di Michele Cuppone
Recentemente è stato dato alle stampe, per l’editore Talos,
Un patrimonio da riconquistare. Il patrimonio culturale tra riforme, lavoro, difficoltà e traffici commerciali di
Federico Giannini, fresco volume che coglie e analizza attentamente le troppe criticità che caratterizzano la
gestione del patrimonio culturale nazionale. L’uscita è stata accompagnata da un altrettanto apprezzabile articolo del medesimo autore sui cosiddetti
one-painting show (
http://www.finestresullarte.info/483n_one-painting-show-che-distruggono-la-storia-dell-arte.php#cookie-ok), esposizioni di una sola opera che ripagano il minor impegno organizzativo, e intellettuale anche da parte del pubblico, con “impagabili emozioni” e numeri da record. La denuncia di Giannini, pur densa di sagge considerazioni e affrontata più estesamente nel capitolo
Mostre mostruose del suo volume, stimola
ulteriori considerazioni perché non si vada a generalizzare un po’ troppo sul tema, ed è su queste che vorremmo soffermarci.
Gli
one-painting show, il cui usuale
fattore di gratuità è di per sé meritorio, non si configurano tutti e indistintamente come una “piaga”. Talvolta
possono avere un senso e anche piuttosto rilevante, quando legati: a un
restauro (es.
Adorazione dei pastori a Montecitorio); a una
restituzione alla collettività (come avvenuto sia pur parzialmente per la
Tavola Doria, ospitata in Quirinale); alla
diffusione più ampia di un dibattito attributivo (idem); a una
particolare ricorrenza purché non di carattere politico-istituzionale (il
San Giovanni Battista a Porto Ercole nel quarto centenario della morte di Merisi). O a più intenti, degni tutti di lode: è il caso della
mancata esposizione delle Sette opere di misericordia al Quirinale che avrebbe consentito, tra l’altro, nuove indagini tecniche d’avanguardia sulla tela e la realizzazione di azioni filantropiche (per completezza, rispetto a quanto arguito da detrattori del progetto, va precisato pure che nel 1613 il Pio Monte dichiarò il dipinto inalienabile, dunque da non potersi vendere, e inamovibile per trarne copie private, ma non certo se ne vietava il prestito per articolate iniziative di valorizzazione e ricerca che mai si sarebbero potute immaginare a quel tempo).
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Tali mostre, peraltro, sono più unanimemente ammissibili quando non hanno serie
ripercussioni negative nel percorso di visita del museo prestatore (o luogo sacro, o qualsivoglia ente esso sia), vale a dire quando oggetto del prestito non è una di quelle opere essenziali per la collezione di appartenenza tanto da essere ritenute inamovibili, o se la sede d’origine è temporaneamente chiusa al pubblico.
Comunque la riflessione di Giannini tralascia un aspetto cruciale:
una mostra di una sola opera può avere una sua legittimità quando ha valenza di scientificità, ovvero se permette un miglioramento generale della conoscenza e magari presenta nuove acquisizioni. E l’esempio, o per meglio dire il
controesempio più calzante in tal senso, è costituito proprio dalla citata esposizione della Flagellazione di Capodimonte presso la Reggia di Monza (16 marzo-17 aprile), come possiamo affermare dopo averne verificato con mano i ‘contenuti’.
Anzitutto, essa non sembra essere stata ideata con nobili intenti scientifici. Lo dimostra per prima cosa l’
assenza di un catalogo, per cui il tutto si risolve in una pura ostensione di una ‘reliquia’ (citando lo stesso Giannini come pure
Tomaso Montanari, che sulle mostre ha rilasciato a News-Art una succosa intervista:
https://news-art.it/news/sulle-mostre--la-didattica-e-la-scrittura-storico-artistica.htm).
Il coordinamento generale è poi affidato non a specialisti di storia dell’arte, ma – quando appunto si dice che “
gli interessi della politica vengono prima rispetto a quelli della cultura” – a personaggi senza meriti scientifici in materia e che, come è stato scritto da più parti, appaiono legati a doppio filo alla politica (vedi
http://pdmonza.org/pd-monza/2442-consorzio-pietraroia-lascia-formigoni-manda-il-nuovo-lamperti.html e
http://nuovabrianza.it/cittadino-monza-mb-tagli-asl-stocco-giornalisti-pubblicita-tempi/). Desta perplessità anche, in una
location che non a caso è stata definita “
eventificio” (
http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=104788), il carattere di
routine della manifestazione: è stata giustamente ricordata l’operazione simile dello scorso anno e anche lì si trattava di un’opera di proprietà del
Ministero dell’Interno, con cui evidentemente intercorrono buoni rapporti di collaborazione.
Getta inoltre sconcerto quando si vedono certi curatori
trepidare più per i risultati in termini di ingressi, che per la qualità dei contenuti. Per inciso, tale preoccupazione sarebbe in tal caso immotivata: sarà fin troppo facile – e in questo riuscirebbe chiunque - a realizzare numeri importanti esponendo un Caravaggio, per di più gratuitamente, a due passi da Milano e in un contesto ambientale (parco) che favorisce l'afflusso, magari tra un panino e una pennichella, di famiglie in scampagnata del weekend, Pasquetta intelligentemente inclusa; con la
roboante propaganda della stampa locale e una straordinaria maxi-affissione (120 metri quadrati) ai Navigli, di quelle solitamente destinate a grandi
brand e
prodotti di consumo, mai vista per una mostra e definita con un po’ di imbarazzo dagli stessi coordinatori “una cosa pazzesca”.
A proposito della curatela, essa è duplice. Per la parte più prestigiosa vi è, chiamato a partecipare in virtù del ruolo, il direttore del museo che custodisce l’opera, persona colta e raffinata competente in altri ambiti che non quello strettamente caravaggesco, il cui contributo si sostanzia in un’apparizione nel video di sala, che nuovamente va a toccare le corde della figura del “pittore maledetto”. Ad ogni modo, tirando le somme,
in due curatori nemmeno un contributo scientifico prodotto su Michelangelo Merisi.
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Se un vero e proprio catalogo non è stato realizzato, un testo è stato comunque distribuito ai giornalisti e poi messo on line. E in fin dei conti è un bene che esso non sia stato pubblicato in forma di saggio di catalogo, come forse vorrebbe presentarsi, tante e tali sono le
inesattezze e ingenuità propagate che quanto meno dimostrano, pur a fronte di diverse letture affannosamente affrontate e citate, di conoscere solo parzialmente la vicenda caravaggesca. Persino la scheda del dipinto compilata per l’occasione da parte del Museo di Capodimonte denota una buona dose di
disinformazione (o quanto meno trascuratezza) in materia, riuscendo a sbagliare sia il luogo che la data di nascita dell’artista.
Sorvolando sulle visite guidate messe a disposizione dei visitatori e a parte una riproduzione 3D del quadro per i non vedenti, i contenuti didattici consistono sostanzialmente in un grande pannello divisorio che ripercorre luoghi e opere dell’ultimo tempo (1606-1610) e in un video iniziale ben prodotto a livello di qualità televisiva; dove, oltre al contributo pressoché nullo di cui sopra, sono stati chiamati a
testimonial, tra gli altri, un’ottima plurirestauratrice di quadri merisiani (ancorché non di questo esposto), e un divulgatore radiotelevisivo di cui si ricorda una romanzata biografia caravaggesca [in queste ore è stato annunciato anche un incontro alla Reggia con il
one-man show dell’arte per eccellenza Sgarbi, nda].
Si deduce in conclusione come questo
one-painting show, che non va molto più in là della
mera esibizione di un capolavoro assoluto di grande capacità attrattiva, sia fatto con una buona dose di presunzione. E ci dispiace per l’ennesimo, forse più di tanti altri,
evento “dannoso nei confronti della storia dell’arte” e, citando gli stessi organizzatori, verso un “pubblico casual” inconsapevole, che tale resterà con operazioni del genere. Ottimisticamente, tale esperienza servirà dopotutto a fare meglio in futuro.
Michele Cuppone 8/4/2016
Sito web della mostra:
www.reggiadimonza.it.