Un’ampia e attenta selezione di opere di
Luigi Boille – oltre ottanta – è esposta dal 12 aprile al 2 ottobre 2016 alla
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Armando Pizzinato (PArCO) di Pordenone, città natale dell’artista. La mostra, intitolata
Luigi Boille – Il Segno Infinito – Opere/Works 1950-2015, e nata su iniziativa dell’
Assessorato alla Cultura del Comune friulano, è stata curata da
Silvia Pegoraro. Così anche il catalogo, presentato lo scorso 14 giugno alla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che conserva nelle sue collezioni alcune opere di Boille (due tele dal titolo
Composizione, entrambe del 1957 ed
Elementare Complesso del 1965). Nel volume, una pubblicazione molto ricca e accurata, figurano testi di
Tullio De Mauro, Angelo Bertani, Antonio Carnevale, Lea Mattarella, Silvia Pegoraro, oltre a testimonianze dell’artista e a un’esaustiva antologia critica che va dagli anni cinquanta al 2015.
La presentazione del volume – con interventi di
Claudio Cattaruzza, Emanuela Boille, Silvia Pegoraro, Antonio Carnevale, Lea Mattarella e
Marco Di Capua – si è rivelata un’occasione per il fare punto sul percorso artistico di Boille, il cui
corpus di opere, benché precocemente apprezzato dalla critica internazionale avanguardista ed esposto in importanti rassegne oltreoceano, necessita di una più aggiornata valorizzazione e storicizzazione in Italia. In effetti, non si è potuto fare a meno di notare che nella sala 29 della GNAM – dove l’Informale la fa da padrone e dove è stata allestita la presentazione del catalogo – non è esposta nessuna delle opere dell’artista.
‘La matrice del mio lavoro è il segno, segno che può moltiplicarsi all’infinito, oppure essere isolato, fluttuare nello spazio…’
Luigi Boille
In uno dei saggi presenti in catalogo, la curatrice
Silvia Pegoraro cita un brano tratto da un testo letterario di
Henri Focillon –
Le mont dans la ville, 1928 – in cui l’autore evoca i pensieri sorti nella sua mente durante una passeggiata per le vie di Parigi, mentre contempla un vecchio muro pieno di macchie e screpolature: ‘
Ho capito che l’arte ha due volti, che, da una parte, sorride alla bellezza, alla giovinezza (…), alza la mano verso l’albero,
coglie il frutto; dall’altra essa è magia, è negromanzia, decifra sulle pietre, nei vortici delle acque, sulle ali degli uccelli, dei segni scritti da mani che non si vedono, quella grande scrittura, quella geometria discontinua e frammentata che praticano gli stregoni sognatori e i maestri-maghi (…)’. La curatrice associa proprio la pittura di
Luigi Boille a quella sorta di potere visionario, evocato da Focillon, che sa trasformare i segni in arte.
Allontanatosi da Pordenone, dove era nato nel 1926, Boille si diploma prima all
’Accademia di Belle Arti di Roma, poi si laurea in Architettura. Salvo, nel 1950, partire per Parigi dove resterà per sedici anni. È una scelta, quella di vivere a Parigi, che rispecchia gli interessi culturali di tanti giovani artisti italiani dell’epoca. Dall’immediato dopoguerra, infatti, l’arte italiana torna a riaprire il dibattito con il resto d’Europa e
New York, ormai capitale indiscussa dell’arte d’avanguardia. Gli artisti di
Forma 1, di
Origine, dello
Spazialismo, ma anche quelli non strettamente legati a gruppi e movimenti, come appunto Boille, vanno creando le basi per la definitiva maturazione della pittura e della scultura italiane che, nel corso degli anni cinquanta e sessanta, condurrà a esiti di grandissimo valore. Il primo ad accorgersi della potenza della nuova arte italiana è il critico francese
Michel Tapié, che espone proprio
Boille e
Capogrossi al fianco di artisti come
Wols, Pollock, Hartung, Dubuffet, Fautrier, etc. A Tapié va il merito di aver tentato una prima definizione dell’Informale (1952), inteso come
art autre, ovvero un’arte
altra rispetto ai canoni tradizionali della rappresentazione pittorica: ‘
L’Informale indaga sulle possibilità espressive ed emozionali della materia; ne evidenzia la struttura, ne esalta le ambiguità morfologiche, siano esse le trame di iuta, gli strati di colore sovrapposti o le raschiature, i grumi o i frammenti. Le opere informali sono portatrici di una tensione che potenzia la volontà conoscitiva’.
Tapié non esita a collocare
Boille nel gruppo di artisti che rappresentano al meglio la ricerca dell’
art autre. Infatti, già nel 1953, la sua pittura appare una matura e originale interpretazione dell’Informale: l’attenzione dell’artista è tutta rivolta alla materia pittorica – lavorata con il fuoco e l’acqua, diluita,

impastata con polveri e sabbie, esposta al calore della fiamma. Tutto il primo lavoro di
Boille è impostato su una potente simbologia esistenziale, sul gesto dell’artista e su una materia-colore sottoposta a trasfigurazione.
Tapié ha accostato la prima produzione di
Boille ad alcune opere dell’artista americano
Clyfford Still; in effetti, caratterizzate da forme ad andamento verticale, le opere di
Still sembrano dialogare con un gruppo di lavori di Boille della fine degli anni cinquanta, dove si affrontano campi cromatici contrastanti, racchiusi in forme irregolari e bagnati da una intensa luce tonale.
‘
L’Informale – scrive
Lea Vergine nel suo celebre saggio
L’arte in trincea –
si avvale di un segno violento, febbrile, barocco, adoperato per tradurre il repertorio di quelle percezioni, non accompagnate dalla consapevolezza, che vanno accumulandosi al di sotto della soglia del cosciente, e che vengono poi elaborate nel processo dell’invenzione pittorica’.
È ancora
Michel Tapié a cogliere nella pittura di
Boille tali
elementi barocchi, che sono però sempre in equilibrio con un rigore formale di matrice classica, memore forse dei suoi studi di architettura. Perciò, nei suoi dipinti, l’artista non lascia mai niente al caso: da essi si genera uno spazio inquieto, caotico, ma mai casuale e il segno tende comunque sempre a emergere e a costruire una fitta trama di accadimenti spaziali. Per
Silvia Pegoraro, da tutto ciò traspare la convinzione che la conquista dello spazio reale proceda parallelamente alla costituzione di uno spazio mentale, convinzione che Boille sembra condividere con l’amico
Lucio Fontana e con gli spazialisti.
Nel 1957, riprendendo i contatti con l’Italia, Boille si confronta con una realtà artistica in parte ancora legata alla tradizione postcubista e costruttivista. Nelle mostre al
Naviglio di Milano e alla
Selecta di Roma emerge tutta la potenza espressiva della sua
apertura nei confronti della materia e, nello stesso tempo, si manifestano i primi sentori di una poetica che, d’ora in avanti, andrà orientandosi verso una declinazione molto personale dell’informale, in direzione segnico-gestuale, una sorta di
scrittura. In Francia, dove è maturata

l’espressione pittorica di
Boille, l’interesse per la cultura cinese e giapponese (
Van Gogh, Gauguin) e per la sua scrittura ideografica, ereditata dal secolo precedente, è ancora vivo (Henri Michaux, serie di disegni
scritti a inchiostro del 1948). In tale contesto s’inquadra anche la ricerca artistica di Boille che, molti anni più tardi, affermerà: ‘(…) la calligrafia, che è l’espressione tipica dell’arte estremo-orientale, la scrittura come immagine, come forma espressiva, ha influenzato molto l’espressionismo astratto americano, ma anche l’informale europeo, e il mio lavoro’.
Questo aspetto della produzione artistica di Boille ha forti consonanze anche con le ricerche del gruppo giapponese Gutai, con il quale egli partecipa al celebre
International Festival Osaka-Tokyo nel 1958, evento curato da
Tapié e
Jiro Yoshihara e, in occasione del quale, espone la grande tela
Empreinte Structure (1957), ripresentata per la prima volta al pubblico nella mostra di Pordenone. L’informale europeo – come anche l’espressionismo astratto americano – subisce fortemente anche l’influenza del surrealismo, nelle declinazioni dell’automatismo segnico e della rappresentazione biomorfica: se al movimento di Breton manca quasi completamente il rapporto con la materia, pure è proprio il surrealismo a far dono all’informale del segno, che va a plasmare il lavoro di artisti come appunto
Boille, Hartung, Mathieu, Michaux e
Wols.
I labirinti metamorfici che la pittura di
Luigi Boille traccia tra la fine degli anni ’50 e il decennio successivo, manifestano un equilibrio/contrasto tra varietà segniche e campiture cromatiche. L’essenza grafica del segno nell’apertura che viaggia entro uno spazio libero e infinito è la protagonista assoluta delle opere dell’artista a partire dalla seconda metà degli anni ’90; essa origina una scrittura visiva che coglie la luce, l’incanto dello spazio come vuoto e come silenzio. Tra segno e segno aumentano gli intervalli, le pause e i silenzi, al punto che essi fluttuano liberamente nello spazio. Lungo questo cammino il lavoro di
Boille incontra la
white writing di
Mark Tobey. Le opere di entrambi sembrano trascendere la vocazione strettamente visiva del quadro, alla conquista di una sorta d’immaterialità e di vuoto.

Durante tutto il percorso artistico di Boille un ruolo fondamentale è giocato dalla luce. Negli anni ’50 l’artista ricorre a un’infinità di vibrazioni cromatiche; negli anni ’70 raffina la propria ricerca, giungendo a esiti prossimi alla monocromia, come nelle esperienze di certa arte concettuale. Alle opere degli anni ’80 appartiene una combinazione di materia-luce-colore: la luce tende a vibrare al centro del quadro, mentre le aree periferiche della tela proliferano id’nfiniti tocchi e pennellate. La luce prosegue il suo percorso in metamorfosi ulteriori: ad esempio, quando l’elemento centrale del dipinto tende a disgregarsi in un nucleo ardente e che irradia materia-luce. Dagli anni ’90 la ricerca sulla luce e quella sul vuoto si saldano, al punto che segni rarefatti fluttuano in uno spazio infinitamente aperto. Tali segni emergono da colori dapprima neutri, poi via via più squillanti. In questa direzione vanno le due splendenti campiture complementari (rosso-verde) del grande
Dittico Zen, esposto alla Biennale di Venezia nel 2011, e che rappresenta l’ultimo approdo stilistico di
Luigi Boille.
Ammirato e sostenuto da grandi critici e storici dell’arte (
Tapié, Restany, Argan, Venturi, Vivaldi, Crispolti) Boille ha saputo mantenere inalterate nel tempo la propria originalità e la propria energia, distinguendosi per le sue inconfondibili cifre stilistiche, grazie alle quali si colloca tra i grandi pittori del secondo Novecento europeo.
Roma 28 / 6 / 2016 Giorgia Terrinoni