri numerosi noti architetti romani (cfr.
Costanzo Costantini,
La Galleria della discordia.
Polemiche roventi per la demolizione dell’ala Cosenza, “Il Messaggero”, 13 gennaio 2004), per iniziativa del figlio del famoso
Luigi Cosenza (1905-1984),
Giancarlo, anche lui architetto, per tutelare l’ampliamento razionalista realizzato sul terreno di circa 6.000 mq. retrostante l’edificio di
Cesare Bazzani (1873-1939), sede attuale della
Galleria, il cui progetto già precedentemente affidato a
Walter Gropius (1883-1969) da
Palma Bucarelli (1910-1998), sostenuta da
Giulio Carlo Argan (1909-1992) negli anni Sessanta. Successivamente, dopo la scomparsa di
Gropius, l’incarico fu riproposto all’ingegnere
Luigi Cosenza negli anni Settanta, che però non riuscì a potarlo a compimento, morendo nel 1984. Il completamento del suo progetto avvenne quattro anni dopo ad opera del figlio
Giancarlo e dell’architetto
Costantino Dardi (1936-1991) (cfr. cat.
Luigi Cosenza,
l’Ampliamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1988). Da questa data
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, fino a 1993, nell’Ampliamento
Cosenza si tennero prestigiose mostre di arte contemporanea:
Perilli, Novelli,
Dubuffet, la famosa
Collezione Sonnabend, e l’arte giapponese contemporanea, come
L’Art prend l’air, e la retrospettiva di
Shu Takahashi. 30 anni a Roma. Dalla metà degli anni Novanta, purtroppo,
il Padiglione Cosenza, per motivi che non è qui il caso di riferire, cominciò ad essere abbandonato, adibito a deposito di materiali, e fatalmente in progressivo degrado. Fu quindi indetto un concorso internazionale 1998-2000 per il suo recupero, ne risultò prescelto un folle e dispendioso progetto che prevedeva niente di meno che l’abbattimento dell’unico esempio di architettura razionalista presente a Roma per l’arte contemporanea; si pensi al grave impatto ambientale che l’eventuale eliminazione avrebbe provocato nel cuore di
Villa Borghese, per far sorgere un incongruo e anonimo corpo di fabbrica, con facciata a vetro su via Gramsci, e per di più addossato senza alcun riguardo della distanza (cfr. foto) all’eclettico stile dell’edificio del
Bazzani del 1911! Per una forma di correttezza professionale, preferisco non fare il nome di coloro che lo volevano, né del noto studio svizzero di architettura, che si era aggiudicato il concorso per la riqualificazione, e sottolineo la parola “riqualificazione”, che invece nel progetto risultava essere la vera e propria cancellazione del documento di arte razionalista del Cosenza.
La battaglia fu vinta e il
Padiglione Cosenza fu salvo, anche se da allora è ancora in attesa di adeguato restauro.
Il secondo impegno di
Giorgio Muratore che ha volentieri e con entusiasmo ha aderito quale socio fondatore alla
“Associazione Amici di Giorgio de Chirico”, nata per nostra volontà nel gennaio 2013, che conta oltre cento illustri soci e giovani studiosi, e che ha come fine la promozione e il sostegno di un museo monografico a Roma dedicato a
Giorgio de Chirico. Non solo, ma l’architetto Muratore era anche membro del nostro Comitato esecutivo, in qualità di Consigliere; molto affabile, garbatamente ironico, in
Giorgio Muratore nulla lasciava trasparire del male che lo affliggeva, e non mancava quasi mai alle periodiche riunioni che si tengono nella nostra sede, presso lo
Studio Legale Avvocato Laura Cappello, insieme ad un altro illustre amico e socio fondatore, il noto architetto
Franco Purini. Devo aggiungere che lo scorso anno
Muratore partecipò, quale relatore al “
Terzo Convegno Annuale” della nostra Associazione, presso il
Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, dove tenne una vera e propria ed interessantissima
lectio magistralis su “De Chirico e l’architettura”, di cui fortunatamente abbiamo la videoregistrazione.
Ci mancherà molto
Giorgio Muratore e mancherà molto soprattutto alla città di Roma.
di
Mario URSINO Roma 15 / 3 / 2017