Il movimento moderno della pittura ha un debito di scuola con Paul Cézanne che controcorrente, rispetto agli impressionisti, decide di vedere il mondo in modo obiettivo e senza idealizzazioni. Paul Cézanne nato nel 1839 ad Aix-en-Provence da una famiglia agiata, intraprese gli studi di diritto, interrotti per seguire la propria vocazione artistica. Il padre Louis-Auguste, di origini italiane, dopo aver praticato per anni e con successo il mestiere di cappellaio fondò con un altro socio una banca. Paul Cézanne quindi venne allevato negli agi di una famiglia benestante.
Ciò gli consentì, a differenza dei suoi colleghi, di non dover dipendere economicamente dal proprio lavoro di pittore. In vita non ebbe mai la popolarità dei suoi colleghi per via della sua arte non di immediata percezione emotiva. Schivo e debole di carattere, ma metodico e riflessivo Paul Cézanne raggiunse la popolarità verso la fine dei suoi anni. Cercò di superare l’impressionismo puntando su uno stile che fu compreso a pieno solo dopo le retrospettive che si celebrarono dopo la sua morte avvenuta nel 1906. Egli desiderava cogliere nella sua pittura il mondo o quella piccola parte che riusciva a percepire come un oggetto non mediato da alcun intervento razionale o irrazionale. I suoi amici impressionisti, invece, con i quali Cézanne espose a Parigi nel 1874 e nel 1877 avevano visto il mondo “soggettivamente” come si presentava ai loro sensi, sotto luci diverse e sotto diversi punti di vista. Questo coinvolgimento o esaltazione dell’emotività personale coinvolse anche alcuni postimpressionisti come Van Gogh e Gauguin. Ne derivava che da ogni impressione doveva nascere un’opera d’arte unica. Cézanne al contrario voleva penetrare le cose nella loro realtà eterna ed esterna, senza coinvolgimenti personalistici o coinvolgimenti provenienti dalla società, mentre l’artista contemporaneo di Cézanne, per risolvere i problemi legati alla rappresentazione della realtà optava per l’immaginazione che gli consentiva di creare uno spazio ideale occupato da forme ideali. Cézanne, al contrario, voleva cogliere l’essenza della realtà. Difatti, anche se la sua storia artistica si intreccia con quella degli impressionisti egli tuttavia ne rimane fuori. Per Cézanne l’arte era un ordine strutturale entro il campo delle sensazioni visive. Pensava all’arte come una teoria “sviluppata e applicata in contatto con la natura” e parlava di “rappresentare il mondo naturale “ per mezzo di un cilindro, di una sfera e di un cono, tutto nella giusta prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto sia rivolto verso un punto centrale”. Per “ottenere un progresso” sosteneva conta solo la natura, e l’occhio viene addestrato mediante il contatto con essa” In ogni oggetto che si rappresenta, per Cézanne, vi è un punto centrale e quindi culminante. E, questo, a prescindere della luce e dell’ombra e delle sensazioni del colore, “è sempre più vicino al nostro occhio”.  Per il maestro di Aix “gli orli degli oggetti retrocedono verso un centro del nostro orizzonte”.  L’artista doveva indirizzarsi a restituire l’immagine del visibile senza alcuna delle trasformazioni dovute all’emozione o all’intelletto, né alcuno degli attributi accidentali condizionati dall’atmosfera o magari dal taglio della luce.
Il risultato di ciò era quello che Cezanne chiamava astrazione, una rappresentazione incompleta del campo visivo, un “cono” nel quale gli oggetti potessero raggiungere l’ordine e la coesione. Questo era quello che intendeva Cézanne per “una costruzione dal vero” e per la “realizzazione di un motivo”. Questo fece di Cézanne l’iniziatore di un’arte nuova al quale personaggi dal calibro di Pablo Picasso si inspirarono. Il genio di Cézanne fa sì che le deformazioni prospettiche, quando le si guardano nell’insieme, e in virtù dell’impianto complessivo del quadro danno l’impressione di un ordine crescente, di un oggetto che si sta coagulando sotto i nostri occhi.  Per Cézanne il disegno è un artificio e la costruzione del dipinto va eseguita attraverso modulazioni di colore. 
 Cézanne, difatti, lo risolve con una modulazione colorata, ovvero con macchie poste una accanto all’altra. Pertanto è lo sguardo che rinviato dall’una altra cosa, ci fa avvertire, nei suoi quadri, la nascita di un contorno. Grazie alla differenza di tono costruisce la tridimensionalità. I dipinti vengono costruiti a tassello ed appunto per questo acquistano monumentalità.  Cézanne pensava che per restituire il mondo alla sua densità, il disegno dovesse risultare dal colore, l’adattamento di una zona di colore ad un’altra zona ad essa adiacente. Un processo teso ad armonizzare la molteplicità con l’unità. L’effetto solido e monumentale dipendeva da una paziente opera da “muratore” unita ad una “sapiente visione architettonica complessiva”come amava definirla egli stesso
Il risultato finale dell’opera era l’apparente scomposizione di una superficie colorata che acquistava uniformità per mezzo di una struttura a mosaico all’interno del quale tuttavia tutto ciò che veniva isolato e scisso nei suoi piani costruttivi si integrava nell’insieme dell’opera
. Questo procedimento applicato quasi in ogni dipinto di Cezanne dopo il 1880, divenne sempre più chiaro con l’evolversi della sua attività ed è assai evidente nella Rupe rossa e nelle molte tele dedicate alla montagna di Sainte-Victoire o negli ultimi acquare


lli.

Redazione maggio 2019
 
Fig.1 Paul Cézanne, Autoritratto (1883-1887); pittura a olio, 44×36 cm, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.
Fig.2 La montagna Sainte-Victoire vista dalla cava di Bibemus, 1898-1900, Musée d'Orsay di Parigi.