In concomitanza con la grande mostra tizianesca delle Scuderie del Quirinale, confidiamo di fornire un servizio non del tutto vano ai lettori di www.news-art.it presentando un'ulteriore puntata, la terza, di note compendiarie dedicate al grande maestro, stavolta impegnata a delinearne un profilo biografico sufficientemente articolato, che possa restituire almeno la percezione dell'incredibile ricchezza di contatti e d'incarichi al massimo livello per tutti i potenti d'Europa, ininterrottamente nell'arco di oltre mezzo secolo, che ne caratterizzò la carriera.
Ogni ricostruzione della vita di Tiziano non può esimersi dal soffermarsi inizialmente sullo snodo della data di nascita, autentica croce della filologia tizianesca. In questa circostanza ci permettiamo di rimandare al nostro Note su Tiziano, 2, da pochissimo pubblicato su News-art, il cui secondo paragrafo è giustappunto dedicato a tale questione.
Ai fini del presente intervento possiamo, dunque, limitarci a ricordare che Tiziano nacque a Pieve di Cadore, comune montano del bellunese, da Gregorio e Lucia, e che la famiglia Vecellio, da secoli presente in Cadore, vantava un certo rango annoverando con continuità tra le sue fila notai e uomini di legge.
Come detto, la data di nascita si configura come un problema ancora aperto e oltre un certo limite forse irresolubile, non sussistendo all’epoca presso la comunità del Cadore la consuetudine di registrare le nascite e i battesimi. Assumendo tutte le indicazioni delle fonti e gli scarni elementi documentari disponibili sussiste un range di ben 17 anni fra le date estreme, 1473-1490, entro le quali deve essere collocata la nascita di Tiziano. Tale forbice va peraltro risolutamente limata potendosi escludere con buoni argomenti ogni datazione anteriore al 1480.
In questa sede, dunque, senza ricapitolare lo status questionis (facilmente accessibile ai lettori di questo sito nell’articolo poc’anzi menzionato) ci limiteremo ad assumere, d’accordo con tutti gli studi moderni, che la data di nascita di Tiziano sia da collocare non prima del 1480 e non oltre il 1490.
Formazione, prime opere e affermazione (1500-1520)
Le fonti più antiche sono sostanzialmente concordi nel racconto delle prime fasi della carriera di Tiziano: tutte segnalano la rapida dipartita da Pieve, forse in compagnia del fratello Francesco, in direzione di Venezia (a nove anni secondo quanto riportato da Ludovico Dolce, a dieci secondo Borghini, Vasari e il Breve Compendio edito dal Tizianello, “ancor piccoletto” secondo Ridolfi). In Serenissima sembra che Tiziano andasse a vivere da uno zio - forse Antonio, fratello del padre Gregorio. Da questi, secondo la ben congegnata e più che plausibile ricostruzione del Dolce (1) (variamente ripresa dalle fonti successive), fu dapprima messo a bottega da Sebastiano Zuccato, piccolo maestro nella scena artistica lagunare di primo Cinquecento ma padre di Valerio e Francesco, i maggiori mosaicisti veneziani del secolo, a lungo amici e partners professionali di Tiziano. Da Zuccato ben presto Tiziano passò, ma senza soddisfazione, a bottega da Gentile Bellini e dopo poco, infine, dal fratello di questi, Giovanni, leader indiscusso della pittura veneziana tra gli ultimi tre decenni del XV secolo e il primo del XVI. Ma l’estremo e decisivo scatto evolutivo nel romanzo di formazione del giovane Tiziano si sarebbe compiuto nel corso della seconda metà del primo decennio del Cinquecento, grazie all’incontro con le opere del collega Giorgione da Castelfranco, poco maggiore d’età, la cui pittura costruita su un colorismo morbido, atmosferico e fuso in senso tonale avrebbe corrisposto assai meglio alla sua idiomatica propensione naturalistica (2).

Fu proprio accanto a Giorgione che Tiziano si cimentò in quello che deve essere considerato il suo prestigioso esordio pubblico sul grande palcoscenico veneziano: gli affreschi della facciata verso la calle cittadina del
Fondaco dei Tedeschi, dei quali oggi si conservano solo alcuni lacerti e una monumentale figura di
Giuditta in stato frammentario (Venezia, Ca’ d’Oro). Il secolare magazzino, alloggio e luogo di commerci della comunità teutonica, posto presso il ponte di Rialto, era andato distrutto in un incendio rovinoso nel gennaio del 1505. Avviata subito la costruzione di un nuovo edificio, le decorazioni pittoriche degli esterni furono commissionate nel 1508. Gli affreschi eseguiti da Tiziano fecero il paio con quelli della facciata verso il Canal Grande affidati a Giorgione, e le fonti antiche furono unanimi nel giudicarli più riusciti di questi ultimi.
La rapida evoluzione della pittura di Tiziano, e l’impressionante conquista di uno stile pienamente personale, si possono percepire con chiarezza attraverso una seconda impresa pubblica, di carattere sacro, che fu affidata al pittore a breve distanza dalla prima: i tre affreschi per la Scuola del Santo a Padova, commissionati nel dicembre 1510 ed eseguiti nella primavera-estate del 1511, raffiguranti altrettanti Miracoli di Sant’Antonio. Negli anni successivi agli affreschi padovani Tiziano si produsse in una serie di capolavori, distribuita su tutti i principali generi di destinazione pubblica e privata, che lo impose come assoluto protagonista di una nuova generazione di pittori che annoverava, tra le altre, personalità del calibro di Sebastiano Luciani, più tardi soprannominato Del Piombo (il quale, però, già nel 1511 avrebbe lasciato la laguna per seguire a Roma il ricco banchiere Agostino Chigi), Palma il Vecchio, Lorenzo Lotto (veneziano di nascita ma da subito destinato a una biografia tutt’altro che stanziale) e Giorgione, che di questa schiera sarebbe stato il capofila se non fosse morto di peste nel 1510, poco più che trentenne.
Nel corpus tizianesco si susseguirono così, in rapida successione nel corso della prima metà del secondo decennio del Cinquecento, opere come la paletta con S. Marco in trono tra i Ss. Cosma, Damiano, Rocco e Sebastiano per la chiesa veneziana di S. Spirito in Isola (oggi nella sagrestia di S. Maria della Salute), il Noli me tangere della National Gallery di Londra, il Concerto della Galleria Palatina di Firenze, l’Allegoria delle tre età della vita della National Gallery of Scotland di Edimburgo, il Battesimo di Cristo della Pinacoteca Capitolina di Roma, eseguito per il mercante spagnolo Giovanni Ram, la Salomè con la testa del Battista della Galleria Doria-Pamphili di Roma.

In una Venezia in cui erano ancora attivi ad alto livello sia
Giovanni Bellini sia
Carpaccio, la commissione ricevuta dal governo della Serenissima nel 1513 di un grande dipinto raffigurante una
Battaglia (variamente interpretata come
Battaglia di Spoleto o, più probabilmente,
Battaglia di Cadore) per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale appare ai nostri occhi come una sorta di pubblica ratifica dello
status raggiunto dal giovane Tiziano. L’opera, peraltro, ebbe una vita piuttosto travagliata: effettivamente realizzata solo nel 1537-1538, essa andò irreparabilmente perduta nel grande incendio che colpì il palazzo nel 1577, ma ne serba la memoria un'incisione eseguita da Giulio Fontana nel 1569. Nello stesso 1513 la fama di Tiziano aveva già varcato i confini della Serenissima, se
Pietro Bembo, segretario di papa Leone X, gli fece pervenire una più che allettante offerta di trasferimento a Roma per divenire pittore alla corte pontificia. Rispetto a tale prospettiva, che ne avrebbe certamente sancito il rapido successo e la gloria su scala europea, Tiziano preferì consolidare la sua posizione in laguna, formulando personalmente una richiesta di incarico formale al governo veneziano in una missiva datata 31 maggio 1513: la concessione da parte del
Consiglio dei Dieci dell’ufficio della senseria del Fondaco dei Tedeschi, con i benefici che ne sarebbero conseguiti (esenzione fiscale, salario annuale e i costi dell’esercizio della professione, compreso il salario di due aiuti di bottega, a carico del Consiglio). La richiesta di Tiziano sarebbe più tardi giunta a buon fine, ma né in breve tempo né senza incidenti di percorso che ne avrebbero sensibilmente differito l’attuazione.

Per tutti gli anni Dieci la carriera di Tiziano continua a essere punteggiata di opere di eccezionale livello, come
Amor Sacro e Amor Profano della Galleria Borghese di Roma, la
Flora degli Uffizi, il
Tributo della moneta della Gemäldegalerie di Dresda, la cosiddetta
Madonna delle ciliegie del Kunsthistorisches Museum di Vienna, nonché di relazioni professionali sempre più prestigiose e di ampio raggio. Nel 1516, infatti, si avviarono i rapporti fra Tiziano e la corte ferrarese di
Alfonso I d’Este, che avrebbero condotto negli anni successivi alla realizzazione dei tre capolavori destinati ad accompagnare i dipinti di Giovanni Bellini e Dosso Dossi nella decorazione delle pareti del
Camerino del duca: l’
Offerta a Venere e
I Baccanali (gli
Andrii), conservati al Prado di Madrid, e
Bacco e Arianna oggi alla National Gallery di Londra. Di estrema importanza, sul fronte delle commesse religiose pubbliche, fu il ruolo svolto dalla grandiosa pala posta in opera il 20 marzo 1518 (come documentano i dettagliatissimi
Diarii del patrizio veneziano
Marin Sanudo) sull’altare maggiore della venerabile basilica francescana di Santa Maria Gloriosa dei Frari: un’
Assunzione della Vergine che per dinamismo, monumentalità, esplosiva brillantezza coloristica e libertà compositiva parve subito di dirompente novità nell’arte veneziana.
1520-1530

A breve distanza dall’inaugurazione dell’
Assunta dei Frari Tiziano portò a termine altre due importanti commissioni di destinazione ecclesiastica: la
Vergine col Bambino in cielo con i SS. Francesco e Alvise e il il donatore Alvise Gozzi (ricco mercante nativo di Ragusa in Croazia), eseguita per la chiesa di San Francesco in Ancona e oggi nel locale Museo Civico, firmata e datata 1520, e il grande polittico per l’altare maggiore della chiesa dei SS. Nazario e Celso a Brescia, firmato e datato 1522, commissionato dal legato pontificio Altobello Averoldi. L’anno successivo ebbe inizio la lunga e prolifica relazione professionale di Tiziano col
Duca di Mantova Federico II Gonzaga, per il quale, nell’arco di meno di vent’anni, avrebbe eseguito una quarantina di dipinti (la gran parte dispersi), fra cui vari ritratti, la
Madonna col Bambino e Santa Caterina del Louvre (la cosiddetta
Madonna del coniglio) nel 1530, e, fra il 1537 e il 1540, la celebre e fortunatissima serie perduta dei undici
Ritratti di imperatore romani per il cosiddetto Appartamento di Troia in Palazzo Ducale. Proprio Federico Gonzaga, qualche anno più tardi, avrebbe introdotto Tiziano ai favori dell’imperatore Carlo V.
Nel novembre 1525 Tiziano si sposò con Cecilia Soldano, giovane cadorina dalla quale aveva già avuto i figli Pomponio nel 1524 e, nello stesso 1525, Orazio. Dopo il matrimonio nacque Lavinia, figlia amatissima da Tiziano. Nell’agosto del 1530 Cecilia morì e la cura dei figli passò alla sorella Orsola, che da Pieve si trasferì a Venezia, ove avrebbe trascorso il resto della sua vita assistendo fedelmente il fratello.
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Il giorno 8 dicembre 1526 fu messa in opera un’altra straordinaria pala d’altare nella chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari, raffigurante la
Madonna col Bambino e Santi venerata dalla famiglia Pesaro. Il dipinto era stato commissionato a Tiziano nell’aprile 1519 da Jacopo Pesaro, vescovo della città cipriota di Pafo e comandante della flotta pontificia che nel 1502 aveva trionfato sui turchi a Santa Maura.
Nel 1527 giunsero a Venezia, già assurti alla celebrità, lo scrittore Pietro Aretino, proveniente da Mantova, e l’architetto-scultore Jacopo Sansovino, quest’ultimo in fuga da Roma a seguito del sacco che le truppe dei lanzichenecchi avevano inflitto alla città capitolina. Entrambi divennero intimi amici di Tiziano e ben presto guadagnarono un ruolo di speciale importanza e influenza nella Venezia dell’epoca.
Nel 1528, in concorrenza con Palma il Vecchio e Pordenone, Tiziano vinse l’appalto di una pala d’altare raffigurante l’Uccisione di San Pietro Martire per la grande basilica domenicana dei Santi Giovanni e Paolo. L’opera fu consegnata ai committenti, la Confraternita di San Pietro Martire, il 27 aprile 1530 e subito stimata unanimemente un assoluto capolavoro del pittore (“la più compiuta opera che in tutta la sua vita Tiziano abbia ancor fatto mai”, secondo Vasari), come testimoniano, oltre alle fonti, le repliche, le copie e le traduzioni a stampa che ne furono tratte per secoli. Il dipinto andò perduto in un incendio che danneggiò gravemente la chiesa il 16 agosto 1867.
1530-1540
Nel 1531 Tiziano si trasferì in affitto in una grande casa a Biri Grande, in Contrada San Canciano, alla quale, acquistando un piccolo terreno adiacente, di lì a pochi anni avrebbe aggiunto un giardino. Sarebbe stata quella l’abitazione dove avrebbe passato i successivi 46 anni di vita. L’anno dopo avviò un nuovo prestigioso rapporto professionale con Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, probabilmente per il tramite di Federico Gonzaga che ne era cugino. Tiziano dipinse il Ritratto di Francesco Maria nel 1536, cui fece seguito, tra il 1536 e il 1537, quello della consorte Eleonora Gonzaga (entrambi conservati al Museo degli Uffizi di Firenze). Nel 1538 consegnò a Guidobaldo Della Rovere, figlio e successore di Francesco Maria, che sarebbe mancato in quello stesso anno, la cosiddetta Venere di Urbino (pure agli Uffizi), uno dei suoi capolavori più celebrati e imitati.
Tra il dicembre del 1532 e il febbraio del 1533, su invito di Federico Gonzaga, Tiziano si recò a Bologna per incontrare l’
Imperatore Carlo V e colà ne eseguì il ritratto, forse il
Ritratto a figura intera col cane, conservato al Museo del Prado di Madrid. L’opera dipinta da Tiziano riscosse uno straordinario consenso da parte del sovrano il quale, con un atto datato 10 maggio 1533, nominò il pittore Conte Palatino e Cavaliere dello Speron d’Oro, concedendo a lui e ai figli il titolo di Nobili del Sacro Romano Impero con i vari privilegi che ne derivavano, tra cui l’autorità di “istituire e creare notai, cancellieri e giudici ordinari; di legittimare i figli naturali; di adottare figli”. Cominciò così, sotto i migliori auspici, un rapporto che avrebbe legato intimamente il pittore alla corte degli Asburgo per oltre un quarantennio, segnandone profondamente gli sviluppi professionali e artistici.
Nel 1534 morì il padre Gregorio. Nel marzo del 1538 Tiziano portò a termine per la Scuola Grande della Carità in Venezia (oggi Gallerie dell’Accademia) la grandiosa tela con la Presentazione di Maria al Tempio, che era stata commissionata nell’agosto del 1534 e che rappresenta l’unica puntata del pittore nel genere così peculiarmente veneziano dei teleri narrativi, che in Carpaccio e Gentile Bellini aveva avuto i suoi specialisti più eminenti.
1540-1550
Il 28 giugno 1540 morì Federico Gonzaga, per un ventennio tra i più assidui committenti di Tiziano. Lo stesso anno il pittore fu incaricato di eseguire un dipinto dal potente Alfonso d’Avalos, Marchese di Vasto e Pescara, Governatore del Ducato di Milano e comandante dell’esercito asburgico di Carlo V. L’opera, che rappresenta lo stesso Alfonso d’Avalos che arringa le truppe con accanto il figlio Ferrante, oggi al Museo del Prado, fu personalmente consegnata a Milano da Tiziano nell’agosto 1541. In quella circostanza, essendo presente a Milano Carlo V, Tiziano ottenne da questi la concessione di un vitalizio di 100 scudi annui, che in seguito, in effetti, i ministri del sovrano si sarebbero sempre mostrati assai poco propensi a onorare. Ancora nel 1540 ultimò il Ritratto del cardinale Pietro Bembo (Washington, National Gallery of Art), suo amico di vecchia data.

Nel 1542 Tiziano eseguì il
Ritratto di Ranuccio Farnese (Washington, National Gallery of Art), allora dodicenne in soggiorno tra Padova e Venezia per raffinare la sua formazione umanistica. Il dipinto era stato commissionato dal vescovo di Brescia Andrea Cornaro (tutore del ragazzo, assieme all’umanista Gianfrancesco Leoni e al patriarca di Aquileia Marco Grimani, nel periodo trascorso in Veneto) per essere donato a Gerolama Orsini, madre di Ranuccio, e segnò l’avvio dei rapporti di Tiziano con la potente
famiglia Farnese, che avrebbero avuto un’importanza crescente nel corso degli anni successivi. Lo stesso anno dipinse il
Ritratto di Clarissa Strozzi a due anni (Berlino, Gemäldegalerie, firmato e datato) e ricevette la commissione della pala dell’altare maggiore del Duomo di Serravalle, raffigurante la
Madonna col Bambino in gloria con i SS. Pietro e Paolo.
Cedendo alla richieste del cardinal nipote Alessandro Farnese, il 22 aprile 1543 Tiziano raggiunse a Ferrara
Papa Paolo III, in procinto di incontrare Carlo V a Busseto (dove, al seguito del papa, si sarebbe recato anche Tiziano), per eseguirne colà, in meno di un mese, il
Ritratto conservato nel Museo di Capodimonte a Napoli (il primo di una piccola serie di eccezionale livello). In quella circostanza il papa propose senza successo a Tiziano di trasferirsi a Roma per entrare al servizio della corte pontificia, offrendogli anche l’ufficio della piombatura delle bolle papali, da una decina d’anni ricoperto da Sebastiano Luciani (soprannominato “del Piombo” proprio in ragione di tale carica). Il rapporto col papa Farnese rivestiva comunque un’importanza strategica per Tiziano, che sperava di ottenere dal pontefice la concessione al figlio Pomponio del beneficio della ricca abbazia di San Pietro in Colle, nella diocesi del cenedese, non lontana da Pieve di Cadore e dirimpetto a un podere che Tiziano aveva da poco acquistato. Fu questo un progetto fortemente voluto da Tiziano, e da lui perseguito con impegno negli anni sino alla morte di Paolo III: purtuttavia, nonostante le molte promesse, i suoi piani erano destinati a restare del tutto irrealizzati e cagione di cocente delusione, come documenta la fitta e prolungata rete di missive, scritte da Tiziano di suo pugno o affidate alla penna sapiente di Pietro Aretino, ad Alessandro, Ranuccio e Ottavio Farnese, e perfino a Michelangelo affinché intercedesse in suo favore.
Sempre nel 1543 Tiziano firmò e datò il grande dipinto raffigurante l’Ecce Homo per la casa veneziana del ricco commerciante fiammingo Giovanni D’Anna (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Nel 1545 portò a termine il Ritratto di Pietro Aretino - suo intimo amico, consigliere nonché, all’occasione, suo insuperabile supporto epistolare e letterario - che il ritrattato donò immediatamente al granduca Cosimo de’ Medici (dipinto conservato nella Galleria Palatina di Firenze). Ma soprattutto il 1545 è l’anno in cui Tiziano si risolse ad accogliere il pressante invito dei Farnese e, anche per ridare vita alle sue mire sull’abbazia di San Pietro in Colle (sin lì rimaste lettera morta), intraprendere il viaggio a Roma in compagnia del figlio Orazio. Quivi avrebbe soggiornato, ospite in Vaticano e affidato alla prestigiosa guida di Giorgio Vasari, dall’ottobre 1545 al giugno dell’anno successivo, quando tornò a Venezia sostando a Firenze (dove incontrò il duca Cosimo, ma senza alcun esito di particolare interesse) e Urbino.

Nel periodo trascorso a Roma Tiziano dipinse, tra le altre cose, la sensualissima
Danae per il
cardinale Alessandro Farnese, il
Ritratto di Paolo III con il camauro e il
Ritratto di Paolo III coi nipoti Alessandro e Ottavio, tra i vertici della sua ritrattistica, che rimase non pienamente compiuto (si conservano tutti a Napoli, Museo di Capodimonte). Di là dalle opere mirabili eseguite, il soggiorno romano di Tiziano, per quanto fruttuoso sotto il profilo artistico, consentendogli l’approfondimento dell’arte classica e un provvido aggiornamento dal vivo sulla contemporanea arte romana (
in primis ovviamente
Michelangelo), fu un insuccesso dal punto di vista economico e professionale, meritandogli al più, il 19 marzo 1546, l’onore della cittadinanza romana con cerimonia solenne in Campidoglio. Dalla lettura dei documenti che riguardano le relazioni fra Tiziano e i Farnese, in effetti, si può dedurre che davvero ben poco sia venuto in tasca al pittore a fronte di un impegno professionale prolungato e copioso, oltreché eccezionale negli esiti artistici.
Tiziano rientrò a Venezia il 19 giugno 1546. L’anno successivo s’impegnò a ultimare, avvalendosi del largo ausilio della bottega, la pala d’altare per il duomo di Serravalle, commissionatagli nel 1542, e sul finire dello stesso 1547 accettò l’invito di Carlo V a recarsi per qualche mese presso la corte imperiale di Augusta. All’incirca sessantenne, nel gennaio successivo si mosse così verso la Germania, in pieno inverno, portando con sé il figlio Orazio, il nipote Cesare e Lambert Sustris, e colà si trattenne per 9 mesi realizzando per lo più ritratti degli Asburgo e dei principali personaggi che ruotavano presso la corte, oggi in gran parte perduti. Fanno eccezione il monumentale Ritratto di Carlo V a cavallo nella battaglia di Mühlberg, Madrid, Museo del Prado, che si riferisce al successo ottenuto dall’imperatore il 24 aprile 1547 contro le truppe protestanti della Lega di Smalcalda, e con ogni probabilità anche il Ritratto di Carlo V seduto, Monaco, Alte Pinakothek, il Ritratto di Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V defunta nel 1539 (pure conservato al Prado), che Tiziano realizzò basandosi su precedenti ritratti dell’imperatrice, e il Ritratto di Nicolas Perrenot de Granvelle, cancelliere e consigliere privato di Carlo V (Besançon, Musée du Temps).

Di ritorno a Venezia, tra il 4 e il 21 ottobre 1548 il pittore si fermò a Innsbruck, dove eseguì i ritratti (perduti) delle quattro figlie del
Re Ferdinando I d’Austria, fratello di Carlo V. Giunto in laguna i primi di novembre, pochi giorni più tardi ricevette un nuovo invito a mettersi in viaggio, stavolta in direzione di Milano, da parte del principe Filippo II, figlio dell’imperatore. Nel dicembre successivo, Tiziano partì dunque alla volta di Milano, e in quella circostanza dipinse il primo dei suoi ritratti di Filippo II: forse, ma al riguarda sussistono opinioni assai discordi, l’esemplare conservato al Prado in cui il principe indossa l’armatura ed è raffigurato a figura intera. In ogni modo, in quell’occasione per i suoi servigi Tiziano ricevette un lauto compenso di 1000 scudi.
1550-1560
Nell’ottobre 1550, a seguito della riapertura della Dieta di Augusta, Tiziano fu nuovamente invitato nella città tedesca, ove giunse il mese successivo e si trattenne circa 10 mesi. In quella circostanza i rapporti con Carlo V, sempre più orientato ad abbandonare la scena politica, e col suo erede Filippo II divennero ancora più stretti sia a livello umano sia sul piano professionale, approdando, sulla carta, a uno status maggiormente soddisfacente anche sotto il profilo salariale. Durante il soggiorno ad Augusta Tiziano ritrasse nuovamente Filippo e ricevette la commissione da parte di Carlo V del grande dipinto raffigurante l’Adorazione della Trinità, universalmente noto come La Gloria, che sarebbe stato ultimato e inviato all’imperatore l’11 ottobre del 1554 (Madrid, Museo del Prado).

Nell’agosto del 1551 Tiziano rientrò a Venezia e poco dopo cominciò un assiduo scambio epistolare con Filippo II, che lo stimolò incessantemente a produrre nuove opere, diventandone di gran lunga il principale committente negli anni a seguire ma spesso tradendone le aspettative economiche, come testimonia la teoria di lettere di lamentela, pressoché ininterrotta nell’arco di un venticinquennio, scritte da Tiziano per la mancata elargizione delle pensioni previste.
L’invio dei nuovi dipinti al Re di Spagna cominciò nel 1552 con una
Santa Margherita e il drago, quasi certamente la tela oggi nel Monastero di San Lorenzo all’Escorial. Nel 1554 Tiziano scrisse una missiva a Filippo II dalla quale si evince che aveva già ultimato e spedito una nuova redazione del tema della
Danae (Madrid, Museo del Prado) ed era in procinto di inviargli a Londra, dove il principe si trovava in occasione delle nozze con Maria Tudor, il dipinto raffigurante
Venere e Adone (anch’esso conservato al Prado), un soggetto più volte replicato negli anni successivi. Si tratta delle prime di una serie di tele di tema mitologico tratte da testi classici (
in primis le
Metamorfosi di Ovidio), che, nella stessa lettera al principe, Tiziano definisce “
poesie”. Si può dire che a tali opere, sin quasi programmaticamente, egli intendesse affidare una speciale valenza di estreme e libere meditazioni pittoriche su iconografie costituite di profonde connotazioni allegoriche e morali. A queste prime opere fecero seguito, nell’arco di meno di dieci anni, le tele raffiguranti
Perseo e Andromeda (Londra, Wallace Collection, databile circa 1556),
Diana e Atteone e
Diana e Callisto, ultimate e spedite nel 1559 (collezione del Duca di Sutherland, in prestito alla National Gallery of Scotland di Edimburgo) e il
Ratto di Europa del 1562 (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum). A tale nucleo si deve aggiungere una
Morte di Atteone che Tiziano descriveva in una lettera a Filippo II del giugno 1559 come non ancora compiuta e che non dovette giungere mai nelle collezioni asburgiche (Londra, National Gallery, ultimata forse tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII decennio del Ciquecento). Il complesso di questi dipinti, assieme agli altri capolavori della tarda maniera di Tiziano, avrebbe esercitato un’influenza incalcolabile sulla pittura europea del XVII secolo e su pittori dell’importanza di
Rubens,
Van Dyck,
Velazquez,
Rembrandt,
Frans Hals.

Il 19 giugno 1555 la figlia Lavinia sposò a Venezia Cornelio Sarcinelli, rampollo di una nobile famiglia di Serravalle, e Tiziano le assicurò la generosa dote di 1400 ducati. Nel 1556 accaddero due eventi di particolare significato per la vita di Tiziano. Il primo è l’abdicazione dell’Imperatore Carlo V in favore di Filippo II, con il suo conseguente ritiro nel monastero di Yuste, in Estremadura. Colà il sovrano si sarebbe spento il 21 settembre 1558, avendo portato con sé alcuni tra i più amati dipinti realizzati per lui da Tiziano, tra cui
La Gloria e il
Ritratto di Isabella. Il secondo è la morte, il 21 ottobre, dell’inseparabile sodale Pietro Aretino, che segnò la fine di quel “
triumvirato” (Tiziano-Aretino-Sansovino) che per tre decenni era stato protagonista e arbitro della scena culturale veneziana.
Nel 1557 venne pubblicato a Venezia il Dialogo della pittura intitolato l’Aretino dell’amico poligrafo Ludovico Dolce, trattatello in forma di dialogo in cui, quasi in risposta alle Vite di Vasari e ai suoi presupposti estetici, viene magnificata l’arte di Tiziano e si fornisce la più antica, seppur succinta, biografia del cadorino. In quello stesso anno Tiziano fu incaricato di giudicare i dipinti eseguiti da 7 pittori (fra cui Paolo Veronese e Andrea Schiavone) per il soffitto del Salone della Libreria Marciana, una delle principali imprese decorative pubbliche veneziane della seconda metà del secolo, nella quale Tiziano aveva già svolto una funzione di supervisore artistico accanto a Jacopo Sansovino, architetto dell’edificio.

Negli anni immediatamente seguenti furono messe in opera due delle più importanti pale d’altare alle quali attese il vecchio Tiziano: la
Crocifissione sull’altare maggiore della chiesa di S. Domenico in Ancona, commissionata dal mercante veneziano Pietro Cornovi Della Vecchia, e, tra il 1558 e il 1559, il
Martirio di San Lorenzo, commissionato una decina d’anni prima dal patrizio veneziano Lorenzo Massolo per la chiesa di S. Maria dei Crociferi (oggi Chiesa dei Gesuiti),
tour de force luministico di insuperabile intensità tragica. Nel 1559 morì a Pieve di Cadore
il fratello Francesco, artista di buon rango e in più occasioni valente collaboratore di Tiziano. Il 27 settembre dello stesso anno il pittore spedì a Filippo II la
Deposizione di Cristo nel sepolcro (Madrid, Museo del Prado) che gli era stata commissionata dal re di Spagna nel mese di gennaio. In quel giro d’anni portò a termine anche una significativa impresa civica destinata alla sua città d’adozione: l’ottagono raffigurante la
Sapienza posta al centro del soffitto del vestibolo della Libreria Marciana, sorta di logico compimento di tutto il complesso programma di arredo pittorico dell’edificio sansoviniano.
Gli ultimi anni: 1560-1576
Intorno alla metà del settimo decennio Tiziano realizzò l’ultimo capolavoro sacro destinato a una chiesa veneziana, l’Annunciazione di San Salvador, su incarico del mercante Antonio Cornovi Della Vecchia, cugino di quel Pietro che pochi anni prima gli aveva commissionato la Crocifissione per la chiesa di S. Domenico ad Ancona.
Nel 1566 il Consiglio dei Dieci concesse a Tiziano il privilegio del monopolio sulle incisioni tratte dai suoi dipinti ad opera di Cornelis Cort e Nicolò Boldrini. Nello stesso anno Giorgio Vasari, a Venezia per gli aggiornamenti sull’arte veneta necessari alla seconda edizione delle Vite, gli rese visita nel suo appartamento, potendo così attingere alla fonte cospicue informazioni che sarebbero confluite nell’ampia biografia a lui dedicata. In una missiva del 2 dicembre 1567 Tiziano comunicò a Filippo II di avere ultimato ed essere in procinto di spedire il Martirio di San Lorenzo destinato all’altare maggiore della chiesa del monastero di S. Lorenzo all’Escorial, che il sovrano gli aveva richiesto sin dall’agosto 1564. Si tratta di una delle tele di più grandi dimensioni dipinta da Tiziano negli ultimi decenni di attività, che recupera con alcune varianti l’impianto compositivo della pala di uguale soggetto ultimata qualche anno prima per la chiesa dei Crociferi. Nel 1567-1568 eseguì il Ritratto di Jacopo Strada, erudito e influente mercante, conoscitore e collezionista d’arte che fu al servizio di papa Giulio III, di Alberto V di Baviera e degli imperatori Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Nel 1568 vennero poste in opera tre grandi tele di soggetto mitologico eseguite per la sala del Palazzo Pubblico di Brescia, la cui commissione Tiziano aveva ricevuto quattro anni prima recandosi personalmente nella città lombarda. Le opere andarono distrutte in un incendio il 18 gennaio 1575.
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Nel 1570 morì Jacopo Sansovino, l’altro suo amico fraterno accanto all’Aretino. Nonostante tutto, l’attività di Tiziano nell’ultimo decennio di vita continuò incessante a ritmi sbalorditivi, considerando l’età ormai avanzatissima. Molte opere furono ancora inviate in Spagna a Filippo II: fra esse, nell’ottobre 1568, il
Tributo della moneta della National Gallery di Londra, nell’agosto 1571 il
Tarquinio e Lucrezia oggi al Fitzwilliam Museum di Cambridge, e nel settembre 1575 le due grandi tele allegoriche raffiguranti
La Religione soccorsa dalla Spagna e
Filippo II offre alla Vittoria l’infante Ferdinando, quest’ultima commissionata per celebrare la vittoria della Lega Santa sui turchi nelle acque di Lepanto il 7 ottobre 1571 (entrambe conservate al Prado).
Recano pure inequivocabili i segni dell’appartenenza alla stagione in tutti i sensi più estrema della produzione di Tiziano, all’incirca fra il 1570 e il 1576, il
Tarquinio e Lucrezia dell’Akademie der Bildenden Künste di Vienna, il
San Gerolamo penitente del Museo Thyssen di Madrid, il
San Sebastiano dell’Ermitage di San Pietroburgo, l’
Ecce Homo nelle versioni del Prado e del St. Louis Art Museum, l’
Incoronazione di spine dell’Alte Pinakothek di Monaco, il
Bimbo coi cani in un paesaggio del Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam, l’
Apollo scortica Marsia della Pinacoteca dell’Arcivescovado di Olomouc a Kromeríž, e la
Pietà delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, sorta di testamento spirituale del pittore, ideato, giusta Ridolfi, per la cappella del Crocifisso della chiesa dei Frari dove avrebbe dovuto essere sepolto. L’opera non giunse però ad essere ultimata dal maestro: rimase incompiuta nel suo studio e fu terminata in seguito da
Palma il Giovane, come attesta l’iscrizione posta in basso sulla tela: “QUOD TITIANUS INCHOATUM RELIQUIT/ PALMA REVENTER ABSOLVIT/ DEOQ. DICAVIT OPUS”.

Mentre Venezia era colpita da una grave epidemia di peste, il 27 agosto 1576 Tiziano mancò nella casa di Biri Grande, dove aveva trascorso gli ultimi 45 anni della sua lunga vita. L’indomani le sue spoglie mortali furono effettivamente sepolte nella chiesa dei Frari. Pochi giorni dopo ne seguì il destino, vittima della pestilenza, anche l’amato figlio Orazio.
Luca Bortolotti, 07/03/2013
1. Il brano merita di essere riportato almeno parzialmente: “Tiziano… non poteva sofferir di seguitar quella via secca e stentata di Gentile, ma disegnava gagliardamente e con molta prestezza… Tiziano, lasciando quel goffo Gentile, ebbe mezzo d’accostarsi a Giovanni Bellino: ma né anco quella maniera compiutamente piacendogli, elesse Giorgio da Castelfranco“, Dolce, L'Aretino ovvero Dialogo della pittura (1557), Bologna 1974, p. 63.
2. Puntuale il commento di Vasari: “Ma venuto poi, l’anno circa 1507, Giorgione da Castelfranco, non gli piacendo in tutto il detto modo di fare [di Giovanni Bellini], cominciò a dare alle sue opere più morbidezza e maggiore rilievo con bella maniera; usando nondimeno cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contrafarle quanto sapeva il meglio con i colori, e macchiarle con le tinte crude e dolci, secondo che il vivo mostrava, senza far disegno”. Le Vite de più eccellenti pittori, scultori et architettori (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1878, VII, p. 427.