Giovanni Cardone Luglio 2023
Fino al 6 Settembre 2023 si potrà ammirare a Palazzo Reale di Milano la mostra di Mario Dondero. La libertà e l’impegno per la prima volta esposta a Milano l’ampia retrospettiva del lavoro fotografico di Mario Dondero uno dei protagonisti della fotografia italiana della seconda metà del Novecento e fotoreporter di spicco nel panorama internazionale. L’esposizione promossa da Comune di Milano – Cultura, e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale in collaborazione con l’archivio Mario Dondero, la mostra è curata da Raffaella Perna e sarà allestita nell’Appartamento dei Principi. L’esposizione mira a offrire uno sguardo complessivo sull’opera di Dondero, attraverso una selezione di immagini appartenenti a reportage e servizi fotografici realizzati lungo l’intero arco della sua lunga carriera, dagli anni Cinquanta agli anni Dieci del XXI secolo. Insieme a molte tra le fotografie più iconiche, in mostra vengono presentati diversi scatti inediti, forniti dall’archivio dell’autore, tra cui alcuni ritratti di Pier Paolo Pasolini e Laura Betti. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Mario Dondero apro il mio saggio dicendo : Agli inizi del Ventesimo secolo, la fotografia italiana fu sostenuta dal movimento Futurista, il quale la considerava come l'arte della civiltà meccanica. Filippo Tommaso Marinetti, il teorico del movimento, non si limitò ad inserirla, ma indicò anche le sedici regole per ottenere una foto futurista. Tra queste regole vi era il fotomontaggio, la veridicità delle immagini risultava piuttosto labile e, non a caso, fu usato anche dal regime fascista con intenti di persuasione politica. Una dimostrazione di tale impiego fu evidenziata dall'uso della documentazione fotografica da parte dell'Istituto Luce, «l'ente ufficialmente incaricato di produrre le immagini ufficiali e di propaganda del regime». I suoi fotografi non seguivano l'attualità, ma avevano il compito di realizzare un autoritratto dell'Italia fascista; così grandi adunate, gare ginniche, attività nelle colonie, momenti di vita del duce, erano destinati di lì a poco a riempire gli archivi dell'istituto. Figura significativa del fotogiornalismo italiano del periodo è stata, senza dubbio, quella di Adolfo Porry Pastorel che collaborò a lungo con «Il Giornale d'Italia» e che, dopo aver fondato l'agenzia fotografica Vedo, cominciò a far concorrenza all'Istituto Luce. Il fotogiornalismo in Italia non aveva uno status ben definito, si trattava piuttosto di un fenomeno a carattere episodico, presente il più delle volte nei periodici piuttosto che nei quotidiani. I primi esempi di rotocalchi italiani risalgono ad «Omnibus», settimanale di attualità politica e letteraria, nato nel 1937, diretto da Leo Longanesi per Rizzoli. Le sue dodici pagine erano variamente assortite da temi colti e rubriche dissacranti, ed il ruolo della fotografia rientrava in un'ottica espressiva o satirico polemica. Le fotografie riprendevano personaggi famosi e divi dello spettacolo e l'ultima pagina era dedicata ad un racconto fotografico corredato di un breve testo didascalico. L'utilizzo di immagini e testi avveniva in parallelo, a volte risultavano collegati, altre volte si presentavano indipendenti. Sebbene trattasse i propri temi in modo irriverente, il settimanale non si discostava dalle opinioni ufficiali. Questo non bastò per evitare, il 28 gennaio del 1939, la soppressione del giornale, da parte di un regime che lo riteneva troppo intellettuale ed oltremodo ironico. Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio, i due collaboratori di punta della rivista, si spostarono alla direzione del neonato «Oggi». Longanesi, invece, si impegnò in un'altra esperienza editoriale, dirigendo «Il Borghese». Fra i primi settimanali italiani, che seguirono l'esempio statunitense di una stampa impegnata in cui la fotografia la fa da padrona, vi fu «Tempo» di Arnoldo Mondadori, nato nel 1939. «Tempo» era ispirato all'americano «Times», e la conferma di ciò si trovava nelle sue pagine, formato tabloid, ricche di fotografie che trattavano principalmente il tema del lavoro. L'interesse per la fotografia era sottolineato anche dalla rubrica della posta, riservata alla pubblicazione delle immagini dei lettori. Federico Patellani, solitamente considerato il padre del fotogiornalismo italiano, inaugurò una stagione di “fotoservizi” realizzati da un unico autore e composti da immagini e parole perfettamente integrate. La tecnica del fotoracconto si consolida nel dopoguerra e segna la svolta nell'utilizzo delle immagini. L'esperienza del “primo” «Tempo» durò solo pochi anni; nel 1943 la rivista fu soppressa, per poi tornare alla luce dopo la guerra ma con una significativa riduzione delle pagine, nonostante ciò riuscì a trovare una posizione solida e di lunga durata, grazie soprattutto al nuovo atteggiamento che assunse nei confronti del mercato editoriale. Si trattava, infatti, di una rivista che adottò presto il colore presentandosi come un prodotto a carattere divulgativo e senza pretese culturali o letterarie. Qualche anno dopo si diede vita ad un altro esperimento editoriale, «Cinema nuovo», uscito a Milano dal 1952 al 1958. L'aspetto interessante di questo settimanale – che pubblicava immagini di fotografia documentaria affiancate a quelle dei set cinematografici e ai ritratti dei divi dello schermo  era il modo in cui il fotografo veniva considerato all'interno della redazione. Mettendo il fotografo sullo stesso piano degli autori, finalmente veniva riconosciuta una certa importanza al suo lavoro. Dal 1954 cominciarono ad apparire nuove forme di racconto per immagini, si inaugurava la fortunata stagione dei “fotodocumentari”, firmati da due autori, nomi che fecero la storia della fotografia italiana del dopoguerra, Ugo Mulas, Carlo Bavaglioli, Enzo Sellerio, Franco Pinna. Il periodo che seguì la Seconda Guerra Mondiale rappresentò per il fotogiornalismo italiano la fase più fortunata. I periodici si affermarono e si moltiplicarono spaziando ampiamente da prodotti editoriali che rientravano in una fascia intermedia, colta ed impegnata, a prodotti di basso livello, soprattutto scandalistici. Il principale obiettivo, sia per gli uni che per gli altri, era quello di colpire il lettore. In una situazione del genere la fotografia ricopriva un ruolo di supporto al testo, aveva funzione illustrativa, ma allo stesso tempo non riusciva a focalizzare la propria attenzione su temi specifici, il fotogiornalismo si vide costretto a muoversi tra lo scoop di cronaca rosa, il reportage esotico, il pettegolezzo, ecc. Cruenti fatti di cronaca, catastrofi, denuncia politica, ma anche temi antropologici e di ricerca sociale, venivano tutti presentati con lo scopo di provocare nel lettore uno stress emotivo. Si diffuse, dunque, tra i lettori-osservatori, una forma di assuefazione che sostituiva l'indignazione con la rassegnazione. I fotografi iniziano ad assumere un atteggiamento individualistico che li porta a rivaleggiare. Al contrario di altre esperienze di cooperazione (abbiamo visto ad esempio Magnum), in Italia i fotografi entrano in concorrenza fra loro, contribuendo a consolidare un panorama estremamente frammento che ha impedito alla professione del fotogiornalista di affermarsi come tale, con il riconoscimento di diritti, doveri, ma soprattutto deontologie e codici di comportamento. Le redazioni trattavano in modo subalterno i fotografi, mentre le agenzie servirono solo da raccordo. Un caso interessante nel panorama nazionale fu rappresentato dalle testate “di orientamento”, con ambizioni letterarie ed espressione di un preciso punto di vista politico culturale; le tre più importanti furono «L'Europeo», «Il Mondo» e «L'Espresso». Fondato nel 1946, con il suo grande formato “lenzuolo”, «L'Europeo» terminò le pubblicazioni negli anni Novanta. Sotto la direzione di uno degli allievi di Longanesi, Arrigo Benedetti, il settimanale subì un restyling nel 1951, passando dallo “scomodo” ma “affascinante” formato broadsheet ad un più piccolo. Da sempre molto attento alla cronaca politica, ricco di inchieste, corrispondenze e reportage; al suo interno le fotografie venivano utilizzate come contrappunto ai testi, a volte unite, a volte autonome. «Il Mondo», fondato nel 1949 da Mario Pannunzio, costituì il punto di riferimento del pensiero liberal-democratico fino al 1966, anno della sua chiusura. Le immagini ricoprivano nell'impostazione editoriale e nel progetto grafico un ruolo centrale; venivano scelte dal direttore stesso, che apprezzava la fotografia e ne riconosceva i contenuti culturali. Gli scatti singoli godevano di una maggiore considerazione, avevano il compito di sottolineatura o denuncia. Infine «L'Espresso», settimanale orientato su posizioni di sinistra, nato nel 1955 su iniziativa di Benedetti e Eugenio Scalfari e con il sostegno finanziario di Adriano Olivetti. Sulle sue pagine dominavano la cronaca e le inchieste corredate da immagini forti, utilizzate a fini espressivi. L'impostazione rispecchiava l'intento di sollecitare l'emotività del lettore, sottoposto a continuo stress sui temi politici e sociali. Negli anni Settanta, il decisivo avvento del medium televisivo, e la diffusione in tempo reale di notizie dal mondo da parte dei grandi networks internazionali, porta ad una mutazione genetica del fotogiornalismo. Molte riviste illustrate chiudono i battenti e il racconto giornalistico per immagini cerca di sopravvivere all'ondata mediatica, sfruttando le caratteristiche specifiche della fotografia. Non si rincorre più l'evento spettacolare le fotografie stampate non avranno mai la stessa tempestività delle immagini televisive, ma si concentra l'attenzione sulla vita della gente. Si assiste ad una tendenziale frammentazione delle tematiche trattate, i periodici si specializzano e rispondono a particolari target di riferimento: adolescenti, donne, classi dirigenti, appassionati. La trasformazione delle testate avviene anche da un punto di vista “fisico”, con il tempo tutte adotteranno il formato ridotto, alleggerendo l'impostazione grafica, migliorando la qualità della stampa ed affermando l'utilizzo definitivo del colore. La storia del fotogiornalismo in Italia è anche una storia delle fotografie non fatte, dell'uso e dell'abuso della notizia e dell'immagine, della censura politica, di quel distacco rispetto all'Europa che ha portato la stampa, se non in rari casi, a trascurare la fotografia. I maggiori ostacoli allo sviluppo di un fotogiornalismo maturo furono però dovuti alla commistione fra potere politico, grandi aggregazioni editoriali e stampa, che ha condizionato le dinamiche del fotogiornalismo italiano, frenandone la maturità, favorendo l'affermarsi di una fotografia d'agenzia neutra e di bassa qualità e ostacolando lo sviluppo di qualsiasi forma di fotografia indipendente, ragionata, personale. Posso dire che Mario Dondero è uno dei grandi maestri della fotografia di livello internazionale, un artista che amava definirsi un fotoreporter ma che in realtà è stato e rimane un grande narratore per immagini, un testimone prezioso della storia dal secondo Novecento agli inizi del nuovo secolo. Da sempre politicamente impegnato, Dondero è stato un giovanissimo partigiano con il nome di battaglia “Bocia”, e un uomo di partito, un inviato di guerra e un giornalista per immagini sempre attento alla realtà umana e sociale dei paesi in cui ha lavorato. Ha descritto in modo puntuale e dettagliato la straordinaria attività di Emergency, di cui è stato appassionato sostenitore; ha seguito con partecipata attenzione le vicende del Terzo Mondo e in particolare dell’Africa; ha documentato la guerra d’Algeria come inviato del quotidiano Il Giorno.  Ha collaborato all’estero con Le Nouvel ObservatorLe MondeJeune AfriqueAfrique-Asie, Demain l’Afrique; in Italia ha lavorato per l’Unità, Milano Sera, L’Avanti, L’Illustrazione Italiana , Tempo Illustrato, Epoca, L’Europeo, L’Espresso, Vie Nuove, Il Manifesto. Innamorato delle Marche, si era stabilito da alcuni anni a Fermo, una città che è stata la capitale della fotografia marchigiana, dove era circondato dalla stima e dall’affetto di molti amici, nel cui cimitero ha voluto essere sepolto. Partigiano a 16 anni, nel secondo dopoguerra Dondero vive a Milano la straordinaria stagione del Bar Jamaica, dove frequenta gli artisti Lucio Fontana e Pietro Manzoni, gli scrittori Camilla Cederna e Luciano Bianciardi, i fotografi Ugo Mulas, Uliano Lucas e Gianni Berengo Gardin che lo riconosceranno come un maestro del fotoreportage, capace di rappresentare la storia e la realtà quotidiana, sempre convinto che per fotografare ci vuole sentimento ed esperienza, che bisogna “mettere sullo stesso asse occhio, testa e cuore”.  In un secondo momento, si trasferisce a Parigi, dove frequenta la Rive Gauche, le lezioni di Marcuse, le riunioni di Le Monde; dove conosce Sartre, Simone de Beauvoir e altri scrittori, tanto da riunire in una sua celebre immagine gli autori che aderiscono al Nouveau Roman, la corrente che ha rivoluzionato i canoni letterari del secondo Novecento.
Dotato di una grande sensibilità visiva e interpretativa, tra le mani di Dondero la macchina fotografica sembrava prendere vita, diventare uno strumento capace di fissare in una frazione di secondo il corso della storia, rimanendo sempre fedele all’insegnamento di Henri Cartier-Bresson e di Robert Capa, nella convinzione che “l’impegno nasce solo dall’importanza della fotografia come strumento di assoluta testimonianza” e che a lui “le persone non interessino per fotografarle, ma interessano perché esistono”. Dondero ha fotografato con uguale passione le guerre e i grandi eventi storici; i protagonisti della storia e la gente comune; registi e attori del cinema e del teatro; molti amici scrittori e pittori. Ha sempre unito al suo naturale talento, l’intuito, la rapidità del gesto nello scegliere luce, angolazione, profondità di campo per arrivare a una giusta inquadratura, perché artisti si nasce, ma grandi fotografi si diventa attraverso l’assoluta padronanza della tecnica e di un linguaggio che sa tradurre il pensiero in immagine. Egli è sempre rimasto fedele alla sua Leica, senza polemiche o demonizzazioni del digitale, senza cedere mai al richiamo del colore, convinto che il bianco/nero sia la forma linguistica e tecnica per tradurre in immagini una singola intuizione o un’intera narrazione (“Il banco e nero è la testimonianza, il colore è la decorazione”).Testimone irrequieto della nostra storia, Dondero ha sempre viaggiato in giro per l’Italia e per il mondo per fermare con il suo obiettivo un avvenimento, uno squarcio di vita quotidiana, una prima teatrale o cinematografica, un volto che diventa, grazie a lui, lo specchio di un’intera esistenza. Questo suo lungo percorso professionale e artistico è stato finalmente documentato dal catalogo della grande mostra dedicatagli a Roma, alle Terme di Diocleziano, tra il dicembre 2014 e il marzo 2015, dai due volumi Mario Dondero di Simona Guerra e il libro Lo scatto umano: viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York di Mario Dondero e Emanuele Giordano dove egli traccia una breve ma affascinante storia del fotogiornalismo dalle origini ai nostri giorni. Per testimoniare la sua lunga e costante presenza sulla scena italiana e internazionale, si vogliono ricordare due lavori di Dondero particolarmente significativi. Il primo riguarda Pier Paolo Pasolini, al quale ha dedicato un’appassionata biografia fotografica , costituita da immagini colte nell’intimità della casa e dello studio dello scrittore-regista. A questa storia personale si aggiunge una serie di fotografie che documentano il contesto culturale e affettivo pasoliniano con alcuni bellissimi ritratti di Elsa Morante e Laura Betti, Maria Callas, e Dacia Maraini, Alberto Moravia e Goffredo Parise, Enzo Siciliano e Paolo Volponi. Completano, infine, il mondo di Pasolini una vera e propria narrazione per immagini realizzata sul set dei film La ricotta e Comizi d’amore. Il secondo libro è intitolato I rifugi di Lenin. Istantanee di viaggio dalla Russia putiniana di Astrit Dakli e Mario Dondero . Si tratta di una straordinaria testimonianza per cercare di documentare un mondo che non esiste più, le cui tracce si stanno dissolvendo nel tempo. Questo racconto di viaggio, corredato dalle istantanee di Dondero, è stato ideato per ricordare il novantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, un evento che ha mobilitato milioni di persone, che ha cambiato per molti versi la faccia del pianeta e che oggi appare quasi del tutto dimenticato, un avvenimento che ha provocato drammi spaventosi, ma ha anche offerto a tutta l’umanità una diversa prospettiva di sviluppo e un’ipotesi di utopia realizzata, che oggi è spesso criminalizzato e trasformato in qualcosa di delittuoso e d’insensato. I testi sono del giornalista-scrittore Astrit Drakli, che ha messo a disposizione le sue precedenti esperienze di viaggiatore nella Russia sovietica e che ha programmato le varie tappe del viaggio. La casa editrice decide di mettergli al fianco un grande fotoreporter che non aveva mai visto la Russia, affinché gli “scatti” del suo occhio fotografico potessero risultare il più possibile aderenti alla realtà. Le immagini di Dondero non tradiscono le aspettative dell’editore, anche perché sono sempre contestualizzate attraverso una serie d’interviste fatte a operai, studenti, artigiani, contadini, sindacalisti, giornalisti, intellettuali, artisti, attori e registi, fino ai più noti Mikhail Gorbaciov (ex presidente dell’Urss) e Gennadij Zyganov (segretario del partito Comunista della Federazione Russa). Questo viaggio, basato su analisi, immagini e testimonianze, si snoda a tappe partendo da Mosca, attraverso San Pietroburgo, Kronstadt, le isole Solovki, il porto di Murmansk, la nordica Arhangelsk (la citta dell’Arcangelo), Volgograd (un tempo Stalingrado), la Transiberiana,  Novosibirsk, Novokuznetsk, Irkutsk e il lago Baikal, il piccolo centro turistico di Tyndal, la piccola città di Blagoveshensk sul confine cinese, un lungo viaggio che si conclude di nuovo a Mosca per documentare sulla Piazza Rossa gli ultimi fantasmi della Rivoluzione sovietica.
Le fotografie che ci ha lascito in eredità Mario Dondero, ci si propongono con tutto il pathos specialissimo delle immagini del nostro album di famiglia. Molti personaggi ci restituiscono istanti visivi di artisti poi diventati personaggi della cultura contemporanea. Ma la magia misteriosa delle immagini di Mario funzionano anche quando si tratta di istanti quotidiani e di personaggi sconosciuti. Di ognuno di loro ci danno l’impressione come se ritrovassimo un caro amico, un parente del quale cerchiamo di ricordare il nome e del quale vorremmo tanto conoscere come si è poi svolta la vita, il destino che ha avuto e che davvero sembrano essere misteriosamente, per intero convocati in quell’attimo, in quell’immagine. La mostra è corredata da un catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, curato dalla stessa Raffaella Perna.
Il Percorso espositivo è così suddiviso :
La sala 1, oltre al testo di introduzione alla mostra, accoglie un nucleo di fotografie di taglio sociale realizzate nella penisola iberica, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, sino alla fotografia, scattata a Malaga nel 2001, con il ritratto tenuto nel palmo di una mano di un giovane combattente repubblicano, scomparso in una fossa di Franco.
Nella sala 2 viene presentata una selezione di 11 fotografie realizzate in Italia, che ritraggono la migrazione interna al Paese, il processo di alfabetizzazione, il lavoro rurale, le manifestazioni politiche e sindacali, l’attività dei pescatori a Chioggia nel 1980.
La sala 3 ospita un corpus di immagini realizzate nel 1968 in Irlanda, dove Dondero documenta diversi aspetti della realtà sociale del Paese, tra cui l’attività della leader cattolica irlandese Bernadette Devlin, durante la sua campagna a sostegno dei diritti degli studenti della Queen’s University.
Le sale 4 e 5 accolgono un focus dedicato a importanti personaggi del mondo dello spettacolo, in Italia e all’estero, con ritratti di Pier Paolo Pasolini ripreso sul set del film Comizi d’amore, Laura Betti, Carla Fracci, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Vinicio Capossela, Vittorio Gassman, Eugène Ionesco, Serge Gainsbourg, Jean Seberg.
La sala 6 presenta invece i ritratti di alcuni tra i più significativi pittori, scultori, fotografi, critici d’arte, direttori di museo fotografati da Dondero, tra cui, Francis Bacon, Alexander Calder, Barbara Hepworth, Alberto Giacometti, Palma Bucarelli, Alberto Burri, Fabio Mauri, Elisabetta Catalano, Sergio Lombardo, Mimmo Rotella, Pierre Restany, Fausto Melotti.
A seguire, la sala 7 ospita i ritratti di alcuni tra i maggiori scrittori e letterati del XX secolo: dallo scrittore americano di origine armena William Saroyan, ripreso alla macchina da scrivere nel 1959, a Gu?nter Grass ritratto a Milano nel 1962, al poeta sperimentale fondatore dei Novissimi Edoardo Sanguineti, a Dacia Maraini e Pier Paolo Pasolini ritratto insieme alla madre Susanna Colussi nella loro abitazione all’Eur, sino alla celebre fotografia di gruppo del Nouveau Roman.
La sala 8 raccoglie un nucleo significativo di fotografie scattate in Francia, che documentano la realtà sociale e politica del Paese: i congressi del partito gollista a fine anni Cinquanta, le manifestazioni in favore di Mitterrand dopo l’attentato subito ad opera dell’OAS nel 1959, gli eventi del ’68, la borsa di Parigi, il viaggio di Deng Xiaoping in Francia nel 1975, le recenti manifestazioni in difesa dei diritti sociali avvenute a Parigi nel 2011.
La sala 9 si concentra sui reportage scattati in Africa, dove il fotografo torna a più riprese lungo l’arco della sua carriera: in Algeria durante il conflitto con il Marocco, in Nigeria, in Costa d’Avorio, in Senegal.
 
La sala 10 raccoglie le fotografie scattate in varie parti del mondo a partire dal 1978: in Brasile dove riprende la vita dei bambini di strada, a Berlino nel 1989 nei giorni che precedono la caduta del muro, a Cuba in pieno período especial, in Russia e a Kabul, nelle carceri e negli ospedali dove operano i medici di Emergency.
Biografia di Mario Dondero
Nasce a Milano nel 1928. Appena sedicenne si unisce alla lotta partigiana nella Repubblica dell’Ossola, animato da sentimenti di libertà e giustizia sociale che saranno alla base delle sue future scelte sul piano umano e professionale. All’indomani della Seconda guerra mondiale è di nuovo a Milano, dove intraprende la carriera di fotogiornalista, collaborando a partire dal 1951 con testate quali l’“Avanti”, “l’Unità”, “Milano Sera”, “Le Ore”. Protagonista del milieu di intellettuali legati al Bar Giamaica, Dondero appartiene a una generazione di fotografi come Ugo Mulas, Carlo Bavagnoli, Giulia Niccolai, Alfa Castaldi, che hanno contribuito a trasformare la cultura fotografica italiana degli anni Cinquanta, mossi dall’urgenza di rinnovare il linguaggio fotografico in un’ottica di forte impegno civile e con il proposito di gettare luce su storie rimaste ai margini del dibattito pubblico. Dello spirito del tempo troviamo una viva testimonianza nel romanzo La vita agra di Luciano Bianciardi, amico fraterno di Dondero, alla cui figura lo scrittore s’ispira per tratteggiare il personaggio del fotografo Mario. Dal 1954 al 1960 Dondero si trasferisce a Parigi, sua città d’elezione, dove documenta la realtà politica, i cambiamenti sociali e molti dei più significativi intellettuali del tempo, pubblicando con regolarità su testate quali “Le Monde”, “France Observateur”, “L’Express”, “L’Humanité Dimanche”. Sua è la fotografia di gruppo, divenuta un’icona, che ritrae nel 1959 gli esponenti del Nouveau Roman, tra cui Alain Robbe-Grillet e Samuel Beckett, davanti alla sede delle Éditions de Minuit di Parigi. Dal 1961 Dondero torna per alcuni anni in Italia, stabilendosi a Roma, dove fotografa la scena artistica e culturale del tempo: pittori, scultori, registi, scrittori, attori e musicisti, di cui restituisce ritratti intensissimi che offrono uno spaccato sulle migliori intelligenze attive allora nel nostro Paese. Pur facendo base in Italia e in Francia, Dondero negli anni compie numerosi viaggi in giro per il mondo ed entra in contatto con culture e realtà diverse: Portogallo, Spagna, Inghilterra, Irlanda, Algeria. Rientrato a Parigi nel 1968, dove riprende i fatti del maggio francese, il fotografo segue la vita politica e sociale parigina per altri tre decenni, fino al trasferimento nelle Marche, a Fermo, negli anni Novanta. Dagli anni Settanta sino alla morte, avvenuta nel 2015, Dondero continua sempre a viaggiare: Mali, Senegal, GuineaBissau, Cambogia, Germania, Brasile, Cuba, sino ai reportage in Russia e a Kabul. Prosegue fino all’ultimo una intensa collaborazione con quotidiani e periodici, quali “il venerdì di Repubblica”, “il manifesto”, “Diario”. Dalla metà degli anni Ottanta a oggi le sue fotografie sono state esposte in numerose mostre personali in Italia e all’estero.
Palazzo Reale Milano
Mario Dondero . La libertà e l’impegno
dal 21 Giugno 2023 al 6 Settembre 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso
Foto Allestimento Mostra  Mario Dondero . La libertà e l’impegno credit © Nicola Cazzulo