Ciò che segue, tratto dall’“Autobiografia non autorizzata”di Cattelan, può essere letto, alla “sua” maniera, come il proprio “certificato di nascita”: «In realtà io non dovevo nemmeno esistere. I miei genitori si aspettavano una bambina, e quando nacqui furono molto delusi. Avevo già un naso da adulto, sembravo deforme. Non dovevo esistere. I miei si dimenticarono addirittura di registrarmi all’anagrafe, quel 21 settembre 1960. Non mi diedero nemmeno un nome.![]() Mia Madre: ho sempre pensato che avesse sperato che non sarei tornato (dalla colonia estiva). Non perché non mi volesse bene, me ne voleva tantissimo. Ma perché sentiva che il mio destino doveva essere un altro fin dall'inizio. Non voleva che fosse come il suo, fatto dei resti del giorno che la società le lasciava da vivere. Le sue carezze erano come piccole spinte, mi allontanava da sé accarezzandomi». Da queste note autobiografiche, nello stile in cui sono state scritte, non si fa fatica – come si diceva - a intravvedere il “vero” Cattelan: in trasparenza vi s’indovinano i tratti dell’ironia dissacrante e dell’analogia paradossale, ai quali, tuttavia – per avere un “quadro” più esaustivo e significativo dell’artista – vanno aggiunti ben altri connotati. La sua carriera – è il caso di dirlo subito – al pari della sua biografia, non percorre l’alveo di un corso d’acqua regolare; ma somiglia piuttosto ad una serie di rapide, quanto mai improvvise e imprevedibili. Ma sono rapide, in qualche caso piuttosto “rumorose”, che però attraversano – questo sì – il piano largo del sociale (convenzioni, luoghi comuni, infanzia, cultura,mercato dell’arte, finanza, politica, religione…). Verrebbe quasi da pensare a un artista sociologico, e forse anche ad un artista antropologico; ma è una categoria poco plausibile, anche se l’artista vanterebbe per tali supponibili incarichi un curriculum di tutto prestigio. |
Allora, domanda pressoché spontanea: Cattelan è “vero” artista? Qui, forse, è possibile fare un discorsetto più “convenzionale”. Intanto occorre registrare, a motivo del suo successo, la sua notorietà a livello internazionale. Alcune sue opere, per la “potenza” del loro contenuto sono memorabili e vengono ricordate tra le più celebri: Stadium, 1991: Con l’Italia in pieno fermento politico, Cattelan dispone ai due lati di un maxi-biliardino due squadre di giocatori: da un lato undici giocatori del Cesena e, dall’altro, undici giocatori di immigrati del Senegal. Tutto regolare, sì? Non proprio. Sulle maglie dei giocatori senegalesi campeggia la scritta “RAUSS” (in tedesco, “FUORI”). Il messaggio è chiaro per chi vuole intendere: il riferimento va dritto allo sfruttamento degli immigrati e, perché no?, al nazismo. Novecento, 1997: Un cavallo imbalsamato (sic) è imbracato e appeso al soffitto. Allusione neanche tanto poco velata, di sapore esistenzialistico, all’uomo impedito di agire secondo la sua volontà. Nel museo di Rivoli, dove l’opera è esposta, si può leggere: «L’opera trasmette il senso di una tensione frustrata, un’energia destinata a non trovare sbocco». La nona ora, 1999: La scultura riproduce le esatte fattezze del papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, anche egli – stando al titolo – come Gesù, colpito alle tre pomeridiane. E occorre aggiungere che, all’epoca dell’esposizione, il papa era già in angosce per motivi di salute. Per un papa così popolare, parlare di azione dissacrante, oltreché oltraggiosa e blasfema, è stata la reazione minima che si poteva attendere. Occorre, d’altronde - secondo la critica più attenta - anche in questo caso precisare qualche dettaglio: quest’opera può alludere a contenuti positivi. Si potrebbe con altrettanta convinzione affermare che la scultura rappresenta il Bene (il papa) colpito a tradimento dal Male (il meteorite) alla stregua del tradimento patito da Gesù. E, come Gesù, appare vivo, avvinto alla sua fede (la Croce). Him, 2001: La statua di Hitler in ginocchio in atto di pregare. Occorre dirlo? Fuoco alle polveri della provocazione! Ma il solito critico più attento e meno influenzabile fornisce la sua chiosa forse più verosimile: che non si tratti del Male che, al suo apparire, fa mostra di sé come d’un’innocente e innocua presenza? La statua viene battuta all’asta da Cristie’s per la somma di oltre 17 milioni di dollari (?). Untitled, 2004: Bambini impiccati ad una quercia, come Pinocchio, in Piazza Ticinese, a Milano. Al solito, l’ambiguità dell’opera si presta facilmente alle più facili ma errate “interpretazioni”. Cattelan, presumibilmente, aveva in mente di richiamare l’attenzione di tutti, anche qui, sulla condizione dell’infanzia. L.O.V.E., 2010: Dito medio davanti alla borsa di Piazza Affari, a Milano. Vi appare una monumentale mano a cui sono state troncate le dita meno il medio, che, gesto impudico, è rivolto verso la piazza, ai cittadini. Secondo l’artista, evidentemente, è quello che sa fare molto bene il potere finanziario. Comedian, 2019: Banana appesa al muro con nastro adesivo grigio. L’oggetto, in sé, può sollevare mille domande, fonte di innumerevoli supposizioni. Torna l’ambiguità, matrice prolifica, e la fa da padrona. Ma un risultato è certo: la “relazione” con il pubblico è stabilita, la “partecipazione”, al di fuori dei musei e dei saloni è garantita. L’arte relazionale è fatta salva, bella che giustificata e storicamente coerente con le pulsioni, le sensibilità e le problematiche del tempo. Altrettanto memorabili, e in qualche caso scandalose, altre sue intemperanze non propriamente goliardiche: 1989, appare su La Repubblica una pubblicità elettorale del tenore: “Il voto è prezioso. Tienitelo”. 1993: Cattelan è invitato alla Biennale di Venezia, ma decide di affittare il suo spazio ad un’agenzia pubblicitaria. 1997: Di nuovo invitato alla Biennale, lascia il suo spazio ma non prima di avervi appollaiato 200 piccioni imbalsamati. 1999: Sempre alla Biennale, seppellisce un fachiro per sessantadue ore, che lascia in vista solo le mani nell’atto del saluto o della preghiera. A fronte di tali “opere”, la critica, dopo alcuni rivolgimenti provocati dalla poliedrica complessità del personaggio, ha pensato bene di “promuoverlo” a coerente e forse più rappresentativo, se non addirittura il più grande, esponente dell’arte relazionale. Come quasi sempre accade, la collocazione in questo comparto artistico non persuade i più. Infatti – si ribatte – tutta l’arte è, per sé, assolutamente “relazionale”, nel senso che fa, per necessità, riferimento ad un “pubblico” di possibili osservatori e spettatori. Ma è proprio la nozione di “pubblico” che, nell’epoca presente, così fortemente implicata nelle interferenze, a tutti i livelli, dei mass e dei social media, si è fatta notevolmente composita, coinvolgendo una massa imprecisabile e ipoteticamente indefinibile di possibili fruitori. Gli artisti relazionali si muovono su questo nuovo scenario, ancora più nuovo di quello supposto da un Duchamp o da un Wharol. Questi due artisti, dopo l’esempio dei dadaisti e dei futuristi, avevano dato all’avanguardia artistica un contributo tra i più significativi; avanguardia che, nonostante personalità di spicco, è andata, però, via via esaurendosi, nel corso del XX secolo, fino a dissolversi in stucchevoli “ripetenze” di sfide e trovate. Saranno soltanto artisti del calibro di Carsten Höller, Vanessa Beecroft, Philippe Parreno e altri, e, ai primi posti, Cattelan a fornire all’espressione artistica del tempo presente un motivo di vera significanza, soprattutto abolendo in maniera drastica e decisiva le distanze tra le sfere, mai viste così vicine e appressate, di arte, vita e pubblico. E da ciò, la neo-pervenuta “arte relazionale” si fa quanto mai sintomatica e rappresentativa della sua indole precipua: la partecipazione nel mondo, dal mondo e per il mondo più “suo”: quello sociale, come si è cercato di dire. Ottobre 2022 Luigi Musacchio |