Caravaggio: a tu per tu con Rossella Vodret

 di
Consuelo LOLLOBRIGIDA

Nella ormai sterminata (ma non sempre utile) letteratura caravaggesca, va accolta con decisa attenzione l’ultima imponente pubblicazione Caravaggio. Opere a Roma. Tecnica e stile (I, II), curata da Rossella Vodret, in collaborazione con Giorgio Leone, Marco Cardinali, Maria Beatrice de Ruggieri, Giulia Silvia Ghia, per i tipi della Silvana Editoriale
I due volumi (fig 1), di cui si compone quest’opera, si propongono l’obiettivo di mettere finalmente nella giusta luce i modi pittorici dell’artista lombardo attraverso accurate indagini delle ventidue opere certamente autografe conservate a Roma.

Il primo volume costituisce un repertorio aggiornato di alcuni temi cruciali approfonditi in una serie di saggi ed affrontano il percorso artistico, le complesse interpretazioni della critica, lo stato di conservazione, le più aggiornate tecniche di indagine.
Il secondo volume, dedicato alle schede di ventidue dipinti, propone, in un ideale percorso a ritroso, un affascinante viaggio che dalle superfici ci conduce fino agli strati nascosti dei dipinti, mediante le indagini all’infrarosso e le radiografie, le immagini ravvicinate con le macrofotografie e le indagini stratigrafiche sulla materia.
La recensione del libro, in realtà un vero ‘piccolo saggio’ elaborato da Clovis Whitfield e pubblicato da News-Art poco tempo fa, pur riconoscendone la valenza, ha messo in evidenza quelle che a parere dello studioso britannico appaiono delle criticità nell’opera; un parere che in ogni caso s’inserisce nell’ampio ambito degli studi sul fenomeno del caravaggismo –a cui del resto da tempo tanto gli autori che il recensore partecipano- arricchendone indubbiamente la conoscenza .
Per questi motivi siamo andati a trovare Rossella Vodret per capire meglio, in una cortese ed interessante conversazione, la genesi del libro, le principali scoperte e i possibili sviluppi.

D. Qual è stata la sua prima reazione alla lettura del testo di Whitfiled?
R. Mi sono sentita lusingata della corposa recensione di Clovis, che mette insieme il punto di vista di un antiquario e quello di uno storico. Nella sua attenta analisi di tanti particolari dell’opera, gli sfugge, però, il senso generale. Mi sembra che non abbia per esempio capito che abbiamo studiato solo le ventidue opere autografe ancora presenti sul territorio romano, non tutte le opere realizzate da Caravaggio a Roma.
D. Questo progetto nasce durante la sua carica di Soprintendente di Roma?
R. In parte. Il primo passo fu mosso nel 2009 quando fu istituito il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Quarto Centenario della Morte del Caravaggio 1571-1610, presieduto da Maurizio Calvesi, ma proseguito e completato durante i miei anni alla dirigenza del Polo Romano con la stretta collaborazione dell'ICR (ora Istituto superiore per la Conservazione e Restauro). Il lavoro è stato concluso grazie alla disponibilità di Daniela Porro che, dal 2012, mi ha sostituito nella direzione del Polo. Non possiamo dimenticare che uno dei tre compiti istituzionali del Ministero sia proprio quello della conservazione. Cosa meglio di una ricerca così accurata per conoscere, e quindi conservare, le opere di questo straordinario pittore? Tutte le opere originali romane riferibili con certezza a Caravaggio sono state sottoposte ad accuratissime indagini e i risultati, oggi, sono a disposizione della comunità scientifica internazionale. Anche per questo ho voluto che i due volumi fossero scritti in italiano e in inglese.
D. Proprio in riferimento all’internazionalità del lavoro, Whitfield sostiene che la bibliografia sia poco curata e che non si siano presi in considerazione gli ultimi studi.
R. Abbiamo preso in esame tutta la bibliografia fondamentale, naturalmente selezionando i contributi più importanti, vista la sterminata bibliografia che oggi abbiamo su Caravaggio. Forse il ritardo nella stampa ha fatto sì che qualcosa si sia tralasciata, ma certamente nulla di essenziale. Basta vedere il secondo volume. Ogni opera si compone di tre schede: una scheda storico-artistica; una tecnico-esecutiva; e una conservativa perché non si può non tener conto dello stato di conservazione delle opere per studiarne la tecnica. Un’analisi così approfondita non era mai stata fatta: ora abbiamo dati sicuri su cui basarsi; abbiamo posto le basi per lo studio sulla tecnica esecutiva di Caravaggio.
D. Lei ha dedicato una vita allo studio di Caravaggio e dei caravaggeschi. Ricordiamo la sua tesi di laurea con Brandi su Francesco Rustici e le tante mostre e pubblicazioni sull’argomento, tra le quali mi piace richiamare alla memoria almeno tre fondamentali: Caravaggio e i suoi (1999); Caravaggio e il genio di Roma 1592 – 1623 (2001); Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630 (2011). (fig 2) Cosa aggiunge veramente quest’ultima ricerca alle tante che ha condotto con passione per tanti anni?              
R. Quando mi sono laureata negli anni ’70 gli studi su Caravaggio erano dominati dalla figura di Longhi, grandissimo storico dell’arte che però non aveva a disposizione tutti gli strumenti che abbiamo oggi e quindi, per quanto la sua figura resti assolutamente autorevole, alcune delle sue attribuzioni vanno riviste alla luce delle nuove scoperte della critica, delle nuove evidenze documentarie e, aggiungo, dei grandi progressi che le indagini diagnostiche hanno fatto negli ultimi tempi.
Il nostro progetto di ricerca ha avuto come obiettivo l'esecuzione di una vasta campagna di analisi diagnostiche finalizzate a integrare e completare il patrimonio di documentazione tecnica esistente sulle opere autografe di Caravaggio, consentendo di identificare la sua particolarissima tecnica esecutiva e aprendo nuove conoscenze sul suo genio creativo.
D. Qual è stata la, o le scoperte più interessanti?  
R. In generale quella di aver individuato un percorso coerente nella tecnica esecutiva delle opere prese in esame. Le opere giovanili come Il Ragazzo con canestro di frutta (fig 3)  il Bacchino malato e la Maddalena penitente, databili, seguendo le nuove scoperte documentarie, tra il 1596 e il 1597, hanno rivelato che Caravaggio parte nel solco della tradizione: le preparazioni sono chiare  e su di esse utilizza il disegno tradizionale a carboncino o pennello (come aveva già intuito Calvesi), completato da una pittura a velature, né più né meno di come facevano i pittori suoi contemporanei. Fin dall'inizio, impiega  preparazioni costituite da due strati, il secondo dei quali più scuro. Quasi sempre nella mestica sono inseriti inclusi di granulometria grossolana per rendere la superficie pittorica più scabra e vibrante alla luce. La preparazione chiara traspare in vari punti nelle aree di confine tra le campiture di colore e in alcune zone d’ombra dell’incarnato, anticipando quello che in seguito diventerà una delle caratteristiche peculiari della sua tecnica pittorica. Da quanto emerso dalle opere esaminate, Caravaggio continua secondo queste modalità, ben poco rivoluzionarie, fino al 1600, quando deve affrontare la grande sfida della Contarelli, dove è costretto a sperimentare nuove soluzioni tecniche, che in seguito non abbandonerà più. Di particolare interesse, tra le opere giovanili, si è rivelato il caso della Buona Ventura  per la quale Caravaggio usò una tela su cui era già stata dipinta un’immagine devozionale di una Madonna, fino ad oggi identificata con un’opera del Cavalier d’Arpino. Grazie alle nuove ricerche è stato possibile accertare  che  la tela originale, che raffigura in realtà la Vergine con il Bambino che dorme su un cuscino, ha una doppia preparazione di tonalità grigio/bruna, del tutto analoga alle altre preparazioni delle opere giovanili di Caravaggio.  Una conferma a questa ipotesi viene dagli studi di Giorgio Leone, il quale ha scoperto non solo che la Madonna è del tutto estranea alla produzione del Cavalier d’Arpino, ma anche che raffigura una tipologia devozionale romana, presente nell’inventario nella bottega di Lorenzo Carli, primo riferimento per il giovane Caravaggio appena arrivato a Roma (fine 1595 – inizio 1596). È possibile quindi che possa essere lo stesso Caravaggio l’autore anche della Madonna soggiacente alla Buona ventura, e potrebbe costituire una traccia della primissima attività del giovane Merisi a Roma.
D. Avete quindi scritto la storia della sua tecnica. Quale opera segna una svolta nel linguaggio dell’artista?
R. Sicuramente, come ho già accennato, le tele della Contarelli: (fig 4) qui cambia il colore della preparazione che da chiara diventa scura, sempre in doppio strato,  il più superficiale dei quali è più scuro. Su questo tipo di preparazione Caravaggio non poteva più utilizzare il disegno di tipo tradizionale, che non sarebbe stato più visibile sul fondo scuro, ed è costretto a mettere a punto una nuova tecnica esecutiva per tracciare le composizioni sulla tela: non a caso compaiono qui per la prima volta, le incisioni aggiunte al disegno a pennello per definire parti della composizione. Sulla prima versione del Martirio di san Matteo - che, come abbiamo scoperto non fu solo un abbozzo, ma una composizione perfettamente completata - è stata stesa una nuova preparazione bruna prima di eseguire la redazione definitiva. Altro elemento nuovo, è l'uso particolarissimo, che Caravaggio sperimenta nella Contarelli, della preparazione che assume un’importanza strategica, il cui tono diventa un elemento attivo nella gamma cromatica facendolo affiorare e utilizzandolo in vari modi. La preparazione viene lasciata a vista (o appena velata) nelle parti in ombra e utilizzata come limite tra le varie campiture di colore, spesso non sovrapposte. Il tono della preparazione interviene, quindi, direttamente nell’equilibrio cromatico delle sue composizioni. Caravaggio costruisce i dipinti partendo dal tono della preparazione e aggiungendo le luci e velando appena le ombre. Tutto ciò che è in luce viene esaltato, mentre le parti in ombra sono appena abbozzate o non esistono proprio.
D. Uno dei punti deboli della ricerca è, secondo Whitfield, lo studio che avete condotto sul disegno e sulle incisioni, che è sembrata un’occasione mancata.
R. Le ricerche hanno fatto emergere un quadro molto complesso soprattutto riguardo al loro uso, significato e ruolo all’interno del processo creativo dell’artista. Le incisioni non sono tutte uguali, alcune ad esempio sono probabilmente dovute all'uso di cartoni, soprattutto in alcune opere pubbliche per lui impegnative, come nella Caduta di Saulo Odescalchi (fig 5) o nel secondo San Matteo e l'angelo.  Caravaggio ha utilizzato le incisioni in momenti diversi nell'esecuzione dei suoi dipinti: non solo sulle preparazioni ancora fresche, ma anche in corso d'opera, quando le preparazioni si stavano seccando. In quest'ultimo caso l'incisione non è fluida, ma più rigida e stentata. Certamente su questo argomento c'è ancora molto da studiare. Le analisi sulle altre opere di Caravaggio, che stiamo per avviare, probabilmente ci aiuteranno. Contiamo, poi, naturalmente sul contributo di tutti gli studiosi internazionali.
In ogni caso, contrariamente a quanto ritenuto finora, è stato possibile stabilire che forme diverse di disegno sono presenti in tutte le opere analizzate. Questa è una delle novità più importanti emerse dalle nuove analisi diagnostiche. Si può ormai affermare che, come ho detto, mentre nella fase giovanile sulla preparazione chiara è presente un disegno scuro di tipo tradizionale, nella fase matura – a partire dalla Contarelli -, cambiando il colore della preparazione da chiaro a scuro, il disegno tradizionale non è più visibile. Caravaggio ha dovuto, quindi, elaborare un altro sistema per definire l’impostazione delle sue composizioni.
D. Cosa succede dalla Contarelli in poi?
R. La Contarelli è la rivoluzione copernicana. Sappiamo che è il primo incarico pubblico, in un ambiente, quello romano, che certo non lo amava. Le tele avevano formati enormi (cm 322 x 340), a cui non era abituato; aveva poco tempo (il lavoro doveva essere consegnato entro un anno) e per di più doveva seguire le indicazioni dettate da Matteo Contarelli: (fig 6 ) doveva dipingere una moltitudine di figure in vari atteggiamenti emotivi in presenza di un fatto drammatico, cosa fino a quel momento gli era estranea, abituato com'era a tele con una o poche figure e prive di particolari azioni.
Deve quindi studiare un processo esecutivo che gli permetta di affrontare la nuova sfida, difficoltà per lui nuove e consegnare il lavoro con puntualità. La preparazione diventa bruna e il disegno tradizionale si trasforma in quello che abbiamo chiamato "disegno dinamico", frutto della combinazione di una serie di elementi (disegno a pennello, incisioni di vario tipo sulla preparazione ancora asciutta o in corso d’opera, abbozzi, scuri) diventando una componente dinamica del processo compositivo. Nella Vocazione sono emerse, tra le altre, in alto a sinistra, alcune incisioni ad arco di cerchio, fatte con il compasso; nella seconda versione del Martirio di san Matteo, invece, compaiono le incisioni per la definizione di alcune figure: nella testa di san Matteo e nello spericolato angelo che gli porge la palma del martirio, utilizzate insieme con il disegno a pennello.
Dalla Contarelli in poi la pittura di Caravaggio evolve verso una tecnica compositiva più rapida, direttamente pittorica, in cui il segno grafico di contorno tende da un lato a essere integrato e in parte sostituito da un tratto sintetico eseguito per incisione e dall’altro tende a trasformarsi in pennellata scura di abbozzo.
D. Sarà quindi questa la tecnica di Caravaggio negli ultimi dieci anni della sua vita?
R. Una evoluzione di questa metodologia la troviamo nella Giuditta che taglia la testa a Oloferne. Finora questo superbo dipinto (fig 7) , realizzato per il banchiere Costa, è stato datato al 1599-1600. Alla luce delle nostre ricerche la datazione va spostata al 1601, subito dopo la Contarelli, Infatti, la Giuditta presenta un "disegno" composto da un’inedita combinazione di un gran numero di incisioni, di pennellate scure (come le tele Contarelli), ma in aggiunta anche nuovi "abbozzi" chiari, ben visibili sulla preparazione scura, per definire le figure poi completate con l’aggiunta delle stesure di colore. Abbiamo trovato questi "abbozzi" chiari, che costituiscono una evoluzione tecnica rispetto alle opere Contarelli (dove non esistono), per la prima volta nella Giuditta, che viene quindi a rappresentare, dal punto di vista tecnico esecutivo, una tappa successiva alle tele del ciclo di san Matteo. Una modalità che nelle opere seguenti non abbandonerà più. Dopo la Giuditta Caravaggio prosegue sicuro sulla metodologia esecutiva cha ha messo a punto e maturato.
D. Secondo Whitfield la “campionatura” che avete elaborato non sarebbe indicativa di tutta la produzione dell’artista. Cosa vuole rispondere a questa critica?
R.  Come ho detto all'inizio, abbiamo analizzato per ora solo le ventidue opere autografe che sono a Roma. È una prima consistente base su cui costruire il corpus complessivo della tecnica esecutiva di Caravaggio, su cui stiamo già lavorando insieme con i Musei e le Istituzioni che possiedono opere autografe del grande artista lombardo. In tutto sono una settantina circa. Torno a ribadire che un lavoro di questo genere ha senso solo se si analizzano le opere documentate o certamente autografe. L'insieme dei dati, una volta completato il lavoro, costituirà un punto di riferimento fondamentale per le future attribuzioni. Di conseguenza non avrebbe alcun senso e sarebbe, anzi, fuorviante, inserire nella nostra ricerca opere di discussa autografia caravaggesca.
Il cammino è lungo, i nodi da sciogliere sono tanti, a cominciare dal ruolo che avevano i vari tipi di incisioni che abbiamo trovato, per finire al problema dei doppi, ma il nostro mi sembra un buon punto di partenza
D. Avete sistemato molto materiale esistente e prodotto molto inedito. Ora sarebbe interessante e utile poterlo arricchire con indagini sulle opere dell’artista collocate fuori Roma.
R. È in corso di definizione un progetto europeo, sostento anche dalla Bracco, per dare vita a un lavoro sistematico su tutte le opere dell’artista. Hanno già aderito la National Gallery di Londra e di Dublino, il Louvre e Vienna. Se questo sogno dovesse avverarsi avremmo finalmente dati completi per aiutare a conoscere meglio questo grande artista che incanta il mondo con le sue opere.
di Consuelo LOLLOBRIGIDA     Roma 13 / 11 / 2016