Giovanni Cardone Novembre 2023
Fino al 1 Gennaio 2024 si potrà ammirare alla Royal Academy di Londra la mostra dedicata a Marina Abramovi? a cura di Andrea Tarsia.  Marina Abramovi?  ha guadagnato consensi in tutto il mondo come artista performativa. Ha costantemente messo alla prova i limiti della propria resistenza fisica e mentale nel suo lavoro, sottoponendosi all'esaurimento, al dolore e persino alla possibilità della morte. Nel suo primo lavoro Rhythm 0 , Abramovi? invitava il pubblico a interagire liberamente con lei come preferivano, con il risultato che le veniva puntata una pistola carica alla testa. Il suo lavoro successivo The House with the Ocean View ha visto l'artista vivere in una casa costruita in una galleria per 12 giorni. Tenutosi sulla scia degli attacchi terroristici dell'11 settembre a New York, lo spettacolo invitava il pubblico a testimoniare e condividere il semplice atto di vivere. Questa grande mostra presenta momenti chiave della carriera di Abramovi? attraverso la scultura, il video, l'installazione e la performance. Opere come The Artist is Present saranno rimesse in scena in modo sorprendente attraverso filmati d'archivio, mentre altre saranno riproposte dalla prossima generazione di artisti performativi, formati nel metodo Marina Abramovi?. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Marina Abramovi?  apro il mio saggio dicendo : Marina Abramovi? è una delle performance artist più conosciute al mondo, la sua vita però non è stata affatto semplice . Fin da piccola ha dovuto lavorare molto su sé stessa, le risultava difficile credere in lei, soprattutto per via delle mancanze d’affetto da parte dei genitori e per colpa dell'aspetto fisico che non la soddisfaceva mai, ma che poi, con il tempo, imparò ad apprezzare . Marina Abramovi? proviene da una famiglia benestante, ed è anche per questo che inizia ad avvicinarsi al mondo della cultura, in particolare a quello dell’arte ; è altrettanto vero che è proprio imparando a conoscerla che inizia a volerne creare una diversa, una che fosse al di fuori degli schemi; è per questo che risulta problematico darle l’appellativo di “artista” in quanto lei, per prima, cerca di andare oltre l’arte accademica . È da notare che il suo studio non inizia subito con qualcosa che va oltre l’ordinario, ma le prime esperienze riguardano dei quadri che lei dipinge e che avevano come tema principale il sogno, ossia i suoi sogni, e che poi colorava con due tonalità: blu e verde . Oltre ai quadri, lei ritagliava dai giornali foto di scontri automobilistici e ferroviari in modo da creare dei lavori dove si potesse vedere la violenza, il disastro; ne era molto affascinata ed è anche per questo che inizia a staccarsi dall’arte accademica . Marina Abramovi? inizia, però, a rendersi conto che questa non è la sua strada e decide di percorrerne un’altra, soprattutto quando si accorge che per lei «il processo era più importante del risultato, così come la performance ha maggiore significato dell’oggetto»  . Questo passaggio è significativo perché inizia a capire che l’arte non è solo il quadro o la pittura, ma diventa libertà di espressione, in qualsiasi forma e la sua prediletta sarà, ovviamente, la performance. Negli anni Settanta, a Belgrado, fu creato un centro culturale studentesco chiamato SKC; Marina Abramovi? ne faceva parte, ed è anche grazie a questo che iniziò ad esplorare il mondo della performance . Inizialmente molti dei suoi lavori vennero bocciati, si trattava di idee complicate e soprattutto fuori dalla norma, come installare delle vasche lungo la galleria del centro per pulire i vestiti; secondo la sua idea i visitatori avrebbero dovuto darle i loro stessi abiti e lei li avrebbe di conseguenza puliti e stirati . Per l’epoca era ancora troppo presto proporre qualcosa del genere, per questo l’idea venne respinta, ma la Abramovi? non si dette per vinta e continuò verso questa strada. Infatti, durante la prima mostra dell’SKC, Drangularium , cioè collezione di cianfrusaglie, dove gli artisti erano tenuti a esporre degli oggetti quotidiani per loro significativi, presentò Nuvola con la sua ombra: prese un’arachide con il guscio e la appese al muro con un chiodino, questa idea venne ripresa dai dipinti con le nuvole; è proprio da qui che si aprì una dimensione nuova. Dopo Drangularium, Marina Abramovi? inizia a rendersi conto, sempre di più, che l’arte possa sradicare qualsiasi costrutto preesistente; proprio per questo mette in scena una performance fenomenale, si tratta di Rhythm 10 . Era il 1973 e lei si trovava a Edimburgo ed è da una storiella paesana che prende spunto per realizzare il suo lavoro: si trattava di un gioco praticato dai contadini russi e jugoslavi che prevedeva di mettere la mano aperta sul tavolo e di colpire, grazie all’altra mano, gli spazi tra le dita con un coltello. Quando i giocatori si facevano male dovevano bere e, ovviamente, più si beveva, più c’era la probabilità di ferirsi, ma era proprio qui che risiedeva il gusto del gioco, era qui che stava il coraggio, ma anche l’imbecillità, in quanto, a volte, si rischiava molto. Per questo era considerato il perfetto gioco slavo . Sicuramente la Abramovi? replicò il gioco non tanto per l’idiozia che stava alla base, ma per il coraggio; per lei stava diventando fondamentale il rischio, cercando infatti di sfidare la paura, nonostante sapesse che è un sentimento imprescindibile dall’essere umano, l’idea che stava alla base era quella di buttarsi a capofitto, senza pensarci troppo e cercando così di tirare fuori un nuovo lato di sé stessi . Decise quindi di creare una sorta di variazione del gioco, non c’era un solo coltello, ma dieci, ed era quando si procurava del male che accadeva la performance; ma cosa fece nel dettaglio? Decise di porre un grande foglio di carta spessa bianca nella palestra del Melville College e iniziò così la sua performance, mettendo una mano sopra il suddetto foglio e posizionando i dieci coltelli che avrebbe poi utilizzato, con due registratori che immortalavano i suoni che emetteva quando si auto lesionava. In questo modo sperimentò la gestualità rituale, sempre per provare a superare i limiti mentali e fisici che, secondo lei, possono essere superati attraverso la performance . In questo caso è da notare che una tra le cose più importanti che si andranno ad analizzare in questo scritto, ossia il rapporto con il pubblico, il quale diventa un tassello fondamentale; lei stessa, prima di iniziare la performance in questione, si trovava in uno stato di ansia dovuto da molteplici fattori, in primo luogo non sapeva quello che stava per avvenire, aveva quindi timore che le cose non sarebbero andate a buon fine. La paura è un sentimento che la performer decide di accogliere in modo tale da poterlo gestire, ecco che questa svaniva quando iniziava ad esibirsi, era come se fosse entrata in un altro mondo, dove lei si sentiva a suo agio e capiva che poteva fare qualsiasi cosa volesse. Per il pubblico non era lo stesso, anzi, molti avevano il terrore di quello che stava succedendo; vedere come la performer si procurava quelle ferite provocava anche a loro dolore; è altrettanto vero che, con il trascorrere del tempo e l’esaurirsi dei dieci coltelli, il rapporto con gli spettatori cambiò, la Abramovi? e il suo pubblico divennero una cosa unica. Marina Abramovi? disse queste esplicite parole: «era come se fossi diventata, contemporaneamente, il trasmittente, e il ricevitore di un enorme flusso di energia, come in un apparecchio di Nikola Tesla» . Capisce così, sempre di più, che nella vita vuole intraprendere questo percorso, dove lei, nel momento della performance si estrania e così facendo scompaiono paura e dolore, il suo corpo in quegli istanti è senza limiti, la parola d’ordine diventa infatti libertà . Diventa quindi interessante come si va a creare questo rapporto con il pubblico, un rapporto che è composto da fedeltà e fiducia; senza il pubblico di certo non sarebbe la stessa cosa in quanto è proprio l’energia, che si crea attraverso i suoi lavori, uno dei protagonisti delle sue performance. Un altro elemento da non dimenticare è che lei, quando si tagliò con l’ultimo coltello, riavvolse il nastro del primo registratore e lo fece ripartire, cominciando a registrare con il secondo e ripartendo da capo il gioco con il primo coltello . Si trattava di qualcosa di veramente straordinario e allo stesso tempo anormale anche perché lei, nel mentre, cercava di seguire i gemiti che aveva fatto durante la prima performance che stava ascoltando dal registratore per non sbagliare nuovamente e infatti successe solo un paio di volte e questo fu veramente incredibile . Un fenomeno molto importante, all’interno dell’operato di Marina Abramovi? è quello della replicabilità; ciò su cui ci si focalizzerà in questo scritto, ma cosa vuol dire questo termine? Secondo il dizionario Treccani: “Singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a [...].”  Questa particolarità non si trova in tutte le performance dell’artista, ma allo stesso tempo, molto spesso, si trova un legame con questo elemento. È infatti noto che le performance dell’artista erano uniche, ma è altrettanto vero che potevano essere replicate e in particolar modo questo si noterà con il passare del tempo. Già in questo caso, con Rhythm 10, vediamo un caso di replicabilità proprio perché la performance venne riproposta due volte nell’arco della stessa esibizione, per quale motivo? per mostrare, ancora di più, quella sensazione che lei provava di libertà assoluta, dove l’estasi era a mille perché questo era il suo scopo nella vita, solo questo tipo di arte poteva regalarle determinate sensazioni. Un altro elemento che fa riflettere è l’uso del registratore, collegato anche questo alla replicabilità in quanto in questo modo lei riesce a far in modo che passato e presente si sormontino e perciò, di conseguenza, diventa imprescindibile il fatto che si mescolino e fondino in qualcosa che diventa, per chi è spettatore, quasi surreale . Allo stesso tempo, è da ricordare che Rhythm 10 venne eseguita anche a Roma, si tratta quindi di un altro modo di replicare il lavoro; questa volta Marina Abramovi? usò venti coltelli e di conseguenza si vide molto più sangue . Ancora una volta dalla replicabilità è nato quel sentimento focoso che faceva capire all’artista che di fronte alla performance art c’erano troppe strade che non erano ancora state aperte e che lei, in un modo o nell’altro, voleva aprire a qualsiasi costo. Un elemento da non dimenticare è che lei non realizzò solo questo lavoro con il titolo Rhythm, ma che diventa una sorta di serie e, anche in questo caso, c’è quindi l’elemento della replicabilità perché questi lavori avevano un comune denominatore, ossia il titolo che conteneva sempre il termine Rhythm e un numero a fianco. Quello che lei cercherà di esplorare, all’interno di questi lavori, è il suo corpo e il cercare di spingersi verso limiti estremi ed è fermamente convinta di poterli superare. È altrettanto importante il rapporto che crea con il pubblico, molto spesso si affida a questo legame che analizzerò nelle prossime performance, e anche qui si vedrà come il limite di sopportazione sia veramente infinito. Come mai questa volta utilizzò il numero cinque? La risposta in realtà è molto semplice in quanto il titolo si riferisce alle stelle che, ovviamente, hanno cinque punte . Un altro elemento fondamentale, all’interno di questo lavoro, è il fuoco; le venne in mente di utilizzarlo verso la seconda metà del Novecento, lo stesso Beuys le disse di stare molto attenta, perché con il fuoco non si scherza, ma a lei non interessava molto essere prudente  . La performance venne eseguita nel 1974 a Belgrado, durò novanta minuti, durante i quali vi fu terrore per la maggior parte del tempo in quanto Marina Abramovi? decise di progettare una grande stella di legno dove lei doveva inserirsi e toccare con le estremità del corpo. Ovviamente non poteva essere una stella di legno qualsiasi, doveva essere infuocata e per questo non ce n’era solo una ma due e nello spazio tra l’una e l’altra mise dei trucioli che avrebbero poi preso fuoco. Nella sua testa tutto funzionava, la stella aveva poi un grande significato per lei in quanto era il simbolo del comunismo, e così iniziò la sua performance gettando, oltre ai trucioli, anche le sue unghie, i suoi capelli, insomma parti del corpo che indicavano che lei ormai era diventata un tutt’uno con la stella . Quando si mise all’interno della stella molti rimasero sbalorditi, lei stessa in quel momento si trovava in uno stato particolare in quanto terrore e paura erano scomparsi, pensava solo alla performance la cosa, in realtà, le sfuggì di mano in quanto svenne. Fu grazie ad un medico presente in platea in mezzo al pubblico che fortunatamente venne salvata perché si accorse che qualcosa non andava quando il fuoco arrivò alla gamba e lei non si mosse: era in realtà abbastanza prevedibile che il fuoco avrebbe consumato l’ossigeno tra le due stelle e che di conseguenza lei avrebbe perso conoscenza. La performance però, nonostante tutto, ebbe successo; anche se alcuni ritenevano che il posto della Abramovi? fosse in un manicomio visto ciò che proponeva nei suoi lavori ma, c’è anche da dire che, ancora una volta il rapporto con il pubblico era molto forte tant’è che, questa volta, le salvò persino la vita. Per Marina Abramovi?, però, era impensabile aver perso il controllo perciò tutte le esibizioni a seguire, che prendevano sempre il nome Rhythm con un numero a fianco, andavano a indagare anche questo; diventa sempre più importante esplorare il proprio corpo e acquisire una tale maturità da poter trovare una sorta di equilibrio tra consapevolezza e perdita di controllo .Si può notare un particolare: è dallo studio di come far in modo di non ripetere quello che la performer chiama errore, che in Rhythm 5, in realtà, scopre nuovi modi di utilizzare la performance art. Proprio per questi motivi, l’artista, molte volte venne giudicata in maniera negativa, non veniva capita, molti pensavano e scrivevano di lei che ciò che faceva non era arte e che lei era solo una persona che voleva farsi notare procurandosi dolore . Marina Abramovi? però continuò i suoi lavori e il suo studio del corpo, per questo decise, con l’opera che analizzeremo ora, di non realizzare qualcosa con le sue mani, ma di lasciare questo ruolo al pubblico; si tratta proprio di Rhythm 0 . Marina Abramovi?  ha esposto a Napoli voluta dallo Studio Morra  nel 1975, l’aveva invitata per chiederle di eseguire una delle sue fantastiche performance . Per i motivi già esposti precedentemente decise di progettare qualcosa di assai particolare, sarebbe stato il pubblico a compiere tutte le azioni e quindi creare la performance mentre lei doveva stare immobile, vestita di nero, davanti un tavolo, nella galleria . Sopra questo tavolo lei aveva posto delle istruzioni per i partecipanti e ben settantadue oggetti, questi, secondo ciò che c’era scritto nelle istruzioni, potevano essere usati su di lei a piacimento del pubblico. La cosa sorprendete è che c’era anche scritto che lei era l’oggetto della performance e per questo si assumeva totale responsabilità; il tutto sarebbe durato sei ore . Tra le varie cose si potevano trovare: una penna, un giornale, uno scialle, degli spilli, una macchina fotografica Polaroid, un coltellino e persino una pistola con un proiettile di fianco; questi ultime due, in particolare, mettevano il pubblico, ormai diventato performer, in soggezione . Come si può notare, si tratta di oggetti comuni ma anche di alcuni assai ambigui; l’enigma era cercare di capire come il pubblico si sarebbe comportato davanti ad essi. Sicuramente ciò che ha fatto scatenare l’inferno è stata la voglia di spingersi oltre; all’inizio non successe nulla di particolare, è dal compiere sempre le stesse azioni che il pubblico, quasi annoiandosi, decise di provare qualcosa di diverso e meno scontato, in questo caso si potrebbe anche dire che superò qualsiasi limite e soprattutto decenza . Quando si fece notte all’interno della galleria, cominciò ad avvertirsi una certa tensione sessuale, e questo si notò soprattutto quando alla Abramovi? venne tagliata e poi tolta la maglia che indossava . Come mai si arrivò a tanto? Questo accadde perché ormai le azioni nei confronti dell’artista erano sempre le stesse, si sentiva il bisogno di andare oltre, di non fermarsi alla replicazione ma di cercare qualcosa di diverso, c’è anche da dire che, in realtà, poteva finire veramente male questa performance, ma fortunatamente non fu così. In questi istanti Marina Abramovi? era diventata una sorta di marionetta, era completamente passiva davanti a loro e le cose si fecero pian piano sempre più audaci quando due uomini la sollevarono e la misero sul tavolo con le gambe aperte, ponendole un coltello vicino ai suoi genitali . L’artista notò che era proprio il genere maschile ad avere atteggiamenti immorali, non c’era alcun pudore, alcuni pensarono che lei fosse veramente una bambola, per questo la punsero con degli spilli . Marina Abramovi? racconta che ha ancora le cicatrici di quella performance in quanto degli uomini la tagliarono con il coltello e per questo ha ancora, sul collo, il segno . Si può quindi affermare, attraverso questa esibizione, che diventa anche una sorta di esperimento, che l’uomo può veramente superare qualsiasi limite se gli viene posta la possibilità, lo fa senza alcuno scrupolo e senso civico che tanto ha bramato per secoli . Come è già stato detto tante volte Marina Abramovi? cerca e riesce di non mostrare mai paura durante le sue performance, anche quelle più pericolose; in questa performance però, ad un certo punto arriva un uomo che le mette ansia e terrore, in quanto costui inserisce il proiettile nella pistola e poi la fa prendere alla donna nella sua mano destra. L’azione non si fermò là in quanto l’uomo gliela puntò sul collo e toccò il grilletto; quello fu un attimo di terrore, non solo per la stessa Abramovi? ma anche per il pubblico che poi, fortunatamente, lo bloccò . Come finì la performance? È stata proprio la gallerista ad arrivare e avvisare che ormai le sei ore erano trascorse quindi Marina Abramovi? se ne andò via mezza nuda, sanguinante e con i capelli bagnati . Attraverso questo lavoro lei capisce una cosa che le rimarrà impressa per sempre e cioè che il pubblico, se vuole, può fare qualsiasi cosa, anche uccidere . In questo caso diventa quindi fondamentale il rapporto che si era creato con lo spettatore, inizialmente tranquillo e sereno per poi trasformarsi pian piano a tal punto che le azioni sfuggirono di mano; la performance aveva lasciato che loro potessero sfogare qualsiasi impulso represso, tant’è che molti se ne resero conto il giorno seguente chiamando e scusandosi con la galleria per ciò che era accaduto . In quel caso, come disse la stessa Marina Abramovi?, «era successa la performance» . Era stato incredibile in quanto era proprio il pubblico, con la presenza passiva della performer ad aver creato tutto ciò partendo da oggetti che erano esposti sopra un tavolo, oggetti che, però, riflettevano le paure dell’uomo come il dolore e la morte. Ancora una volta si rivede il termine replicabilità perché lei non faceva altro che riproporre le paure degli uomini che poi, a loro volta, le replicavano sul corpo dell’artista. Questa performance è stata l’ultima di tutta la serie intitolata Rhythm , una serie che ricorda la body art; il suo corpo è messo in primo piano, tutto gioca intorno alla ricerca del suo corpo, di quello che è il mondo conscio e inconscio. Sappiamo inoltre che Rhythm 0 venne replicata più volte, in particolare la ricordiamo all’interno del salone di primavera del museo d’arte contemporanea di Belgrado, ma è anche stata riproposta più avanti, nel 2009, come parte della mostra retrospettiva di Abramovi? al Museum of Modern Art di New York. Esiste in un'edizione di tre più due prove d'artista, e la copia di Tate è la numero uno nell'edizione . Ha questo punto cercherò di comprendere il vero significato del termine replicabilità all’interno del suo lavoro nell’ambito della performance art; per questo verrà mostrato il suo vero spirito, il suo essere. Si può infatti notare che per ora è stata, più che altro, analizzata l’evoluzione artistica della performer; quindi, la sua maturazione artistica; sicuramente non si può parlare di replicabilità vera e propria quando trattiamo, per esempio, della serie Rhythm che abbiamo visto precedentemente. È una replicazione intesa in un altro modo, in cui c’era una performance base che poi veniva cambiata e migliorata per crearne una nuova. Per questo motivo si può affermare che non è mai stato affrontato il vero mondo della replicabilità; per questo andremo ad approfondire Seven Easy Pieces; un grandissimo capolavoro della Abramovi? che ci permetterà di capire meglio questo ambito. Marina Abramovi? ha sempre cercato di mettere in discussione sé stessa, il proprio corpo e per lei, infatti, era fondamentale che emergesse il significato delle sue performance; quindi, in poche parole, il contenuto è sempre più importante dell’estetica. Anche per questo motivo lei non aveva paura del dolore che se fosse servito a raggiungere l’obiettivo non si sarebbe tirata indietro, anzi, sapeva che quando iniziava la performance entrava in un’altra dimensione, era come se accedesse ad un altro stato di consapevolezza . Proprio per questo, non temette di mettere in scena una tanto grande, quanto complessa, performance per il Guggenheim, museo di New York, cioè Seven Easy Pieces, realizzata nel 2005 . Ovviamente per creare questa maestosa performance aveva bisogno dell’autorizzazione del direttore del museo che, all’epoca, era Thomas Krens. Gli spiegò l’idea che stava alla base di tale lavoro e cioè rieseguire, in sette giorni, precisamente dal nove al quindici novembre e in sette ore ciascuno, ben sette performance degli anni Sessanta e Settanta che lei non aveva mai visto e, in più, avrebbe dovuto crearne una nuova, proprio per quell'occasione . Tutte queste performance avevano il compito di sfidare i limiti del proprio corpo, che come sempre per lei è fondamentale e non può mai mancare; per questo tutti lavori che lei va a rieseguire sono rimandi al mondo della body art . Per la Abramovi? era importantissimo questo progetto, aveva bisogno di far in modo che la performance art fosse conservata, voleva anche cercare di comprendere se questa potesse essere comparata ad altri ambiti come quello della musica o del balletto . C’erano altri motivi che la spingevano a voler mettere in atto questa operazione; per lei, infatti, era giunto il momento di elevare la performance art anche perché c'erano molti enti che rubavano immagini, idee, fotografie e molto altro da questo mondo e per questo bisognava fermare tutto ciò . Sappiamo che, all'epoca, i nuovi media avevano preso il sopravvento e per questo erano proprio loro ad impossessarsi degli elementi della performance art senza alcun rispetto: vediamo, ad esempio, i film hollywoodiani, le pubblicità, i videoclip e, in generale, il mondo della moda e del teatro . La Abramovi? sentiva il bisogno di creare una comunità intorno alla performance art in quanto, in questo periodo, visto la nascita dei nuovi media, si era perso il senso di appartenenza e per questo credette che con Seven Easy Pieces sarebbe riuscita a raggiungere questo obiettivo . La Abramovi? era pronta per realizzare una sorta di modello per ricreare le performance di altri artisti; ovviamente per lei era indispensabile mettere dei paletti che dovevano stabilire delle regole ben precise; per questo era necessario chiedere l'autorizzazione all'artista e corrispondere una royalty ad esso. C’erano poi altri due punti che non potevano mancare; il primo che era necessaria la reinterpretazione della performance di base, quindi dovevano esserci degli elementi distintivi, che rimandavano alla Abramovi? e, il secondo che era necessario esplicitare e mostrare i video e i materiali della performance originale, in modo da non dimenticare mai il vero artefice e da mostrare anche le differenze con la sua reinterpretazione. In realtà, non fu così facile come credeva in quanto non tutti volevano concederle l'autorizzazione e uno di questi fu Chris Burden che non gliela diede vinta, per questo motivo, al posto della sua performance, decise di replicarne una di Joseph Beuys, cioè How to Explain Pictures to a Dead Hare . Anche in questo caso, però, non fu affatto semplice acquisirne il permesso perché Joseph Beuys era morto nel 1986 e per questo c'era bisogno dell'autorizzazione da parte della moglie, Eva Beuys. Quest’ultima continuava a rispondere negativamente e per questo motivo Marina Abramovi? decise di prendere un aereo per Düsseldorf per chiederglielo personalmente; all'inizio non ci fu nulla da fare in quanto la vedova aveva già trentasei cause contro persone che avevano rubato il lavoro al defunto marito ma poi, dopo un po’, la convinse. Questo successe dopo che Marina Abramovi? le spiegò quello che voleva realmente mettere in atto; quindi, non rubare il lavoro di Joseph Beuys, anche perché la sua reinterpretazione non aveva assolutamente scopo di lucro, ma che quello voleva realizzare era tutt’altro. La moglie dell’artista decise di accettare l'idea e le diede persino dei video della performance che nessuno aveva mai visto. Ci furono altre modifiche rispetto le opere iniziali, infatti anche per Rhythm 0 c'era bisogno di un cambiamento perché nessun avvocato le permise di utilizzare la pistola per eseguire la performance e alla fine, la Abramovi?, decise di replicare un’altra delle sue opere, cioè Thomas Lips . Marina Abramovi? riesce a portare in scena qualcosa di veramente Straordinario: realizza un vero e proprio caso di replicabilità in quanto riporta in scena dei lavori già visti e realizzati da altri colleghi e da lei stessa; ma lei non solo decide di replicarli, ma anche di reinterpretarli. C'è anche da ricordare che, ovviamente, nell’operazione della replicabilità ci possono essere delle criticità che, come sempre, la Abramovi? cerca di risolvere: uno di questi casi è How to Explain Pictures to a Dead Hare di Joseph Beuys. Qui la difficoltà maggiore fu trovare la lepre morta per la performance in quanto gli animalisti erano assolutamente contrari all’uccisione dell’animale al solo scopo della messa in scena e dovettero quindi cercarne una morta per cause naturali; fortunatamente, proprio cinque minuti prima dell'inizio, arrivò una lepre che era stata investita da un camion il giorno prima che fu quindi utilizzata per l’opera. Durante la performance la lepre, che era arrivata congelata, si stava pian piano scongelando e, proprio per questo, appariva quasi viva; la cosa era molto interessante, ma allo stesso tempo anche macabra, oltretutto la Abramovi? tenne, tra la sua bocca, le orecchie della lepre per tutto il tempo e proprio per questo, a un certo punto, con un morso, le staccò le punte . Come sappiamo, per lei non c’erano né limiti né confini e quello che le interessava era replicare l'opera originale a tutti i costi, senza paura; come sempre, la performance, viene reinterpretata proprio perché non doveva ricalcare esattamente quella originale altrimenti non ci sarebbe stato nulla di suo, dell'artista. Interessante è la sua performance, Thomas Lips, reinterpretata in quanto venne resa molto più personale. Decise di aggiungere oggetti che le ricordavano la sua vita, come gli stivali e il bastone che aveva utilizzato per camminare sulla Grande Muraglia o il berretto da partigiana con la stella rossa indossato dalla madre, ma anche la canzone di Olivera Katarina che aveva usato durante Balkan Erotic Epic .
Tutti questi erano elementi della sua vita che sono stati fondamentali e che le ricordavano momenti intensi del suo passato, ma anche persone importanti come la madre e l’ex compagno Ulay che fece parte della sua quotidianità per molto tempo. La performance, come tutte le altre, durava ben sette ore e durante tutto questo tempo lei si incideva, a cedenza oraria, una stella sulla pancia e dopodiché si sdraiava nuda su dei blocchi di ghiaccio . Tra le altre opere che interpretò troviamo Body Pressure di Bruce Nauman; l’esercizio consisteva nel premere, il più possibile, la superficie del corpo anteriore contro la parete, in questo caso trasparente per mostrare al pubblico ciò che stava avvenendo. Si arriva poi a Seedbed di Vito Acconci dove lei si nascose dentro una sorta di piattaforma dove erano collocati altoparlanti per fare in modo che il pubblico sentisse la sua voce e le sue fantasie sessuali in quanto lei, nel mentre della performance, si masturbava . Il giorno dopo toccò a Action Pants: Genital Panic di Valie Export; come nella performance originale, anche la Abramovi? decise di indossare un paio di pantaloni di pelle senza cavallo, cosicché si potessero vedere le parti intime. Un altro elemento provocatorio all’interno di questo pezzo era la presenza della mitragliatrice che puntava contro il pubblico . Marina Abramovi? di certo non temeva di mettere in pratica la performance, anzi, ma purtroppo non fu compresa e alcuni, temendo per la propria incolumità, decisero di chiamare la polizia . Come sappiamo, e abbiamo già detto precedentemente, tutte le opere che lei replicava dovevano durare sette ore ma fu veramente difficile rispettare questo tempo durante la performance The Conditioning, First Action of SelfPortraits di Gina Pane. Questo in quanto dovette stare sdraiata su un telaio metallico al di sopra di candele accese e per questo motivo rischiò perfino di bruciare i suoi capelli . L'ultimo pezzo fu Entering the Other Side; la cosiddetta performance inedita. In quel momento la performer si trovava al centro della rotonda del Guggenheim, dov'era posizionata una piattaforma alta sei metri che veniva nascosta dal lunghissimo vestito blu a forma di spirale; lo stilista era l'olandese Aziz che le aveva regalato questo bellissimo abito . Durante la performance lei doveva stare in silenzio; l'unico gesto che poteva compiere era il movimento delle braccia in maniera, però, lenta e ripetitiva; era ormai stremata, non ce la faceva più, ma a quel punto era giunta alla fine . Come si può vedere la Abramovi? ci mostra benissimo cosa vuol dire replicare nell'ambito della performance art; è riuscita a mettersi in gioco decidendo di realizzare, grazie a Seven Easy Pieces, un lavoro di replicazione nei minimi dettagli; lei non perse mai di vista l'obiettivo, anche quando diventava difficile, quando c’era da mettersi in discussione e affrontare e superare timori e paure. Ormai per lei il suo corpo era un mezzo per arrivare al suo scopo, al suo obiettivo e non c’erano limiti. Questo lo possiamo vedere in tanti momenti, in particolare nell’ultimo pezzo, dove rischia perfino la morte in quanto era talmente stanca e stremata che rischiò di cadere dalla piattaforma motivo per cui non poteva permettersi di addormentarsi . Ricordiamo che lei, nonostante tutte le difficoltà, aveva una forza di volontà immensa e proprio per questo era riuscita a ottenere tutto ciò, era anche stata in grado di riunire nuovamente la comunità intorno alla performance art che si era persa ma che, grazie al suo spirito d’iniziativa, venne ricostruita . Proprio per questo immenso lavoro vinse il Leone d'oro, all'età di cinquantanove anni; era stata capace di eseguire un progetto maestoso dove, non solo replicava i lavori degli altri artisti ma li reinterpretava in maniera personale, grazie alla replicabilità della performance riuscì a raggiungere risultati veramente grandiosi: era stata in grado di rendere la performance art da effimera a duratura a un progetto veramente straordinario . Sicuramente non fu affatto semplice questo lavoro e il titolo che le diede infatti fu assai provocatorio; questa performance e il modo in cui usò la replicabilità sono stati fondamentali per il mondo dell’arte. Infine l’artista è riuscita a rendere giustizia alla performance art; è stata capace di elevarla di livello anche grazie alla funzione della replicabilità che le ha permesso di far vivere, praticamente in eterno, quest’arte. La Abramovi? è stata in grado di farsi strada da sola; non venne sempre compresa, soprattutto perché portava in scena delle performance che superavano qualsiasi limite potesse esistere, proprio perché per lei non c’erano. È grazie alla sua tenacia che arriva ad esplorare qualsiasi ambito ed è anche per questo che si addentra nella replicabilità e re-performance. Questa sarà poi fondamentale perché sfruttata per ricordare i suoi lavori, lavori che sono stati importantissimi per il mondo della performance art e che lo sono tutt’ora; proprio per questo motivo la replicabilità serve sia a noi spettatori per ammirare un’artista di questo calibro, che agli stessi artisti, per comprenderla e studiarla meglio. A proposito di questo, ricordiamo che per la Abramovi?, il pubblico è un elemento fondamentale delle sue performance perché, senza, non sarebbe lo stesso; per questo motivo il rapporto che si crea tra artista e spettatore è fondamentale. Giunti alla conclusione vorrei inoltre aggiungere che è stato molto arricchente svolgere questo lavoro, mi ha permesso di conoscere meglio le sfumature di questa grandissima personalità. Si tratta infatti di un’artista piena di idee, con una mentalità sempre aperta a tutto, che mi ha ricordato che la vita è una e non bisogna sprecarla.
 
Royal Academy di Londra
Marina Abramovi? 
dal 23 Settembre 2023 al 1 Gennaio 2024
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso