Giovanni Cardone Novembre 2022
Fino all’8 Gennaio si potrà ammirare a Palazzo Reale di Milano - Sale dell’Appartamento dei Principi ospitano la mostra Maria Mulas. Milano, ritratti di fine ’900 a cura di Andrea Tomasetig. L’ esposizione è promossa dal Comune di Milano – Cultura prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dall’Archivio Maria Mulas. Il progetto espositivo è firmato da Leo Guerra e Giovanni Renzi, che con maestria hanno messo in rapporto le sontuose sale arredate con le fotografie esposte, utilizzando anche per il disegno della luce la serie Toio di Achille Castiglioni in produzione Flos. L’archivio fotografico contiene, oltre a reportage e lavori di ricerca, anche un numero imponente di ritratti oltre cinquecento personaggi di primo piano delle arti e della cultura. In mostra ve ne sono un centinaio, giunti da una lunga esposizione al Museo Nazionale Slovacco promossa dall’Istituto Italiano di Cultura di Bratislava e frutto di una selezione che documenta lo stretto rapporto della fotografa con Milano e i suoi protagonisti nel trentennio che conclude il Novecento. Come dichiara il Sindaco di Milano Giuseppe Sala : “Maria Mulas. Milano, ritratti di fine '900” porta a Milano la grande mostra fotografica esposta a Bratislava, negli spazi del Museo Nazionale Slovacco, nell’estate del 2022. Si tratta di una accurata selezione di quasi cento scatti realizzati da Maria Mulas nell’arco di un trentennio, dal 1970 al 2000: ritratti di personaggi di primo piano delle arti e della cultura milanese, italiana e internazionale, che testimoniano lo stretto contatto della fotografa con le istanze più vive della scena artistica, culturale e sociale. Attraverso i volti e le immagini catturate dall’occhio di Maria Mulas prende vita la Milano di una stagione particolarmente vivace e feconda della nostra storia recente. Architettura e Design; Arte; Letteratura e Editoria; Moda; Arti dello Spettacolo; Milano cosmopolita: sono alcune delle sezioni in cui è suddivisa la mostra dove ciascuno di noi può riconoscere i volti di alcuni dei protagonisti degli ultimi decenni del XX secolo, da Giorgio Armani a Federico Fellini, da Alberto Moravia a Bruno Munari solo per citarne alcuni.” In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Maria Mulas e la Fotografia degli Sessanta e Settanta apro il mio saggio dicendo : Posso affermare che fin dalle loro origini, la funzione artistica e la funzione documentaria hanno rappresentato due poli distinti della pratica e del discorso fotografici. Per quanto concerne la seconda funzione sopra citata, sul finire dell'Ottocento la documentazione fotografica della storia dell'arte o più semplicemente, in una formula che utilizzeremo nella presente tesi, la fotografa d'arte entra a pieno titolo tra gli strumenti didattici. Già dal primo Novecento, con i progressi della tecnica editoriale, essa diventerà anche un mezzo essenziale per la divulgazione delle opere . Anche nella seconda metà del Novecento, quando cioè il medium si ritaglia uno spazio privilegiato nelle pratiche dell'arte contemporanea, la fotografa artistica e la fotografa d'arte saranno considerate come due attività ben distinte: la prima è vista nella sua tensione creativa verso la produzione di “belle” fotografe; la seconda come semplice supporto documentario, editoriale o didattico. Questa netta distinzione dei due ambiti inizia a incrinarsi a partire dagli anni Sessanta, periodo in cui la fotografa d'arte assume anche un valore critico non solo documentario, come ben esemplifica la figura di Ugo Mulas che tratteremo oltre e la fotografa, intesa come pratica, assume una certa rilevanza in ambito artistico si pensi alle operazioni di artisti come Piero Manzoni, e soprattutto Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, ecc..

La fotografa inizia a essere considerata non più segmento culturale e sociale irrelato al mondo artistico, perché strumento di documentazione tout court, o comunque sottoposto all'arte, o strumento del piacere di pochi.
La cultura dei media che va diffondendosi e sviluppandosi, fece si che numerosi fotografi iniziano allora a occuparsi di documentare le opere, gli artisti, le mostre, le operazioni artistiche all'insegna dell'effimero si pensi alle installazioni e alle performance, in modo sistematico e con una consapevolezza e una maturità inedite nei confronti sia dell'ambiente artistico sia del proprio strumento. In altri termini, il binomio arte-fotografa tende a scomporsi per generare un terzo modello operativo in cui l'atto fotografico non è più o tensione creativa o semplice supporto documentario, ma è percepito in primis dai fotografi stessi nella loro complessità. Questa fenomeno di scomposizione del binomio arte-fotografa genera ciò che ci piace definire un “luogo di contaminazione”, uno spazio “terzo” capace di accogliere sia la tecnica, in funzione del valore documentario, sia le riflessioni sul mezzo, sia i valori della professione, che comprendono la conoscenza dell'ambito artistico in cui i professionisti dell'obiettivo operano. In questo modo il fotografo assume una funzione di mediatore tra l'arte e la fotografa. Si potrebbe far riferimento in questo caso alla nota formula di Bourdieu (1965) che etichetta la fotografa come arte media. Secondo il discorso storiografico corrente, gli anni Settanta sono i primi anni in cui si afferma il valore autoriale dei fotografi. A nostro avviso, l'origine di tale emergenza del valore autoriale va ricercata in questo “luogo di contaminazione” le cui tracce risalgono al decennio 1960, quando il dibattito in ambito fotografico e in ambito artistico si incrociano e si contaminano, appunto, gettando le basi per la produzione della fotografa d'autore. In ambito italiano il testo che in maniera più ampia e sistematica analizza i rapporti tra fotografa e arte nel XX secolo è Fotografa e pittura del Novecento. Una storia senza combattimento, dello storico e critico Claudio Marra del 1999. Pubblicato in un periodo di pieno sviluppo della storiografa fotografica italiana, il volume esamina la produzione d’autore in rapporto alle correnti artistiche del secolo scorso. Nel porre a confronto l'arte del Novecento e le coeve vicende fotografiche, l'autore fa dialogare le due pratiche estraendo, al contempo, le reciproche affinità culturali.

Lo svolgimento delle tesi di Marra riflette la più comune tra le impostazioni dell'analisi del rapporto arte-fotografa; impostazione che procede, perlopiù, per rimandi tematici e per confronti interni al circuito dell'arte, e che si trova alla base anche di alcune mostre che associano, in un unico contesto espositivo, artisti d'avanguardia e artisti-fotografi . Il volume è per noi illuminante di un'impostazione che non produce una vera analisi di quel contesto storico in cui la fotografa è ormai innestata come parte integrante della cultura del tempo. Marra descrive molti esempi di produzioni afferenti al circuito di diffusione della fotografa e a quello dell'arte contemporanea, rapportandoli tra loro. Tra gli strumenti utilizzati da Marra a conforto delle sue tesi è interessante citare la ripresa di alcune teorie di Rosalind Krauss, storica dell'arte che ha più volte indagato l'apporto della fotografa all'arte contemporanea, considerandola più come oggetto teorico che come pratica del fotografare. Riprenderemo e approfondiremo nella prossima parte del capitolo le riflessioni dell'autrice statunitense. L'autore prende a prestito alcune conclusioni della Krauss per analizzare diversi movimenti artistici e metterli in relazione con le coeve tendenze della fotografa. Per inciso, non riteniamo si debbano definire “movimenti” o “avanguardie” le diverse modalità d'uso della fotografa, ricorrenti nella sua storia. Sebbene in alcune storie della fotografa si siano volute utilizzare etichette come la fotografa formalista, d'avanguardia, pittorialista, neorealista ecc., alla base della nostra impostazione sta l'assunto che la fotografa ha accompagnato sin dalla sua nascita gli sviluppi teorici e tecnologici della cultura occidentale, costituendosi raramente in veri e propri movimenti paragonabili a quelli definiti nella storia dell'arte. Tra le varie citazioni prese in prestito dall'autrice statunitense troviamo ad esempio l'indice, termine ripreso e rielaborato a partire dall'intuizione semiotica di Charles Peirce per cui la fotografa veniva inclusa tra gli segni linguistici . Semplifcando, l'autrice riconduce l'attività artistica di Marcel Duchamp sotto una prospettiva concettualmente indicale, dunque fotografica . L'indicalità del ready-made diviene per Marra il paradigma di analisi dell'uso della fotografa nell'Arte Concettuale .
Altrettanto, introducendo le riprese fotografiche dall'alto, Marra cita Krauss per descrivere le afnità tra Hans Namuth e Jackson Polloch all'insegna di un'“analogia” che si giustifica in entrambi nello “sfruttamento di qualità specifcatamente fotografiche” qualità che, volendo riassumere il più complesso ragionamento di Krauss , l'autrice riconduce alle vedute fotografiche aeree. Marra utilizza questo parallelo per interpretare il lavoro di Henri Cartier-Bresson sotto l'ottica dell'Informale. Il tentativo di Marra, che abbiamo ripercorso rapidamente e per esempi, è dunque di condurre confronti tra arte e fotografe prendendo spunto da teorie tratte dalla storia dell'arte contemporanea. Il risultato permette di ridefinire la fotografa come forma d'arte riconoscendo in definitiva a essa le medesime qualità artistiche riscontrabili nelle coeve correnti artistiche d'avanguardia. La critica che si può avanzare è che questo modo di rappresentare il binomio arte-fotografa conduce a un'assimilazione della fotografa nell'arte, propone cioè una perdita di valore della prima assoggettandola alla seconda. Nell'introduzione al suo volume, Marra esplicita il suo approccio contestando un accostamento tra la fotografa e la pittura in funzione di una più ampia solidarietà di matrice storico -artistica tra le due pratiche: “Apparentemente simile a un quadro la fotografa si è dimostrata assai vicina e anzi teoricamente solidale con tutte quelle pratiche artistiche che nel Novecento si sono poste come alternative alla pittura stessa” . Le esposizioni e i cataloghi citati, che si riferiscono a un arco temporale che va dai primi anni Settanta al decennio 2000, ci permettono di verificare il modo di intendere il rapporto arte-fotografa così specificato nel primo paragrafo, ovverosia un binomio di elementi in cui la fotografa è assimilata all'arte. Inoltre, le mostre ci danno il polso di un mancato sviluppo della matrice teorica che sta alla base di questo approccio. Infatti, sebbene la riflessione sulla fotografa abbia fatto enormi progressi dalla fine degli anni Settanta in poi, l'impostazione di base delle mostre sopracitate rimanda a concetti tra loro assimilabili. L'indicalità nell'accezione derivata dai saggi della Krauss, la pittoricità e l'artisticità, sono i concetti che hanno indicato la strada ai curatori di questi esempi.

Una strada che, lo ribadiamo, è tracciata nel solco di una assimilazione della fotografa ai concetti mutuati dalla critica d'arte. Un'idea di arte che permette di mettere in rapporto i vari Ghirri, Gioli, Guidi, Jodice, Paolini, Pistoletto, Ontani e molti altri, accostandoli all'insegna della possibile artisticità dell'immagine o, grazie a un salto più concettuale, del fotografico kraussiano. Nel ricostruire la natura di questa questa impostazione va citato un volume fondamentale per l'analisi dei rapporti tra arte e fotografa: Art and Photography di Aaron Scharf del 1968. In particolare l'autore svolge una storia dei rapporti tra arte e fotografa dalle sue origini agli anni Sessanta, secondo un'impostazione ormai tradizionale che concepisce l'invenzione della fotografa come il punto finale dell'evoluzione della camera oscura. L'autore mette in rapporto le principali correnti artistiche, a partire dalla metà dell'Ottocento, con la fotografa, analizzando gli artisti che ne hanno fatto uso e le influenze che l'immagine ha avuto sul modo di produrre arte. Ad esempio, grazie a Scharf si possono ripercorrere le vicinanze tra Courbet e la letteratura realista francese all'insegna della contemporanea presenza della fotografa, letta come tramite per lo svilimento dell'ideale artistico. Oppure vengono svelate le affinità tra le fotografe di Marey e le opere futuriste. Il libro procede per esempi fino ad arrivare alle opere di artisti contemporanei, come Robert Rauschenberg o Andy Warhol.Al di là degli specifici casi trattati dallo storico statunitense, l'importanza del volume sta nell'aver comunicato la pervasività della fotografa nell'ambito artistico. L'autore giunge alla conclusione che l'accessibilità dell'arte a un pubblico allargato, grazie alla sua riproduzione in immagine, ha alterato il carattere fondamentale dell'arte stessa. L'autore sembra esprimere, dietro la retorica della sospensione del giudizio, una sorta di timore per un'arte che sarà inevitabilmente dedicata a un pubblico di massa, perdendo il suo carattere in qualche modo elitario. Oppure come dice Scharf “Una più vivace attività intorno all'arte fa sì che oggi un più ampio settore della società si occupi d'arte; e ancora non si è d'accordo sul modo di misurare la qualità della sua esperienza”.
Che la fotografa sia tra gli assassini dell'arte o meno, ciò che importa è notare come essa sia entrata in modo sempre più decisivo nella riflessione sull'arte. E questo già dalle sue origini. Quanto svoltosi in ambito artistico negli anni Sessanta e in quello fotografico a partire dalla fine dello stesso decennio, è un'analisi sulla natura stessa dell'arte e della fotografa. Sotto questo punto di vista si riescono a includere nello stesso ampio campo di indagine nomi come Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto o Giuseppe Penone, accanto a quelli di Ugo Mulas, Franco Vaccari o Luigi Ghirri. In effetti, semplificando, grazie all'introduzione della fotografa tra i media utilizzati dagli artisti degli anni Sessanta, anch'essa viene sdoganata nel circuito dell'arte. A partire da questo momento, la critica d'arte riconsidera il mezzo fotografico come potenzialmente artistico. Questa nuova considerazione critica creerà le basi per un atteggiamento più consapevole da parte dei fotografi. I primi a cui viene riconosciuto un peso critico sono Ugo Mulas con le Verifiche, e Franco Vaccari con le Esposizioni in tempo reale . Successivamente avviene un vero e proprio rinnovamento della fotografa in Italia durante tutti gli anni Settanta. Se le prime operazioni di Ugo Mulas e di Vaccari si insediano al confine tra arte e fotografa, transitando perciò in maniera privilegiata nel circuito artistico, dagli anni Settanta saranno le sperimentazione sul paesaggio a condurre verso un salto di qualità nella considerazione dei fotografie alla definizione, nel decennio successivo, della figura del “fotografo -autore”. In Europa, la formalizzazione del concetto di “fotografo-autore” nel discorso storico sulla fotografa avviene in concomitanza con le attività di rilevamento fotografico del paesaggio francese, promosse dalla Délégation interministérielle à l'aménagement du territoire et à l'attractivité régionale all'inizio degli anni Ottanta . L'esperienza e il linguaggio cresciuto in questo ambito vengono importati in Italia da Roberta Valtora e sanciti nell'assimilabile esperienza italiana dell'Archivio dello spazio . Il paesaggio diventa un campo privilegiato di analisi del medium e un oggetto di riflessione che produce operazioni fotografiche assimilabili alle Verifiche di Ugo Mulas. Solo in questo senso i fotografi italiani di paesaggio potranno entrare nel binomio arte-fotografa, come dimostra la sequenza dei cataloghi discussi in precedenza. Dal canto loro gli artisti attingono al mondo della fotografa usandola per la produzione delle loro opere. Paolini, Pistoletto, Penone, usano la fotografa e come vedremo i fotografi come strumento tra gli altri, spostando la loro analisi alla gerarchia delle arti, utilizzando la fotografa come linguaggio basso, al pari dei documenti e dei materiali poveri. Tutto ciò nella piena consapevolezza dei timori di Scharf. Sebbene questa sia una semplificazione fin troppo generica e non tratteremo in questa sede queste problematiche -, ciò che accomuna questi due approcci, quello ad esempio di Ugo Mulas e quello degli artisti genericamente poveristi, è la riflessione sullo statuto degli strumenti che vengono utilizzati nella loro pratica operativa. Mentre gli artisti tendono ad abbandonare i linguaggi tradizionali come la pittura e la scultura, attingendo a mezzi meno tradizionali, i fotografi cercano forme di linguaggio per elevare lo statuto del proprio medium. Vedremo nei prossimi capitoli come i principi dell'evoluzione del linguaggio fotografico si possano rintracciare nei dibattiti degli anni Cinquanta che si svilupperanno in alcune proposte editoriali a partire dagli anni Sessanta. Vedremo anche come, proprio all'interno della fotografa d'arte, sia stato possibile svincolarsi dai modelli precedenti e dar vita all'analisi della fotografa nei suoi diversi aspetti. È qui che si concretizza quel “luogo di contaminazione” che abbiamo definito nel primo paragrafo. Le mostre sopra citate e le relative ricostruzioni storiche svelano coincidenze e avvicinamenti tra fotografa e arte contemporanea da un punto di vista che, per quanto fondamentale, non è giusto considerare come l'unico possibile. Non è per esempio mai presa in considerazione la fotografa d'arte contemporanea, ovvero la documentazione delle opere e degli artisti, che sarà invece l'oggetto di questo lavoro e che può essere fonte di maggior chiarezza nell'analisi dei rapporti tra i due elementi del binomio arte-fotografa , bisogna fare un analisi del famoso circuito artistico del periodo milanese . Giorgio De Marchis intitola il paragrafo dedicato agli anni Sessanta della Storia dell’arte Italiana del Novecento: “Il decennio 1959-1968: sperimentalismo e manierismo; dalla crisi dell’oggetto artistico alla crisi del concetto di arte”.

Negli anni Cinquanta l’Italia dell’arte ha visto succedersi diverse esperienze fondamentali i cui temi principali sono stati l’analisi spazialista, quella informale e una nuova forma dichiarata di realismo. I protagonisti di questa stagione artistica, che proseguiranno le loro sperimentazioni in forma personale nel corso degli anni successivi, sono molti e avranno conseguenze importanti sull’arte degli anni Sessanta. Nel 1959 a Milano si segnalano due avvenimenti di rilievo: l’uscita del primo numero della rivista “Azimuth” e la creazione del Gruppo T. Il primo evento rappresenta un'esperienza trainante per il decennio 1960 ed è legato sia alla rivista che alla galleria Azimut i cui fondatori sono Piero Manzoni e Enrico Castellani. Entrambi sono attivi a Milano già da qualche anno e lavorano alla comune necessità di superare il trascorso periodo informale e di sviluppare un progetto in cui secondo Castellani “l’arte fosse una continua riflessione sull’arte, un’interrogazione senza fine sul suo stesso concetto” . E, sempre nelle parole di Castellani: “La posizione prevalente è quella di distacco dal gusto e dalle motivazioni dell’informale generalizzato, dal soggettivismo, dall’irrazionalismo si cerca un linguaggio oggettivo nuovo, fondato anche su un riesame critico delle avanguardie storiche” . Il 25 gennaio del 1960 esordiscono alla Galleria Pater i componenti del Gruppo T, presentando lavori sviluppati all’insegna dell'analisi di problemi inerenti il rapporto spazio-temporale nelle “costruzionipercettive”. Alla base delle sperimentazioni del gruppo c'è la necessità di superare il limite costituito dalle tradizionali categorie della pittura e della scultura. Il superamento di tali limiti è individuato nell’analisi della “percezione dei rapporti tra spazio e tempo”, nella considerazione della realtà come “continuo divenire di fenomeni percepibili nelle loro proprie variazioni”, secondo quanto recita il manifesto collettivo del Gruppo T, Miriorama 1 . Sulla scia delle ricerche succitate si inseriscono altre esperienze, come ad esempio, nel 1963, il gruppo Nuova tendenza coordinato da Enzo Mari, oppure le sperimentazioni di Dadamaino (Edoarda Maino), Vincenzo Agnetti, Paolo Scheggi, Getulio Aviani o la costante presenza del poliedrico Bruno Munari che, per esempio, nel 1963, organizza con Giorgio Soavi, nel negozio Olivetti, la mostra collettiva Arte programmata, presentata da Umberto Eco. Altro gruppo che merita una citazione, e i cui protagonisti sono attivi anche a Milano, è il Gruppo 63 che lavora al limite tra la narrativa, la poesia, la grafica e le arti visive. Conta tra le sue fila numerosi poeti, scrittori e critici . Dal 1967, un gruppo eterogeneo di artisti vengono raccolti sotto l'etichetta Arte Povera, nella mostra genovese Arte povera. Im-Spazio. Il curatore della mostra annuncia nel catalogo un nuovo modo di trattare l'arte in cui “cadono le convenzioni iconografiche e si sbriciolano i linguaggi simbolici e convenzionali” . I protagonisti della stagione che verrà definita poverista, erano già attivi tra Genova, Torino, Roma e Milano e proseguiranno i loro percorso raggiungendo la notorietà internazionale . Infine non si può dimenticare il gruppo dei firmatari del manifesto del Nouveau Réalisme, proposto alla Galleria Apollinarie di Milano nel 1960 da Pierre Restany che mira come si evince dal testo che accompagna la mostra al superamento della pittura da cavalletto e di qualsiasi altro strumento dell'arte tradizionale, in favore di un nuovo realismo della emozione, del sentimento e della poesia . Un rapidissimo excursus, il nostro, per ribadire quanto detto nel paragrafo precedente sulla tendenza all'analisi del linguaggio e della natura dell'arte stessa. La fotografa in questa vicenda avrà un ruolo determinante non solo come medium tra gli altri, strumento per assecondare la ricerca di nuovi linguaggi artistici, ma anche come supporto di documentazione di questa ricerca. Nel contempo, i fotografi che svilupperanno questo secondo aspetto faranno fronte a nuovi problemi da risolvere e troveranno soluzioni diverse rispetto agli altri settori in cui si snodava la professione fotografica. Riprendendo la nostra panoramica sull'arte a Milano negli anni Sessanta, oltre ai nomi citati, si potrebbero citare numerosi altri artisti che, gravitando nel circuito artistico, godono della vivace attività proposta nelle gallerie d'arte. Per citarne alcune: la Galleria del Naviglio, dove Rotella esporrà nel 1960); la Galleria Vismara, dove Luciano Fabro esporrà per la sua prima personale nel maggio del 1965; la Galleria Blu, che propone interessanti incontri come Musica e segno (novembre 1962), Poesia e segno (ottobre 1963), Gesto e segno (novembre 1964); la Galleria dell’Ariete, dove approderà Giulio Paolini nell’aprile del 1966; la Galleria Sperone che vede la presenza di Michelangelo Pistoletto nel novembre del 1966; la Galleria Jolas, con una mostra delle opere di Pino Pascali nel 1968; la Galleria Toselli, dove verrà esposta Sentenza! Boetti, Long, Paolini, Ryman nel 1969, e che sarà il ponte per le mostre torinesi di Gian Enzo Sperone. Alcuni galleristi tendono a specializzarsi nei confronti delle nuove correnti o avanguardie. Per citare alcuni esempi, gli artisti associabili all'arte povera avranno due punti di riferimento in Franco Toselli attivo dal 1967 e, con un respiro più internazionale, in Françoise Lambert che apre nel 1969 con la prima italiana di Richard Serra. Guido Le Noci apre nel 1954 la Galleria Apollinaire, dimostrando da subito un certo interesse per l'arte italiana, per poi virare decisamente verso i rappresentanti dell'École de Paris e iniziando a seguire le attività di Pierre Restany e diverse esperienze di ambito francese. Renato Cardazzo nei primi anni Sessanta, a seguito della morte nel 1963 del fratello Carlo, prende in gestione la Galleria del Naviglio, aperta a Milano nel 1946 e luogo storico in cui vengono presentati gli artisti spazialisti negli anni Cinquanta. La nuova direzione si interessa anche alle nuove avanguardie e ad artisti come Getulio Alviani, Mario Ceroli, o Paolo Scheggi. Giorgio Marconi apre il suo spazio espositivo, lo Studio Marconi, nel novembre del 1965 con un'esposizione collettiva che riunisce opere di Lucio Del Pezzo, Vittorio Adami, Mario Schifano, e prosegue con una personale di quest'ultimo dal titolo Vero amore, nel dicembre dello stesso anno. Successivamente organizzerà regolarmente esposizioni in collaborazione con gallerie internazionali. Tra i galleristi più attivi, dal 1961, Arturo Schwarz trasforma la sua libreria in spazio espositivo, dedicandosi alle avanguardie storiche, in particolare al Surrealismo e al Dadaismo. Il collezionista si interessa poi al movimento spaziale, presentando le opere di Lucio Fontana e Roberto Crippa, al movimento nucleare con mostre di Enrico Baj, Sergio Dangelo e Lucio Del Pezzo. Tra i Nouveaux Réalistes organizza mostre di Arman, César, Raysse, Spoerry e poi Dufrene, Hains, Rotella. Peppino Palazzoli fonda nel 1957 la Galleria Blu, aprendo con una significativa mostra di Mario Sironi e denunciando così una predilezione per la pittura. Nel corso della sua attività la galleria proseguirà a intervallare i più importanti artisti italiani da Burri a Fontana, da Manzoni a Vedova con nomi di interesse internazionale da Dubufet a Klein da Matta a Chadwick . Pur nella sua sinteticità e incompletezza, questa lista di gallerie ci dà una serie di indizi per poter inquadrare la città di Milano come bacino ricettivo attento all'arte italiana e internazionale, capace di accogliere le nuove tendenze artistiche e di veicolare l'arte del passato e quella più tradizionale. Le gallerie, per il nostro studio, assumono diversi significati. Per esempio, è soprattutto attraverso le gallerie che i fotografi conoscono gli artisti e gli operatori del settore. Ed è nelle gallerie che possono vedere e frequentare le opere internazionali e le novità in campo artistico. La galleria, consciamente o meno, rappresenta, per il fotografo d'arte degli anni Sessanta, il più importante strumento di confronto per il suo modo di operare. Ancora, nelle gallerie si trova la possibilità di confrontarsi con la quotidianità del lavoro artistico che non comprende più solo il momento della creazione dell'opera e la sua esposizione, ma si concentra anche sul rapporto tra l'artista e lo spazio espositivo. Un rapporto che si mette in luce non solo ad opere posizionate ma proprio nell'atto dell'allestimento. Gli spazi stessi della galleria diventano per gli artisti uno degli elementi su cui ragionare in funzione delle opere. Di conseguenza il fotografo è chiamato a rappresentare non solo opere esposte ma anche la relazione che l'artista riesce a instaurare con lo spazio espositivo. Inoltre i galleristi diventano una delle fonti di reddito per i fotografi d'arte, che producono, attraverso la documentazione delle opere, degli allestimenti e degli artisti che vengono ospitati, immagini utili all'autentica delle opere, alla pubblicazioni dei cataloghi, dei materiali informativi e di quelli promozionali. Ci occuperemo oltre di dar conto di questi aspetti nell'attività dei fotografi per le gallerie. Ora, per riferire di altre possibili committenze per i fotografi che si occuperanno d'arte, va brevemente fatto un accenno al rilevante bacino dell'editoria d'arte. In particolare mi ha interessato è dare uno sguardo ai collettori di immagini delle attività artistiche, ossia le riviste specializzate e i cataloghi di mostre collettive di una certa importanza. Un sguardo orientato a svelare come vengono utilizzate le fotografe più che alla rappresentazione delle istanze artistiche del periodo. Se ci si sposta nel settore della fotografa per le riviste e i cataloghi d'arte contemporanea, si può notare come la produzione d'immagini sia riconducibile, almeno in parte, al più generale sviluppo del mercato dell'arte e delle mostre pubbliche nel corso del decennio .Significativa in questo senso è la pubblicazione, nel 1962, del primo Catalogo Bolaf d'Arte Moderna; ancor di più sono indicative le date di fondazione di alcune riviste: le brevi esperienze di “Bit” (1967-1968) e “Carta Bianca” (1968-69); longeva "Flash Art", attiva dal 1967, e “NAC” che raccoglie le idee di numerosi critici del periodo (1970-1974) – a supporto di un circuito artistico in piena evoluzione26; oppure l'evoluzione culturale e grafica di riviste come “Marcatré” (1963-1970) o “Metro” (1960-1972)27. Al limite tra il circuito amatoriale e quello artistico va citata l'esperienza dei “Quaderni d'Imago” (1964- 1972), monografie su artisti illustrate da reportage fotografici che analizzeremo nel quinto capitolo. Vedremo alcuni esempi di come è trattata la fotografa in alcune di queste riviste nel capitolo dedicato ai fotografi d'arte. Quanto ci interessa ora è l'ingresso imponente della fotografa nell'editoria d'arte. Ciò vale non solo per le opere che utilizzano la fotografa come medium (come ad esempio Paolini o Pistoletto) ma anche per la rappresentazione degli artisti e delle opere allestite, delle mostre in galleria. Il taglio che viene dato all'inclusione di queste immagini e nei periodici è deferente da rivista a rivista e anche dal tipo di articolo che accompagnano: possono essere utilizzate come supporto visivo ad un approfondimento critico, ad una manifestazione d'intenti teorici o a digressioni storico-critiche. Inoltre, la gran parte delle riviste che propongono articoli di approfondimento ricalcano la tendenza a pubblicare sezioni documentarie in cui la fotografa trova un posto di assoluto rilievo. Si veda ad esempio la sezione Information Documentation Archives della rivista "L'uomo e l'arte” diretta da Franco Castelli. Le fotografe entrano nelle riviste non solo a supporto delle analisi critiche delle opere ma anche come promozione delle attività delle gallerie. Sotto quest'aspetto, tra tutte, “Flash Art” e “Domus” aprono degli spazi di pubblicazione delle fotografe d'arte sino ad allora inesistenti, determinando la presenza, per quanto minima, di corridoi professionali. Infine è tramite queste riviste che si possono vedere esempi di opere fotografiche inedite provenienti dall'estero i provini di Andy Warhol o degli allestimenti temporanei più noti come i cavalli di Kounellis . Per spostarsi sul versante dei cataloghi d'arte, dalla metà degli anni Sessanta, si manifesta una tendenza a concedere uno spazio sempre maggiore alle fotografe. Confrontando le pubblicazioni dell'epoca è chiaro come alcune spicchino per un rinnovato uso dell'immagine. Non mancano certo i casi di un uso più tradizionale della fotografa, come nei cataloghi della rassegna Alternative attuali curate da Enrico Crispolti, in cui le immagini sono utilizzate rispondendo a criteri di pura documentazione delle opere, e sono sottostimate rispetto al corposo testo. Sono questi cataloghi in cui questa scelta può anche essere dovuta alla mancanza degli artisti più all'avanguardia, come per le prime due edizioni della rassegna aquilana. Negli stessi anni tuttavia la mostra Nuove tecniche dell'immagine (1969) faceva rientrare artisti inscrivibili a questo ambito per fare solo pochi esempi, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto o i rappresentanti della Pop Art come Robert Rauschenberg e Warhol, ma manteneva un approccio alla costruzione del catalogo molto classico, con un'immagine di opera per ogni scheda d'artista. Anche Al di là della pittura (1969) non sviluppa nuove modalità di approccio all'immagine, e se novità vi si può trovare, è nella natura stessa delle opere riprodotte che fanno molto uso di fotografe e fotogrammi di film. I primi cataloghi che introducono aspetti innovativi nell'uso della fotografa sono Il teatro dell'arte (1967) e Arte povera (1967) a cui seguono Amore mio (1970) e Vitalità del negativo (1970). In questi casi i curatori usano i cataloghi in modo diverso da prima con una consapevolezza diversa del significato delle immagini sia per la natura delle opere sia del circuito di ricezione dell'arte.
Il catalogo infatti, sul finire degli anni Sessanta, assume un valore completamente nuovo, al punto estremo da poter in alcuni casi essere pensato come forma sostitutiva alla mostra. A causa della natura dematerializzata di un certo di tipo di arte e grazie all'uso della fotografa per la sua riproduzione e del testo, si può pensare di produrre un compendio di informazioni tale per cui “in certi casi, l'esposizione può essere il catalogo” , l'idea generale che si trae dalla lettura di questi volumi è l'intenzione dei curatori di dare uno spazio “libero”, di più pagine, a ogni artista, in cui quest'ultimo possa rappresentare la sua poetica al di là dell'impaginazione del catalogo, della tradizionale scheda sull'artista e della mediazione testuale del curatore. Non tutti gli spazi dedicati agli artisti nei cataloghi ottengono questo risultato. Ciò che pare più interessante per il nostro discorso è che lo spazio nel catalogo per l'artista diventa uno spazio per il fotografo, che è il produttore delle immagini e in quasi tutti i casi è citato con il riferimento specifico al contributo realizzato. Questo aspetto è degno di attenzione sicuramente per la prospettiva economica che sottende alla produzione delle fotografe per questi libri. Ma ci sono anche altri motivi di interesse. Per i fotografi essere presenti in questi cataloghi dà sicuramente un altro prestigio al proprio lavoro rispetto alla pubblicazione di un'immagine singola pubblicata spesso senza riferimento all'autore, come avveniva nei cataloghi precedenti. Inoltre al fotografo a volte, per la capacità che gli si riconosce, viene data la libertà di proporre una visione personale delle opere in mostra o, addirittura, di verificare il linguaggio fotografico stesso; e il caso delle fotografe di Mulas per Paolo Scheggi è illuminante da questo punto di vista. Infatti la Verifica 3 di Mulas si basa su un provino realizzato per la mostra Vitalità del negativo ma non pubblicato nel catalogo. La modalità di analisi dell'opera è tuttavia da far risalire proprio alla documentazione dell'opera di Scheggi pubblicata nel catalogo Amore mio e che il fotografo riproporrà in altre occasioni. In questo senso egli assume un ruolo diverso dal semplice riproduttore di opere e sente la necessità di entrare in relazione con l'opera e l'artista, di dimostrare una consapevolezza nell'approccio all'arte, divenendo protagonista di quel “luogo di contaminazione” che abbiamo individuato essere, per così dire, il luogo del superamento del binomio arte-fotografa. La Milano di quegli anni sta affermandosi come la capitale del design, della moda, dell’editoria, e non solo. È il luogo intorno a cui ruota un universo di talenti nativi o d’adozione, giunti da tutta Italia e dal mondo. Maria, arrivata poco più che ventenne nel lontano 1956 dalla natia Manerba del Garda sulla scia del fratello, li ritrae nei posti giusti e nei momenti giusti e ce li restituisce con una freschezza e intensità senza eguali, degna erede del fratello maggiore Ugo scomparso prematuramente nel 1973. Gli anni Settanta, Ottanta e Novanta sono per lei una girandola di incontri, Biennali veneziane e Kassel, allestimenti e inaugurazioni di mostre, presentazioni letterarie, feste e reportage in giro per il mondo. Ma il luogo d’osservazione privilegiato è sempre Milano che, come un magnete, accoglie e integra le varie provenienze regionali e straniere, ed è in quegli anni uno straordinario laboratorio di creatività e modernità che poi ritrasmette in Italia e nel mondo. Facendo della città il proprio epicentro, Maria Mulas ha mostrato come nessun altro il volto del mondo artistico e culturale milanese, italiano e internazionale. Sono centinaia e centinaia coloro che sono stati ritratti da lei: artisti, galleristi, critici, designer, architetti, scrittori, editori, giornalisti, stilisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori, amici. Un elenco dettagliato ne riporta ben 539, dalla “A” di Claudio Abbado alla “Z” di Franco Zeffirelli. Non meraviglia che il Comune le abbia dedicato nel 1998 una grande mostra sempre a Palazzo Reale, consacrandola come “l’occhio di Milano”, e che oggi la celebri nuovamente come la fotografa che - pur appartata rispetto al circuito delle gallerie e del mercato dell’arte - ha colto l’anima profonda, vera di Milano, che è una città non in posa, ma dinamica, al lavoro, la città delle arti e delle professioni e dell’imprenditoria più avanzata. Per facilitare il percorso del visitatore l’esposizione è suddivisa in sei sezioni: Architettura e Design; Arte; Letteratura e Editoria; Moda; Arti dello Spettacolo; Milano cosmopolita e Maria nel mondo.
È evidente che, dato lo spazio a disposizione, non ci possono essere tutti i nomi importanti che ha ritratto, né Maria Mulas poteva allora fotografare tutti quelli che noi oggi riteniamo importanti. Ma dal suo formidabile archivio emerge una sequenza altamente rappresentativa di personalità che incarnano molta parte della cultura italiana e del made in Italy. Alcuni nomi: Giorgio Armani, Gae Aulenti, Joseph Beuys, Giorgio Bocca, Roberto Calasso, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dario Fo, Carla Fracci, Allen Ginsberg, Krizia, Vico Magistretti, Enzo Mari, Marcello Mastroianni, Ottavio Missoni, Bruno Munari, Fernanda Pivano, Gio Ponti, Miuccia Prada, Ettore Sottsass, Giorgio Strehler, Ornella Vanoni, Lea Vergine, Luigi Veronesi, Gianni Versace, Andy Warhol. Ma la mostra non è solo una godibile galleria di interessanti ritratti di una brava fotografa. È molto di più. Alla fine del percorso ci si accorge che il ritratto che predomina su tutti è quello di Milano, la vera protagonista di una stagione irripetibile. Quella stagione che va dagli anni Settanta ai Novanta, colta nel suo apice e nei suoi protagonisti, è alle spalle e Maria Mulas ne è stata la memoria visiva. La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato dall'editore Umberto Allemandi, con scritti di Andrea Tomasetig, Paolo Fallai, Stefano Salis e Patrizia Zappa Mulas.
Biografia di Maria Mulas
Maria Mulas si stabilisce a Milano nel 1956, e inizia qui il lavoro artistico attraverso la fotografia a metà degli anni Sessanta Tra il 1965 e il 1976 realizza soprattutto fotografie di teatro e ritratti, e nello stesso tempo conduce una ricerca sui riti cosiddetti
sociali “Se fotografare è un modo di raccontare senza essere interrotti (né contraddetti) – ha ben scritto di lei Lea Vergine nel 1985 – si potrà ben sostenere, nel caso di Maria Mulas, che il suo non è solo un discorso ma una girandola, addirittura un fuoco di artificio, con esiti clowneschi e raggelati al tempo stesso”. Nel 1976 tiene la prima mostra personale alla galleria Diaframma di Milano, dove espone una raccolta di ritratti che rivelano una sottile e spietata critica sociale Nel 1979 presenta alla galleria Il Milione di Milano una serie di ritratti di intellettuali e artisti internazionali (Biennale 78 – PAC 79), dove l’esperimento tecnico sull’obiettivo grandangolare 20 mm diviene tutt’uno con la scelta del personaggio, con le sue valenze simboliche: le immagini sono idee. Con Lea Vergine e su incarico del Comune di Milano conduce una ricerca sulla generazione di artiste che operarono nelle file delle avanguardie storiche: esegue una serie di ritratti di artiste nei loro studi (Sonia Delaunay, Meret Oppenheim, Bice Lazzari, Marcelle Can ecc), ritratti che vengono esposti a Palazzo Reale a Milano e a Palazzo delle Esposizioni a Roma, nella mostra
L’altra metà dell’avanguardia (1980).Nel 1982 all’Unione Culturale di Palazzo Carignano a Torino presenta una serie di pannelli concettuali sull’architettura, in cui attraverso variazioni di distanze e di punti di ripresa vengono alterati e reinventati oggetti e particolari architettonici. Nel 1984 Maria Mulas espone alla scuola di San Giovanni Evangelista a Venezia
Il Quartetto (in sequenze che ricordano la struttura filmica), ritratti degli artisti Beuys, Fabro, Cucchi e Nauman La’nno successivo a Parma, nello spazio espositivo del Mercante in Fiera, ha luogo la mostra
Maria Mulas: Fotografia 1970-1980.Nel 1988, presso la galleria Il Milione di Milano, presenta una serie di ritratti, risultato di una ricerca espressiva condotta senza l’intervento di un obiettivo che deforma o migliora i soggetti ma, come sempre, rivolta tutta allo studio del rapporto stretto che corre tra carattere e comportamento Se, nelle fotografie di architettura, Maria Mulas si occupa del particolare anomalo che, attraverso l’uso della luce, modifica il significato dell’opera, nei ritratti, invece, mira alla sintesi E come è vero che il pittore dipinge sempre lo stesso quadro, lo scrittore scrive sempre lo stesso libro, lei ripercorre e approfondisce le medesime situazioni culturali, sociali e di costume. Nel 1989 espone nel chiostro dello Juvarra a Torino, mentre l’anno successivo presenta la mostra
Vis à Vis, una serie di ritratti di intellettuali, prima alla galleria d’arte moderna di Paternò, poi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, e la mostra
Maria Mulas: ritratti di artiste ieri e oggi, alla Cascina Grande di Rozzano, Milano Nel 1991 a Palazzo dei Diamanti e al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara espone
Maria Mulas 1970-1990 – Scrittura della luce e una personale alla Galleria d’Arte Moderna di Suzzara, lo stesso anno pubblica, per le Edizioni ADONAI, un calendario con i ritratti di 13 artiste.Nel 1992 presenta
Donne di teatro e teatro di donne, all’Associazione Scenidea di Salerno, e, al Castello Pasquini di Castiglioncello,
Sessantacinque ritratti più uno All’USIS (United States Information Service) di
Milano Maria Mulas – New York Flash Personale alla galleria L’Arsenale” di Iseo, Brescia Nel corso degli anni novanta si susseguono le mostre:Libreria Feltrinelli di Via Manzoni a Milano:
Reportage per un editore; alla Rocca Paolina di Perugia:
Tricromie – Zapping – Riprese in diretta; alla Galleria Plurima di Udine:
Ossessione; nel 1994 con Marco Rotelli, alla Galleria Vigato di Alessandria; a Morterone, Lecco, per l’Associazione Culturale Amici di Monterone:
Ri-tratti 1974-1994; allo Sumithra Arte Studio di Ravenna:
Rursum Felix: Ravenna vista da Maria Mulas; Nel 1995 Maria Mulas partecipa alla Biennale di Venezia alla mostra organizzata dall’Istituto Artistico dei fratelli Alinari di Firenze:
1895-1995 – L’Io e il suo doppio, a cura di Italo Zannier Sempre per la Biennale, nell’ambito della mostra
Identità e differenza – Libri d’artiste, espone il suo lavoro
I dinosauri e le rose: una ricerca su un certo tipo di ritratto, caratterizzata da un ritmo narrativo Lo stesso anno all’Università Bocconi di Milano:
Frammenti di un centesimo di secondo, a cura dell’ISU Bocconi e personale alla Galleria Il Cancello di Milano. Nel 1996 alla Galleria Il Milione di Milano presenta la mostra
Scomposizioni Opere di Maria Mulas sono esposte in vari musei d’arte moderna del mondo (Sydney, Pechino, Edimburgo ecc) Collabora stabilmente con diverse testate italiane ed estere e con i maggiori quotidiani italiani. Nel 1998 espone al Palazzo dell’Arengario di Milano
Miraggi, nel 1999 partecipa al Festival della Fotografia di Lecco, nel 2001
Al di là delle cose: visioni di quattro fotografi Tentella, Agosti, Mulas, Alimonti, al Museo Pecci di Prato, e
Maria Mulas Luce su misura, alla Galleria Patrizia Poggi di Ravenna Nel 2002
Maria Mulas Ritratti/architetture, al Museo d’Arte Contemporanea, ex Mercato Civico, di Tortolì;
Dialogo con Maria Mulas La fotografia come arte, al Centro Culturale Santa Maria della Pietà di Cremona. Nel 2003 allo Spazio Belforte Arte Contemporanea di Livorno e presso lo Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea di Milano espone la personale
Metamorfosi
Maria Mulas è autrice di importanti libri fotografici:
Milano vista da (1973),
Hans Richter (1976) e
Annotazioni sul linguaggio di Hans Richter (1978) e
Sul linguaggio organico di Henry Moore (1977).
1976 - Espone per la prima volta in una mostra personale alla Galleria Diaframma di Milano con una selezione di ritratti che rivelano uno sguardo attento alla critica sociale;
1979 - Con l’esperimento tecnico sull’obiettivo grandangolare 20 mm, espone ritratti di intellettuali e artisti in una mostra dal titolo “Biennale '78 – P.A.C. '79”;
1980 - Esegue una serie di ritratti alle artiste attive nelle avanguardie storiche, esposti nella mostra “L’altra metà dell’avanguardia” a cura di Lea Vergine, tenuta al Palazzo Reale di Milano e al Palazzo delle Esposizioni di Roma;
1982 - Palazzo Carignano di Torino, presenta pannelli dedicati al tema dell’architettura, altro soggetto che costituirà un interesse creativo costante nel suo percorso espressivo;
1984 - Scuola di San Giovanni Evangelista a Venezia, con la mostra “Il Quartetto”, curata da Achille Bonito Oliva, espone i ritratti degli artisti Beuys, Cucchi, Fabro e Nauman;
1985 - Mercante in Fiera di Parma con la rassegna “Maria Mulas: fotografia 1970-1980”;
1989 - Chiostro dello Juvarra a Torino;
1990 - Galleria d’Arte Moderna di Paternò, mostra di 80 ritratti dal titolo “Vis à vis” (catalogo edito Electa); la stessa poi ripresentata alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna;
1991 - Cascina Grande di Rozzano, “Ritratti di artiste ieri e oggi”;
1991 - Galleria d’Arte Moderna di Suzzara;
1991 - Palazzo dei Diamanti di Ferrara, “Maria Mulas 1970-1990 – Scrittura della luce”;
1992 - Associazione Scenidea di Salerno, “Donne di teatro e teatro di donne”;
1992 - Castello Pasquini di Castiglioncello;
1993 - U.S.I.S. di Milano;
1993 - Galleria L’Arsenale di Iseo;
1993 - Libreria Feltrinelli di Milano;
1993 - Rocca Paolina di Perugia;
1993 - Galleria Plurima di Udine;
1993 - Galleria Vigato di Alessandria;
1993 - Associazione Culturale Amici di Monterone;
1994 - Studio Sumithra di Ravenna;
1995 - presente alla Biennale di Venezia nella mostra curata dall’Istituto Artistico Alinari e nell’esposizione “Identità e differenza – Libri d’artiste: I dinosauri e le rose”;
1996 - Università Bocconi di Milano;
1996 - Galleria Il Cancello di Milano;
1996 - Galleria Il Milione di Milano;
1998 - Arengario di Milano, Palazzo Reale, grande retrospettiva monografica con più di trecento opere dal titolo “Miraggi” (catalogo edito Leonardo Arte - Electa);
1999 - Festival della Fotografia di Lecco;
2001 - Museo Pecci di Prato;
2001 - Galleria Poggi di Ravenna (catalogo edito Prearo);
2002 - Museo di Arte Contemporanea di Tortolì;
2002 - Centro Culturale Santa Maria della Pietà di Cremona;
2003 - Spazio Belforte di Livorno e allo Studio Guastalla di Milano;
2006 - Fondazione Zappettini di Milano (catalogo della fondazione);
2006 - Chiostro Arte Contemporanea di Saronno (catalogo edito Nomos Edizioni);
2007 - Galleria Daniela Rallo a Cremona (catalogo edito Nomos Edizioni);
2007 - Istituto italiano di cultura di Londra mostra dal titolo “Portami il tramonto in una tazza” (catalogo edito Skira);
2007 - Studio Raffaelli di Trento, “Lavori in corso” catalogo Studio d'Arte Raffaelli Palazzo Wolkenstein);
2009 - Galleria Varart di Firenze (catalogo della galleria);
2009 - Galleria Santo Ficara, Firenze (catalogo della galleria);
2010 - Galleria Cortina, Milano; 2010 - Galerie Orenda di Parigi, “Poetic Energies”;
2010 - Galleria Al Blu di Prussia di Napoli, “Vedere le cose che nessun occhio ha scrutato”;
2012 - Liceo Artistico di Brera di Milano, “Fuori Campo” (catalogo Quaderni di Brera);
2012 - Palazzo Reale di Milano, “Addio Anni ’70 Arte a Milano 1969-1980” a cura di Francesco Bonami (catalogo edito Mousse Publisching);
2013 – Museo Pecci di Prato (sede di Milano), “Per combinazione: altre proposte dalla collezione del Museo – Progetto speciale per Maria Mulas: 50 ritratti fotografici di artisti e critici”;
2014 – Museo di Roma in Trastevere, “Il paesaggio italiano. Fotografie 1950 – 2010” ;
2014 – Rocca Roveresca di Senigallia, “Ritratti delle protagoniste e dei protagonisti del ‘900”; 2014 – Palazzo Altan di San Vito al Tagliamento|Pordenone, Maria Mulas. “Ritratti: un sessantesimo di secondo”, catalogo del museo;
2014 – Museo Nori de’ Nobili, Senigallia, Maria Mulas, “Ritratti”, catalogo del museo;
2014 – Museo Poldi Pezzoli, Milano, “Le Dame dei Pollaiolo. Ad ogni donna il suo profilo: le dame dei Pollaiolo ispirano grandi fotografi”;
2015 – Galleria Gallerja, Roma, “E’ tutto incluso” a cura di Bruno Corà;
2015 – Villa Onigo, Trevignano (TV), “L’autoritratto nella fotografia contemporanea”, a cura di Francesca della Toffola e Giorgio Bonomi;
2015 – Galleria Twenty14, Milano, “Sospetto”, testo a cura di Antonella Scaramuzzino;
2015 – Studio Arti Visive, Matera, “Sospetto”, testo a cura di Antonella Scaramuzzino;
2015 – Museo di Palazzo Pretorio, Prato, “Synchronicity. Contemporanei, da Lippi a Warhol” a cura di Stefano Pezzato;
2015 – Circolo Fotografico Sannita, in occasione de I trofei internazionali della Fotografia, Benevento, “Maria Mulas, Storie: L’unità di misura della mia presenza”;
2015 – Studio Arti Visive, Matera, “Sospetto”, testo a cura di Antonella Scaramuzzino;
2016 – Istituto Italiano di cultura, Zagabria, Croazia, “Maria Mulas, Ritratti italiani” a cura di Martina Corgnati;
2016 – Castello Carlo V, Lecce, “Andy Warhol - Ladies vs Gentleman e gli scatti di Maria Mulas” a cura di Lorenzo Madaro;
2016 – Palazzo Pirelli Spazio Eventi, Milano, “Duomedia in Photography” a cura di Carmelo Strano e Ante Glibota;
2017 - Palazzo Morando, Milano, “Obiettivo Milano. 200 fotoritratti dall'archivio di Maria Mulas” a cura di Maria Canella, Andrea Tomasetig, Antonella Scaramuzzino e Clara Melchiorre.
Nel 2009 ha vinto il Premio delle Arti - Premio della Cultura per la Fotografia con la motivazione seguente: "L'occhio fotografico di Maria Mulas ha trovato, nella dialettica del vissuto e nei ritratti assoluti, l'attimo di un racconto immortalato dove valore estetico e tecnica delle parti segnano il capitolo più alto della storia fotografica degli ultimi decenni".
Palazzo Reale di Milano
Maria Mulas. Milano, ritratti di fine ’900
dal 19 Novembre 2022 all’8 Gennaio 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso