Giovanni Cardone Marzo 2022
Fino al 31 Luglio 2022 si potrà ammirare al Museo Mudec di Milano la mostra Marc Chagall. Una storia di due mondi a cura di Ronit Sorek. Prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura e curata dall’Israel Museum di Gerusalemme, affronta l’opera di Marc Chagall da un punto di vista nuovo, collocandola nel contesto del suo background culturale, grazie alla straordinaria collezione nell’Israel Museum, che presenta in mostra una selezione di oltre 100 opere donate per la maggior parte dalla famiglia e dagli amici di Chagall. L’allestimento della mostra è stato curato dall’Architetto Corrado Anselmi. Main Sponsor della mostra è il Gruppo Unipol. Il progetto espositivo è dedicato in particolare ai lavori grafici di Chagall e alla sua attività di illustratore editoriale. La mostra ripercorre alcuni temi fondamentali della vita e della produzione dell’artista: dalle radici nella nativa Vitebsk oggi Bielorussia, descritta con amore e nostalgia nella serie Ma vie, all’incontro con l’amata moglie Bella Rosenfeld, della quale illustrò i libri Burning Lights e First Encounter, dedicati ai ricordi della vita di Bella nella comunità ebraica, pubblicati dopo la morte prematura della donna e di cui in mostra sono esposti i disegni originali. L’editore francese Ambroise Vollard commissionò nel 1923 all’artista una serie di acqueforti dedicate a Le anime morte di Gogol’. Successivamente gli venne commissionata l’edizione illustrata delle Favole di La Fontaine e La Bibbia
. Alcuni di questi lavori sono presenti in mostra. Il progetto espositivo mette in relazione queste opere con il contesto culturale da cui nacquero: la lingua, gli usi religiosi e le convenzioni sociali della comunità ebraica yiddish, così come i colori e le forme che Chagall assimilò da bambino ed espresse al meglio da adulto, il rapporto esistente nell’opera di Chagall tra arte e letteratura e tra linguaggio e contenuto. I lavori esposti riflettono dunque l’identità poliedrica dell’artista, che è al tempo stesso il bambino ebreo di Vitebsk; il marito che correda di immagini i libri dell’amata moglie; l’artista che illustra la Bibbia, volendo rimediare così alla mancanza di una tradizione ebraica nelle arti visive; e infine l’originale pittore moderno che, attraverso l’uso dell’iconografia cristiana, piange la sorte toccata nel suo secolo al popolo ebraico. Saranno presenti, infine, una selezione di oggetti rituali, usati nelle cerimonie religiose delle comunità ebraiche e che sono spesso raffigurati nelle opere di Chagall. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Marc Chagall che poi è divenuto modulo monografico e seminario universitario apro il saggio dicendo che: L’Arte come manifesto della vita la citazione di cui mi sono servito per presentare e introdurre Marc Chagall è tratta da una poesia scritta da Blaise Cendrars, un carissimo amico del pittore che gli dedicò diversi componimenti, tra i quali appunto “Ritratto”. Ritengo che questi versi ben illustrino l’arte di Chagall che ha, infatti, come perno della sua ricerca creativa, la vita nella sua quotidianità, fatta di incontri, relazioni, persone. Un’arte in cui tutti possono riconoscersi: il “gentile lettore” può dirsi protagonista dei suoi dipinti allo stesso modo dell’amico poeta, della fidanzata del pittore, delle persone comuni che si possono incontrare appena fuori di casa “il droghiere all’angolo- la ragazza che riporta a casa le mucche- l’ostetrica”. L’incontro che diede vita a numerose opere di Marc Chagall fu, senza dubbio, quello con la sua futura moglie, Bella Rosenfeld. I due si conobbero a San Pietroburgo, lui pittore ventitreenne in cerca di fortuna, lei neppure quindicenne, studentessa, figlia di orefici. Condividevano la stessa religione: erano entrambi ebrei. Nella sua autobiografia, Chagall descrisse la ragazza di cui era innamorato come una giovane affascinante dalla pelle avorio e dai grandi occhi neri, mentre Bella si invaghì di lui, strano ragazzo con i riccioli spettinati e con “lo sguardo di una volpe negli occhi azzurro-cielo”, come soggetta a un colpo di fulmine. Bella rappresentò per Chagall la prima e profonda fonte d’ispirazione. Testimonianza dell’amore fra il pittore e Bella Rosenfeld sono sue molteplici opere. Di seguito l’analisi di alcune di queste. In questo dipinto troviamo rappresentati i due innamorati, Marc e Bella, immortalati in un tenero bacio. Predomina un forte colore blu dall’importante significato evocativo: è simbolo, infatti, dell’amore appassionato che vi è tra loro. Le figure sembrano immerse nella notte e illuminate da un riflesso lunare che fa emergere il candore dell’incarnato degli amanti. Il pittore è rappresentato in primo piano, connotato da una camicia, sempre dei toni del blu, con un bavero bianco. Bella, nel piano retrostante, si avvicina a lui, accompagnando con la carezza della mano il viso di Marc al suo per poter imprimervi un bacio fugace al lato delle labbra. La donna è invece contraddistinta da un prezioso abbigliamento: una giacca con motivo a scacchi arricchita da un colletto svolazzante e guanti raffinati, anch’essi decorati con trama geometrica. I due amanti sono rappresentati con gli occhi chiusi, come per cogliere ogni singola sensazione provocata da quel bacio.
L’amore vissuto nella sua quotidianità entra nelle opere di Marc Chagall nel 1915, con il dipinto “Il compleanno”. Il momento che vi è rappresentato è stato descritto dalla stessa Bella: “Ho ancora nelle mani il mazzo di fiori, voglio metterli nell’acqua altrimenti appassiranno. Ma ben presto me ne dimentico. Tu ti sei gettato su una tela che ti trema tra le mani, immergi i pennelli nel dipinto. Rosso, bianco, blu nero. Mi schizzi di colore. Mi circondi di un torrente di colori. D’un tratto mi sollevi dal suolo. Fai un balzo come se la stanza fosse troppo piccola. Ti protendi fino al soffitto, rovesci la testa all’indietro, ti protendi verso di me e mormori: «Fuori il cielo ci chiama»”. Ci troviamo di fronte a una scena semplice e casalinga dai connotati fantastici e aerei: un compleanno si trasforma in un magico volo d’amore. Un bacio tramuta i due innamorati in creature dotate di ali invisibili, in uno slancio di passione vitale. Marc fluttua e il suo corpo perde la rigidità che gli è propria.

È il suo compleanno e Bella lo aspetta con dei fiori in mano e una torta pronta sul tavolo. Il pittore rappresenta l’interno della stanza con una cura meticolosa: vi sono coperte e teli colorati, un borsellino e un coltello sul tavolo fanno compagnia alla torta e al suo vassoio, uno sgabello e delle tendine. Tutto ciò contribuisce a immortalare un momento importante per la vita di Marc Chagall: il festeggiamento e il tripudio dei sentimenti. Anche nell’opera , “La passeggiata”, del 1918, ritroviamo la quotidianità dell’amore come protagonista. Marc e Bella, in una giornata dominata dalla gioia, sono andati a fare un picnic nei prati verdi attorno a Vitebsk. Entrambi indossano abiti eleganti; lui la tiene con la mano sinistra mentre lei si libra, come un angelo vestito di rosa, nel cielo. Il viso del pittore esprime la felicità che solo il vero amore può dare. Marc, inoltre, tiene nella mano destra un uccellino, simbolo del volo, della libertà e dell’amore. In primo piano, sull’erba, è riposta una tovaglia dai motivi floreali su cui sono collocati una bottiglia di vino e un bicchiere. Ogni elemento riconduce, in modo simbolico, all’amore dei due, connotato non solo dalla dolcezza e dalla passionalità, ma anche dalla spiritualità. L’unione di Marc e Bella, infatti, protesa sempre verso il cielo ricorda l’immagine primordiale della coppia nel paradiso terrestre. Inoltre, sullo sfondo è possibile vedere la chiesa di Vitebsk, differenziata dagli altri edifici verdi grazie all’uso del colore rosa tenue. Essa ricorda la parte spirituale dell’uomo che è trama delle sue relazioni e della sua vita. Più in lontananza, sulle colline, una cavalla bruca l’erba, simbolo, ancora una volta, della passione e dell’amore. Penso che ognuno di noi di fronte a un’opera d’arte, che si tratti di un quadro o una sinfonia di musica classica, una poesia o una cattedrale di splendide forme, normalmente non si rimane indifferenti. Anche spiriti non formati alla perfezione, o in attesa di essere sgrezzati, reagiscono con sentimenti di stupore e iniziano a porre attenzione a quel che si para sotto i loro sensi. Aspettiamo che qualcuno ci dica il segreto di tanta bellezza. Rubiamo a qualche esperto le risposte che sembrano più urgenti e necessarie. In tanti prima di noi hanno sentito che l’uomo ha un cuore e un mistero in esso racchiuso, che lo trascendono: «Abyssus abyssum invocat».

A ridosso della Seconda guerra mondiale, H. de Lubac crede sia ottimo partire esattamente di qui per una riflessione sulla conoscenza di Dio, poi ampliata e divenuta nel 1956 il suo denso saggio Sur les chemins de Dieu. Le vie di Dio sono quelle che dall’alto egli percorre, per andare incontro ai bisogni umani nella linea della storia della salvezza, dunque della synkatàbasis, la condiscendenza divina. Ma possono essere anche le strade che l’uomo prova a intraprendere, per incrociare la volontà di Dio e imparare a discernerla e realizzarla, quando il suo cuore resta umile. Nell’arte pittorica del Novecento è rimasta molto forte l’impronta di Marc Chagall pittore russo naturalizzato francese. Non si finisce di stupirsi di lui e delle sue peculiari caratteristiche di uomo a contatto con esperienze diverse, paesi lontani, culture e fedi di enorme valore e precise esigenze morali. Pare davvero che dalle profondità del suo animo e dalla bellezza del suo tratto chiunque possa risalire al mistero divino scritto nella propria esistenza. In questo senso proviamo a descrivere i colori spirituali che Chagall ha saputo adoperare meglio, unendoli fra loro in capolavori senza tempo. Ci riferiamo ai colori dell’attenzione amorosa verso gli altri e l’Altro, verso l’equilibro sempre in crisi della natura e dell’universo, ricercato anche nelle avventure degli ultimi. Nell’espressione pratica egli ha anticipato di alcuni anni il surrealismo, senza aver mai aderito a nessuna corrente artistica specifica e lasciando un’impronta riconoscibile ovunque abbia lavorato. Non conviene descrivere le tecniche, meglio sarebbe provare a raccontare le emozioni. Viviamo nel tempo, ma destinati al cielo: questo si evince dalla sua arte. Si nota facilmente che vi confluiscono elementi di paesaggio, umanità feriale, storia, liturgia, sogno e altri circuiti, che ognuno potrebbe visitare, entrando in dialogo con le sue opere. In Italia si tengono frequenti mostre d’arte, capaci di richiamare in contenitori culturali, durante tutto il corso dell’anno, folle di persone appassionate e intenditrici, oppure anche solamente spinte da curiosità e dalle cronache diffuse attraverso i media. Era intitolata Revolutija.
Da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato russo, San Pietroburgo. Sono stati vari gli annunci adottati per pubblicizzare l’iniziativa, ma si faceva leva anche su alcuni capolavori di Chagall presenti per i visitatori e naturalmente su parole scritte da lui, assai evocative: «La rivoluzione mi ha scosso con tutta la sua forza, impadronendosi della personalità, di un singolo uomo, del suo essere, traboccando dai confini dell’immaginazione e irrompendo nel mondo sentimentale delle immagini, che diventano a loro volta parte della rivoluzione». Allo scoppio della rivoluzione, con l’abdicazione di Nicola II e l’insurrezione bolscevica, le interdizioni contro gli ebrei furono abolite e Chagall divenne un cittadino libero. Si continua a riflettere e scrivere sul centenario della Rivoluzione russa (1917-2017), per cui il tema delle avanguardie artistiche di quell’epoca resta attuale, specie per scoprire altri maestri rimasti un po’ più nell’ombra rispetto a Chagall, Malevich o Kandinsky. Ove compare Chagall e il suo estro magistrale, è certo l’afflusso degli estimatori di ogni età. Proprio del 1917 è la celeberrima Promenade di Chagall, portata per l’occasione a Bologna, un olio su tela che inneggia alla vita e all’amore. In qualunque biblioteca le monografie riguardanti Chagall, che pure ebbe un destino cosmopolita, sono inserite nella sezione «Pittura russa», secondo la classificazione Dewey. «L’appellativo di “pittore russo” notò una volta Chagall per me ha più valore di qualsiasi fama internazionale. Nei miei quadri non c’è un centimetro che non sia impregnato della nostalgia per il mio paese natale». In altri termini, se si volesse descrivere l’opera chagalliana con la maggior precisione possibile, non si potrebbe certo sottovalutare o trascurare il legame con le origini. Gli anni dell’infanzia e quelli del ritorno in Russia furono determinanti per Chagall. Mark Zacharovi? Šagal (nome poi francesizzato) era nato a Vitebsk, nell’attuale Bielorussia, città metà ebrea e metà russa, il 7 luglio 1887, in una famiglia di religione ebraica, non abbiente e di costumi tradizionali.

Con una legge del 1795 e un’altra risalente al 1835, in Russia era stata creata una zona speciale di residenza ebraica (in russo ?ertá osédlosti, in ebraico Th.um HaMosháv). Vasilij Grossman , uno dei più noti scrittori del realismo socialista, annota nel suo romanzo Tutto scorre: La rivoluzione aveva abolito la «quota percentuale», il «censo patrimoniale» e i privilegi nobiliari, aveva spazzato via la zona di residenza obbligata, e centinaia di migliaia di persone contadini, operai, artigiani, studenti, gioventù delle campagne di Vologda e dei sobborghi ebraici erano diventati dirigenti di comitati rivoluzionari, di commissioni straordinarie distrettuali e provinciali, di comitati di distretto del partito, di consigli economici, dei servizi combustibili, dei comitati di approvvigionamento, di sezioni d’istruzione pubblica, di kombinat. Era cominciata la costruzione di un nuovo Stato, mai visto prima al mondo. Pagine molto significative dell’infanzia furono scritte dallo stesso Chagall nel suo famoso resoconto autobiografico, in lingua russa, negli anni tra il 1921 e il 1922, un po’ prima di lasciare definitivamente Mosca, dopo l’esperienza di entusiasmo e sofferenza della rivoluzione. Bella Rosenfeld, incontrata a Vitebsk nel 1909, sua moglie dal 25 luglio 1915, tradusse quell’opera in francese (Ma vie; La mia vita) e la diede alle stampe a Parigi nel 1931, presso la Librairie Stock. Venne poi ristampata nel 1957 con piccole modifiche e integrazioni dell’artista. L’artista, come chiunque altro al suo posto, evidenziando i sentimenti racchiusi nel profondo del cuore, sembra voler offrire consolazione, quando invece più di tutto ha bisogno di essere consolato proprio per la mancanza della sua mamma. Nelle speranze del protagonista la carica di amore ricevuto fin da piccolo non dovrebbe esaurirsi, ma riuscire a trovare una fonte rinnovabile e duratura. Soltanto così gli verrebbe assicurata quell’energia fondamentale, che mantiene le persone in vita. Nella Russia ebraica del primo Novecento, il ripetersi di incendi non è certamente avulso dalla storia o frutto di pura coincidenza. Basterebbe qui ricordare il caso emblematico di Odessa. In quella città sulle rive del Mar Nero esisteva il ghetto ebraico di Moldavjanka, ove si svolgono le storie immortalate in Gente di Odessa da Isaak Babel’ . Lo scrittore sopravvisse al pogrom del 1905 grazie all’aiuto di vicini di casa cristiani, che nascosero la sua famiglia. E in molti altri casi si ebbero vere e proprie distruzioni a tappeto di interi quartieri ebraici con conseguenze gravissime per gli abitanti. In Bulgaria si verificò un evento con caratteristiche simili, raccontato da Elias Canetti nel suo La lingua salvata. Canetti premio Nobel per la letteratura nel 1981 era nato a Rustschuk da una famiglia ebraica di lingua spagnola. Sentiva un’attrazione innata verso l’arte, in particolare per l’opera di Bruegel il Giovane (o Bruegel degli Inferi, 1564-1638). Nel 1940 Chagall realizzò guazzi su carta, tra cui L’incendio nella neve e Il villaggio in fiamme, dove si trovano insieme case, genitori, figli piccoli, animali, tutti minacciati dal fuoco. L’ebreo che tiene strette fra le braccia i Sefarim, le sacre pergamene, salvandole dalle fiamme, era già divenuto un motivo costante nei dipinti di Chagall. Le tematiche di queste opere erano destinate a rimanere di tristissima e angosciante attualità, per quello che i campi di concentramento nazisti diventarono dopo la cosiddetta «soluzione finale». Cosmopolitismo, apertura culturale, tradizione che, rinnovandosi, persiste. Queste considerazioni si legano primariamente al contesto e alle suggestioni che l’«anima russa» era già riuscita a generare, muovendo dagli spazi letterari del romanzo d’Ottocento, che aveva avuto grande fortuna e conosciuto presto traduzioni in tanti Paesi del mondo. Dopo aver inquadrato gli anni della prima giovinezza, conviene avviare un percorso lungo delle piste che Chagall sicuramente teneva intrecciate fra loro. Sembravano offrirgli continuamente spunti per i suoi sogni fuori e dentro la tela: l’amore tra uomo e donna, quello per i derelitti, l’amore di Dio per l’umanità, l’esaltazione dello Shalom. L’avventura umana e spirituale di Chagall ha sicuramente qualcosa da insegnare anche nel campo della teoria dell’arte e dell’artista. Recentemente Paolo Di Paolo ha rilanciato i contenuti di un conosciutissimo, breve romanzo giovanile di Thomas Mann, Tonio Kröger, scritto nel 1903. Le vicende di Tonio sembrano un tentativo di autobiografia, che prende le mosse e si sviluppa negli stessi luoghi frequentati da Mann, tra Lubecca, città anseatica nel nord della Germania, e Monaco di Baviera. Emerge il contrasto fra arte e malattia, che segnano ineluttabilmente l’animo dell’artista, e il binomio borghesia/normalità, che rappresenta l’altro stato felice dell’uomo. È qui il sostrato poetico della letteratura di Mann, che riflette abbondantemente e con una certa originalità su nausea, maledizione, sterilità e paralisi indotte dalla conoscenza.
Sicuramente anche alla luce di ciò il protagonista spiega alla sua amica Lisaveta Ivànovna: Il paese della nostra nostalgia è proprio la normalità, il decoro, l’amabilità, la vita nella sua seducente banalità! È ben lontano, mia cara, dall’essere artista chi prova un entusiasmo estremo e profondo per il raffinato, l’eccentrico e il satanico, chi non conosce la nostalgia per le cose ingenue, semplici e vive, per un po’ di amicizia, di abbandono, di confidenza e di felicità umana la furtiva e struggente nostalgia per l’incanto delle cose comuni, Lisaveta! Come non pensare all’arte di Chagall, leggendo queste considerazioni? In verità, qui Thomas Mann fa riferimento alla letteratura e alla poesia, ma alcuni canoni artistici restano comunque sempre validi, al di là della differente espressione formale che ispirano, manifestata nel l’opera finale. Chagall ha così tanta passione per la normalità, esaltata e trasformata dal suo tocco di fantasia, da esser considerato per alcuni versi epigono di Henri Rousseau e dei primitivi moderni, che si erano espressi secondo certe caratteristiche di arte naïf. Chagall ritrae la realtà come fosse una favola, dunque una non-realtà, ricca di elementi decorativi, dettagli, colori brillanti. In buona sostanza, una pittura non colta, di taglio anche infantile, a volte ingenua e popolare. Il paragone con Tonio Kröger e la descrizione che alla fine del racconto fa di se stesso potrebbe ancor meglio delinearsi: C’è un modo di essere artisti così profondo, così determinato alle origini e dal destino che nessun ideale gli appare più dolce e più degno di essere posseduto di quello avente per oggetto le gioie della vita ordinaria. Mi sembra quasi che sia quell’amore stesso del quale sta scritto che si possono parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli, ma chi ne fosse privo non sarebbe altro che un bronzo risonante e un sonaglio tintinnante. Mann si mostra sensibile alla lezione paolina di 1Cor 13,1, specialmente in opposizione ai colleghi che esaltavano il culto dionisiaco della vita, sulle orme di una bellezza spregiudicata. Infatti, come san Paolo nell’inno alla carità, anche Tonio Kröger in tanti punti assume un impeto lirico. A dimostrazione del fatto che un romanzo può procedere avanti con movenze poetiche, così come un quadro può nascere e comporsi di soggetti, atmosfere e colori di sogno. Scriveva Fausto Cercignani, al compiersi dei cento anni dalla prima pubblicazione del racconto: La concatenazione dei vari episodi e l’andamento narrativo giustificano dunque, almeno in parte, l’espressione «ballata in prosa» usata una volta dallo stesso Mann, quasi che al Tonio Kröger potesse essere assegnato un nuovo e più ampio sottotitolo: non già «Novella», bensì «Ballata di un artista». P. Di Paolo ha saputo leggere in tutto ciò non solo l’esperienza dell’artista, ma anche il desiderio e l’apprendistato di colui che vorrebbe ardentemente diventarlo. Così nella vita di Kröger finisce per specchiarsi sia quella del suo autore, sia quella di ogni lettore che abbia cuore e mente capaci di elevarsi dalla borghese, terrena comodità quotidiana. Sarà naturalmente per questi risvolti e altre manifestazioni di naturalità estrema che su Chagall piovvero anche alcune critiche precise. Talvolta lo videro esageratamente spinto sul fronte del primitivismo, quasi preoccupato di seguire il filone di un’ispirazione esclusivamente rurale, alquanto legata alla cultura tribale delle steppe asiatiche, governata dall’immaginosità folklorica del lubok, ovvero la stampa popolare, e del mužik, il tipico contadino russo, proprietario unicamente di una fetta di sole. Nel primo anniversario della Rivoluzione d’ottobre ci fu in Russia un gran fermento. Vladimir Majakovskij scrisse il grottesco MisterijaBuff (Mistero e buffonata, 1918), mentre Chagall decorò le strade di Vitebsk con «bestie multicolori», suscitando le perplessità di alcuni funzionari locali del partito comunista: «Perché la vacca è verde e perché il cavallo s’invola nel cielo, perché? Che rapporto c’è con Marx e Lenin?». Per Chagall, invece, quelle figure di animali erano manifestamente «gonfie di rivoluzione». Non era un linguaggio artistico palese, bensì gustosamente metaforico. Aveva bisogno di essere mediato e interpretato da persone più dotate nello spirito. Ugualmente poco amata dai proletari era la nuova musica e tutto ciò che aveva l’impronta di avanguardia. Tutto concorre, dunque, alla rinnovata presa di coscienza: non bastano i principi per fare la rivoluzione, fosse anche la restituzione dei principali diritti alla povera gente che ne è stata a lungo privata.

Ma, restando nel campo della pittura, ogni buon governo deve fare i conti con l’arcobaleno delle emozioni e dei progetti, con la realtà di una società generalmente e provvidenzialmente policroma. Democrazia e partito unico non possono darsi appuntamento da nessuna parte, così come una civiltà in crescita e l’oscuramento o l’annientamento del senso del soprannaturale. All’avvento della rivoluzione lo stesso Chagall aveva creduto fosse giunta una fase storica completamente nuova, tant’è che il ministro sovietico della Cultura lo aveva scelto come commissario dell’arte per la regione di Vitebsk. Molto presto dovette ricredersi, scegliendo altri spazi di vita e più libera espressione artistica. Come è facile intuire, a causa dei soggetti biblici scelti e delle amicizie spirituali coltivate, Chagall potrebbe essere considerato un apripista nel campo del dialogo fra ebraismo e cristianesimo. Si è già visto che gli sfondi dell’amore e dello Shalom lo avvicinarono molto alle opere d’arte d’ispirazione o sapore cristiano. Quel che abitò in lui, nel senso di una ricerca sincera, appassionata e sofferta del sacro, nella fattispecie raffigurando scene dalle pagine del grande codice biblico, si può evidenziare grazie allo scambio epistolare avuto con André Chouraqui (1917- 2007), giurista, scrittore e politico, vissuto tra Gerusalemme e Parigi. È rinomata la sua traduzione con commenti in francese di Bibbia ebraica, Nuovo Testamento e Corano, dei quali ha sottolineato le comuni radici. Franz Meyer spiegava nella succitata monografia: La Costa Azzurra, soprattutto il tratto fra Cannes e Nizza, col suo retroterra, era divenuta nel dopoguerra un centro artistico di fama mondiale. Matisse, che aveva abitato dal 1943 al 1948 a Vence, ora viveva a Cimiez, sopra Nizza; Picasso era a Vallauris. Chagall era in contatto con l’uno e l’altro, con poeti e scrittori e molti altri membri della «comunità artistica mediterranea». A Vence, città d’arte nell’entroterra dietro Nizza, c’erano delle cappelle, che nei primi anni ’50 Chagall era stato invitato caldamente a decorare con storie bibliche. Egli, però, se n’era fatto un problema di coscienza, soprattutto per il divieto della religione ebraica di raffigurare immagini di Dio. È noto, infatti, il dettato della Legge: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo» . Chouraqui scriveva in una lettera, il 26 marzo 1954: L’Antico Testamento che è la radice della fede cristiana offre una varietà quasi infinita di temi decorativi che saranno validi tanto per un ebreo quanto per qualsiasi uomo che conserva al fondo della propria anima il senso delle realtà spirituali. Dalla creazione del mondo fino al compimento delle profezie, la Bibbia dipinge il destino dell’umanità intera e sarà per tutti una gioia e un conforto vedere queste visioni rese dal pennello di Chagall. È interessante notare come Chouraqui, da conoscitore e traduttore della Bibbia nei due differenti Testamenti, la consideri un meraviglioso spettacolo, un quadro dipinto dall’autore che nessuno mai potrebbe eguagliare. Chagall avrebbe dovuto soltanto farsi tramite, prestando la sua mano e il suo animo per una nuova interpretazione della Legge e dei profeti. L’artista veniva incoraggiato a diventare un ermeneuta delle sante Scritture e conseguentemente un artigiano del dialogo ancor grezzo fra le due religioni. I tempi per un incontro rispettoso e chiarificatore fra ebraismo e cristianesimo non erano sicuramente maturi. Però in Francia l’ambiente era segnato profondamente dalle riflessioni di Jacques Maritain e sua moglie Raïssa, Edmond Fleg, Paul Claudel col suo libro Une voix sur Israël, 48 il poeta Claude Vigée, lo stesso André Chouraqui, il rabbino André Zaoui e altri. Alla fine Chagall accettò di decorare la cappella di Vence, anche se oggi i quadri monumentali con gli episodi dell’Antico Testamento si trovano a Nizza, al Museo nazionale Message biblique Marc Chagall. Solo grazie a un cammino faticoso e a tentativi ripetuti da parte di studiosi di buona volontà si giunse alla formulazione della dichiarazione Nostra aetate. Fu promulgata dai padri del concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965, per definire le relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, con una parola chiara sull’ebraismo nel capitolo IV, soprattutto per metter fine alla questione spinosa del deicidio. In L’enseignement du mépris del 1962, citando l’altro suo saggio, il prof. Isaac aveva spiegato: «In Jésus et Israël, la IV parte – più di duecento pagine è consacrata a questa terrificante accusa, “Il delitto di deicidio”, e se la riscrivessi oggi dopo una quindicina d’anni, l’argomentazione sarebbe ancora più nutrita, più serrata, più convincente». Infine, Isaac Deutscher intervenne sul tema delle immagini sacre e dell’idolatria nella menzionata conversazione riguardante Marc Chagall, registrata dalla BBC. L’ostilità giudaica per le arti visive è notoria: applicando rigorosamente il comandamento: «Non traccerai immagini», l’ortodossia rabbinica impedì lo sviluppo delle arti figurative ancor più spietatamente di quanto non fece il calvinismo. Chagall può essere considerato come uno dei pionieri. Dipingere, per un ebreo, significava ribellarsi, compiere un atto di emancipazione. La ribellione era rivolta contro l’oscurantismo clericale ebraico, e contro l’oppressione zarista. In Chagall, e con Chagall, l’immaginazione visiva dell’ebreo, così a lungo repressa, esplose in una miriade di arcobaleni, come un vulcano. Attento a non ripetere definizioni stereotipate o apprezzamenti gratuiti verso il mondo ebraico, Deutscher era stato sollecitato proprio dagli effetti dell’immaginazione dell’artista. E si cimentava nel tentativo di identificare i tratti più generali dell’immaginazione ebraica, sicuro che vi fosse racchiuso il segreto dell’incomparabile arte di Chagall. Per finire, una curiosità. Intorno a Natale 1957, von Balthasar diede alle stampe una monografia sul filosofo della religione Martin Buber , che aveva formulato il principio dialogico. Già agli inizi Chagall era posto fra quelli che avevano «tradotto l’ebraismo non adulterato e annacquato in un linguaggio chiaro e comprensibile per l’uomo occidentale», a volte così distante dalla mentalità semitica. Perciò siamo tutti debitori a Chagall, il pittore che amava riconoscersi russo, ma non aveva messo radici da nessuna parte. A lui il merito non solo di aver rivelato il compito che l’artista riveste nell’ambiente culturale ebraico, ma anche di aver innescato una riflessione importante sul ruolo dell’ebraismo nel mondo contemporaneo. Grazie a lui e ai suoi quadri molti sono riusciti finalmente a passare da un diffuso, iterato rimbalzo sul destino d’Israele all’urgente necessità di amore e Shalom, gioia e leggerezza, poesia e sogno, a cui ciascun vivente in maniera inesorabile è chiamato. Un orizzonte di eternità che attende e sospinge ogni mortale, chiedendogli di vivere con i piedi sollevati da terra, sempre pronto a volare in cielo, abitando felice in «un mondo senza gravità», come di recente è stata definita l’opera chagalliana. Il percorso offre uno sguardo illuminato e multidimensionale sulle fonti culturali dell’opera di Chagall e su un mondo perduto che essa intese evocare.
La prima sezione abbraccia il tema della Cultura ebraica e Yiddish.
Temi fondamentali nella definizione dell’opera di Chagall, al pari della vita a Vitebsk (oggi in Bielorussia) e dell’espressione dell’identità Russa, sono state l’osservanza della religione ebraica e la cultura Yiddish. Nell’Impero Russo, infatti, Vitebsk era - a cavallo tra XIX e XX secolo - uno dei centri del territorio maggiormente abitati da ebrei, la cosiddetta “Zona di residenza”. La città ospitava molte sinagoghe. La lingua parlata era l’yiddish, una lingua germanica scritta in caratteri ebraici, dunque un vernacolo che permetteva di comunicare senza tradire il linguaggio biblico. Basandosi sulla tradizione ebraica, l’yiddish preservava e rafforzava il senso di identità e la cultura della comunità; era la lingua madre che accompagnò Chagall nel suo ingresso nella vita adulta. Molte delle scene e delle immagini create da Chagall sono spesso legate alla tradizionale osservanza della religione ebraica e hanno spesso origine in espressioni yiddish; gli oggetti da lui raffigurati sono spesso molto simili a quelli delle collezioni “Judaica” ed “Ethnography” dell’Israel Museum di Gerusalemme.
La seconda sezione della mostra è dedicata al tema della Nostalgia, evidente in molte sue opere, dalle radici nella nativa Vitebsk, descritta con amore e nostalgia nella serie Ma vie, all’incontro con la prima moglie Bella Rosenfeld. Molte delle opere di Chagall sul tema dell’amore eterno sono ritratti di Bella; anche lei scrittrice in lingua yiddish, era nata a Vitebsk, dove i due si conobbero in giovane età. Scrisse della sua vita nella piccola comunità ebraica in un ciclo di memorie, e raccontò del suo amore per Chagall. Cominciò a scrivere all’inizio degli anni Trenta. Come i dipinti di Chagall, anche i suoi lavori sono pervasi dalla nostalgia per la terra natale.
La morte precoce di Bella fu per l’artista un duro colpo. I libri della moglie Burning Lights e First Encounter furono pubblicati dopo la sua morte, negli anni Quaranta, corredate da vivaci illustrazioni eseguite dal marito. La mostra comprende i disegni originali per i libri di Bella, donati all’Israel Museum dalla loro figlia Ida. Fornendo un contesto di cultura materiale quale retroterra dell’opera di Chagall, la mostra presenta inoltre una selezione di oggetti rituali ebraici dell’Europa orientale, conservati alla sezione dell’Israel Museum dedicata all’arte e alla vita ebraiche. Questi manufatti, usati nelle cerimonie religiose delle comunità, sono spesso raffigurati nelle opere di Chagall, in particolare nelle illustrazioni per i libri di Bella e per le stampe da lui realizzate negli anni Venti in Ma vie.
La terza sezione in mostra descrive le Fonti di ispirazione di Chagall.
La mostra presenta le sue illustrazioni della Bibbia: disegni e stampe su temi che esercitarono sempre un grande fascino su di lui e che rivelano un’interpretazione straordinariamente “umanista” delle Scritture; la Bibbia Ebraica (quella che racconta l’Antico Testamento) è infatti rappresentata come un ciclo di incontri storici tra l’uomo e Dio. Infine, l’ultima sezione ci porta in Francia, la nuova patria. Il ricco cromatismo che si suole associare ai dipinti e alle stampe di Chagall emerse solo nel momento in cui egli lasciò la Russia per la Francia. Stabilitosi a Parigi, Chagall abbracciò la sua nuova, colorita patria assimilando tutte le risorse culturali che essa gli offriva. Il paesaggio e la cultura francesi divennero parte della sua nuova vita, e Chagall li incorporò nei dipinti e nelle illustrazioni di scene bibliche e di classici della letteratura, come le Favole di La Fontaine. Durante la sua lunga e fertile carriera a Parigi e a Saint-Paul de Vence in Provenza Chagall continuò a evocare i ricordi della sua casa natale e l’atmosfera della sua infanzia. Allo stesso tempo, divenne il “cittadino del mondo” per eccellenza; le sue magistrali stampe per Le anime morte di Gogol’, anch’esse incluse nella mostra, rivelano la sua nuova identità di artista ebreo – matura e complessa - nel momento in cui, residente in Francia, illustra un classico romanzo russo del XIX secolo. Nel corso della sua straordinaria carriera, Chagall ha prodotto numerose opere grafiche – disegni, incisioni, litografie – dimostrando di essere un maestro della linea e della superficie oltre che un eccellente colorista. Probabilmente rimane ineguagliato nell’abilità di tradurre il colore in un mezzo esclusivamente bianco e nero, mantenendo le gradazioni dei toni. Nelle illustrazioni per i libri – dall’autobiografia alla Bibbia – rimane fedele al testo accompagnandolo con immagini che di solito non si limitano a illustrare particolari episodi. Dal bianco e nero al colore. La joie de vivre degli anni della sua formazione trova espressione nell’arte di Chagall in colori vivaci e in immagini ricche ed evocative, ora malinconiche ora gioiose: temi archetipici di tutto il suo lavoro, immediatamente riconoscibili da spettatori appartenenti alle più diverse culture. Al tempo stesso hanno significati più profondi, decifrabili solo per mezzo di un’analisi antropologica. Saranno presenti, infine, una selezione di oggetti rituali, usati nelle cerimonie religiose delle comunità ebraiche e che sono spesso raffigurati nelle opere di Chagall. All’interno del percorso espositivo, alcune sale ospitano anche installazioni multimediali, ideate e curate da Kaos produzioni per accompagnare il visitatore in un viaggio affascinante alla riscoperta dell’artista. Jacopo Veneziani, storico dell’arte e divulgatore, ha curato inoltre i testi delle audioguide per gli adulti e ideato il testo per la videoinstallazione nella sala dedicata alle fonti di ispirazione. Il catalogo della mostra “Marc Chagall. Una storia di due mondi”, edito da 24 ORE Cultura, è disponibile in libreria e online.
Museo Mudec – Milano
Marc Chagall. Una storia di due mondi
dal 16 Marzo 2022 al 31 Luglio 2022
Lunedì dalle ore 14.30 alle ore 19.30
Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica dalle ore 09.30 alle ore 19.30
Giovedì e Sabato alle ore 9.30 alle ore 22.30