Max Beckmann è uno dei maestri di spicco dell’Arte Moderna Espressionista tedesca del XX secolo. Non solo: la sera del 24 Giugno 2017 a Londra il valore di uno dei suoi quadri “vola” presso la Casa d’Aste Christie’s, ottenendo un
record di vendita. Si trattò infatti di una sua grande tela “L’inferno degli uccelli”, un’opera di forte impatto visivo e di valore storico, dipinto nel 1938 a seguito della fuga obbligata dalla Germania nazista e negli stessi anni di Guernica di Picasso; con quest’ultima condivide le finalità di denuncia morale della guerra e delle atrocità del nazismo, nonché la tensione drammatica ed un senso di oppressione figurativa.

La concitazione e la cupezza della raffigurazione di torture e crudeltà non hanno intimorito i potenziali acquirenti, che dinanzi ad un codesto raro lavoro di qualità museale (tanto da essere esposto in decine di mostre) si sono contesi la tela fino ad un prezzo di aggiudicazione
record di 36 milioni di sterline oltre la stima a richiesta di 30 milioni e oltre il doppio del precedente
valore della beat auction di questo artista presente in catalogo sin dal 2001. Appena sotto il risultato del maestro Espressionista si posizionò un ritratto della musa di Picasso Marie Therese intenta nella scrittura del 1954. Questo è quanto accadde in campo estero. Insieme a Picasso e Matisse, Beckmann è l’artista più presente nelle sale dei più grandi ed importanti musei internazionali. In Italia invece stranamente l’unica mostra di rilievo si tenne nel 1996 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Ora è il Museo d’Arte di Mendrisio, che gli rende finalmente di nuovo merito con una vasta retrospettiva a lui dedicata, di scena dal 28 Ottobre al 27 Gennaio 2019 con 30 dipinti, 17 acquerelli, 2 sculture e di 80 grafiche elaborate tra il 1917 e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Inquadrabile fra gli artisti della Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit), il maestro espressionista tedesco si colloca all’interno del gruppo degli artisti di impronta realista come l’energico Otto Dix e il nervoso Grostz.
Otto Dix come Max Beckmann rimase sconvolto dalle sofferenze e dalle efferatezze disumane della guerra, ben diversa dalle sue aspettative, ed esprimerà tutta la sua ripugnanza ed avversione in molti disegni e dipinti. A tal proposito il suo Autoritratto da soldato (1914) sembra richiamare quello in mostra di Beckmann per la determinazione e l’intensità dello sguardo fisso, gli occhi penetranti, le mascelle contratte e la piega tesa delle labbra, le pennellate robuste e decise dai contorni netti e precisi. In entrambi i dipinti il segno grafico particolarmente incisivo permette un’inconfondibile forza di penetrazione psicologica, che caratterizza il personaggio e crea un legame molto stretto con lo spettatore, trasmettendogli tutta l’angoscia e il turbamento interiore provato dall’artista. Ciò accadeva anche nei dipinti di Van Gogh, eseguiti negli ultimi anni della sua vita.
Anche nella Crocifissione di Renato Guttuso, che con i suoi colori accesi viene accentuato il senso di afflizione e di costernazione (tanto da concretizzare pienamente l’obiettivo dell’artista di dipingere questo martirio di Cristo come simbolo di tutti coloro che subiscono un sopruso, un’ingiusta carcerazione, una censura per le loro idee), ritroviamo la stessa finalità comunicativa dell’opera in mostra La Notte del 1919. In Beckmann fu precoce la grande passione per il teatrale e simbolista del tardo gotico tedesco Brugel, i francesi Gericault e Delacroix “testimoni” di un pezzo di storia, l’intenso e profondo Rembrandt e l’allegorico Bosch.

Per
Beckmann compito dell’artista non era quello di riprodurre un’immagine oggettiva della realtà circostante, bensì di interpretare la storia. La guerra gli permise di creare un personalissimo linguaggio e di “neutralizzare” le sue nefandezze attraverso l’arte e l’ironia (L’obitorio1922). La tendenza della guerra è quella di disumanizzare. Beckmann, come fece anche il più grande fotoreporter nonché testimone oculare dei conflitti del XX secolo Robert Capa, ripersonalizzò la guerra captando singoli gesti ed espressioni del viso durante scene di vita quotidiana (Donna con cappello e manicotto 1944, Donna con candela 1920, I delusi 1922).
Tra gli artisti del XX secolo Max Beckmann è senz’altro uno di quelli che ha più intensamente vissuto, sentito e sofferto il proprio tempo tra fama, censura, esilio, sfrenate discese e poi di nuovo raggiungimento di vette ed apprezzamenti negli ultimi anni della sua vita: tutto questo si riflette e si rispecchia nella sua opera, caratterizzata inizialmente da una pittura fluida e pastosa, influenzata dai grandi artisti del passato, a cui segue un periodo in cui l’artista affronta temi dolorosi attraverso una pittura mordace, pungente e allo stesso tempo plastica, per passare poi a figure deformate con perdita di volume e contorni esasperati. Ne derivano opere fortemente inquietanti, enigmatiche, che talvolta celano una certa sensualità (come la lempickiana Donna Addormentata del 1924, Gli Amanti 1949-1943, Siesta 1924- 1934 e Ritratto di gruppo all'Edenbar 1923).

Numerosissimi nel corso della sua produzione artistica furono i suoi autoritratti ben 200 (quantità riscontrabile solamente in quelli che realizzarono Rembrandt e Van Gogh).
Sono autoritratti dallo stile spigoloso e dal vibrante cromatismo agro ma al contempo vellutato di un uomo freddo, apparentemente imperturbabile, che indossa giacche eleganti dai colori sgargianti; la bocca è serrata in un mezzo sorriso sfingeo, che è quasi una smorfia, e tiene nel suo angolo estremo saldamente stretta un’ardente sigaretta (Autoritratto con camicia verde su sfondo verde 1938-1939).
Elementi centrali della sua opera sono gli specchi (nel kirchneriano Ragazze in nero e verde 1939), i libri e le candele, (il dechiriggiante Natura morta con tavolozze 1944), gli strumenti musicali (Reve de Paris Colette 1931), fiori e piante protagonisti di nature morte (l’introspettivo Natura morta con dalie viola 1926, il matissiano Tulipani rossi e gigli di San Giovanni 1935, Iris neri 1928) e le carte (Quappi gioca al solitario 1926). Anche l’oggetto apparentemente più banale ha un significato allusivo e meditativo nell’arte beckmanniana, che va oltre la vita stessa (L'assassinio
1933). Beckmann muore nel 1950 a sessantasei anni, mentre sta attraversando il Central Park per andare ad ammirare proprio una sua opera esposta al Metropolitan Museum di New York.
In tutto l’arco della sua vita l’artista tedesco fece innumerevoli viaggi in Italia e in Francia, percorrendo la costa mediterranea, lasciandosi ispirare dai paesaggi (il surrealista dai colori sironiani Paesaggio con mongolfiera 1917), dal mare (Bagnanti 1922), dalle spiagge (Marina a Noordwijk - Cavaliere sulla spiaggia - 1946), dalla vegetazione (Old Swimming Pool - Spring Landscape - 1948) e dai cibi (lo schieliano Ragazzo con aragosta 1926). C’erano momenti in cui i suoi dipinti irradiavano serenità e gioia di vivere, distendendo così anche il suo tratto. La figura umana e la condizione dell’uomo restarono però sempre i soggetti principali della sua intensa e corposa attività artistica (Modelli 1947, Dietro le quinte 1921-1922 e L'ispezione 1914).
Backmann. Back to man.
Maria Cristina Bibbi
DIDASCALIA: PAESAGGIO CON MONGOLFIERA; NATURA MORTA; AUTO RITRATTO.
Info
Museo di Mendrisio
28 ottobre 2018 – 27 gennaio 2019
Orari
martedì - venerdì
10.00-12.00 / 14:00-17:00
sabato - domenica
10:00-18:00
lunedì chiuso (festivi aperto)
Web: http://museo.mendrisio.ch/it/mostre/al-museo-darte/max-beckmann.html