Ah, la bellezza della quiete!
I dipinti di
Monet emanano serenità d’animo attraverso l’utilizzo di colori chiari ed una composizione semplice: un vero inno all’armonia.
Le superfici dell’acqua sono immobili e semitrasparenti: da una parte questo accentua la profondità e il mistero della vita che nasconde, dall’altra riflette il mondo sovrastante (1887).
Solo nella prima produzione sono movimentate, in quanto echeggiano un confronto uomo - natura.
Le sue opere raggiungeranno la massima espressione con le
Ninfee (1916-1919 c.ca, fig. 1).
Il soggetto della raffigurazione, la cui posizione è immutata, perde d’importanza e Monet si concentra sulla resa immediata di un’atmosfera (
enveloppe), lavorando a più quadri contemporaneamente: la cosiddetta
serie, in cui sostituisce la tela ogni mezz’ora, per poter “catturare” anche i minimi cambiamenti atmosferisci e luminosi. La sensazione apparente è quella di una registrazione cronologica, che scansiona fedelmente lo scorrere del tempo, ma l’istantaneità non va di pari passo con la riproduzione del dettaglio.
A discapito dell’attività impressionista
en plein air, Monet completa spesso i suoi dipinti in
atelier: Quest’ultimo simulando lo spazio chiuso di una galleria, di un museo o di una collezione privata, permette di elaborare ed indagare l’effetto cromatico in condizioni particolari di luce, oltre a permearlo di moti d’animo soggettivi (Iris, 1924-1925 c.ca, fig. 2): è più un’impressione visiva (con il passare del tempo sempre più astratta e “bidimensionale”, quasi fosse avvolta da una nebbia cromatica e si discosti dall’analisi del rapporto tra luce e ombra), che una replicazione precisa e fedele del soggetto.
Un uso del colore, che come accadrà successivamente nei dipinti di un Kline o di un Tobey, sembra celare un gesto pittorico calligrafico dal significato semantico ed emotivo. Ne consegue un incantesimo pittorico efficace e coinvolgente, realizzato da Monet il “serialista”, da osservare nell’insieme, che verrà poi abbandonato nel corso del cammino artistico a vantaggio del
focus sull’opera singola. Prima di questo momento si ammirava un “Monet” e non un quadro, nonostante la qualità rimanesse inalterata.
Fu lo stesso Kandinskij a ricordarci l’importanza decisiva, che ebbe l’opera di Monet in campo astratto, ammirando nel 1885 un suo
Covone, definito un soggetto senza oggetto, ma ricostruito nella mente di chi guarda.
Persino le pietre architettoniche vibrano colpite da onde luminose, si disfano e si dissolvono in spruzzi di scintille, per poi svanire. Gli elementi si sgretolano e si scompongono, per poi ricomporsi nella nostra percezione visiva (Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi, 1905, fig. 3).
E’ l’acqua infatti ad affascinare da sempre Monet (così tanto da diventare la sua ossessione) : è per questo che ne indaga il carattere mutevole, facendo affiorare acque marine agitate, contrapposte a quelle fluviali calme e ricche di vegetazione, che offrono condizioni ottimali per la rifrazione della luce attraverso l’acqua circostante, creando giochi armonici di colori (stiamo parlando in particolare della
Senna a Giverny, percorsa a bordo del battello-atelier di Monet soprattutto di primo mattino, mentre lavora a più tele contemporaneamente). Le forme si fondono quasi completamente, se non fosse per i contorni ed una linea orizzontale ancora presente.
Alla fine del 1890, a sette anni di distanza dal suo arrivo a Giverny in Normandia, Monet ha l’opportunità di acquistare la residenza.
Essendo il giardinaggio la sua seconda passione dopo la pittura fa costruire uno
stagno (a seguito del permesso ottentuto per deviare il corso del fiume Epte) con un ponticello in legno dal sapore orientale, che richiama i giardini giapponesi.
Inizierà a dipingerlo a partire dal 1895 e realizzerà ben 12 tele con questo soggetto. Il suo intento “fossilizzante”, forse ispirerà più avanti anche le opere di
Fautrier: nei dipinti di quest’ultimo la dimensione spaziale è atemporale e indefinita e lo sfondo ha perso ogni riferimento con la realtà. Vi è un graduale disgregazione delle forme, pur mantenendo un equilibrio tra le masse.
Coltiverà rose (furono protagoniste dell’ultimo quadro, che realizzò), tulipani, glicini, iris e campanule con l’intento di limitare l’attenzione ad un numero ristretto di soggetti da replicare in infinite varianti (come fece anche
Hokusai con il Monte Fuji), realizzate in simultanea per formare un
corpus unico.
La vegetazione acquatica rigogliosa come ciuffi di un prato verde, che circonda lo stagno, dapprima protagonista, sarà poi presente solo come riflesso sull’acqua (Lo stagno delle ninfee, 1920 c.ca).
Sembra di trovarsi dinanzi ad un enorme
mirror boomerang, come è accaduto di recente per le moderne facciate “ondulate” di
Cheone.
Le Ninfee verrano infatti anche dipinte su enormi tele di varie dimensioni (fino a 8 metri e se disposte in trittico raggiungono i 12 metri). Rientrano nel progetto delle
Grandes Decorations, costellato da ripensamenti per il delicato anno in cui presero vita (1914, prima guerra mondiale).
Gli artisti dell’avanguardia americana del dopoguerra rimasero esterrefatti dall’utilizzo di questo grande spazio fisico e lo presero come linea guida per sviluppare la loro idea pittorica.
Una linea che per Monet non presenta confini e cosi avviene il passaggio dal reale all’irreale, mediante la rappresentazione di un paesaggio fugace in quanto riflesso (nella cultura giapponese lo stagno delle ninfee non è altro che lo specchio dell’anima dell’artista e più in generale di quella umana, che dialoga all’unisono con l’esteriorità). La passione per l’Oriente emerge dalle numerose xilografie, che ornavano la casa di Giverny del pittore francese.
Questa sua “apertura ed ampiezza di vedute” si riversa anche nel repentino acquisto di nuove piante, che gli ispira opere in serie (uno
stop e-motion della sua
sliding nature), mentre lui si erge tra esse (centinaia di migliaia) come un camaleonte (Monet davanti alla sua casa di Giverny, 1920 c.ca). Realizzerà oltre duecentocinquanta tele, trasformando il giardino in un’
opera d’arte totale.
Custodiva gelosamente i dipinti, che le raffiguravano e non volle mai venderli. (“Le coltivavo senza pensare a dipingerle. E poi, all’improvviso, ebbi la rivelazione di quanto fosse magnifico il mio stagno e presi la tavolozza” cit Monet).
Questo “Eden” di fiori e piante era “oro colato per i suoi occhi” (Ninfee, 1907, Musée Marmottan).
E lo è anche per chi ha avuto la fortuna di respirare l’atmosfera rilassante e sospesa dei suoi quadri: non vi è una stabilità nel dipinto, in quanto prospettiva, profondità e linee portanti sono assenti. E così l’occhio dell’osservatore va, anche se talvolta deve stare attento a non finire nel mulinello centrale del quadro, che come sabbie mobili lo attira a sé!
Ora anche noi possiamo rivivere questa atmosfera tra le sale espositive di Palazzo Reale a Milano, dove dal prossimo 18 Settembre verrà inaugurata la stagione autunnale con un’importante retrospettiva a lui dedicata.
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale ed Artemisia, la mostra è curata dalla storica dell’arte e direttrice del Museo Marianne Mathieu in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, da cui proviene l’intero
corpus delle
53 opere. In contemporanea all’evento presso l’Acquario Civico verrà realizzato un
focus naturalistico sulle ninfee.
Non ci resta che…cogliere l’attimo!
Maria Cristina Bibbi
Settembre 2021
Immagini
Fig 1 Ninfee, 1916-1919
Fig 2 Iris, 1924-1925
Fig 3 Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi, 1905
Info
Monet, Palazzo Reale, Milano
Dal 18 Settembre 2021 al 30 Gennaio 2022
Web:
www.monetmilano.it