matteoSu L’Espresso del 20 gennaio 2015 Sandro Magister ha rilanciato la tesi dell'identificazione del Matteo nella Vocazione del Caravaggio in San Luigi de’ Francesi a Roma col giovane chino sul tavolo a contare i soldi. La tesi risale al 1985, anno in cui A. Prater, con un articolo in «Pantheon» XLIII (1985), pp. 70-74, (che a sua volta riprendeva una nota di A. De Marco in «Iris» I/1982, pp. 5-7), propose che l’uomo barbuto al centro del tavolo non indicasse con la mano sinistra sé stesso, bensì il giovane alla sua destra sul lato corto del tavolo.


Già allora fu evidente che si trattava di un’idea poco fondata, ed il dibattito successivo (raccolto poi nel volumetto Caravaggio. Dov’è Matteo?, Milano 2012) non ha potuto che confermarne l’astrusità, se consideriamo che la lettura, ora di nuovo avanzata, contrasta da una parte con la realtà del dipinto, e dall’altra con l’esegesi dei Vangeli, con la traccia iconografica precisata dal cardinale Contarelli, con la dottrina della Grazia ed infine con il pensiero religioso del Caravaggio, che, crediamo, è sostanzialmente inconciliabile con tale lettura.
Avevo già segnalato l’assurdità di quella tesi in un mio breve intervento su Caravaggio400 del 18 giugno 2013 (con relativo corredo iconografico), e mi riprometto di ritornare sul problema in modo più ampio ed organico in distinta sede.

img611(1) Per ora mi limito a ribadire qui una sola osservazione - non fatta da altri - e cioè che il dito indice ed il dorso della mano sinistra dell’uomo barbuto sono in ombra rispetto alla luce che viene proprio dalla sua sinistra, e precisamente questo non consente di ipotizzare che il dito sia puntato a 45° verso il giovane chino sui soldi (perché in tal caso il dorso ed il dito della mano dovrebbero essere in piena luce: e Caravaggio non era uomo da commettere errori così evidenti).
Il dito dell’uomo barbuto è dunque “angolato” verso il suo stesso petto e non già verso il giovane ricurvo sui soldi: e pertanto, l’uomo barbuto indica sé stesso, ed è egli dunque Matteo. C’è peraltro, nel dipinto, un altro particolare evidentissimo dal quale si comprende che Matteo deve essere l’uomo barbuto, come ho rilevato nel mio contributo in Caravaggio vero, Bologna 2014, a cui per ora rimando.

particVorrei tuttavia segnalare qui come l’aspetto più grave di questo tentativo di lettura consista - a mio modo di vedere - nello sforzo di enfatizzare due affermazioni di papa Bergoglio (una nell’intervista alla «Civiltà Cattolica» poco dopo la sua elezione, l’altra a Manila il 18 gennaio scorso) per invocare, pro domo sua, una supposta competenza/autorevolezza del pontefice come elemento di un qualche peso all’interno del dibattito scientifico. Scrive infatti Magister, riferendosi alla tesi sostenuta dalla figlia Sara, che «con un formidabile “testimonial” come papa Francesco, diventerà presto questa l’interpretazione vincente»: beh, anche Urbano VIII fu “testimonial”, nel 1633, del sistema tolemaico e della condanna di Galilei, e si sa poi come la faccenda è andata a finire...

In realtà, da una parte qui il papa semplicemente sbaglia - e questo lo si può ben dire, dato che egli non parla ex cathedra e soprattutto non è mai stato uno studioso d’arte e (per dirla “papale-papale”) non ha capito il dipinto del Caravaggio - mentre dall’altra parte sbaglia (ancora più gravemente, a mio parere) Magister nel voler attribuire alla ripetuta affermazione (contestabilissima) di papa Bergoglio un'autorevolezza che non ha, nello sforzo di presentare come più credibile il suo punto di vista. Bergoglio non ha una vera competenza in materia, e pertanto ha espresso da osservatore comune una sua soggettiva lettura del dipinto, che però è erronea non solo sotto il profilo storico-iconografico, ma soprattutto sotto il profilo teologico-dottrinario (e questo, per un papa, è più grave).
Pietro Caiazza, 15/02/2015