Mario Marubbi, studioso di Storia dell’Arte lombarda dal Quattrocento al Seicento, appena nominato conservatore del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona nel 2001, ha cominciato a dedicarsi con cura e dedizione alla valorizzazione del San Francesco in meditazione di Michelangelo Merisi presente nelle collezioni che dirige. Difatti, non bisogna dimenticare che sul dipinto per anni ha pesato il giudizio critico di Roberto Longhi che lo presentò nella mostra milanese del 1951, dedicata a Caravaggio, come copia di un buon imitatore. Ancora fino a pochi anni fa il giudizio negativo sentenziato da Longhi costituiva una pesante eredità. Gli sforzi dell’attuale conservatore, volti al più ampio riconoscimento dell’autografia del dipinto per mano del genio della pittura lombarda, hanno contribuito non poco all’attuale generalizzato riconoscimento dell’opera quale sicuro autografo di Caravaggio. Tuttavia non bisogna dimenticare in questo percorso per il definitivo riconoscimento dell’autografia dell’opera il contributo essenziale di due grandi studiosi quali Maurizio Marini, che arrivò a definire in uno scritto pubblicato postumo Marubbi quale grande conoscitore del Merisi, e della decana degli studi caravaggeschi Mina Gregori con la quale il nostro conservatore ha più volte collaborato non fosse che per le origini cremonesi della Gregori e il suo profondo affetto per il Caravaggio “cremonese”. Entrambi gli studiosi in tempi e modi diversi hanno con forza sostenuto autonomamente l’autografia del dipinto verso il quale oggi si guarda con ammirazione come un capolavoro enigmatico. Difatti, in non poche occasioni, il San Francesco è stato ritenuto un autoritratto dell’artista milanese legato al motivo del pentimento dopo i fatti delittuosi legati alla fuga di Caravaggio da Roma per la morte accidentale procurata a Ranuccio Tomassoni. Un tema, quello del pentimento, che si lega alla Maddalena penitente che secondo alcuni biografi sarebbe stata realizzata nei feudi Colonna tra Palestrina e Paliano nel 1606 durante il soggiorno forzato del Merisi. Non a caso il San Francesco in meditazione oggi viene comunemente datato proprio in questo lasso di tempo.
D: Dott. Marubbi, quali sono ancora i nodi da districare nell’autografia del dipinto?
R.: Mi sembra che ormai nessuno più pensi che possa non essere un autografo. Comprendo che la difficoltà maggiore ad accettarlo tra i dipinti autografi fosse non tanto la qualità dell’opera, piuttosto evidente, quanto l’esigenza di poter giustificare una collocazione così eccentrica per un dipinto di Caravaggio. Le vicende ormai acclarate che ne legano la committenza, o almeno il suo precoce possesso, da parte del Governatore di Roma, mons. Benedetto Ala, cremonese, credo abbiano ormai sciolto i dubbi residuali. La cosa più curiosa è però che, a parte Mina Gregori cui va riconosciuto –insieme a Maurizio Marini- di avere da sempre compreso l’importanza dell’opera, le contrarietà maggiori siano venute non solo, come è legittimo, dagli specialisti, ma in particolare dall’ambiente degli storici dell’arte cremonesi e in particolare da quelli più vicini all’istituzione museale cittadina.
 
D: Secondo Lei cosa cambia in Caravaggio dopo la fuga da Roma sotto il profilo dell’ars pingendi.
R: Dopo la fuga precipitosa da Roma, a seguito dell’omicidio Tomassoni alla fine del maggio del 1606, Caravaggio si trova in una situazione completamente nuova. Nonostante la protezione offertagli da Costanza Colonna nei suoi feudi, egli si sente braccato e in pericolo continuo. Cambia la sua vita, ma muta anche il suo modo di dipingere, che si fa ora più veloce, immediato, quasi che la precarietà di ogni giorno imponesse un ritmo accelerato anche al suo lavoro. Di contro alle opere concluse nell’Urbe poco prima, si pensi al San Giovanni di Kansas City o anche al San Giovannino Corsini, condotte in punta di pennello, raffinatissime nelle stesure cromatiche e dense di preziosità materiche, Caravaggio utilizza ora una scrittura più veloce, allusiva, quasi gestuale, senza preoccuparsi di tornare a rifinire, abbandonando ormai gli sfondi a una indistinta penombra. Si tratta probabilmente di un cambio di stile non dettato da una mutazione poetica, ma che deve piuttosto rispondere all’esigenza di produrre dipinti in tempi brevi, probabilmente destinati ad influenti personaggi della corte pontificia, quali appunto mons. Ala, in grado di intercedere per lui presso il papa.
 
D: Ci perdoni per la domanda un po’ suggestiva, ma il tema del pentimento che accomuna questo dipinto con la Maddalena o le Maddalene, visto che nella mostra francese del prossimo settembre a cura di Francesca Cappelletti e Cristina Terzaghi ne compariranno due: la Klein già nota e quella recentemente in collezione europea scoperta dalla Mina Gregori, è casuale o indotto nel Caravaggio dai fatti delittuosi che il pittore si lascia alle spalle fuggendo da Roma?
R: Tutta la pittura di Caravaggio ha una forte componente autobiografica, fin a partire dalle opere giovanili. Non vi è dipinto che egli realizzi senza che non vi si possa riconoscere il suo coinvolgimento emotivo, la sua partecipazione affettiva al fatto narrato, quasi ri-vissuto in prima persona secondo la prassi carolina di immedesimazione che l’arcivescovo di Milano seguiva nelle sue visite ai Sacri Monti. Impensabile che le opere realizzate in sì difficile frangente della sua vita non tradiscano in qualche modo lo stato di prostrazione psicologica che lo affiggeva per il dramma di un omicidio preterintenzionale. E’ come se il pittore volesse e cercasse un modo per espiare la colpa pur non intenzionalmente commessa. E l’effigiarla nell’atteggiamento di contrizione di santi penitenti, Maddalena o Francesco che fossero, significava probabilmente manifestare apertamente il suo desiderio di espiazione e redenzione.
 
D: Quindi anche lei è d’accordo nel fatto che in molti ritengono che il san Francesco sia un autoritratto. E’ così?
R: L’idea che il volto del santo altro non sia che l’autoritratto del pittore è un pensiero longhiano non da tutti condiviso, ma che la lettura in chiave autobiografica del dipinto ha riportato sicuramente in auge. Personalmente avrei pochi dubbi ad immaginare che in quell’espressione di pacifica rassegnazione e di abbandono totale nel mistero della Provvidenza vada colto lo stato d’animo di Caravaggio in quei mesi dell’estate del 1606, e che dunque quel volto raffiguri proprio il suo autoritratto.
 
D: Quali sono gli studi ancora da approfondire sul San Francesco in meditazione?
R: Le vicende collezionistiche del quadro e i suoi passaggi sono ancora in gran parte avvolte nella nebbia. La sua presenza a Cremona è accertata negli anni settanta dell’Ottocento quando venne donato al Museo, e per induzione possiamo immaginare che qui fosse già da un secolo e più, sia per una nota di possesso vergata sul telaio che lascia intendere un’appartenenza a un convento francescano, molto probabilmente quello cremonese, sia per l’esistenza nel convento cappuccino di Castell’Arquato (oggi nel museo parrocchiale) di una copia settecentesca che potrebbe giustificarsi con la presenza dell’originale in un ambito territoriale molto prossimo, quale è appunto Cremona. Non sappiamo ancora che fine possa avere fatto il quadro dopo la morte di mons. Benedetto Ala, avvenuta a Urbino, sua sede vescovile, nel 1620. Da quella data probabilmente il dipinto dovette raggiungere la città d’origine dell’alto prelato, finendo al fratello Daniele o forse fin da subito al convento francescano. Ma su queste vicende aleggia ancora il mistero.
 
D. Dott. Marubbi ultima domanda a uno studioso della pittura lombarda è d’obbligo. Non si conoscono opere del Caravaggio giovane durante il soggiorno lombardo. A Roma per il Merisi c’è un problema di inserimento professionale che ha poco a che vedere con l’ambiente milanese o veneziano. Studiando la pittura lombardo-veneta, che come ci ha insegnato Roberto Longhi ha in Caravaggio i suoi precedenti quindi, per citarne alcuni, Moretto, Savoldo, Lotto, Piazza, Figino, i Campi, Lei che idea si è fatto?
L’educazione lombarda del giovane Merisi è fondamentale. Se si fosse educato a Roma probabilmente la sua pittura non avrebbe fatto notizia, sarebbe stato uno dei tanti tardomanieristi soppiantati poi dal classicismo bolognese. Invece proprio nel naturalismo radicato nelle sue terre d’origine Caravaggio trova il lessico fondamentale per un nuovo codice linguistico che lo distinguerà fin dai suoi esordi. La sua pittura non poteva passare inosservata perché era radialmente diversa a quella dell’Urbe. Viceversa, le ragioni per cui ancora non si è trovato un suo dipinto giovanile certo a Milano, sta nel fatto che nell’ambiente lombardo le sue opere –ammesso che ne abbia davvero fatte- dovevano assomigliare moltissimo a quelle del Peterzano, di Vincenzo Campi o del Figino, al punto da non risultare facilmente distinguibili. Opere come il Mondafrutto, il Bacchino malato o il Ragazzo col cesto di frutta sono talmente lombarde nello spirito e nell’invenzione che esse potrebbero tranquillamente essere state dipinte a Milano. In Lombardia forse non avrebbero destato più di tanto interesse, dal momento che Vincenzo Campi già era uno specialista riconosciuto in quel genere di pittura. Ma le stesse opere a Roma risultarono del tutto inattese e sorprendenti per il loro fortissimo impatto naturalistico che contribuì in maniera determinante a costruire la fama del genio.
 
Redazione 6 settembre 2018

fig. 1 San Francesco in meditazione, M. Merisi
fig. 2 Ragazzo con canestra di frutta, M. Merisi 
fig. 3 Fruttivendola, particolare V. Campi
fig. 4 Mondafrutto, attribuito a M. Merisi