Con la parola Anthropocene viene indicata l’attuale epoca geologica, nella quale l’uomo è l’artefice principale delle trasformazioni indelebili nei confronti del pianeta.
Il termine è stato coniato dal chimico e premio Nobel olandese Crutzen.
Per i geologi è possibile riscontrare un indizio tangibile di tali cambiamenti nelle rocce terrestri, come se fossero delle
suiseki (pietre evocative). Ad esempio il momento storico dell’estinzione dei dinosauri, incredibili creature del passato (
secondo i Terrapiattisti, coloro che credono che il Pianeta non sia sferico, non sono mai esistiti) coincise con la presenza di una concentrazione anomala di iridio nei sassi rocciosi: un
componente chimico inconsueto sulla Terra, ma abituale nelle meteoriti. Proprio l’ipotesi della caduta di un’entità celeste sulla superficie terrestre (nel 2082 è previsto che un asteroide minaccioso di dimensioni di un palazzo sfiorerà il Pianeta) è tra le più probabili per motivare la drastica scomparsa di questa specie vivente, che avvenne circa 66 milioni di anni fa e che portò alla conclusione del cosiddetto
periodo Cretaceo. Oggi questi giganti primitivi sembrano rivivere nelle spettacolari installazioni cinetiche delle Strandbeests dell’olandese Theo Jansen, considerato un
moderno Leonardo da Vinci. I suoi “rettili” da spiaggia oscillano sfruttando la brezza del vento e grazie a dei sensori sono in grado di adattarsi all’ambiente circostante con un unico obbiettivo: la sopravvivenza.
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Una ricerca australiana pubblicata sulla rivista Nature afferma che il passaggio ad Anthropocene sia avvenuto tra Ottobre e Dicembre del 1965, anno di grande incremento della produzione industriale e del consumo. La dimostrazione di questo risiede nella storia di un peccio di Sitka, un albero solitario (non ve ne sono altri nel raggio di 200 km) sull’isola incontaminata e sperduta di Campbell, a 600 km a sud della nuova Zelanda; peraltro questo abete sembra ricordare, per l’atmosfera di solitudine in cui è immerso, “l’Albero del siparietto”
dell’artista siciliano Piero Guccione.
Gli anelli di questo peccio, che porta sulla corteccia i segni dei secoli trascorsi, sono intrisi di isotopi del carbonio: la presenza di questi elementi chimici è dovuta, secondo gli studiosi, a dei test nucleari avvenuti tra il 1950-1960.
A confermare questo transito, il cosiddetto
golden spike, è stato un gruppo di scienziati riunito a Città del Capo, in Sudafrica, in occasione del Congresso geologico internazionale.
Come indicato
dal quotidiano inglese The Guardian, su 35 esperti 30 hanno confermato il passaggio alla nuova era esistenziale terrestre,
l’human epoch, che ha lasciato quella di Olocene, avviatasi circa 12 mila anni fa con la Glaciazione Wurm.
Negli Anni Novanta si verificò poi un altro caso senza precedenti: Julia Butterfly Hill combattè pacificamente per una giusta causa ambientale, vivendo per due anni sopra una sequoia millenaria per salvare l’albero e l’intera foresta.
La Fondazione Mast - Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia - presenta ora in anteprima europea Anthropocene, la “melting visual art exibition” di scena dal 16 Maggio al 22 Settembre, che esplora l’influenza dell’uomo sul pianeta attraverso una “cascata” di inusuali immagini del fotografo di notorietà mondiale Edward Burtynsky e coinvolgenti filmati ed installazioni in realtà aumentata dei registi pluripremiati Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier.
L’esposizione è a cura di Urs Stahel ed è organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada.
Il progetto Anthropocene, che nasce da una collaborazione quadriennale tra questi esponenti, è terreno ideale di incontro tra arte, cinema e ricerca scientifica e documentando le trasformazioni, che l’uomo ha improntato sulla terra, è testimone delle conseguenze calamitose delle attività umane sui processi evolutivi della natura.
Le emissioni di anidride carbonica, i cambiamenti climatici (Greta Thunberg, la giovane attivista svedese, ha recentemente partecipato insieme a 25 mila ragazzi allo sciopero per il clima a Roma in piazza del Popolo con un discorso di incoraggiamento per i giovani italiani, esortandoli a lottare proprio contro queste alterazioni atmosferiche,
for save the planet - “il problema è che non si sta facendo nulla per fermare e nemmeno rallentare la degradazione climatica, nonostante tutte le belle parole e le promesse” - ), l’erosione del suolo, la deforestazione, l’estinzione di numerose specie animali e vegetali (allodole, pipistrelli, farfalle blu, ricci, api e insetti quelle più a rischio), l’innalzamento del livello del mare, il riscaldamento degli oceani (protagonisti peraltro di un’installazione “Help the Planet, Help the Humans, costituita da due tonnellate di plastica, raffiguranti le macro lettere della parola Help e presente al FuoriSalone di Milano nel corso della Settimana del Mobile), le propagazioni a dismisura delle dighe e le ripetute deviazioni dei corsi d’acqua, la presenza dilagante del cemento sono tutte conseguenze di questi operati sconsiderati, attuati sulla base di un modello di sviluppo non sostenibile.
Nello specifico la devastazione della grande barriera corallina australiana, le kafkiane vasche di evaporazione del litio nel Deserto di Atacama, le pullulanti discariche del mondo a Dandora, i test nucleari radioattivi effettuati dalla Francia sull’atollo di Mururoa e l’eclatante e devastante incendio in Kenya delle zanne di avorio nel 2016 sono alcuni protagonisti degli scatti e dei filmati di questa risonante mostra del Mast.

Il progetto è un’acuta e disincantata analisi della realtà, che strizza l’occhio all’attualità attraverso un’esplorazione multidisciplinare nonché multimediale ed immersiva e suggerisce stimoli ed opportunità di conoscere e di riflettere sul nostro prossimo futuro, senza attenderlo con distratta consapevolezza, come accade nei soggetti passivi, che popolano lo scenario rurale di Whether Line, un’installazione multimediale degli artisti americani Fitch e Trecartin, in mostra attualmente presso la Fondazione Prada di Milano, in cui risuonano echi sonori e visivi di un “ritorno alla natura”.
Al Mast la fotografia si fa avventura meditativa, invitando a delineare un percorso dentro sé stessi, che è anche ascolto della terra madre e della sua voce. Sullo stesso piano si pongono lo scatto, lo sguardo e il paesaggio.
La mostra presenta trentacinque fotografie dal grande potere descrittivo riguardo a tematiche sociali di Edward Burtynsky, quattro ciclopici
murales ad alta risoluzione corredati da filmati di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, autori anche delle videoinstallazioni con tecniche di ripresa avanzate, tre installazioni in realtà aumentata con immagini tridimensionali a grandezza quasi naturale, il film “Anthropocene: The Human Epoch” proiettato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival ed un percorso didattico interattivo.
Edward Burtynsky è uno dei fotografi e artisti canadesi più rinomati ed apprezzati a livello internazionale.
Le sue straordinarie foto sono conservate nelle collezioni di oltre sessanta musei tra cui la National Gallery of Canada, il Museum of Modern Art, il Guggenheim Museum di New York e la Tate Modern di Londra.
Si e’ confrontato e focalizzato con il suo obiettivo su argomenti come siti minerari, cave di marmo (Carrara Marble Quarries, Cava di CanalGrande #2, Carrara, Italy 2016) e raffinerie di petrolio, quantificando l’entità dell’impatto dello sviluppo industriale sull’ambiente e dimostrando la sua capacità di far affiorare un’insolita bellezza da luoghi penalizzati dall’intervento umano, quasi stesse ricostruendo una sorta di
wunderkammer geologica. Scava negli archetipi antropologici, indagandone i significati correlati, che travalicano i secoli, alla ricerca di una primordiale saggezza perduta. Guardando le sue foto, è come se ci trovassimo a sorvolare dall’alto i suoi labirintici sentieri (Tyrone Mine #3, Silver City, New Mexico, USA 2012), le infuocate brughiere, le impervie montagne rocciose, i ramificati ed inquinati corsi d’acqua (
the green phosphorescence of Florida Lakeland and Niger Delta).
Alcuni suoi scatti ricordano le distorsioni, i capovolgimenti, le sovrapposizioni di scale e gli astratti tasselli-puzzle dell’artista olandese Escher.
Altri sono “ondivaghi” e sembrano richiamare la Tormenta di Neve (1812) dell’artista inglese Turner e la
“sbuffante” ed urbana Gare Saint Lazare (1877) del pittore francese Monet. La densa cortina di vapore, che volteggia verso l’alto, inondando
l’hangar ferroviario, è la protagonista del quadro di quest’ultimo. Un fumo tende a debordare e rende gli spazi circostanti evanescenti e vaporosi come nelle foto di Burtynsky. Attraverso lo sguardo si disvelano forme inedite, che generano nuove prospettive e punti di vista. La fotografia non si limita alla ripresa, ma capta magistralmente la plasticità materica dell’oggetto o dello scenario inquadrato. Per questo motivo ricordano anche le opere dell’artista spagnolo informale Tapiès con la sua densa e desolante Ocra grigia (1958), simbolo del tempo che scorre in modo deleterio, quelle di Alberto Burri come Rosso Nero (1953), dal quale si sprigiona l’impulso vitale del mondo, gli intarsi dell’ebanista del Settecento Piffetti, che riconducono alle conformazioni geologiche riprese dal fotografo (Uralkall Potash Mine # 4, Berezniki, Russia 2017) e la vigorosità dell’onda di Hokusay, che ritroviamo negli scoscesi pendii naturali o di quelli granulati e porosi degli scavi di marmo.
Da più di trent’anni il fotografo Burtynsky racconta come gli esseri umani stiano arrecando danni ingenti al pianeta attraverso l’agricoltura industriale (ben diversa da quella manuale, che rigenerava persino la fantasia e lo spirito creativo
del compositore Giuseppe Verdi e dalle visioni serene ed estremamente liriche, che pervadevano i dipinti del divisionista Giovanni Segantini, trasmettendo un senso di pace e di tranquillità), l’estrazione mineraria e l’uso spropositato della plastica – Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016 - (“siamo la specie che più di tutte ha lasciato un segno indelebile sul pianeta e con il mio lavoro sto cercando di informare sui danni irreversibili che abbiamo provocato”). Una nuova Direttiva europea prevede entro il 2021 una vera e propria rivoluzione
plastic free, che metterà al bando alcuni prodotti usa e getta e li sostituirà con quelli in Mater bi (ricavato dall’amido di mais).
Jennifer Baichwal produce e dirige documentari da più di 25 anni. I suoi film sono conosciuti in tutto il mondo e hanno ottenuto innumerevoli riconoscimenti nazionali ed internazionali, oltre ad aver ricevuto premi per documentari culturali. E’ direttore del consiglio di amministrazione del Toronto International Film Festival dal 2016.
Nicholas De Pencier è un documentarista, produttore
, direttore di fotografia e creatore di installazioni di
video art (“Dobbiamo incoraggiare le persone a non accettare la tecnologia per ciò che è, ma sottrarre strato a strato, per capire cosa stia accadendo sotto”).
Vi e’ un quadro di Enrico Baj, dipinto nel 1958 dal titolo “Agitatevi, pietre e montagne!”, che con il suo
sorel (respiro) e con la forza dirompente sprigionata dalle sue forme arcaiche, sembra premonitore, di tutto ciò che sta avvenendo oggi.
Il tempo, che stiamo vivendo, è infatti fatto
di cambiamenti rapidi ed immediati, che stanno innescando una situazione ineludibile ed ogni decisione presa segnerà inevitabilmente il futuro, che noi tutti contribuiamo a tracciare oggi con le nostre azioni. Ci troviamo nel millennio dell’iperconnessione, dei
social e della facilità di spostamento virtuale, che ci stanno facendo perdere a poco a poco il nostro rapporto con la natura. Riuscire a recuperarne il legame, tornando a rispettarla, riapprezzarla e a riamarla, tramite anche ad una “ecologia del web”, può essere un modo per rimetterci in contatto con le radici del suo primordiale ed armonico splendore e anche per ritrovare noi stessi.
Nella piazza grande del Castello Sforzesco di Milano a pochi passi dalla Sala delle Asse, dove è esposto il Monocromo di Leonardo da Vinci, decorazione murale raffigurante un illusionistico pergolato di gelsi, è stata realizzata un’architettura lignea e lineare di sedici alberi di questa specie, che guarda proprio in questa direzione: testimonianza visiva e vitale della natura in perenne trasformazione, che ha bisogno dei suoi tempi per evolversi e si contrappone ai ritmi frenetici urbani, cui siamo abituati.
A questo punto non ci resta che chiederci: ci sono ancora i margini per coltivare la speranza di salvare l’inestimabile ricchezza della terra, esposta alle continue trasformazioni ed intemperie di questo tempo, prima che la Natura stessa si ribelli definitivamente?
Maria Cristina Bibbi
Didascalie:
Photo 1 Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016
Photo 2 Carrara Marble Quarries, Cava di CanalGrande #2, Carrara, Italy 2016
Photo 3 Uralkall Potash Mine # 4, Berezniki, Russia 2017
Photo 4 Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier, by Birgit Kleber, courtesy Mongrel Media
Credits Photo 1,2,3 photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto *
Maggio 2019
Info
Fondazione Mast, Bologna
Antropocene, dal 16 Maggio al 22 Settembre 2019
Web: www.mast.org
Ulteriori dettagli sul progetto Anthropocene:
https://theanthropocene.org/
Ufficio Stampa:
press@fondazionemast.org
T. 051 6474406 – C. 333 2114486
Lucia Crespi -
lucia@luciacrespi.it - T. 02 89415532