Giovanni Cardone Gennaio 2023
Presso Real Albergo dei Poveri di Napoli ho potuto ammirare la mostra Napoli in Scena Frammenti del sé della Comunicazione e della relazione Umana organizzata e promossa dall’Associazione Culturale Museo Minimo con il Patrocinio del Comune di Napoli a cura di Roberto Sanchez , Testo Critico di Giovanni Cardone . Dopo anni riapre l’Albergo dei Poveri dove si terranno eventi culturali che coinvolgeranno associazioni , scuole e cittadini. Questo grazie ai linguaggi del cinema, dell’arte contemporanea, del teatro, della tecnologia e della musica. Sono questi i temi su cui l’Albergo dei Poveri di Piazza Carlo III a Napoli segna la propria riapertura ai napoletani all’inizio di un lungo percorso di ristrutturazione profonda, deciso dal Comune di Napoli e finanziato con 100 milioni di euro del Pnrr. Nel suo testo critico Giovanni Cardone dice : Io penso che senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Spesso ignoriamo che, proprio nel sapere collettivo dei nostri progenitori,si nascondevano verità incontrovertibili acquisite più che dallo studio, dall’esperienza, e che in alcune di queste possono essere rintracciate oggi basi e fondamenti scientifici allora sconosciuti che ci hanno permesso di sopravvivere e di arrivare fin qui.
Come sappiamo Palazzo Fuga venne edificato nel 1751grazie a
Carlo III di Borbone volle ospitare in un’ unica grande struttura tutti i poveri, gli orfani e i mendicanti del regno una delle categorie che più stavano a cuore al Re erano i veterani che erano tornati mutilati chi aveva servito la Patria aveva diritto ad essere assistito e servito egli stesso. La struttura detta anche Palazzo Fuga, ‘o Reclusorio e
‘o Serraglio, disegnata dall’architetto
Ferdinando Fuga, risulta essere la più grande d’Europa, nonostante, rispetto al progetto iniziale, non fosse del tutto completa. I numeri del palazzo monumentale sono tra i più grandi al mondo: la facciata è lunga oltre 350 metri, 9 km di sviluppo lineare dei corridoi, 430 e più stanze distribuite su 4 livelli, 8 metri l’altezza della sala più maestosa e 100.000 metri quadrati di superficie utile. Che dire, il palazzo monumentale più grande d’Europa. Si tratta del simbolo della “pietà illuminata” che condusse l’operato dei sovrani borbonici. Un edificio tipicamente illuminista, rivolto all’accoglienza della popolazione più povera del Regno. La struttura riusciva ad ospitare circa ottomila sudditi. Gli ospiti del palazzo, suddivisi per sesso ed età, venivano quindi guidati in un percorso che li avrebbe portati ad una formazione vera e propria nel campo lavorativo. Come centro di osservazione minorile, comprendeva due giardini, due palestre, l’infermeria, un refettorio con cucina, un’officina, un laboratorio artigianale, una scuola elementare e di psicotecnica, la direzione didattica e vaste camerate dove dormivano gli ospiti. Questo lavoro, insieme ad altri progetti, dovevano rendere Napoli come una
città modello rinascimentale. Tra le tante attività che questo complesso ha ricoperto nel corso degli anni vanno ricordate: scuola di musica, centro di correzione giovanile, scuola per sordomuti, carcere e manicomio, accoglienza diseredati, accoglienza donne perdute. Tutto ciò senza perdere mai l’impronta caritatevole originaria.
Per quanto riguarda il programma di reinserimento dei poveri, era così articolati: maschi si dedicavano allo studio della grammatica, della matematica, della musica, del disegno o all’apprendimento di mestieri manuali come il sarto, lo stampatore, il calzolaio, il tessitore e il meccanico; le donne, oltre che allo studio, venivano formate nel campo della tessitura e della sartoria. Per sostenere le spese che comportava tale entità contribuirono Carlo, la stessa regina
Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati. Il periodo di maggior splendore lo ebbe sotto la direzione di
Antonio Sancio che seppe sfruttare al massimo le capacità intellettive e lavorative dei giovani. In anni di sempre più rutilante trasformazione, sotto tutti i profili, da quello sociale e politico a quello scientifico e tecnologico, l’arte più che mai si deve interrogare su se stessa: sul proprio ruolo, sulla propria funzione, ma anche e soprattutto sul proprio linguaggio. Poiché è proprio attraverso le sue forme, la sua estetica, la sua sintassi, i suoi stili e stilemi, che l’arte può entrare, più o meno, in rapporto con la realtà circostante, con la storia, con la vita degli uomini che la fanno e che ne fruiscono. Un rapporto che può e forse deve essere ambivalente: un viaggio di andata e ritorno. L’arte deve subire l’influenza della realtà e del suo divenire, ma deve anche, al tempo stesso, influenzarla e influenzarne, in qualche modo, le trasformazioni. O almeno deve provarci. Non solo lavorando sulle idee, e dunque sulla percezione, sull’interpretazione della realtà, ma anche sulla sua progettazione.
Ma perché questo possa accadere occorre che l’arte contemporanea diventi strumento più forte e più duttile al tempo stesso, da una parte recuperando e rinsaldando le proprie radici e dall’altra aprendosi alla molteplicità delle sue (quasi) infinite possibilità espressive ed altrettanto (quasi) infinite concezioni estetiche attuali. Solo così l’arte può entrare efficacemente in rapporto dialettico con una realtà così articolata, stratificata, sfaccettata e complessa come quella contemporanea. Nel corso degli ultimi 150 anni il succedersi delle scoperte scientifiche e tecnologiche ha impresso alla storia dei mutamenti vertiginosamente rapidi e radicali. Allo stesso modo negli ultimi 150 anni il succedersi delle invenzioni e delle trasformazioni sul versante artistico, col succedersi inesorabile e travolgente delle Avanguardie, è stato altrettanto vertiginoso. Ed è ovvio che tra le due cose ci sia un rapporto più o meno diretto di causa-effetto, o per lo meno di osmosi o di contagio. Ora il mondo in cui oggi viviamo è l’inquieto, stratificato, caotico e contraddittorio risultato di tutte queste trasformazioni. E l’arte che può entrare in rapporto con questo mondo non può che essere un’arte capace di raccogliere e sintetizzare l’inquieta, stratificata, caotica e contraddittoria eredità delle Avanguardie e degli ultimi 150 anni di arte contemporanea. E forse anche oltre, poiché in effetti negli ultimi 150 anni, tra un’Avanguardia e l’altra non sono mancati momenti di “Ritorno all’ordine” in cui si è guardato indietro con occhi nuovi alla tradizione pittorica più antica. E anche questi momenti fanno parte del retaggio della Contemporaneità e hanno contribuito a forgiarne le forme. E questa è la linea che abbiamo seguito in questi ultimi anni nel selezionare opere ed artisti: opere ed artisti che fossero in grado non solo di recuperare e reinventare il retaggio delle grandi Avanguardie storiche, ma anche e soprattutto di sintetizzare e contaminare stili e linguaggi, trovando punti di contatto inediti e suggestivi. Penso al Trattato di semiotica generale del 1975 di Umberto Eco dedica una parte al linguaggio estetico, definendolo come quel particolare processo comunicativo significativo in cui non si ha solo il mero passaggio di informazioni, ma anche la sollecitazione nel destinatario dell’elaborazione di una risposta interpretativa. Due sono le principali caratteristiche del testo estetico secondo Eco: l’ambiguità e l’autoriflessività. La prima viene definita come violazione delle regole del codice quando, “anziché produrre puro disordine, essa attira l’attenzione del destinatario e lo pone in situazione di “orgasmo interpretativo”. Il destinatario è stimolato a interrogare le flessibilità e le potenzialità del testo che interpreta come quelle del codice a cui fa riferimento.” L’ambiguità estetica gioca sia sull’espressione sia sul contenuto. In questo modo il testo attira l’attenzione sulla propria organizzazione interna, “semiotica”, e diventa anche autoriflessivo. Ambiguità e autoriflessività però non si concentrano solo sull’espressione e sul contenuto, ma il lavoro estetico si esercita anche sui livelli “inferiori” del piano estetico, ovvero il modo in cui si è utilizzato il materiale . Infatti nel godimento estetico la materia ha una funzione importante perché è stata resa “semioticamente rilevante” . Il testo estetico spinge in continuazione a riconsiderare i codici e le loro possibilità, pertanto impone una riconsiderazione dell’intero linguaggio su cui si basa. “Esso tiene la semiosi in allenamento» e stimola il sospetto che l’organizzazione e l’impostazione del mondo cui siamo abituati non siano definitivi. Il linguaggio estetico è basato su una dialettica di accettazione e ripudio dei codici dell’emittente e di proposta e controllo dei codici del destinatario”. Il destinatario non conosce le regole dell’autore e tenta di tirarle fuori dai dati dell’esperienza estetica che sta vivendo, esperienza caratterizzata da «una dialettica tra fedeltà e libertà. Da un lato il destinatario è sfidato dall’ambiguità dell’oggetto, dall’altro è regolato dalla sua organizzazione contestuale. In questo movimento il destinatario elabora e irrobustisce due tipi di conoscenza, una sulle possibilità combinatorie dei codici cui si riferisce e l’altra sulle circostanze e i codici di periodi artistici che ignorava. Così una definizione semiotica dell’opera d’arte spiega perché nel corso della comunicazione estetica abbia luogo un’esperienza che non può essere né prevista né completamente determinata, e perché questa esperienza “aperta” venga resa possibile da qualcosa che deve essere strutturato a ciascuno dei suoi livelli» . Eco delinea una figura di destinatario che assume delle caratteristiche ben precise: «deve intervenire a colmare i vuoti semantici, a ridurre la molteplicità dei sensi, a scegliere i propri percorsi di lettura, a considerarne molti a un tempo anche se mutuamente incompatibili e a rileggere lo stesso testo più volte, ogni volta controllando presupposizioni contraddittorie» . Il destinatario è quindi un collaboratore responsabile e il lavoro dell’autore del testo estetico deve tener conto di molte cose: il testo estetico deve essere strutturato a ogni livello seguendo dei codici conosciuti, cercando di violare alcune regole per innovarlo e per attirare attenzione su di sé, in modo da garantire quel giusto equilibrio dei meccanismi noto-ignoto che rende l’esperienza estetica tale. Quindi di fondamentale importanza nel processo di significazione è quindi il codice inteso non solo come lessico, ma anche come grammatica. Senza regole precise il contenuto e il messaggio del testo estetico non sarebbero veicolati e non passerebbero al destinatario. Il codice non è uno schema fisso e immutabile, anzi, muta continuamente perché la produzione e l’interpretazione di qualsiasi tipo di testo necessitano di una plus-codifica che determina un arricchimento dell’universo dei codici. La produzione di testi estetici richiede fatica perché oltre a creare i segni, l’autore deve creare anche delle funzioni segni che siano accettabili e comprensibili. L’autore o gli autori come in questa mostra attraverso il loro linguaggio visivo ci presentano un personale modo di vedere il mondo, ma affinché tutti possano rispecchiarsi nelle loro opere. E pur sembra strano il linguaggio dell’arte contemporanea si fa con tutto e questa sua caratteristica è una conseguenza della sensazione del precario che avvolge, ormai da un secolo, il nostro tempo e le sue creazioni.
Con l’avvento della modernità con la trasformazione delle città in cui tutto è più vicino e allo stesso tempo più distante, in cui non ci si conosce più reciprocamente e in cui non esiste più un nucleo identitario, l’ansia ha raggiunto il suo apice e ha preparato l’entrata in scena del dubbio. Mentre la civiltà rurale non consentiva di scegliere mai e l’esistenza era, in un certo senso, determinata in modo univoco, con la modernità questo mondo di certezze ha iniziato a vacillare, ma è con la contemporaneità che è andato completamente in frantumi: siamo continuamente posti di fronte a delle scelte e non c’è una via di uscita o delle istruzioni per l’uso. Lo stesso accade nell’arte. Le grandi opere delle civiltà passate sono forme che restano e che sembrano esprimere delle verità tranquillizzanti che ponevano come riferimento la centralità dell’uomo nell’universo e non facevano altro che affermarla e conservarla.. Oggi l’uomo le sue idee e le sue creazioni tendono a girare come schegge senza ragione apparente. Secondo Rosalind E. Krauss, “l’artista d’avanguardia ha assunto molti volti durante il primo secolo della sua esistenza: rivoluzionario, dandy, anarchico, esteta, tecnologico, mistico. Ha intonato una quantità di credo molto diversi. Vi fu un’unica invariante, sembra, nei discorsi dell’avanguardia: il tema dell’originalità .” Il termine originalità ha diverse sfaccettature e indica sia una sorta di rivolta contro la tradizione, sia qualcosa di “più di un rigetto o una dissoluzione del passato.
L’originalità avanguardistica è concepita come un’origine in senso proprio, un inizio a partire da niente, una nascita.” E l’artista appare preservato “dalla contaminazione della tradizione grazie a una sorta di ingenuità originaria.” Ma, come fa notare la critica d’arte americana, se facciamo dipendere la nozione di avanguardia da quella di originalità, “la pratica effettiva dell’arte d’avanguardia tende a rivelare che questa “originalità” è un’ipotesi di lavoro che emerge su un fondo di ripetizione e di ricorrenza.” Permane quindi un legame con la tradizione, ma «forse è questo sentimento di un inizio, di una nuova partenza, di un grado zero», che ha portato tutti questi artisti a lavorare con elementi già presenti, utilizzandoli ogni volta come se li avessero scoperti per la prima volta e il fatto di averli riscoperti era per loro un atto di originalità.
Pur essendo diverse le une dalle altre, le avanguardie di inizio secolo hanno contribuito al completo stravolgimento del concetto di arte: dal primato dell’opera d’arte si è passati, non tanto gradualmente, al primato dell’idea e poi al primato dell’artista, all’importanza determinante della firma per il riconoscimento ontologico dell’opera stessa. Nonostante le diversità tra questi nove artisti che però sono accomunati, dal linguaggio dell’arte dal loro attivismo esasperato,dalla messa in discussione del limite tra oggettività e soggettività questi sono solo alcuni degli elementi fondamentali della nascita di questa mostra. Tutto si trasforma in sostanze differenti ovvero : acqua, aria, terra, fuoco che rivelano così la loro essenza primordiale rievocando una dimensione archetipica e cosmogonica. E sul rapporto intenso e fecondo tra luce e spazio si giocano sostanzialmente tutte le opere dei nove artisti in questa mostra. Tutto può accadere. Tutto sta per accadere. Il Tempo è sospeso, come un attimo prima dell’uragano. O un attimo dopo. Un istante che si dilata a dismisura. Prima, fuori, oltre il Tempo. Lo spazio del quadro cattura, condensa, sospende il Tempo. E tutto si fa Mito gesto, segno, e pensiero. Tutti questi artisti hanno saputo interpretare abilmente il passato il presente e il futuro con le loro opere. Gli artisti sono : Alfonso Caccavale, Antonio Ciraci, Alessandra Maisto, Luciano Matera, Manuel Olivares, Roberto Sanchez, Fabio Spataro e Sergio Spataro.
Alfonso Caccavale
Nelle opere di Alfonso Caccavale lo spazio è al limite della metafisica. I corpi cercano di stabilire una relazione con la realtà ma restano intrappolati in una dimensione che si sovrappone ad essa. La solitudine, il dramma quotidiano brillano nei penetranti sguardi delle figure scolpite digitalmente e scavate al limite della loro carnalità. C'è un ricercato attrito tra un attenta contemporanità immersa in contenuti e figure tradizionalmente significanti. Tutto questo da frutto ad un armonioso risultato che si risolve in un arte concettualmente interessante, figurativamente impeccabile e tecnicamente avanguardistica.
Alessandra Maisto
Le opere di Alessandra Maisto la sua pittura appare violenta ed emotiva attraverso il gesto e il segno. Un colore sfumato ed “atmosferico” steso con morbide velature a pennello o con tenui tocchi nel contempo si contrappone a sciabolate di colori, impressi selvaggiamente sulla tela a colpi di spatola. L’artista appare sicuro del fatto suo, coerente, riconoscibile, si può individuare e definire negli anni un percorso, un’evoluzione e una maturazione di uno stile. I colori sono una ridda ubriacante di coerenti contraddizioni sono immobili tempeste, sono lampi di tenebra fatti di materia spirituale, sono funambolici giochi da tavolo di disequilibrato equilibrio, criptiche rivelazioni di un caos ordinato, superfici tridimensionali di levigata scabrosità, arcaiche narrazioni contemporanee, apollinee composizioni dionisiache, ricche, colte e preziose opere di semplice e disarmante povertà.
Luciano Matera
Le opere di Luciano Matera rifiutano stereotipi e schematismi estetici per dare spazio alla fantasia e alla sperimentazione, anche sul piano tecnico. Traduce in pittura una sensibilità acuta e vibratile, spesso impalpabile. Nel suo lavoro combina tecniche e materiali con vivace spirito creativo, il cui risultato è un codice narrativo personale che punta a materializzare sulla tela attraverso colori, materia e scomposizioni, l’io profondo dell’artista è allegro ma sempre e comunque irrequieto. Egli inventa le sue tecniche e modella o inserisce la materia lasciando sempre la sua impronta personale.
Manuel Olivares
In questo tempo sospeso i volti e le forme di Manuel Olivares mi rimandano al teatro delle maschere di Pirandello che amava dire : “La maschera, appartenuta in precedenza a qualcun altro e ora vuota, il poeta chiede di insegnargli a vivere la vita grazie al fatto che ormai quella maschera non possiede più un pensiero e, dunque, può insegnargli persino a ridere del fato, ossia delle situazioni che la vita continuamente offre. La maschera, però, venendo indossata dal poeta durante una notte, assume una nuova forma”. Mentre la pratica dell’arte oggi più di ieri ha bisogno di vivere al centro della nostra esistenza cercando di rapportarsi con la nostra società contemporanea. Le opera Manuel Olivares è una splendida testimonianza di come segrete visioni che possano essere portate alla luce dalla prassi artistica nel contempo viene indebolita la visione esteriore dell’oggetto e la sua manifestazione fenomenica operando una inedita sintesi fra percezione ottica e contemplazione interiore. Si originano opere parzialmente diverse dall’immagine visiva di un oggetto, ma che tuttavia non la contraddicono nella sua complessità. In altre parole l’artista amplia il retaggio dell’indagine ottica che viene comunque usata come punto di partenza per pervenire ad una nuova interpretazione dell’oggetto in cui l’oggetto viene a dilatarsi oltre al proprio apparire per assumere una dimensione nuova, trapassante ciò che l’occhio comune si limita a registrare: muovendo perciò dall’esteriorità ottica dell’oggetto lo scultore, per intuizione, trae conclusioni sull’interno dello stesso. L’impressione fenomenica sollecita l’io dell’artista a conclusioni intuitive che conducono ad una visione interiorizzata. In sostanza Manuel Olivares esemplifica quel procedimento creativo magistralmente raccontato da Paul Klee in cui il grande pittore sostiene: “ che l’artista è al tempo stesso creatura terrestre e creatura nell’ambito del tutto” . L’occhio penetrante dell’artista è un mezzo conoscitivo che indaga attraverso diverse dimensioni poiché l’io dell’individuo partecipa, in quanto elemento naturale, di una radice terrestre comune all’uomo ma, contemporaneamente, è intuitivamente consapevole di appartenere ad una sorta di comunanza cosmica che costituisce l’universo nella sua totalità. Le opere di Manuel Olivares riescono a spingersi nelle vicinanze di quel terreno segreto dove nasce e si alimenta ogni processo vivente. L’artista rivendica in queste sue opere più recenti, in modo ancora più incisivo, la libertà dell’artista di essere mobile così come lo è il volto che esprime in pieno il nostro essere . La pittura di Olivares svolge un duplice ruolo, spaziale e temporale costituisce quel sottile spazio che cattura la luce la quale viene parzialmente assorbita e parzialmente riflessa e la rende dinamica. La sua pittura parla del dramma e della tragedia dell’uomo contemporaneo che scandisce la creazione che diventa genesi, nel prolungare l’atto creativo originario dal passato al futuro, protendendosi verso quel divenire che è proprio dell’opera artistica che non vuole vedere esaurita la propria linfa vitale in un breve lasso di tempo, ma che invece mira a tramandare se stessa verso le prossime generazioni. In altri termini le opere di Manuel Olivares realizzano un procedimento maieutico in cui viene esteriorizzata quella che si potrebbe chiamare la personalità, l’intima essenza dell’oggetto, diventando, come direbbe Graham Sutherland, delle metafore visive che vogliono rappresentare in modo nuovo l’essere umano. In Olivares la metafora mette in rilievo una maniera originale di animare il processo creativo, creando quelle che Sutherland definisce come delle parafrasi emozionali della realtà. In questo processo creativo l’artista non è, però, completamente libero . Sembra quasi che in Olivares esista quella che Paul Nichols chiamava “predilezione formale innata”che condiziona la scelta delle immagini, una specie di determinismo interiore inconscio, pegno della libertà dell’artista. Sempre Sutherland, parlando dei suoi dipinti, li paragonava a degli aquiloni e ricordava che l’aquilone vola soltanto se è legato ad un filo. Se il filo è reciso l’aquilone o cade o si perde nel nulla. Ciò significa che la libertà dell’artista non deve essere assoluta, ma invece deve conoscere un limite nel legame con la natura, legame che può anche essere sottile, ma infrangibile affinché si trasmetta all’opera l’energia per innalzarsi e volare. Manuel Olivares continua oggi a percorrere con leggerezza quel difficile sentiero che passa tra il richiamo della tradizione e l’urgenza della contemporaneità, riuscendo così a creare delle immagini plastiche che riescono a sfiorare molte zone, molti recessi e desideri dello spirito umano. Le sue opere sono quasi una sorta di diario dal quale emergono emozioni, memorie, studi e spunti per future imprese. Per dirla in altro modo, Manuel Olivars dimostra di essere comunque un mirabile artista visivo, poiché in ogni piega delle sue opere si manifesta il privilegio dell’occhio che scruta, analizza, osserva e diventa soglia per accedere ad emozioni più profonde, più intime e che aprono inusitate prospettive interiori provenienti direttamente dal palpitare del suo cuore: tutto s’incontra nell’occhio e tutto viene convertito in forma intesa come sintesi di visione esterna e contemplazione interiore. Le forme create da Olivares si sviluppano attraverso l’intuizione e l’osservazione dell’essere umano oltrepassando così il voluto e lo schematico indicando una nuova naturalezza dell’opera.
Antonio Ciraci
Nelle opere dipinte, o meglio ‘manipolate’ da Antonio Ciraci , la caratterista principale è l’accumulo di vari significati e una pluralità che va di pari passo con la variabile disseminazione di segni, immagini , figure mescolati in un magma che trova proprio nella complessità la sua giustificazione operativa. Per produrre questi effetti di spessore l’artista adotta una tecnica particolare, dove la materia e alla base dei vari materiali usati da Ciraci, e tale elaborato ci permette di capire l’unione tra pittura e scultura dove la modellazione delle opere tendono ad esprime un linguaggio fatto di una linearità, che di fondo si mescola con forme astratte, informali, che fanno riferimento ad un mondo onirico. Antonio Ciraci nel contempo tende ad interagire, dando una vita nuova e artisticamente immortale ed è partecipe con tutto se stesso offrendo degli spunti per salvaguardare e valorizzare i suoi ricordi ed interiorizzandoli questi divengono sempre più personali, il fruitore dell’opera diventa parte della stessa, dando vita humus pregnante che ti permette attraverso l’arte di poter esprime i tumulti dell’animo, le gioie le speranza di ogni uomo che sia innamorato e divenga cantore della vita e dei sentimenti che ci vengono quotidianamente offerti. Come ultimo eremita, unico spirito pulsante Ciraci è capace di fare vivere e rivivere, di una luce tutta propria quei racconti quelle narrazioni di un popolo che vuole sognare, ma nel contempo le sue opere piene di una simbologia descrittiva tendono di dare una veste nuova dove materia e antimateria divengono tutt’uno dando ars poetica dove ognuno è arbitro del proprio sentire e della propria cultura. Guardando le opere Ciraci artista, timido ma capace, ma soprattutto voglioso d’entrare nel dibattito culturale della sua terra, bagnata dal mediterraneo questo mare che unisce occidente e oriente, cattolicesimo e paganesimo, ortodossi e copti egli da anni vive questo variegato mondo dell’arte dove ad ognuno è permesso di proporre il proprio ‘Io’ creatore nella rielaborazione fantastica dell’intimo soggettivo sentire. Antonio Ciraci vuol far parlare di sé, vuole incontrare in un cenacolo di voci e pensieri anche gli altri, poeti ed artisti come lui. Abbiamo tanto bisogno di sognatori, di gente capace di offrirci, in grazioso dono, il loro percorso di vita e di speranza, con ottimismo, dove ognuno però, è solo con se stesso. Quest’artista sa creare un lirismo che, seppur partito da lontano, struggentemente avvolge un presente che è subito già passato prossimo, in una veloce corsa contro il tempo che ci rapisce e diventa sogno ad occhi aperti. Ciraci ci acceca con i suoi colori che sembrano monotonali ma il segno il gesto fatto dall’artista fa si che tutto questo possa entrare a far parte del suo prato culturale, che ci insegna forza e decoro, quasi urlandolo, della caducità di noi tutti, delle nostre aspettative, di voler ottenere sempre tutto e subito. Antonio Ciraci alla fine con le sue opere ci descrive un percorso dell’esistenza : Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre l’anno dell’essere. Tutto crolla, tutto viene di nuovo connesso; eternamente l’essere si costruisce la medesima abitazione. L’anello dell’essere rimane eternamente fedele a se stesso: tutto si diparte, tutto torna a salutarsi. La storia non ha un senso che trascenda le immediate prospettive umane, non è determinata da un’entità metafisica intelligente e previdente, ma trova il suo significato nell’attimo, nella vita terrena così come essa si presenta e tornerà a presentarsi in eterno. Infine egli vuole ribadire con determinazione che nel suo fare arte, ci mette amore, poesia e musica ma nel contempo il suo linguaggio è fatto di simboli che gli permette di essere senza tempo e senza spazio.
Fabio Spataro
E quello che fa Fabio Spataro con la sua arte da sempre dando al suo linguaggio una dimensione umana. Nel contempo posso dire che Fabio Spataro è un artista dal linguaggio dove si incontrano e si scontrano gesto, forma e sentesi dove ricerca e sperimentazione sono alla base dei suoi lavori, dove viene fuori nel contempo una rinnovata mitologia dell’opera fatta da pulsioni e di sentimenti . Egli tende a un dialogo interno della propria arte o con cui rapportare la personale e individuale emozione, l’opera sembra voler raccogliere una molteciplità di eredità anche colte, alte che tutto il fine secolo scorso ha disseminato e forse dissipato nel suo tumultuoso processo di affrancamento dell’oggetto artistico, nei confronti della letteratura, della sociologia, di quella propensione al racconto. Attraverso l’espressionismo e all’informale Fabio Spataro vuole valorizzazione l’emozione che viene direttamente dalla materia e dalla pittura, tuttavia e necessario distinguere le diverse prospettive. Spataro parte dalla pittura espressionistica e informale nella quale spesso i termini espressivi del pigmento si coniugano con la scelta del supporto, con il sedimentarsi di differenti tracce, come se, da subito, la sola pittura risultasse povera, poco significativa, incapace di dare conto della complessità del reale. In quelle grandi stesure iconiche, che segnano la pittura di Fabio Spataro è caratterizzata fortemente dalla sperimentazione e dalla ricerca, sarebbe tuttavia limitante restringere l’impatto espressivo di Spataro che si coniuga bene con un linguaggio informale che gli permette una condotta di ricerca artistica e allargando lo sguardo a raggera, il suo linguaggio lo spinge verso una tensione espressiva che emerge dalle sue opere . Il suo è universo linguistico ampio è attraversato dalla sperimentazione ed legato alla ricerca, che riemerge attraverso la materia e la valorizzazione linguistica dei supporti. L’opera di Fabio Spataro non è dunque un evento isolato, ma ha matrici specifiche nella sua terra di riferimento, l’uso dei materiali che presto compaiono come supporto ineliminabile diventano un sostrato espressivo della sua immagine esse sono soluzioni linguistiche specifiche grazie al suo percorso interiore che da anni egli porta avanti. L’uso dei materiali come oggetto della narrazione, e della duplice scansione appare come il segnale di una ricerca che vuole scardinare l’ordine della narrazione e della pittura. E il processo di dissolvimento della raffigurazione evocativa quasi metafora di un processo in cui Fabio Spataro trova forse una sua verità espressiva che diviene una continua ricerca del proprio “Io”, più profondo. Nelle sue ultime opere ho visto una sua evoluzione che diviene volano per la ‘maturazione’ effettiva della sua arte come essenza pura. L’attività artistica di Fabio Spataro pare dunque compendiarsi in tre differenti momenti espressivi, complementari e autonomi, con quel modello duplice che abbiamo visto, dall’inizio, essere carattere specifico dell’opera dell’artista da una parte le opere fortemente di ricerca attraverso il gesto e il segno l’altra la dissoluzione delle forme. La ricerca di Spataro è rappresentata dalla creazione totale della sua arte attraverso l’assemblaggio di materiali di scarto . Le opere dell’artista traducono la tensione, la misura, intese come valore etico che sembrano trascrivere nello spazio un equilibrio, da valorizzare e scardinare ad un tempo. Fabio Spataro attraverso le sue opere ci narra infine della metafora della vita, con le sue pulsioni e i suoi sogni, le sue tensioni e i suoi approdi dell’animo. Che si rinnova di continuo in quella diversa, più lineare, ma non meno eloquente, costituita dall’insieme di numerose opere che trovano la loro verità espressiva attraverso l’accostamento che costituisce la trascrizione emotiva di una geografia dello spazio, una geometria della mente, una scansione lirica dei movimenti del cuore. È la concretezza dell’opera di Spataro. Quella stessa che si manifesta nella creazione del singolo pezzo, e si traduce e sembra trascrivere un processo lento di crescita attraverso la riappropriazione culturale dei materiali utilizzati. Come se Spataro volesse sottolineare la duplice dimensione di rapidità nel consumo, di rapida obsolescenza dell’oggetto stesso e di una differente persistenza nella memoria . Fabio Spataro cerca nelle sue opere la giusta dimensione dove l’umano pensiero possa trascrivere se stessa e la nostra presenza nella mente degli uomini, l’opera come vicenda umana si concretizza attraverso il segno il gesto la forma la sperimentazione che divengono il senso più alto del nostro esistere. I richiami alla poetica espressionista a quella informale con il ricorso costante all’emozione della materia, costituiscono l’essenza stessa della dimensione espressiva dell’artista. La tensione che nelle opere realizzate da Fabio Spataro attraverso il contrasto tra le forme e tra le cromie si definiscono in termini essenziali, dove il linguaggio permette al fruitore di carpire l’animo dell’artista . Fabio Spataro è all’eterna ricerca della tensione espressiva nel contempo recupera l’immediatezza del gesto, del segno che gli permettono di dialogare sapendo raccontare attraverso le sue opere la precarietà che in parte il misurato equilibrio esprime con la sua apparente forma con la fragilità dell’essere ‘Artista’. Mentre Giuseppe Errico dice : Fabio Spataro ci offre opere ricche di autentiche sfumature emotive, che prendono forma attraverso il lieto contrasto tra le immagini e i vissuti interiori, a tratti ambigue e sfumate, e le cromie. Tutto diviene, in tale pittura essenziale, apertura al nuovo, “vita vissuta”. Dietro (dentro) le opere l’eterna ricerca, i dubbi e le domande della tensione espressiva (l’artista tenta di “andare incontro alle cose stesse” direbbe Husserl), l’immediatezza del gesto e del segno intenzionale che gli permette di dialogare con il tempo vissuto: l’equilibrio esprime la domanda sull’essere autentico, l’apparente forma della fragilità e, al tempo stesso, il valore della vita reale.
Sergio Spataro
Nell’incontrare tantissime volte nel suo studio Sergio Spataro ho capito di trovarmi davanti ad un artista questo traspare dalle sue opere. L’incontro che ha avuto con questi grandi maestri facendo propria la loro lezione, nel tempo è riuscito ha trovare una sua identità fatta di energia, di ricerca e di sperimentazione. E per questo che nelle opere di Spataro vi è una sottile relazione tra segno e materia che costituisce una costante poetica che ha un’eco immediato. Affiora una struttura silenziosa e lirica che crea un felice equilibrio: una sorta di dinamica interna che arricchisce lo sguardo di attese emotive, di ulteriori possibilità . La sua tecnica che egli conferisce alle sue opere, sembrano che trasudano luce ed ombra. In effetti, anche il suo informale, resta imbrigliato nelle percezioni dell’artista raccolte nella sua vita di tutti i giorni. I suoi soggetti fanno parte interamente della sua esistenza, ma nello stesso tempo perdono, attraverso la pittura, quella referenzialità che li vincolerebbe all’esistenza, all’occasionalità. Si può esattamente dire che i suoi sono ‘soggetti’, e non ‘motivi’. Si tratta in altri termini di spunti per far rivelare la pittura che si nasconde dentro le cose, lungo le strade, negli orizzonti ampi dei campi. Spataro organizza visivamente queste occasioni, questi ‘soggetti’, non dandogli apparentemente eccessivo rilievo, ma facendoli invece risaltare proprio celandoli sotto la spessa superficie pittorica. Si tratta di considerare, in modo maturo e consapevole, che la pittura è già di per sé il soggetto di se stessa e che in effetti ogni figurabilità possiede i limiti del riferimento e di un’emotività legata alla memoria personale. Certamente nei suoi lavori il focus della sua espressività è riuscito a dar emergenza ad uno stato di pluralità della materia che è concretezza di esperienze, apertura verso strati pittorici da cui traspaiono memorie segniche, una sorta di dialettica temporale in cui trova posto la sua quarantennale esperienza pittorica. Per questo l’opposizione tra neo-figurazione e informale non si pone. Sergio Spataro nasce a Palermo presto si trasferì a Napoli con la sua famiglia da quel momento la sua formazione culturale cambia perché si inserisce a pieno nel contesto napoletano. Questo lo si evince dalla sua pittura che possiede ampie memorie che affondano nella pittura napoletana, dall’incontro con Bugli, Di Ruggiero, De Falco e Di Fiore e in seguito con Pisani e Spinosa, ecc.. ma perché quando l’espressione tende più decisamente verso l’informale, in fondo si entra come referenzialità nella storia dell’arte contemporanea nel campo di alcuni veneti come Santomaso, che proprio avevano inteso la pittura come valore autonomo e riconoscibile al di là di ogni sua attribuzione ad un genere piuttosto che ad un altro. Da questi artisti Sergio Spataro ha saputo prendere la sensibilità coloristica, la capacità e l’eleganza di lasciare al colore il compito costruttivo della composizione. Il resto non conta, si tratta di pittura pura e basta. Infine nelle opere di Sergio Spataro degli ultimi anni il conflitto invece è triplice: tra linee orizzontali e linee verticali, tra luce ed ombra, e tra segno morbido, ‘flou’, e graffio stridente. Le scisse e le ordinate non si incontrano. Le forze spingono in direzioni ortogonalmente opposte senza incontrarsi, senza fondersi. I graffi orizzontali si sovrappongono o più spesso giustappongono a quelli verticali, generando tensioni. La luce è il risultato di raschiature sulla superficie coperta dal colore; mentre l’ombra affiora, morbida e sfumata, quasi evanescente, oppure incombe a larghe strisce dai contorni indefiniti. L’ombra è un panno morbido che avvolge. La luce un graffio che fa male. Ma tra le due presenze il contrasto è insanabile. Sì, sono due presenze, poiché l’ombra in Sergio Spataro non è assenza di luce, ma presenza immanente, imprescindibile, incombente. Forse, addirittura, è la luce ad essere assenza di ombra, mancanza, negazione. Non che tutto questo non ci fosse anche prima. Solo che adesso il rigore estremo di queste opere mette a nudo brutalmente gli schemi, e al tempo stesso li rende anche più prepotentemente efficaci. E come possiamo chiamare il conflitto irrisolto tra luce ed ombra, tra essere e divenire, tra orizzontalità e verticalità, se non col nome antico e dimenticato di ‘tragedia’? A ciascuno poi, se lo vorrà, la possibilità di cogliere i risvolti metaforici di alcuni di questi poli contrapposti: luce ed ombra, orizzontale e verticale.
Roberto Sanchez
Ho sempre amato incontrate gli artisti nel proprio studio è quello che ho fatto anche con Roberto Sanchez essendo uno studioso del futurismo e dell’astrattismo- geometrico sono rimasto rapito dalla sua arte, egli rappresenta in toto l’esistenza e i suoi significati più profondi. Certamente posso dire che la pittura di Roberto Sanchez si avvicina al linguaggio futurista di Giacomo Balla e in particolar lo si evidenzia dal gesto, dalla forma e dallo spazio e dalla scomposizione delle opere che segnano e dividono lo spazio ed aprono per alcuni aspetti a pennellate irregolari e dinamiche . A queste s’intervallano linee sottili costitutive di minimi tracciati poliritmici, penetranti somatizzazioni che registrano la vigorosa rapidità con cui Roberto Sanchez imprime sulla tela la propria indelebile organizzazione astratto- geometrica. La sua pittura sostiene equilibrismi accumulativi ed esercizi di gesto che smembrano la materia colorata con nitida soggettività, frugando il reale e nel contempo scavando animosamente dentro l’inconscio che in automatico produce una tensione moto-emotiva totalizzante, la quale filtra per poi implodere senza leggiadrie superficiali sulla tela, all’interno di movimentazioni cromaticamente disgiuntive-congiuntive. Roberto Sanchez è tenace, non ammette remore nella manifestazione di un “sé” stretto tra visioni e forza interiore; “sé” interloquente con il cosmo ad esso esterno, affidato ad un contatto diretto-autonomo con la pittura e con gli impasti che annullano qualunque ipotesi d’organicità cromatica poiché a questa preferiscono l’azione di un’imprimitura individuale, passibile di forte spiritualizzazione. Un’imprimitura che non lascia fluire accademicamente il colore, ma al contrario porta alla creazione di eccellenti frizioni abrasive, taglienti e spigolose, appassionate come le sfrontate voluttà incisorie dalla classica linearità segnico-direzionale. La capacità di concepire e costruire tramite strumenti “classici” (pennello, colore, tela) appare particolarmente significativa in una pratica processuale che si spinge oltre la generica categorizzazione astratto -geometrico frammento su frammento, le sovrapposizioni cromatiche distribuite da Roberto Sanchez acquisiscono lo status di caratteriali strutturazioni prospettiche, piani intrecciati dove torna puntuale l’azione coprente-velante-sovrastante delle differenti pigmentazioni. La pittura di Roberto Sanchez si distingue anche per il rigore e l'equilibrio formale delle composizioni geometriche e delle ampie campiture che evidenziavano una tavolozza dai toni tenui, e una ricerca di armonia basata su un gioco di pesi e contrappesi, di cui la chiave di volta era, in sostanza, la ubriacante reiterazione e il reciproco bilanciamento di tasselli cromatici dello stesso colore e di forme geometriche simili, anche se sempre, leggermente, sottilmente diverse, le armoniche composizioni di Sanchez si frammentano le forme si frantumano, si addensano in formazioni più complesse e articolate. Spicca energico il colore che sovrasta e avvolge, mettendo in scena un dinamismo de-compositivo di un raziocinio ciclico e indipendente.
Albergo dei Poveri di Napoli
dal 21 al 27 Dicembre 2022
Napoli in Scena
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 22.00