Giovanni Cardone
Fino al 17 Luglio 2022 si potrà ammirare al Museo Civico Archeologico di Bologna la mostra Lucio Dalla . Anche se passa il tempo a cura di Alessandro Nicosia. Promossa dal Comune di Bologna con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, è ideata e organizzata dalla società C.O.R. Creare Organizzare Realizzare di Roma. Grazie alla Fondazione Lucio Dalla che si potuto ideare la mostra perché è frutto di una lunga ricerca di materiali, molti dei quali esposti per la prima volta, che documentano l’intero percorso umano e artistico di uno dei più amati artisti italiani e internazionali che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, dello spettacolo e della cultura. La mostra è sostenuta da RAI, Cinecittà Luce, Special Partner Lavoropiù, si ringraziano Gruppo Hera, Banca di Bologna e Confcommercio Ascom Bologna, con la collaborazione di Universal Music Publishing Group, Bologna Welcome, SIAE Società Italiana degli Autori ed Editori, Skira Editore, Fondazione Teatro Comunale di Bologna e Ticketone. Sponsor tecnico BIG Broker Insurance Group – CiaccioArte. Come afferma il Sindaco di Bologna Matteo Lepore : "Quello tra Lucio Dalla e Bologna è un legame indissolubile e straordinario che traspare dalle sue canzoni e nel ricordo personale che molti bolognesi conservano di lui. A 10 anni dalla sua scomparsa, Bologna Città creativa della musica Unesco vuole celebrare la sua musica, le sue canzoni, il suo genio, attraverso una grande mostra. Voluta dalla Fondazione Lucio Dalla, con il sostegno del Comune di Bologna, al Museo Archeologico sarà possibile rivivere emozioni e ricordi e scoprire aspetti inediti di Lucio, che tanto ha amato Bologna e che da Bologna è fortemente ricambiato. Ne sono prova, a distanza di dieci anni, le continue dimostrazioni di affetto e di riconoscimento della città e dall’Italia tutta, per un autore che ha rappresentato una delle più alte espressioni popolari della nostra cultura." Mentre Stefano Bonaccini Presidente della Regione Emilia-Romagna: "Dedicare una mostra a Lucio Dalla è qualcosa di più che un semplice tributo. Abbiamo tutti una canzone di Lucio nel cuore. I suoi brani, la sua poetica, hanno accompagnato come una colonna sonora la nostra vita e quella di generazioni di italiani. È una prerogativa solo dei grandi artisti, quella di riuscire a essere così empatici, capaci di interpretare con le parole e la melodia di una canzone anche il nostro vissuto e i nostri stati d’animo. Per questo ho trovato subito veramente interessante l’idea di una mostra evento dedicata a questo nostro grande artista a dieci anni dalla sua scomparsa e a ottanta dalla nascita. Un’occasione per ripercorrere la sua produzione di cantante e compositore ma anche la dimensione umana, privata, così ironica e straripante. Lucio non è stato solo un grande musicista, ma anche un artista poliedrico che fu attore cinematografico, scrittore, regista teatrale, amante dello sport, appassionato di motori. In breve, un autore capace di interpretare l’anima e la storia del nostro Paese. Ringrazio dunque la Fondazione Lucio Dalla e l’azienda COR per averci offerto l’opportunità di questa mostra, per poi portare nuovamente, dopo Bologna, Lucio in tour a Roma, Milano, Napoli prima che all’estero". Sottolinea Andrea Faccani, Presidente Fondazione Lucio Dalla: “Lo scopo per cui abbiamo dato vita alla Fondazione Lucio Dalla, nel 2014, è quello di mantenere viva la memoria di Lucio e di raccontarne la storia. Ciò diviene ancora più importante e significativo nel biennio in cui ricorre il decennale della sua scomparsa e l’ottantesimo anniversario dalla nascita. Vorremmo che in questi due anni il ricordo di Lucio fosse corale, partecipato e diffuso. Che la memoria di questo grande artista e di questo incredibile uomo attraversasse come un brivido di emozione tutto il nostro Paese, per poi andare oltre, lontano e portare il ricordo di Lucio in giro per il mondo come quando io lo accompagnavo ai concerti. Sono tante le iniziative che Fondazione Lucio Dalla realizzerà e promuoverà, tanti coloro che saranno al fianco della Fondazione nel nome di Lucio e che ringraziamo per le idee, per l’omaggio, per l’entusiasmo con cui stiamo condividendo e condivideremo il ricordo di Lucio, da Bologna fino a Sorrento. Tra queste senz’altro la prima grande mostra dedicata a Lucio Dalla sarà centrale e rappresenta per Fondazione Lucio Dalla un nuovo capitolo nella narrazione dedicata all’artista. La grande esposizione “Lucio Dalla. Anche se il tempo passa” è un racconto emozionato ed emozionante dell’uomo e dell’artista che da Bologna partirà e attraverserà l’Italia offrendo l’opportunità di un incontro davvero speciale con Lucio”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Lucio Dalla apro il saggio dicendo : Proprio in rapporto a questo corrispondenza emotiva con l'immagine poetica si è dato spazio, in questa analisi, solo alla cosiddetta musica d'autore, opera di cantautori e bandautori, in cui gli esecutori sono anche gli autori delle parole, tranne qualche rara eccezione opportunamente segnalata di volta in volta e in cui si concentrano “le tre componenti genetiche della canzone”: parola, musica e interpretazione . Certamente Bologna è città natale o patria d'elezione di numerosi cantautori famosi, tanto da far parlare di una vera e propria scuola mai però ufficialmente riconosciuta dai musicologi. Prova ne siano le numerosi collaborazioni tra gli autori, da Dalla e Guccini in Aemilia , all'inno per i rosso-blu Le tue ali Bologna di Mingardi, Carboni, Dalla e Morandi, fino all'ultimo disco di Andrea Mingardi, Ciao Ragaz, del 2000, che ospita duetti con Gianni Morandi, Lucio Dalla, Francesco Guccini, Luca Carboni, Samuele Bersani, Paolo Belli dei Ladri di Biciclette , Gaetano Curreri degli Stadio, i Lunapop, Ivano Marescotti, Paolo Mengoli, Gianni Fantoni. Se a questi nomi aggiungiamo Jimmy Villotti, Biagio Antonacci, Laura Pausini, gli Skiantos, Angela Baraldi e Federico Poggipollini abbiamo praticamente creato la mappa della musica d'autore della città. Città che, secondo Gianluca Morozzi, “è un po' come una spugna: dopo lustri e lustri di chitarristi improvvisati, alle prese con certe canzoni, quelle parole e quelle melodie hanno finito per bagnare le pietre. E i portici. E le tegole. E i monumenti. E le grate sui vecchi canali. E le grondaie gocciolanti. E i frigoriferi scrostati negli appartamenti dei fuorisede. E i resti etruschi sotto le strade” . Se ci spostiamo di qualche chilometro, lungo la via Emilia o a poca distanza, troviamo anche Vasco Rossi, Zucchero Fornaciari, i Nomadi, l'Equipe '84, i Modena City Ramblers e Luciano Ligabue, solo per citare i più noti. Il che giustifica l'ipotesi di un'emilianità, prima che di una bolognesità, della canzone d'autore, legata a “quella civiltà emiliana che si specchia nelle canzoni, le invera e fornisce loro colori e timbri. Non fosse altro che per quella scrittura grassa, carnale, spesso immaginifica. Legata ad una sorta di edonismo che condiziona anche i contenuti, colorando i testi più tormentati, consentendo di rado che la melanconia degeneri in desolazione, lo sgomento in disperazione totale. E dilagando anche nel canto, illuminando la vocalità, coinvolgendo in sé il fraseggio. Così, tra Nilla Pizza, Milva e Gianni Morandi, tra Oscar e Luca Carboni, e ancora tra i Casadei e Dino Sarti corre la stessa pronuncia rotonda, un'identica sensualità, un'analoga generosità di risonanze: e le stesse doti si ritrovano nel rock emiliano di Vasco Rossi e Luciano Ligabue, nel soul di Mingardi e Zucchero o nello stile di gruppi come i Nomadi e gli Stadio” . Lo stesso concetto è ripreso da Gianni Morandi quando sostiene che “oggi la pronuncia bolognese è diventata un'inflessione, una maniera di cantare, una componente musicale, un allargarsi delle note in un certo modo, che io sento in Dalla, in Guccini, in Bersani e Carboni, e anche nello stesso Vasco Rossi”. Non possiamo qui riportare tutte le biografie di questi autori, per le quali si rimanda alla ricca bibliografia esistente , già note ai più e scarsamente utili per la nostra indagine. Ma ci soffermeremo maggiormente su altri cantautori meno noti, legati a quel filone della musica in dialetto bolognese che ha saputo raggiungere vette piuttosto elevate. Malgrado vari esperimenti fatti nei secoli precedenti, si può dire che la canzone dialettale bolognese sia nata nel 1882, con la prima uscita di Carlo Musi  L êra Fasôl. Nel 1918 il poeta e scrittore dialettale Luigi Longhi pubblica una raccolta di canzoni intitolata “Bologna canta” e nel 1926 organizza il primo concorso della canzone bolognese, che vede però solo tre edizioni, fino al 1929, quando viene osteggiato dal fascismo. Bisogna aspettare il dopoguerra per vedere una rinascita della canzone bolognese, con Adrianén al secolo Adriano Ungarelli il primo a vedere i propri dischi nei juke box. Interprete di tantissime canzoni di Musi e anche di molte altre, è ricordato soprattutto per Bèla Bulåggna (Äl tajadèl), “inno alla bolognesità ridanciana tipica di un’epoca in cui tutti volevano recuperare il tempo perduto sotto le bombe e ricominciare a vivere e divertirsi” . Altri protagonisti sono Aldo Varini , con le sue canzoni alcune straboccanti di allegria (Un òmen stranpalè, Sprucajén, Cum am agrîva) e altre piene di nostalgia per la vecchia Bologna di cui già allora si notava lo sbiadire (Chèra Bulåggna) e Quinto Ferrari , autore di più di trenta canzoni, fra le quali spiccano La madunénna dal Båurg San Pîr, che racconta la storia della madonnina contesa fra le poverissime ma litigiosissime strade di Borgo S. Pietro e del Pratello, e A pî a se sguâza, una canzone antiautomobilistica scritta molto prima della chiusura del centro alle macchine. Ferrari peraltro comincia ad eseguire i propri testi soltanto da pensionato, avendo preferito in precedenza affidarli alla raffinata voce di chansonnier di Mario Medici, detto Marién , buon suonatore della chitarra bolognese, a cinque corde, e divulgatore della canzone La râza bulgnaisa testo di Fernando Panigoni, secondo inno alla bolognesità dopo Bèla Bulåggna ma più autoironico e scanzonato, nonché autore della celebre La Piazôla, che vedremo. Il più importante dei cantanti dialettali bolognesi odierni è Fausto Carpani, scoperto dal Festival della canzone bolognese del 1988, ideato da Aldo Jani del Club Diapason. “Figlio del rinnovamento della musica bolognese operato da Quinto Ferrari, Fausto ne ha portato avanti la bandiera, diventando il menestrello di Bologna, il cantante della memoria, della magia di certi momenti irripetibili, ma anche della storia cittadina collettiva, con riferimenti al Due Agosto, al passaggio di San Francesco, alla storia di tanti secoli raccontata in bolognese, in italiano, o con alternanza fra i due. Nelle sue canzoni si trova anche della critica sociale e antimilitarista, e poi è diventata famosa la sua galleria di personaggi della storia minore, tutti esistiti o ancora in vita. Insieme, questi personaggi contribuiscono a fare di Bologna un posto speciale, rappresentato al meglio proprio dall’arte di Fausto” . Nel 1989 si è formato il gruppo musicale scherzosamente detto “I Bagiàn” , col preciso scopo di proseguire e rinnovare la tradizione del dialetto bolognese in musica, ricordando mestieri antichi, luoghi cittadini, pagine di storia minore ma anche personaggi di fantasia e non, legati al classico tipo petroniano (il bricoleur, il postino, i falegnami, i venditori ambulanti ecc.). Hanno in repertorio anche una decina di canzoni di Carlo Musi, alcune canzoni di Quinto Ferrari e testi di Carpani dal sapore antico sulla storia della città, impreziositi dall’accompagnamento di Stefano Zuffi con strumenti come la ghironda, la mandola o il violino. Un personaggio noto della canzone bolognese è anche il recentemente scomparso Dino Sarti, chansonnier e showman, artista di night-club e cabaret, autore di cover in bolognese di autori francesi. Ha legato il suo nome a numerose edizioni della fiera di San Lazzaro di Savena e ai suoi celebri concerti di Ferragosto in piazza Maggiore, organizzati dal sindaco Renato Zangheri quando l'Italia si trovava nel pieno degli anni di piombo, cui assistettero decine di migliaia di spettatori. Interessante il discorso commemorativo del consigliere comunale Emilio Lonardo: “Come le torri e le vecchie osterie, come i tortellini fatti a mano, come il dialetto arguto e apparentemente grossolano di questa città, che lui ha fatto scoprire o riscoprire a tanti, Dino Sarti rappresenta un'icona della Bologna popolare, quella che ride e si diverte con poco, che ripudia l'amore raffinato ed intellettuale, e in cui uomini e donne mascherano i sentimenti più profondi dietro i doppi sensi e le battute adatte a strappare facili risate. Questa Bologna, apparentemente 'grassa' più che 'dotta', è la Bologna delle sue prime canzoni di successo, quella che Dino Sarti ha saputo interpretare meglio di chiunque altro.” Un'ultima segnalazione, per completare questa breve panoramica sulla canzone dialettale bolognese, è per il gruppo heavy metal “Malnàtt” (cioè “Sporco”), che ha prodotto due CD con testi in dialetto: Perle Per Porci e Carmina Pagana, pubblicato da un editore austriaco in bolognese e inglese. Da questi grandi autori e cantautori ci fu il più geniale di tutti Lucio Dalla che in primo momento ebbe una lunga collaborazione con il poeta Roberto Roversi. Mentre dalla collaborazione tra Roberto Roversi, Pier Paolo Pasolini e Francesco Leonetti nacque nel 1955 la rivista letteraria Officina. Di essa vennero stampate due serie, una prima comprendeva dodici numeri stampati dal 1955 al 1958 e una seconda che terminò dopo solo due numeri, nel 1959. L'amministrazione e il finanziamento della prima serie venne affidato alla Libreria Palmaverde di Bologna, libreria di proprietà di Roversi. La rivista Officina volle principalmente effettuare una revisione della tradizione ermetico-novecentesca attraverso una massiccia polemica contro il novecentismo e il neorealismo.  I suoi redattori, credendo fortemente all’idea che la cultura è una forza motrice che porta la società a rinnovarsi, si impegnarono nella ricerca di una definizione nuova della poesia. Per cogliere la sostanza della produzione letteraria di Roberto Roversi e pertanto, riuscire a comprendere il motivo per cui le sue opere rappresentano un modello per condurre un'analisi critico-ricostruttiva della tensione intellettuale del periodo, non si devono dimenticare i processi di destrutturazione e ristrutturazione che hanno attraversato l'Italia proprio negli anni in cui il poeta partecipava all'esperienza di Officina. È proprio in questo periodo, infatti, che Roversi mette a punto il suo apprendistato teorico e culturale, ideale e letterario. Un’analisi complessiva di questa fase ci aiuterà a mettere in luce i ritardi oggettivi che hanno interessato l'intellettualità italiana e che hanno determinato non poche conseguenze negli anni immediatamente successivi, Sessanta e Settanta, epoca della rinnovata autonomia «post-tecnologica», della neoavanguardia e del radicalismo politico-culturale. Tali conseguenze hanno naturalmente avuto un riflesso nelle produzioni di Roversi per il cantante Lucio Dalla . Le produzioni artistiche dei primi anni Sessanta e Settanta non possono essere comprese senza l’esame del dibattito più ampio che si è sviluppato intorno alla condizione sociale dell'intellettuale e al marxismo, nel contesto delle trasformazioni che accadevano nella società italiana. Da parte della neoavanguardia c'era la tendenza a formare una strategia comunicativa specifica: invece di conoscere criticamente la crisi dell'egemonia marxista e la passività delle ideologie tradizionali nella cultura italiana si voleva denunciare e condannare senza affrontare le radici del nuovo presente. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l'Italia si trovava in una fase di passaggio e cambiamento, una fase di dopoguerra dove si formarono delle pratiche economiche riformistiche tipiche del neocapitalismo e del periodo per-industriale. Negli anni Sessanta, il movimento letterario Gruppo del 1963 era visto come il gruppo rappresentativo dei cambiamenti che avvenivano in Italia: l'avvio del neo-capitalismo e la politica del centro-sinistra, i cambiamenti del sistema culturale italiano, lo sviluppo complesso della democrazia e fenomeni di crisi e paralisi della dialettica italiana. Nel loro modo di scrivere si può notare che anch’essi avevano la tendenza solo ad indicare oggettivamente i fenomeni anzidetti, senza farne un'apologetica descrizione. Si mostravano passivi nei loro confronti eludendo le problematiche e i nodi ossia tutti i tormenti che appartengono al periodo del dopoguerra senza però fare troppa fatica. La neoavanguardia poco tollerava i tormenti che Officina cercava di descrivere, infatti era una testimonianza del passaggio verso la modernità e del panorama culturale degli anni Cinquanta: la rivista era in grado di tradurre il patrimonio di una fase di crisi nei termini di una battaglia militante e allo stesso tempo in grado di offrire momenti di riflessione e suggerimenti validi: facendo sia una valutazione critica della tradizione letteraria del novecento sia tentando di parlare delle trasformazioni politiche e culturali del nascente neocapitalismo . È utile soffermarsi per un momento sulla rivista Officina in quanto lo studio teorico fatto dal gruppo dei suoi redattori ha ovviamente condizionato (sul piano stilistico come sul piano ideologico) sia la maturazione artistica che la poesia di Roversi: dallo studio fatto sul Novecento letterario italiano fino alla questione del rapporto tra poesia e storia, dell'impegno civico e poetico. Gli interventi di Roversi avranno decise ripercussioni nel prosieguo della sua attività ideologicoletteraria . Officina viene creata nel clima del dopoguerra e quindi della liberazione nazionale dal nazifascismo. È un periodo nel quale l'economia italiana vive un momento di ripresa economica propizia all'esplosione che avverrà nei futuri anni Sessanta.
Nel campo della letteratura c'è una radicalizzazione della polemica, sul fronte dell'Ermetismo e del Neorealismo. La rivista nasce all'interno di una battaglia ideologica e post-bellica e si inserisce tra il lirismo nostalgico del novecento ermetico e la letteratura neorealista. Ricca di scritti poetici ed interventi critici-saggistici mostra uno scarso interesse per la narrativa e un'ampia attenzione per la poesia . La rivista vuole favorire il superamento del neorealismo ma, malgrado questa impostazione, si collocò nell'ambito del razionalismo e dello storicismo. Pasolini stesso disse nel 1974 che nella rivista «c’era la calma della ragione che ricostruisce». I membri di Officina proponevano uno studio minuzioso, tanto dal lato storico che dal lato razionale, della realtà sociale, politica, ed economica della società, ormai cambiata rispetto a come l'aveva considerata il neorealismo. I redattori del rotocalco non condividevano il disimpegno sociale, di essenza ermetica, sostenendo invece un maggiore rinnovo e interesse per la realtà ormai mutata e caratterizzata dall’essere una società dei consumi che, se da un lato garantiva alle masse proletarie maggior conforto e benessere, dall'altra le rendeva prigionieri e le assopiva. Così Officina era protesa nella sua battaglia di opposizione al capitalismo e difesa del mondo contadino. I tre redattori Leonetti, Pasolini e Roversi erano ancora liceali quando si ritrovarono a sognare e progettare la realizzazione di una rivista letteraria ma, in pieno conflitto mondiale, il controllo delle ideologie imposte dal regime e dalla guerra non permise ai giovani artisti di concretizzare il loro progetto. Solo più tardi, negli anni Cinquanta, i tre amici ed ex liceali ritrovarono, tenendosi in stretto contatto attraverso scambi epistolari e viaggi in comune intenzionati a realizzare il loro sogno: realizzare una rivista letteraria . I membri di Officina si presentano come un gruppo culturale di militanti che hanno l'obiettivo di mettere a confronto due tradizioni letterarie italiane: da una parte l'ermetismo che tenta di arrivare ad una poesia detta pura e senza scopo educativo dove si rappresenta l'Uomo e la sua solitudine, la perdita di fiducia nei valori della società e il mondo ridicolizzato dalle dittature, e dall'altra parte il neorealismo che mette allo scoperto le fragilità della società avvicinandosi alla vita dell'Uomo. La tradizione ermetico-novecentesca viene rivista dal gruppo. Essa si ferma ad una lettura superficiale e formale dei fenomeni letterari ma non si sofferma sulle ideologie ad esse sottese e non analizza le radici del novecentismo. Nella rivista viene rispecchiato il clima politico culturale del periodo per cui il discorso costante di Officina è caratterizzato di aspetti storici realistici avendo come modelli delle poesie impegnate e civili . Officina ha dato l'opportunità a Roversi di maturare la sua poetica: Poesie del 1942 e Rime  del 1943 furono le due prime raccolte di versi ancora liricheggianti pubblicate dal giovane Roversi. Nel 1954 è la volta della raccolta di brani Poesie per l'amatore di stampe. Lavorare per la rivista spinge il poeta a cercare di rappresentare un’ Italia emersa dalla Resistenza (a cui il Roversi giovane partecipò) e dalla guerra. I suoi poemi sono visti come tanti episodi che in fondo si possono unire grazie ad un filo conduttore, ad un tema condiviso che le accomuna come l'ingiustizia sociale e quella epocale. Roversi utilizza la lirica e gli endecasillabi per rappresentare l'Italia dell'epoca: un’Italia titubante, incoerente e contraddittoria, un’ Italia industriale ma anche contadina facendo emergere anche il motivo dell'ipocrisia religiosa. I poemi vanno dalla Resistenza con Il tedesco imperatore alla tragedia della bomba atomica La bomba di Hiroshima fino alla situazione politica italiana Lo stato della Chiesa. La fine della collaborazione dei membri di Officina è provocata dalla nuova avventura cinematografica di Pasolini ma anche dal rifiuto dalla parte degli altri intellettuali di accettare la sua posizione di supremazia e di leader. Roversi e gli altri acquisirono un'autonomia come possiamo leggere in una lettera che lo stesso Roversi inviò a Leonetti nel 1959 «Liberati dal complesso Pasolini e della sua fortuna: è sua, non tua; non nostra. Cerca la tua; che sarà tua, non sua, non nostra» . L'esperienza officinesca aiutò tuttavia Roversi a maturare la sua fisionomia politica, letteraria ed editoriale che evolse progressivamente e si arricchì negli anni futuri. Lucio Dalla faceva parte di quei cantanti che non sono passati inosservati, con i suoi famosissimi ed emozionanti brani come Caruso e Chissà se lo sai, o brani surreali e insolenti come Disperato erotico stomp e Grande figlio di puttana, ed infine con i brani sperimentali realizzati con il poeta Roversi. Di lui si sa tutto e niente allo stesso tempo. Egli fece della sua vita il suo punto di riferimento e ispirazione per le sue canzoni, rendendo pubblico il suo privato, a volte involontariamente. Il limite tra se stesso e la sua arte era minimo e a riprova di ciò vi è la canzone intitolata 4 marzo 1943 ovvero la sua data di nascita. Dalle sue canzoni è possibile scoprire tante piccole informazioni che riguardano la sua vita: che nacque a Bologna (citata in diverse canzoni), che aveva una grande passione per il mare anche questo lo raccontò in decine di canzoni, etc. Sono questi solo piccoli dettagli che al finale ci danno poche informazioni su chi era veramente Lucio Dalla . Dalla si è avvicinato praticamente a tutti i generi esistenti in Occidente, rock, jazz, blues il pop d'autore, il cantautorato e anche il rap. Era sempre pronto a fare scat e vocalizzi, a utilizzare vari strumenti nonché a collaborare con i più grandi artisti della storia. Nel corso della sua carriera artistica ha attraversato diverse fasi presentandosi al pubblico in maniera sempre diversa e nuova. Negli anni Sessanta era considerato un artista che si dedicava solo alla canzonetta, un outsider ossia secondo la definizione dell'enciclopedia Treccani come «uno che opera in campo letterario, artistico e sim. al di fuori di ogni scuola o movimento ma anche chiunque riesca ad imporsi, in politica, nel lavoro e sim., nonostante non sia tra i favoriti o si trovi in una situazione marginale» . Più tardi, negli anni Settanta, ha iniziato ad abbandonare le canzonette delineando un proprio stile. Questo lo ha posto di fronte al pubblico in una luce diversa, veniva fuori il vero artista con un proprio stile e una propria musica (come solo pochi altri artisti hanno saputo fare). Negli anni Ottanta, Dalla raggiunse un grande successo (senza però essere una rock star conclamata) grazie a qualche album creato sul svolgere degli anni Settanta. Negli anni Novanta, i suoi album diventarono più maturi, mirati ed intensi. Si ritrovò in un periodo in cui la canzone non era più l'unica forma in cui avrebbe potuto esprimersi e si rese conto di ciò tant’è che negli anni 2000 si avvicinò all'opera e alla musica classica senza mai mettere da parte, però la musica pop e la sua canzonetta ormai diventata colta. La collaborazione tra Lucio Dalla e Roberto Roversi non è stata semplicemente una tappa senza importanza. Nel 1973 il cantante decide di mettere fine alla collaborazione con Baldazzi e Bardotti, collaborazione che riguardava la stesura dei testi. Ormai, dopo quasi un decennio di carriera, Dalla si rende conto che il mondo è cambiato e con esso anche il mondo della musica. I tempi non sono più quelli in cui egli iniziò a cantare le canzonette. La leggerezza lascia ormai spazio ai tempi cupi e oscuri, l'impegno ormai pervade tutta la cultura, sia bassa che alta. E’ a questo punto che Dalla, ormai lontano dalle logiche di mercato, consapevole dei cambiamenti ormai in atto, decide di seguire le nuove tendenze e mettersi al passo con i tempi. È così che il cantante si rivolge ad un suo concittadino, il poeta bolognese Roberto Roversi, dando così luogo a un incontro che caratterizzerà e qualificherà gli anni che seguiranno . La collaborazione tra Roversi e Dalla darà luogo, infatti a prodotti straordinari dal punto di vista della critica ma non altrettanto dal punto di vista dell'industria musicale, come lo sono stati i brani 4/3/1943 e Piazza Grande. Il primo album che nacque dalla loro collaborazione fu Il giorno aveva cinque teste, con il brano di apertura L'auto targata TO. Questo primo lavoro fu molto difficile per i due artisti ed in più Dalla, che fino ad allora aveva collezionato numerose vittorie al Festival della Canzone Italiana, per la prima volta vide scartata la sua canzone L'auto targata To. Il solo ascolto dell’album, però, ci dà subito l'impressione che i due artisti abbiano voluto inserire nei brani tante felici intuizioni e caratteristiche vincenti, le stesse che ritroviamo nelle poesie di Roversi . Sorprendente, d’altra parte è anche la musica, come ne Il giorno aveva cinque teste che, dopo quasi quarant'anni dalla sua uscita, continua a sorprenderci ancora per il suo alto livello. I testi di Dalla e Roversi sono capaci di superare la barriera del tempo proprio come la poesia. Con questi Dalla si lascia dietro le sue prime produzioni, ossia brani leggeri e scanzonati di poco spessore ma anche i brani più impegnati degli ultimi singoli. Con il sodalizio con Roversi, Dalla fa un passo importante verso un modo di pensare più impegnato e si consacra al mestiere di cantautore. Dalla, artista precoce e virtuoso del clarinetto, sin da giovane collabora con diversi artisti tra i quali il celebre jazzista Chet Baker. Frequenta Gino Paoli, suo talent scout e collabora con diversi parolieri come Paola Pallottino e Sergio Bardotti. E’ in questo periodo che Dalla mette in musica Piazza Grande e 4 marzo 1943, testi che diventeranno pezzi di folklore e rappresentativi di un periodo storico . Con i suoi brani, piuttosto impegnati o addirittura irriverenti (caratteristica quest’ultima che gli costò spesso la censura), si allontanò da quelli che erano i gusti del pubblico dell'epoca. Fu per questo che attirò su di sè non poche critiche in quanto considerato un cantante lontano dallo schema del tipico “cantante italiano” . Bisogna però dire che la canzone italiana d'autore, raffinata e colta, ha successivamente incontrato tanti rappresentanti come De Gregori, Battiato, Fossati, Gaetano e Conte grazie ad artisti che hanno osato la sperimentazione come Jannacci, Gaber ma soprattutto Lucio Dalla . Nonostante la reazione del pubblico e le numerose critiche di cui fu oggetto, Dalla decide di non sottostare alle politiche di mercato ed anzi, come reazione decide di andare ancor di più verso una complicazione totale. Si affida, dunque per i suoi testi alla penna e al genio poetico di Roberto Roversi, comunista ed ex partigiano, considerato come uno dei poeti e intellettuali più completi d'Italia. Ha inizio così l’incontro artistico tra Dalla e Roversi che fu uno dei più importanti per la musica d’autore italiana. I tre album nati dalla loro collaborazione sono poco conosciuti e di difficile ascolto come infatti lo erano i testi di poesia di Roversi ma hanno cambiato il destino del cantautorato italiano. Il primo album Il giorno aveva cinque teste del 1973 è frutto di una difficile e lunga gestazione. Roversi inizia a scrivere dieci testi per Dalla il quale, però, ebbe bisogno di un periodo di riflessione per iniziare a comporre la musica. Dopo qualche tempo, il cantante inizia a sperimentare, si mette alla prova fino ad arrivare in territori inesplorati . Gli anni Settanta in Italia sono stati anni contraddittori e caldi per quanto riguarda la politica, un’epoca in bilico tra istanze libertarie e l'avvento delle Brigate Rosse. In ambito artistico è un periodo colmo di stimoli tra impegno e rinnovamento. Lucio Dalla prestava molta attenzione ai fenomeni sociali e comprese che le sue ultime opere, anche se artisticamente di buon livello, non erano in grado di rappresentare ed esprimere, in maniera adeguata, le agitazioni che viveva l'Italia di quel periodo. Il suo avvicinarsi alla politica non era così implicito come quello di Giorgio Gaber, e quindi quando Dalla iniziò la collaborazione con Roversi, si ritrovò di fronte ad una sfida abbastanza complessa perché il poeta gli offrirà dei contenuti di partenza assai insoliti. I quattro anni di collaborazione avranno un impatto sullo sviluppo della carriera di Dalla e segnaleranno un periodo di transizione . La nascita di questa collaborazione ha luogo grazie a diversi incontri nella libreria di Roversi, la libreria Palma verde a Bologna. Della loro collaborazione Lucio Dalla affermò: Roversi mi ha insegnato cose insegnabili. Per partenogenesi, per osmosi, tirandomi da lontano delle freccine con la cerbottana, mi ha fatto capire delle cose che non avrei mai capito né a scuola né da solo né andando tre volte sul monte Sinai. Ho capito soprattutto l'organizzazione del pensiero della canzone, la parola, il segno, il senso, la forza. La loro prima collaborazione diede luogo all'album uscito nel 1973 Il giorno aveva cinque teste. Questo primo album è difficile da interpretare perché è un opera molto sperimentale sia per lo spessore e l'intensità dei testi che per la musica con i suoi cambi continui. In questo album non esiste più la canzone come la conosciamo noi, ossia in un'accezione comune. Abbiamo di fronte a noi una combinazione di variazioni di jazz con recitativi che provano a diffondere dei testi e delle parole che finalmente sono poco adatte ad essere cantate. L'interesse musicale si vede in un arrangiamento musicale molto vario e colorato e in un'interpretazione vocale che gioca su cambi di registro ricorrenti e improvvisazioni di jazz . Tra le canzoni nate dalla collaborazione dei due artisti, ritroviamo dei brani come Un auto targata TO, dove c'è una forte denuncia civile e dove vengono sollevati temi come la speculazione edilizia e l'immigrazione. Altri brani come L'operaio Gerolamo e Alla fermata del tram trattano di argomenti sociali.
 
Solo un brano, Pezzo zero, si può caratterizzare di musicale infatti sembra essere introdotto nell'album solo per dare respiro all'album. Lucio Dalla fa delle scelte che rivoluzionano e che sorprendono il pubblico . Nel 1975 vede la luce un album che, pur essendo più adeguato alla forma-canzone, non perde il suo stile elevato. È così che nasce Anidride solforosa. In questo album ritroviamo diversi brani che trattano di vari temi sociali nonché di denuncia politico-sociale come la delinquenza minorile in Mela da scarto, le stragi post-unitarie in Parole incrociate, vicende di cronaca nera come in Carmen Colon. Con La borsa valori, al massimo della sperimentazione, Dalla riesce a mettere in musica e a cantare un elenco di titoli azionari. Nello stesso anno, ossia nel 1975, Dalla prende parte, accanto a grandi nomi della musica italiana, al Festival del Proletariato Giovanile che si tenne in Parco Lambro, a Milano con un pubblico di oltre 100.000 spettatori. È in questo periodo che Dalla inizia a recarsi in diverse fabbriche per offrire spettacoli teatrali e quindi scegliere un pubblico determinato e preciso composto da lavoratori e operai, come fruitore e destinatario delle sue canzoni. La collaborazione tra Dalla e Roversi si conclude con la creazione di uno spettacolo teatrale, a puntate che venne trasmesso dalla Rai. Nacque così, nel 1976 Il futuro dell'automobile e altre storie dove il pubblico assiste a delle discussioni tra Dalla e uno sciampanzè dal nome Natascia. Tramite questo spettacolo, Dalla racconta, con tono epico, le avventure di Nuvolari come se fossero favole. Questi brani verranno ripresi nell’album intitolato Automobili ma, la casa discografica impone delle censure che Dalla accetta senza l'accordo di Roversi. Come risposta a questo evento, Roversi decise di non firmare l'album e quindi depositò le canzoni sotto lo pseudonimo di Norisso. Secondo Roversi, Lucio Dalla si era reso conto che con gli album precedenti si era allontanato troppo da quelli che erano i gusti del pubblico impegnato o non dell'epoca. Con quest'ultimo album, Dalla aveva in qualche modo la volontà di inserirsi di nuovo in un'area più malleabile. Questo episodio di disaccordo tra i due artisti fu la causa che pose fine alla loro collaborazione . L'album Automobili si presenta sotto forma di un concept album e quindi con una monotematicità notevole, anche se, dei tre album, è quello che risulta essere il più eterogeneo. Grazie alla canzone destinata al pioniere dell'automobilismo, Nuvolari, l'album venne premiato dalle vendite . L'intero album Automobili è accompagnato dalla grandezza vocale dell’artista con melodie originali e ritmi travolgenti. Le diverse canzoni, più che essere cantante, a volte sembrano essere urlate, come se imitassero il rombo e la potenza dei motori. Tra i brani dell’album ritroviamo una canzone che sorprende e che di primo acchito può essere qualificata bizzarra: Intervista con l'Avvocato. Dalla ha voluto riprendere il testo utilizzato nello spettacolo e, opportunamente adattato, lo ha inserito nell’album. Ne è nata una canzone in cui il cantante immagina un'intervista con Gianni Agnelli usando una sua tecnica molto famosa, lo scat. Grazie al suo notevole talento teatrale e mimetico Lucio Dalla ha fatto in modo di rendere i suoi brani più digesti per il pubblico . Dalla spiega la fine della collaborazione con Roversi dicendo: A un certo punto ci siamo divisi su come organizzare il nuovo lavoro: lui lo voleva in maniera estremamente rigorosa, impostata verso un approfondimento del linguaggio dei nostri lavori precedenti, per esempio lui voleva parlare ancora essenzialmente con un linguaggio politico, mentre io non ero d'accordo, perché bisognava allargare più contatti col pubblico. Roversi prestava scarsa attenzione al denaro, alle vendita e alla notorietà. Ha sempre preferito essere dimenticato piuttosto che tradire i propri ideali, ovvero comunicare dei messaggi in piena libertà. Anche durante la sua collaborazione con Lucio Dalla, Roversi si mantiene fedele a se stesso arrivando addirittura a non firmare l'Album Automobili. Per Dalla, Roversi fu di grande aiuto e prese il ruolo di consigliere e interlocutore, quando il cantante decise di andare verso quello che lui stesso definiva temi nazional popolari. Di Lucio Dalla, Roversi affermava: Un uomo colto, ma in libreria non avevo un giradischi, così per parlare delle nostre cose musicate mi veniva spesso a prendere in macchina e giravamo sui colli ascoltandole con l’autoradio. Diceva che avrebbe musicato anche l’elenco del telefono, se lo avessi scritto io.  
Poi giustamente s’accorse che le cose che scriveva da solo vendevano cento volte di più delle nostre.  I versi del poeta bolognese erano accompagnati da una cornice musicale creata da Lucio Dalla. Nell'ultimo album, ossia Automobili, ritroviamo un vero e proprio poema eroicomico, un concept sul mito futuristico dell'automobile e sull'automobile in se stessa. Grazie alla collaborazione con Roversi, il cantante riesce ad inventare un linguaggio musico-letterario che gli è proprio. L’esposizione  propone  un percorso attraverso il quale, partendo dall’infanzia, viene evidenziato come il rapporto con la musica di Lucio Dalla è sempre centrale ed è un elemento continuativo che lo seguirà per tutta la vita. Dice Alessandro Nicosia curatore e organizzatore della mostra a cui si devono, tra le tante, esposizioni dedicate a Federico Fellini, ad Alberto Sordi, a Luciano Pavarotti, a Oriana Fallaci etc.: “Presentare l’Universo Dalla in uno spazio di 1000 metri quadri è stata un’impresa difficile ma sicuramente affascinante; in lui la musica scorre dalla più tenera età, con estrema naturalezza. Grazie alla sua capacità innata di dare forma a qualsiasi espressione musicale gli capitasse alle orecchie, ha dato vita a questa incredibile carriera, lunga, intensa, multiforme, sempre all’insegna di strade nuove e inesplorate. Per avere un quadro più attento e preciso, ho condotto un lungo e approfondito lavoro di ricerca, leggendo tantissimi libri, interviste, giornali, guardando filmati, ma soprattutto intervistando chi realmente l’ha amato e conosciuto: in questo modo mi è stato possibile raccogliere numerosissime testimonianze fondamentali per riuscire a comporre una lettura esaustiva di una personalità così sfaccettata”. Oltre dieci le sezioni in cui è suddivisa l’esposizione: Famiglia-Infanzia-Amicizie-Inizi musicali, Dalla ci racconta, Il clarinetto, Il museo Dalla, Dalla e la sua musica, Dalla e il cinema, Dalla e il teatro, Dalla e la televisione, l’Universo Dalla, Dalla e Roversi, Dalla e la sua Bologna. Insieme ai documenti, tante foto, filmati, abiti di scena e altri aspetti che ci raccontano la sua vita, l’arte e le sue passioni. Per capire meglio il risultato finale di questa importante ricerca/esperienza va sottolineata la sezione Universo Dalla, con decine di foto del Maestro con tanti personaggi della cultura, i più importanti cantanti, i tantissimi collaboratori che lo accompagnarono puntualmente nel suo lavoro e, ancora, un’interessante chicca con un’enciclopedia di oltre 250 nomi di persone di ogni genere sociale, con cui ha avuto rapporti di lavoro e amicizia che lo hanno seguito per tutta la vita con gioia e con il massimo della considerazione. Con l’occasione l’esposizione sarà accompagnata da un prestigioso catalogo edito per i tipi di Skira che vede, tra le tante cose, un lungo elenco di straordinarie testimonianze raccolte in occasione delle celebrazioni che aiutano a capire Lucio Dalla.
Museo Civico Archeologico di Bologna
Lucio Dalla. Anche se passa il tempo
dal 4 Marzo 2022 al 17 Luglio 2022
Lunedì e Mercoledì dalle ore 9.00 alle ore 14.00
Giovedì dalle ore 15.00 alle ore 19.00
Venerdì, Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00