Giovanni Cardone Settembre 2022
Fino all’8 Gennaio 2023 si potrà ammirare al Masi – Museo d’Arte della Svizzera Italiana – Lugano la mostra di Paul Klee – La Collezione Sylvie e Jorge Helft a cura di Francesca Bernasconi e Arianna Quaglio. Il MASI Lugano presenta una straordinaria raccolta di disegni e incisioni di Paul Klee dalla collezione Sylvie e Jorge Helft. Esposta per la prima volta nel suo insieme in un contesto museale, la collezione Helft comprende una settantina di opere tra disegni a matita, a penna, pastelli, acquerelli, acqueforti e litografie, che coprono un ampio arco temporale della produzione dell'artista, dal 1914 fino alla sua morte. Pazientemente assemblato nel tempo a partire dagli anni ’70 del Novecento, questo coerente nucleo di lavori mette in luce la forza e l'importanza del disegno, e in particolare della linea, nell'opera di Klee. Il disegno non è mai concepito dall'artista come fase preparatoria per la realizzazione di un dipinto, ma come opera autonoma: in questo senso, è significativo considerare che quasi la metà della sua vasta produzione che comprende circa 9.000 opere sia costituita da disegni. Abile e versatile disegnatore fin dai suoi esordi, Klee nutre un particolare interesse per la qualità della linea nelle opere d’arte preistorica e nei disegni infantili, di cui apprezza la spontaneità, l’autenticità e la riduzione delle forme. La linea viene da lui impiegata in tutte le forme possibili: come riga dritta, a zig-zag, verticale, orizzontale, per disegnare circonferenze, frecce, numeri, lettere, segni e simboli, creando opere grafiche dalla connotazione spesso ironica e umoristica, che a tratti sfiora il sarcasmo, ma che a volte si colora di una sfumatura più drammatica. Inoltre, la linea occupa una posizione chiave anche negli scritti teorici di Klee e rappresenta un elemento ricorrente nelle sue lezioni al Bauhaus di Weimar e Dessau, dove insegna per dieci anni. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Paul Klee apro il mio saggio dicendo : Paul Klee nacque nel piccolo comune di Münchenbuchsee presso Berna, il 18 dicembre 1879, ma la famiglia si trasferì nella capitale svizzera qualche mese dopo. Figlio di un professore di musica, (di cui prese la cittadinanza tedesca) e di una cantante, Klee fu anche un eccellente violinista e amante soprattutto della musica di Bach, Mozart, Beethoven e Wagner, che costituì un’importante componente nella sua formazione e un costante interesse per tutta la vita.

Frequentò molto anche i teatri d’opera e di prosa. Fra il 1898 e il 1901 si trasferì a Monaco di Baviera nel quartiere degli artisti Schwabing. Qui frequentò l’Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera. Franz von Stuck fu il suo professore ed entrò in contatto con la corrente artistica Jugendstil. Tra il 1902 e il 1906 si appassionò a Gustav Klimt, William Blake e a Goya. In particolare nel 1905, quando soggiornò a Parigi per la prima volta, ebbe modo di vedere molte opere dagli impressionisti a Leonardo a Rembrandt. A questo periodo risalgono una serie di acqueforti oltre che 26 acquerelli su vetro. Nel mese di settembre del 1906 sposò una musicista Lily Stumps dalla quale ebbe un figlio. Sempre nello stesso anno espose alla mostra internazionale della Secessione a Monaco. Nel 1909 espose due opere alla mostra della Secessione di Berlino. Nel 1910 espose la sua prima personale al Kunst-museum di Berna. Nel 1911 conobbe artisti come Auguste Macke, Franz Marc e Vasilij Kandinskij, con cui diede in seguito vita al gruppo del “
Der Blaue Reiter” (Il cavaliere azzurro) con il quale esporrà a Berlino. Nello stesso anno conobbe, durante un viaggio a Parigi, Robert Delaunay, pittore simultaneo-cubista, le cui ricerche sul colore e la luce lo influenzarono. Nel 1912 espose 17 opere alla seconda mostra berlinese di Blaue Reiter. Decisivo per il pittore fu un suo viaggio a Tunisi e ad Hammamet con Louis Moilliet e Macke nel 1914. Da quel momento lo stesso Klee affermò di essersi pienamente impadronito del colore e iniziò a prediligere nelle proprie opere le tonalità calde, tipiche di questa area geografica. Scrisse nello stesso anno: “Questo è il momento più felice della mia vita il colore e io siamo una cosa sola: sono pittore”. Nell’aprile del 1914 espose a Berlino insieme a Marc Chagall. Nel 1916, quando aveva già superato i 36 anni, fu richiamato alle armi per congedarsi nel dicembre del 1918. Da rilevare come sia gli anni della guerra sia l’impegno nell’esercito non impedirono a Klee di continuare a dipingere e a disegnare. Dal 1917 cominciò ad esporre con maggiore continuità e sempre nello stesso anno una sua personale a Zurigo suscitò grande entusiasmo nei dadaisti. Sempre durante il servizio militare, nel 1918, scrisse il saggio “La confessione creatrice” (pubblicato nel 1920) il cui testo fornirà la base per i corsi di teoria della forma e teoria del colore che Klee terrà, a partire dal 1920, al Bauhaus di Weimar.

Dopo aver prestato servizio per tre anni nell’esercito tedesco al fronte durante la prima guerra mondiale, viene consacrato a Monaco dalla sua mostra del 1919, che lo farà conoscere al grande pubblico internazionale. Nel 1920 venne chiamato dall’architetto Walter Gropius ad insegnare pittura. Klee si applicò alla didattica con entusiasmo, avendo la possibilità di organizzare in maniera più sistematica l’aspetto teorico del suo fare artistico. Nella scuola Klee svolse una forte azione equilibratrice, Gropius lo definì “l’estrema istanza morale del Bauhaus”. Dai suoi allievi venne soprannominato il Budda: era molto distaccato, infatti, da tutte quelle che erano le attività sociali della scuola e venne considerato, sempre dai suoi allievi, alla stregua di un oracolo. L’esperienza si concluse nel 1931 e successivamente assunse la docenza presso l’Accademia di Düsseldorf. Nel 1933 Klee fu costretto dal regime nazista alle dimissioni dall’Accademia di Düsseldorf, poiché il regime giudicava la sua produzione, insieme a quella degli artisti a lui contemporanei e vicini d’esperienza, come “arte degenerata”. Lasciò così la Germania per trasferirsi nuovamente nella sua città natale, dove continuò a dipingere, nonostante i gravissimi problemi di salute dovuti ad una sclerodermia progressiva. Negli ultimi anni della sua vita chiese la cittadinanza svizzera, che gli fu concessa solo postuma. Morì nel 1940 nella cittadina di Muralto, vicino a Locarno. Nella conferenza di Jena del 1924 di Paul Klee si offre come una riflessione esemplare e determinante sul rapporto non-rappresentativo e non-speculare che l’opera d’arte intrattiene con il mondo e con la natura. L’opera, infatti, parla di essi e per essi a partire da un costitutivo squilibrio referenziale nella relazione con il proprio “oggetto”, a partire, cioè, da un intimo rapporto di sproporzione e deformazione nei confronti del rappresentato. In questo saggio Klee, per mostrare la genesi del procedimento artistico la genesi dell’opera, potremmo dire il suo “venire-alla-luce” ricorre al paragone con l’albero. Le radici di esso, che penetrano la terra, rappresentano quella che il pittore chiama la «preistoria del visibile», mentre l’artista rappresenta il tronco come ciò che «trasmette nell’opera ciò che ha visto» l’opera, infine, rappresenta la «chioma dell’albero» e, qui il tratto di maggiore importanza ai fini del nostro discorso, «nessuno vorrà certo pretendere che l’albero la sua chioma la formi sul modello della radice; non v’è chi non si renda conto che non può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto». Non solo non vige un rapporto speculare e referenziale tra opera e mondo tra chioma e radice, ma, in questa complessa e continua diversione, l’artista non è altro che un “mediatore”: egli «occupa una posizione davvero modesta non è lui la bellezza della chioma, questa è soltanto passata attraverso di lui». Il punto fondamentale delle seguenti considerazioni consiste nell’assenza di un significato immediato giacente nelle cose stesse; il rapporto con la natura, con il referente, raggiunge nell’opera «una deformazione arbitraria di ciò che appare in natura». Qui, in radicale sintonia con la riflessione adorniana, alle forme fenomeniche naturali non viene riconosciuto alcun significato determinato o presupposto, dal momento che interesse dell’artista non sono le forme o i significati compiuti, bensì quelle «forze plasmatrici» che coincidono con la “genesi della visione” o, in altri termini, con l’aver-luogo della significazione. Se è vero che ogni cosa, e il mondo medesimo, non sono altro che “uno dei tanti mondi possibili”, allora l’attenzione del soggetto e la dicibilità dell’opera si attardano su questa singolare contingenza arretrando e indietreggiando verso la loro processuale genesi. Conseguentemente, il pittore “contempla le cose, che la natura gli pone sott’occhio già formate con occhio penetrante, e quanto più a fondo egli penetra tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi all’ieri; tanto più gli si imprime nella mente, al posto di un’immagine naturale definita, l’unica, essenziale immagine, quella della creazione come genesi” . Per Klee, il segno e il linguaggio della figura non sono solo mezzi e modi per raggiungere un contenuto assoluto; lo specifico dell’opera, al contrario, sembra essere la sua inclinazione autoriflessiva: l’opera figurativa del pittore è costituita, in prima istanza, dal «riflettere su se stessa» del linguaggio figurativo. La dimensione autoriflessiva del linguaggio dell’opera, della sua forma, si offre all’interno di una dialettica polare di apertura e chiusura, svelamento e nascondimento, dal momento che il segno figurativo, in quanto forma concreta e determinata, non può «non nascondere» ciò che pure, proprio in quanto forma, «non può non manifestare» la genesi della forma appunto, il suo formarsi. Ecco perché qui i segni non rappresentano qualcosa di esistente al loro esterno, ma mostrano e rimandano alla stessa processualità della visione, in quanto “figure” che rimandano e richiamano il “poter-essere” del visibile non suscettibile di rappresentazioni compiute. La visione del pittore allora, nelle parole di Maurice Merleau-Ponty, non è una relazione “fisico-ottica” con il mondo, non essendo egli “di fronte al mondo”: «La visione del pittore non è più sguardo su un di fuori» dato che «il mondo non è più davanti a lui per rappresentazione». Il soggetto-pittore, non esistendo prima del gesto pittorico e della propria opera, si costituisce nell’atto stesso del dipingere, possiede consistenza solo in questo fare, «nasce nelle cose come per concentrazione e venuta a sé del visibile». Il quadro, continua MerleauPonty, parla del mondo e «può rapportarsi a qualsiasi cosa empirica solo a condizione di essere innanzitutto “autofigurativo”» esso «può essere spettacolo di qualche cosa solo essendo “spettacolo di niente” , per mostrare come le cose si fanno cose, e il mondo mondo» . Eliminato il paradigma referenziale-rappresentativo dove il segno trova il proprio significato nell’oggetto che designa o rappresenta, qui la figura, e la pittura, sono tali in quanto «insieme segno e oggetto», dove il segno incarna in sé la possibilità stessa dell’oggetto, il suo darsi nella singolarità di una forma possibile. La figurazione, in questo senso, non è un’immagine naturale definita, ma immagine della genesi stessa della visibilità, dove la consapevolezza dell’indeterminatezza che vive nel linguaggio figurativo permette all’immagine di non risolversi nella proiezione statica di una sola figura. L’opera di Klee, nella propria dichiarata e riflessiva incompiutezza, mostra il lavoro stesso della “forma” rimandante al proprio aver-luogo e, dunque, dal punto di vista del senso, alla propria ineliminabile potenzialità e incompiutezza: «Per questo l’artista contempla le cose già formate con occhio penetrante, prolungando l’atto creativo dal passato al futuro, conferendo durata alla genesi: in definitiva, risalendo dal modello all’archetipo, ossia dalla forma alla figurazione» . Il lavoro dell’arte, in questa prospettiva, è quello di aprire alla visione, alla sua emergenza che precede la dimensione logica del vero e del falso, ovvero del dato rappresentato; ecco perché qui il segno mostra l’ambivalenza eterogenea che la logica referenziale esclude, dal momento che ciò di cui la dinamica e il dinamismo dell’opera rende conto non è la ripetizione figurativa del fenomeno naturale, ma “l’impulso formatore che anima la natura”. Per questo, in profonda prossimità con l’analisi adorniana dell’opera d’arte fin qui esposta, è proprio e solo a partire da una forma determinata che si rende manifesta, non l’espressione di un significato univoco, ma la molteplicità indeterminata e, viceversa, l’indeterminatezza molteplice di contenuti possibili, per questo eterogenei. Principio dell’opera è, potremmo dire, questo movimento archeologico a ritroso, questa dinamica mnestica e regressiva che, a partire dalla presenza concreta della superficie, della forma e degli elementi sensibili, rende possibile l’apprensione ambivalente di quelle che Klee denomina come «occulte visioni». L’astrattezza della dimensione formale, il suo non riprodurre l’esistente “così-come-è”, rimanda al movimento di astrazione e allontanamento dalla riproduzione ottica del fenomeno per «risalire alla natura naturans prima che essa diventi natura naturata» . Per questo, ancora Merleau-Ponty può dire che il mondo del pittore è un «mondo visibile, nient’altro che visibile», un mondo eterogeneo proprio nella sua visibilità in quanto «completo e parziale nello stesso tempo» vedere vuol dire «avere a distanza, e la pittura estende questo bizzarro possesso a tutti gli aspetti dell’Essere » . La dimensione del visibile non è altro che l’esito sfigurato di una deformazione rappresentativa; ancora una volta, vero e proprio contenuto dell’immagine non è altro che la processualità del suo formarsi, della processualità della forma che indica verso la possibilità della visione stessa. Così, ciò che le figure esibiscono non è più il “che cosa” della rappresentazione e della visione ma il loro stesso modo, o, nelle parole di Klee, «il loro determinato atteggiamento» , il quale appare «dal modo in cui si mettono in movimento i gruppi di elementi prescelti». (In singolare sintonia, come più volte specificato, con ciò che Adorno chiama “modo di comportarsi” (Verhaltensweise) dell’opera d’arte. L’opera non è “sostanza”, ma modo). In altri termini, Klee ma tutte le opere che secondo Teoria estetica rientrano nel modo di essere dell’arte “moderna” rifiuta una concezione naturalistica e riproduttiva dell’arte, dal momento che la dimensione criticoriflessiva pervade di sé la forma stessa, con la cui astrazione arriva a fare tutt’uno; è in questo senso che la frammentarietà della forma di cui più volte si è parlato, il suo non voler rappresentare più contenuti e significati referenzialmente identificabili, indica, nel suo sfrangiarsi, la preistoria del visibile e del dicibile, quell’insieme indeterminato di possibilità che sporge dalla singolarità sensibile dell’opera e, contemporaneamente, in essa risiede come nascosta. L’immagine, qui intesa come “figura”, richiama precisamente il rapporto circolare, non risolvibile logicamente, tra determinatezza e indeterminatezza dell’immagine e dei significati colti nel momento sorgivo della nel momento sorgivo della loro reciproca ambivalenza. Offrendosi solo attraverso la figura e la singolarità dell’immagine, «nessuna logica nella genesi del visibile può spiegare quella forma visibile, così come nessun ordine logico può essere dato alla via della genesi». Qui inizio e fine, origine e meta, abolendo ogni consequenzialità cronologica, si danno nel loro continuo cortocircuito: ciò che precede e viene prima – la genesi, la preistoria del visibile, la facoltà di vedere – si comunica solo in ciò che segue e viene dopo, l’immagine, la figura, la forma stessa. In questa relazione, dove ogni termine non riesce mai a concludere se stesso ma trova il proprio “luogo” solo in un altro da sé – il “Primo” nel “Secondo”, la “genesi” nel “formato”, la “preistoria” nella “figura” nessuno dei poli è mai sostanzialmente determinato, ma solo determinabile nella relazione di coappartenenza con quanto esso non-è. Nessuna figura, come nessun significato, può compiere questa eterogeneità di possibili cioè compiersi, rappresentandone, bensì, la continua occasione. Il fatto che una molteplicità indeterminata di possibili possa essere colta solo attraverso una figura insieme puntuale e contingente, cioè una realizzazione tra le tante “possibili”, rende conto del concetto stesso di “polifonia”: il darsi in essa, cioè, di una serie di possibilità ancora inespresse di cui l’immagine rappresenta, nello stesso tempo, una realizzazione tra le altre e un continuo rimando e richiamo a esse; a ciò rinvia, in prima istanza, l’incompiutezza fondamentale della forma stessa, il suo non essere mai finita. La forma, o figura, in quanto mai statica è, per questo, Gestaltung, «figura insieme al suo trasformarsi », il suo significare è sempre eccedente rispetto a quanto appare: «la visione del pittore è sempre una nascita prolungata». Si rende esplicito, in questa prospettiva, il rapporto esistente tra l’opera d’arte e la memoria. La forma di comprensione relativa al confronto con l’opera d’arte e da essa testimoniata, assume il tono della “rammemorazione”, ovvero del “conservarsi” nella relazione tra il soggetto e l’opera di ciò che non è stato o ancora non-è. La comprensione dell’opera d’arte implica, cioè, un cortocircuito temporale tra presente e passato, tra “non-più”, “proprio ora” e “non-ancora”, il che presuppone una discontinuità percettiva capace di interrompere il continuum temporale e ogni relazione lineare e causale tra inizio e fine, cominciamento e esito, ripetizione e insorgenza del nuovo in questo senso, nell’atto che ripercorre l’opera e ne ripete così il gesto costruttivo rendendola di nuovo possibile, è proprio l’insieme delle possibilità non ancora dischiuse o intrappolate nel passato ciò che non-è-più e ciò che non-è-ancora ad assumere la tonalità della presenza e dell’attualità.
L’immagine costituisce, ancora una volta, il luogo di una discontinuità temporale, di una ‘affinità elettiva’ tra presente e passato e, insieme, quello della loro non risolvibile differenza, in quanto la relazione che li vede implicati l’uno dentro l’altro e non più l’uno dopo l’altro è anch’essa puramente contingente. Tra le dimensioni, come si è detto, viene meno ogni determinazione di tipo causale; di volta in volta sarà solo lo sguardo contingente di un occhio del presente che, a partire dalla propria attualità, potrà eleggere il ricordo di quanto non-è più per schiudere e leggere in esso quanto ancora-non-è : “Se nessuna pittura particolare porta a compimento la pittura, se nessuna opera d’arte è mai pienamente compiuta, allora ogni creazione cambia, altera, chiarisce, approfondisce, conferma, esalta ricrea o crea in anticipo tutte le altre. Se le creazioni non sono un dato acquisito, non è solo perché passano, come tutte le cose, ma perché hanno pressoché tutta la loro vita dinanzi a sé.” Nell’autunno del 1920 Klee riceve un telegramma da Walter Gropius che lo invita ad unirsi al corpo docenti dello Staatliche Bauhaus, la scuola di arte, architettura e design fondata l’anno precedente a Weimar che si poneva l’obiettivo di ridurre, se non addirittura azzerare, le distinzioni concettuali tra le arti. Klee accetta l’incarico e a partire dal 1921 intraprende un decennio di insegnamento e sperimentazione che, come lui stesso ammette, lo porta indirettamente a meditare sulle teorie artistiche fino ad allora messe in pratica in maniera automatica e intuitiva: “Quando per me giunse il momento di insegnare, fui costretto a chiarire a me stesso ciò che – di solito inconsciamente – facevo”.

Fino al 1925, anno del trasferimento della sede della scuola a Dessau, dirige in qualità di Formmeister (maestro della forma) il laboratorio di legatoria di libri e in seguito quello di fonderia e di pittura su vetro, continuando parallelamente l’insegnamento della teoria della forma. Dopo lo spostamento a Dessau, tiene un corso di pittura e lezioni per gli allievi del laboratorio di tessitura. Gli anni trascorsi al Bauhaus coincidono con una fase particolarmente produttiva nel lavoro di Klee, non solo per la quantità di opere realizzate, ma anche per gli scritti e il materiale didattico prodotti in funzione delle lezioni al Bauhaus. È in quel contesto che nascono le pagine pubblicate nel 1925 con il titolo Pädagogisches Skizzenbuch; il saggio Wege des Naturstudiums, edito dal Bauhaus nel 1923; la conferenza che Klee tiene il 26 gennaio 1924 al Kunstverein di Jena e che viene pubblicata postuma nel 1945 con il titolo Über die moderne Kunst (Sull’arte moderna); e infine il saggio Exakte Versuche im Bereiche der Kunst (Esperienze esatte nel campo dell’arte) del 1928. Durante la permanenza al Bauhaus Klee, insieme ad altri maestri tra i quali Lyonel Feininger, Vasilij Kandinskij e László Moholy-Nagy, viene invitato a realizzare delle cartoline per pubblicizzare eventi organizzati dalla scuola, di cui nella collezione di Sylvie e Jorge Helft sono conservati due esemplari: Laternenfest Bauhaus 1922, stampata in occasione di un festival celebrativo del solstizio d’estate, e Postkarte zur Bauhaus-Ausstellung Die erhabene Seite 1923, che annuncia la prima esposizione di grande respiro del Bauhaus, nella quale venivano presentate al pubblico le teorie innovative in campo artistico e architettonico promosse dalla scuola: è in questa occasione che vengono mostrati anche i fogli originali del Pädagogisches Skizzenbuch di Klee. Agli anni venti risalgono anche due importanti litografie appartenenti alla collezione Helft: Die Heilige vom innern Licht (1921) e Der Verliebte (1923) entrambe realizzate per una serie di portfolio dedicati alla grafica europea contemporanea editi dal Bauhaus. La prima fu inclusa insieme a 14 altre opere di Klee nella pubblicazione e nella mostra Entartete Kunst (Arte degenerata) promosse dai nazionalsocialisti per screditare il lavoro degli artisti che ritenevano appunto “degenerati”. La seconda fa parte del portfolio realizzato dai maestri del Bauhaus di cui è possibile ammirare in mostra un rarissimo esemplare completo.
Das andere Geisterzimmer (Neue Fassung), 1925
Questo disegno, la cui composizione è stata ripresa da Klee in varie declinazioni, occupa un posto di rilievo all’interno della collezione Helft. Si tratta della prima opera di Paul Klee acquistata da Jorge Helft nel 1970 a Parigi presso la galleria del mercante d’arte Heinz Berggruen (1914-2007), all’epoca il più grande specialista di Klee. Già nel 1925 l’opera è inclusa nella prima mostra dell’artista in Francia che si tiene alla Galerie Vavin-Raspail dove viene esposta con il titolo Chambre spirite. La composizione combina abilmente l’uso della prospettiva centrale a un’ambientazione di ispirazione dechirichiana che conferisce alla scena quell’atmosfera spettrale confermata dal titolo dell’opera. Das andere Geisterzimmer (Neue Fassung) è stata realizzata impiegando la tecnica del disegno a ricalco a olio e acquerello su carta, un procedimento innovativo sviluppato e sperimentato lungamente da Klee durante gli anni di insegnamento al Bauhaus che gli permetteva di copiare in più esemplari disegni a matita, inchiostro e china, per accontentare le necessità di vendita su larga scala del suo gallerista dell’epoca, Hans Goltz. Ispirandosi al principio della carta carbone, Klee inseriva un foglio verniciato con un particolare colore a olio nero tra il suo disegno e un foglio di carta bianco, su cui ricalcava il motivo grafico. Successivamente, ritoccava il disegno “trasferito” con l’acquerello, spesso spruzzandolo direttamente sulla superficie, dando vita a una nuova opera caratterizzata da linee morbide e sfocate, e da tracce di vernice nera.
La figura umana e il mondo animale
Lungo tutto il corso della sua vita Klee è egualmente interessato all’esplorazione della figura umana e del mondo animale. Se lo studio della fisionomia ha sicuramente fatto parte della sua formazione accademica, l’osservazione degli animali, in particolare dei gatti, sempre presenti in casa Klee, lo ha affascinato sin dall’infanzia. Il campionario di figure raccolto dagli Helft spazia da esempi di impostazione classica come Nackte Frau (1931), con la sua posa caratterizzata da un leggero contrapposto, o Rechnender Greis (1929) le cui dita sembrano evocare il dinamico groviglio di mani al centro del celebre Cristo tra i dottori di Dürer, a composizioni che potrebbero sembrare astratte come Brüder (1931), dove sono il titolo dell’opera e la presenza di sei coppie di gambe stilizzate a suggerire l’ipotesi che il disegno ci presenti in realtà delle figure. Le figure di Klee sono spesso delineate in maniera sintetica, pochi tratti bastano a suggerire un’espressione o un atteggiamento. Die Hexe mit dem Kamm (1922) e Ältliches Kind II (1930), ad esempio, sono personaggi costruiti con sovrapposizioni e accostamenti di pochi elementi: linee, frecce e punti danno vita a una figura instabile e al tempo stesso minacciosa nel caso della prima, mentre il secondo appare evanescente e attonito. Anche le creature sauriformi che si confrontano in Spiel (·lesbische Tonart·) (1920) sono tracciate con una grande economia di mezzi, in questo caso forse dettata dalla propensione dell’artista a cogliere stimoli negli ambiti più disparati. Infatti, le linee nere che definisco l’ossatura dei due animali richiamano alla mente sia immagini ai raggi X, sia lo stile di alcune pitture rupestri. In effetti Klee aveva un forte interesse per l’arte preistorica e seguiva con attenzione l’applicazione pratica delle scoperte scientifiche del suo tempo. In Biss in die Schulter (1926) l’accostamento di linee sinuose costruisce sia la persona – che non pare turbata da quanto sta accadendo – sia l’animale che le sta mordendo la spalla. Mettere a confronto uomo e animale significa interrogarsi su ciò che distingue l’uno dall’altro, su quali siano i rapporti che intercorrono fra le due specie: disegnandole con lo stesso espediente stilistico Klee le sta forse equiparando? L’uomo forse merita di farsi mordicchiare dalla bestia a dispetto del senso di superiorità antropocentrico? In questo senso è interessante notare come l’artista spesso attribuisca caratteristiche animali alle sue figure umane o al contrario tenda ad antropomorfizzare gli animali che popolano le sue opere, come accade agli uccelli di (1915) a cui stanno crescendo braccia e gambe.
Pubblicazioni d’epoca
Appassionati bibliofili, i coniugi Helft hanno raccolto negli anni preziose e rarissime edizioni legate agli sviluppi artistici e letterari promossi dalle avanguardie del Novecento. In questa sezione sono presentate edizioni originali di libri illustrati da Klee, a cominciare dal Candide di Voltaire, per il quale disegna tavole dalle linee nervose alle quali guarderanno artisti come Ensor e Kubin, fino a rari esemplari di cataloghi di mostre che hanno segnato la storia artistica del Novecento, come La peinture surréaliste del 1925. Il portfolio Meistermappe des Staatlichen Bauhauses del 1923 fa parte di un ambizioso progetto del Bauhaus (purtroppo mai portato a termine) che prevedeva la realizzazione di cinque portfolio in grado di fornire un panorama dell’arte grafica europea dell’epoca. Il volantino promozionale di questa iniziativa citava come scopo principale quello di illustrare “come la generazione di artisti del nostro tempo partecipa al pensiero del Bauhaus”. A differenza della prima cartella del 1921 (a cui appartiene l’opera Die Heilige vom innern Licht esposta nella sezione dedicata al Bauhaus) il portfolio del 1923 comprende unicamente opere di insegnanti del Bauhaus e permette di avere una visione di insieme delle varie tendenze artistiche che convivevano e si confrontavano nella scuola, dall’energica e vivace composizione di Kandinskij al minimalismo d’impronta costruttivista di Moholy-Nagy.
Frammenti narrativi
Anche nelle sue composizioni più essenziali, quando compaiono più personaggi, l’artista riesce sempre a stabilire una relazione dinamica e intrigante fra di essi. Attento osservatore dell’agire umano, particolarmente interessato ad esplorare nella sua opera le interazioni sociali, Klee si diverte a creare scene dalle connotazioni drammatiche e caricaturali dove spesso, come già notato in una delle sezioni precedenti, sono gli animali ad adottare comportamenti che fungono da specchio a contraddizioni e virtù degli esseri umani. Sovente, attraverso questo tipo di composizioni, Klee esplora rapporti di potere: in Spitzes Wort und Fäuste del 1925 ad esempio, come già suggerisce il titolo, ci troviamo di fronte a una situazione di tensione, con un personaggio che sovrasta nettamente gli altri. Lo stesso accade in Illustration del 1928 con le due silhouette laterali che sembrano inginocchiarsi e sottomettersi al volere del personaggio centrale, figura tracciata con linee leggere, capace però di imporsi come una presenza inquietante e minacciosa.
Henu sode, 1927
Questo disegno leggiadro può vantare uno fra i titoli forse più enigmatici nel vasto catalogo di Klee. “Henu sode” è un’espressione in dialetto bernese difficilmente traducibile in tutte le sue sfumature ma che grosso modo significa “È andata così” e che può essere usata quando ci si trova in una situazione a cui non è possibile porre rimedio, in sostanza quando non si può “piangere sul latte versato”. Creare un nesso significativo tra il titolo e la scena rappresentata in questo disegno non è immediato: che cosa è andato storto? È successo qualcosa tra i personaggi che si allontanano sulla destra e gli animali e la figura che solleva le braccia nella parte inferiore del foglio? Questa ambiguità è una caratteristica particolarmente ricercata da Klee nel comporre i suoi titoli, come ben spiega Jorge Helft in un passaggio dell’intervista pubblicata in catalogo: “Una delle cose più importanti che ho imparato grazie all’incontro con Felix Klee riguarda i titoli delle opere di Paul Klee e in particolare il fatto che venivano inventati in famiglia. La sera, Klee portava a tavola i lavori che considerava finiti per trovare insieme alla moglie Lily e al figlio Felix il titolo più appropriato. Per Klee i titoli dovevano essere possibilmente divertenti, audaci e a doppio senso.
Quando tutti e tre erano d’accordo, Klee scriveva il titolo e firmava l’opera. Felix era convinto che i titoli scelti in questo modo aiutassero a capire meglio le opere: a volte i titoli ci conducono su piste molto interessanti, è per questo che con Sylvie vi abbiamo sempre prestato particolare attenzione nel corso delle nostre ricerche”.
Klee e le arti performative
Paul Klee non è solo un artista, è anche un eccellente violinista che ama la musica di Bach, Mozart, Beethoven e Brahms. Figlio di Hans Klee, musicista, compositore e professore di musica, e della cantante Ida Frick, sin dall’infanzia è immerso nel mondo della musica e acquisisce una solida formazione in quell’ambito, al punto che parallelamente all’attività da artista porterà avanti per tutta la vita anche quella di musicista, suonando in varie orchestre. La passione per questa disciplina lo accompagnerà sempre e influenzerà profondamente la sua produzione artistica, non solo da un punto di vista tematico, ma anche compositivo. Klee si ispira a tipologie proprie della scrittura musicale quali la variazione, la fuga e la polifonia per elaborare opere contraddistinte da un’estrema armonia formale. Nutre un grande interesse anche per il teatro: assiste regolarmente a rappresentazioni di tutti i generi, da quelli classici – opera, operetta, dramma, commedia – a quelli popolari, come il circo o gli spettacoli di marionette, e si diletta a recensirli giudicando con severità le scenografie, gli allestimenti e, data la sua esperienza di musicista, le performance dei cantanti. È affascinato soprattutto dai personaggi comici e circensi, le cui vicende rispecchiano ed esemplificano comportamenti e situazioni di vita reale. Spesso stabilisce parallelismi tra i membri della sua cerchia famigliare e personaggi teatrali raffigurandoli a volte nelle sue opere, come accade per esempio in Vulgaere Komoedie (1922), litografia stampata al Bauhaus di Weimar in bassa tiratura. In molte opere Klee fa riferimento al mondo del teatro e del circo, anche nella scelta dei titoli: nella collezione Helft sono rappresentative in questo senso le opere Esel (1925), che rimanda al personaggio shakespeariano di Bottom di Sogno di una notte di mezza estate, Vogelkomödie (1918 c.), probabile riferimento a Gli uccelli di Aristofane che Klee ha letto nel 1901 e nei suoi Diari definisce un testo “molto prezioso”; e ancora Satir-Tanz (1921), Gruppe aus einem Ballet (1923) e Stachel der Clown (1931). Così come accade in molte altre opere dell’ultimo periodo, una linea apparentemente continua definisce e unisce i personaggi che animano Zchng. zum Wander Circus (1937), opera riprodotta sulla copertina di un catalogo della Buchholz Gallery del 1950 incluso in mostra nella sezione Pubblicazioni d’epoca. La composizione, dove si indovinano un pagliaccio, una ballerina e un asino, è stata riproposta da Klee con variazioni minime in un vivace dipinto a olio dello stesso anno, oggi custodito al Baltimore Museum of Ar.
L’opera tarda e la malattia
A partire dal 1935 Paul Klee inizia a soffrire di una malattia all’epoca ancora sconosciuta e diagnosticata erroneamente come morbillo. Solo dopo la sua morte, grazie a studi clinici più approfonditi, è stata identificata come sclerodermia progressiva, una rara patologia cronica degenerativa caratterizzata da un graduale indurimento della pelle e ispessimento degli organi interni, che comporta gravi problemi al cuore, ai polmoni e all’esofago. Sorprendentemente gli ultimi cinque anni della sua vita costituiscono un momento molto produttivo: tra il 1937 e il 1939 realizza quasi 2000 opere nonostante il progredire inesorabile della malattia che trasforma progressivamente il suo corpo, come lui stesso sembra voler suggerire nell’opera Unterbrochene Metamorphose (1939). In questo disegno il volto delineato da tratti forti ed essenziali esprime in maniera decisa il suo sgomento mentre la frammentazione degli elementi che compongono la figura sembra riflettere la progressiva incapacità di movimento delle membra che l’artista deve affrontare e che riecheggia anche nell’opera Drang vor der Wanderung (1940).
In questi ultimi anni deve rinunciare alla possibilità di dipingere in piedi davanti al cavalletto e realizza le sue opere seduto a un grande tavolo da disegno. Le opere di questo periodo si caratterizzano per la rapidità del tratto, la riduzione delle forme che in alcuni casi diventano segni geroglifici e l’impiego di una matericità quasi tattile, resa attraverso l’uso di colori a colla d’amido, che fa sembrare le sue opere dipinte direttamente con le dita, come accade per esempio nell’opera Gruppe “Eins plus zwei in Umstellung” (1939). La mostra è allestita in uno spazio raccolto per permettere un dialogo ravvicinato tra le opere e riflettere il rapporto privilegiato che una collezione privata consente di avere con esse. Il percorso è ritmato secondo sette sezioni che esplorano temi ricorrenti nell’opera di Klee e momenti chiave della sua traiettoria artistica: il confronto tra natura e architettura, la figura umana e il mondo animale, gli anni d'insegnamento al Bauhaus, il rapporto con le arti performative, fino a toccare il tema della malattia in relazione alla produzione dell’ultimo periodo (1935-1940). Una speciale sezione è dedicata a edizioni d’epoca di libri illustrati da Klee, cataloghi di esposizioni, monografie e un raro esemplare completo del portfolio Meistermappe des Staatlichen Bauhauses del 1923.
Il percorso espositivo è suddiviso in sette sezioni :
La prima sezione della mostra è dedicata al rapporto con la natura, importante fonte di ispirazione per l’artista nel processo creativo: come la natura infatti, anche l’artista dà vita alle proprie opere grazie ad un impulso vitale che guida il susseguirsi delle fasi di genesi, crescita e proliferazione degli aspetti formali che caratterizzano l’opera stessa. Klee disegna e dipinge senza avere in mente a priori il soggetto o la scena che vorrebbe rappresentare che, al contrario, scaturiscono spontaneamente per mezzo di segni, fino ad assumere forme che trovavano somiglianze con elementi presenti nella realtà, siano essi organici o inorganici.
Nella sezione successiva dedicata al periodo fra le due guerre e agli anni del Bauhaus spicca l’opera L’altra stanza dei fantasmi (nuova versione) del 1925. In questa composizione Klee combina abilmente l'uso della prospettiva centrale e un'atmosfera di ispirazione dechirichiana, dando vita a una visione che oscilla tra suggestioni cubiste e metafisiche. Prima opera di Klee acquistata da Jorge Helft nel 1970, occupa un posto speciale nella collezione. Viene esposta nel 1925 alla Galerie Vavin-Raspail a Parigi, occasione in cui gli acquerelli di Klee sono presentati per la prima volta al pubblico francese. Il percorso prosegue con due sezioni dedicate all’esplorazione della figura umana e del mondo animale e alle suggestioni narrative che contraddistinguono molte delle opere in mostra. Le figure di Klee sono spesso delineate in maniera sintetica, pochi tratti bastano a suggerire un’espressione o un atteggiamento. Al tempo stesso quando nelle sue composizioni essenziali compaiono più personaggi, l’artista riesce a sempre stabilire una relazione dinamica e intrigante fra loro. Attento osservatore dell’agire umano, particolarmente interessato ad esplorare nella sua opera le interazioni sociali, Klee si diverte a creare scene dalle connotazioni drammatiche e caricaturali dove spesso sono proprio gli animali ad adottare comportamenti che fungono da specchio a contraddizioni e virtù dell’uomo.
La solida formazione musicale di Klee – figlio del professore di musica Hans Klee e della cantante Ida Frick e a sua volta eccellente violinista – emerge sia nella struttura delle sue opere sia nella scelta dei soggetti. Klee si ispira a tipologie caratteristiche della scrittura musicale quali la variazione, la fuga e la polifonia per elaborare opere contraddistinte da un’estrema armonia formale. Nella sezione dedicata al rapporto tra Klee e le arti performative, diversi lavori riflettono il grande interesse dell'artista per il teatro e per i personaggi comici e del circo, in cui egli identificava metafore dei comportamenti umani, talvolta riconducibili a esperienze personali.
L’ultima sezione della mostra è dedicata ai lavori dell'ultimo periodo che si caratterizzano per la rapidità del tratto, la riduzione delle forme e l’impiego di una matericità quasi tattile, resa attraverso l’uso di colori a colla d’amido molto spessa, che fa sembrare le sue opere dipinte direttamente con le dita, come accade nel verso di Stahl den viertel Mond. Nonostante siano segnati dalla malattia, gli ultimi anni di Klee costituiscono un momento estremamente produttivo. Sono qui presentate opere su cui “la morte getta la sua ombra”, come ricordato da Juan Manuel Bonet nel suo saggio pubblicato in catalogo: il progredire di una malattia incurabile stava infatti trasformando progressivamente il corpo dell'artista, che si rappresenta letteralmente “a pezzi” nel disegno Unterbrochene Metamorphose del 1939.
Una speciale sezione della mostra è dedicata a pubblicazioni d’epoca che gli Helft, appassionati bibliofili, hanno raccolto negli anni. Si tratta di edizioni rare e preziose, che documentano gli sviluppi artistici e letterari promossi dalle avanguardie del primo Novecento. Tra queste è esposto anche un esemplare eccezionalmente completo del portfolio Meistermappe des Staatlichen Bauhauses, che contiene, tra le altre, una litografia di Vasilij Kandinskij e una composizione costruttivista di László Moholy-Nagy. In occasione della mostra viene pubblicato il catalogo “Paul Klee. La collezione Sylvie e Jorge Helft” disponibile in italiano, inglese e tedesco. Oltre alle riproduzioni a colori di tutte le opere esposte, il catalogo include un’intervista ai collezionisti realizzata da Tobia Bezzola, direttore del MASI Lugano e testi di Juan Manuel Bonet, Francisco Jarauta e Achim Moeller.
MASI – Museo d’Arte della Svizzera Italiana – Lugano
Paul Klee – La Collezione Sylvie e Jorge Helft
dal 4 Settembre 2022 all’ 8 Gennaio 2023
dal Martedì al Venerdì dalle ore 11.00 alle ore 18.00
Giovedì dalle ore dalle ore 11.00 alle ore 20.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso