Giovanni Cardone Novembre 2022
Fino al 12 Febbraio 2023 si potrà ammirare a Palazzo Altemps Roma la mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life Ideata e curata da Nadia Fusini  in collaborazione con Luca Scarlini. Per la prima volta in Italia attraverso questa esposizione  si celebra lo spirito che animò Bloomsbury: il luogo dove si sono sperimentate forme di vita e di pensiero nuove che cambiarono i principi vittoriani e il forte spirito patriarcale di cui era ancora intriso il ventesimo secolo. Rimasti orfani nel 1904, Virginia Stephen, non ancora Woolf, e i fratelli Vanessa, Thoby e Adrian si trasferiscono dall’altolocato Kensington nel meno privilegiato quartiere di Bloomsbury. Dal 1905 un nutrito gruppo di giovani donne e uomini si incontra nella casa al 46 di Gordon Square per inventare una vita nuova e libera. Questa mostra è un progetto del Museo Nazionale Romano e della casa editrice Electa, realizzato in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra. Nelle stanze di Palazzo Altemps, in cinque sezioni si svolge il racconto delle figure di Bloomsbury. I giovani intellettuali che si incontravano nelle stanze delle sorelle Stephen condividevano predilezioni artistiche, relazioni romantiche, esperienze lavorative innovative, motivazioni sociali. Questi individui dalla forte personalità diventeranno economisti, storici, scrittori, filosofi e artisti impegnati di sinistra: spesso saranno molto famosi. Speravano, come Leonard Woolf, in una società senza classi o, come Virginia, in un mondo senza torri d’avorio per i suoi artisti; John Maynard Keynes ha rivoluzionato il pensiero economico e ha posto le basi del welfare state, nonché della collaborazione dello stato alle arti; Lytton Strachey ha inventato un nuovo modo di scrivere la storia e Roger Fry, critico e pittore, un’altra maniera di guardare e creare opere d’arte. Al di là del valore indiscusso dell’uguaglianza, intanto e prima di tutto economica, altro valore irrinunciabile era il riconoscimento della singolarità di ciascuno. La mostra non a caso è allestita negli ambienti di Palazzo Altemps, che nel passato hanno accolto una prestigiosa biblioteca - raccolta tra la fine del XVI e il XVII secolo dal cardinale Marco Sittico Altemps e dal nipote Giovanni Angelo, poi confluita nella Biblioteca Apostolica Vaticana , e nell’Ottocento hanno ospitato prestigiosi salotti letterari. È qui, nella chiesa della Clemenza e di Sant’Aniceto custodita all’interno dell’edificio, che Gabriele D’Annunzio sposò nel 1883 Maria Hardouin di Gallese, famiglia che per ultima abitò Palazzo Altemps. In una mia ricerca storiografica sulla figura di Virginia Woolf apro il mio saggio dicendo: L’Inghilterra del primo Novecento è segnata da un periodo di dura polemica contro le ipocrisie e convenzioni dell’era vittoriana e da un nuovo modo di percepire la realtà che porta a un profondo cambiamento in tutti gli aspetti, da quello storico, sociale a quello personale. Le cause di questi mutamenti sono da ricercare nella situazione di preoccupazione e scontento generale provocato dai due conflitti mondiali e dalla successiva crisi economica, dal crollo dei canoni tradizionali, dagli studi di Einstein, Nietzsche, Freud e Bergson e dall’espansione dell’istruzione con il conseguente incremento di scrittori che chiedono nuove forme di espressione. Sul piano culturale prende avvio il periodo del Modernismo, movimento contraddistinto dalla comparsa di una serie di avanguardie che investono ogni campo, dalla letteratura, all’arte, alla musica, al cinema, il cui scopo comune è il rinnovamento e la modernità. La data di inizio del Modernismo viene da alcuni fissata al 1900, anno della pubblicazione de L’Interpretazione dei sogni di Freud, mentre al 1901, anno della morte della regina Vittoria, segue ufficialmente la conclusione di un’epoca. Con la scomparsa della regina viene meno quel sistema di valori convenzionali e tradizionali specchio di un’intera società.
Il Modernismo è soprattutto un’epoca di smarrimento, caratterizzata dalla sensazione che quanto prima era solido adesso non lo è più. La presa di coscienza della labilità dell’individuo è alla base della rivoluzione delle forme iniziata a Londra nella pittura. Le grandi esposizioni postimpressioniste organizzate da Roger Fry insieme ad altri esponenti del Bloomsbury Group nel 1910 e 1912 nascono proprio con lo scopo di mostrare un nuovo modo di cogliere la realtà, che rifiuta la rappresentazione mimetica a favore di immagini frammentate, sovrapposte e deformate, espressione non del visibile bensì del percettibile. La pittura postimpressionista, e poi quella futurista e cubista, scatenano la provocazione attraverso l’utilizzo di forme di rappresentazioni alternative, conseguenza di una cultura ormai completamente in crisi. In questa situazione di disorientamento a dare ulteriore instabilità c’è il conflitto mondiale che se, da un lato, porta ad una crescita nello sviluppo industriale con il conseguente incremento della richiesta di lavoro, la scomparsa della disoccupazione e l’aumento dei salari, dall’altro lato sottolinea la fragilità degli uomini che, impegnati al fronte, iniziano a sviluppare i sintomi comuni a volte all’isteria femminile. Esattamente come le isteriche, i soldati sono considerati dei simulatori e per questo sottoposti a quelle procedure già utilizzate per la cura delle donne, tra cui l’isolamento, l’ipnosi, le diete forzate e l’elettroshock, una pratica violenta che doveva spingerli a tornare in trincea. Superata la fase di queste pratiche, si comincia a introdurre un trattamento rivoluzionario e soprattutto non violento: la terapia psicoanalitica di Freud. La psicoanalisi è una pratica che consiste nell’indagare gli elementi che sono stati rimossi dalla coscienza dell’individuo, elementi che devono essere affrontati ed elaborati dando libero sfogo alla parola e al flusso dei pensieri, per poi arrivare all’origine del trauma. Viene così scoperto l’inconscio, in cui si conservano le rappresentazioni mentali che, vissute come inaccettabili, vengono allontanate dalla coscienza. Con l’esplorazione dell’inconscio il genere umano si rende conto di essere guidato da istinti e pulsioni razionalmente non controllabili. Alla debolezza degli uomini immobilizzati dal disturbo da stress post-traumatico si contrappone la forza delle donne: la mancanza del sesso forte costringe le signore a sostituire l’uomo in ogni campo, dimostrando di non essere soltanto donne di casa e accelerando così il processo di emancipazione. Grazie anche alle cosiddette Suffragette, esponenti del movimento di emancipazione femminile, nel 1918 viene approvato il diritto di voto per le donne che abbiano compiuto i 30 anni, e nel 1928 a tutte le donne con età superiore a 21 anni. A tutte queste novità segue inevitabilmente un cambiamento nella forma e nei contenuti dei generi letterari, innovazione che trova spazio soprattutto nel romanzo che, allontanandosi dalla rappresentazione del sistema di valori tipico della realtà borghese, assume lineamenti completamente nuovi. Fra gli elementi distintivi del romanzo moderno ricordiamo la dissoluzione della sovranità del narratore, dell’intreccio lineare, dell’oggettività e della concezione tradizionale di tempo e spazio. Il ?900 si apre con una nuova concezione del tempo grazie alle teorie del filosofo francese Henri Bergson. Bergson distingue il tempo fisico, dato dalla scansione dell’orologio e da una successione di attimi lineari, omogenei e ripetibili, e il tempo della coscienza che al contrario è soggettivo e disomogeneo. Pertanto, all’oggettività del Naturalismo si sostituisce una visione soggettiva in cui nessuno può essere interprete attendibile della realtà. Si sviluppa così una narrativa che descrive scene di vita quotidiana nelle quali non succede quasi nulla, quel nulla che però può avere effetto sull’interiorità e sulla psiche dei personaggi. Esprimere l’interiorità e i suoi meccanismi irrazionali significa riprodurre i pensieri senza alcun nesso logicocronologico con la conseguente descrizione di dati frammentari e caotici, come accade nel monologo interiore o nello stream of consciousness. Virginia Woolf si forma in questo ambiente di novità, di profondo cambiamento e di insoddisfazione nei confronti della letteratura del passato. A tal proposito scrive due saggi, “Modern Fiction” del 1919 e “Mr. Bennet and Mrs. Brown” del 1924, in cui mostra un atteggiamento rivoluzionario nei confronti del romanzo tradizionale. La scrittrice sostiene che “on or about December 1910 human character changed”, un cambiamento che riguarda ogni campo, dalla religione, ai costumi, alla politica e alla letteratura. Per spiegare in maniera pratica il contesto letterario in cui vive prende come spunto un viaggio in treno da Richmond a Waterloo di due personaggi chiamati Mr. Smith e Mrs. Brown. Secondo la Woolf questa scena, descritta da scrittori di nazionalità diverse, avrebbe diverse versioni: un narratore inglese si concentrerebbe sulle stranezze e gli artifici, sui bottoni, fiocchi e verruche della signora facendole dominare la scena; uno scrittore francese darebbe una visione più universale della natura umana sacrificando la figura della signora; un romanziere russo mostrerebbe l’anima di Mrs. Brown, un’anima solitaria con terribili domande sulla vita. La descrizione della signora cambia ancora, oltre che in base alla nazionalità, anche a seconda del carattere e dell’età dell’autore. Virginia Woolf non condivide il pensiero di Arnold Bennett, rappresentante degli autori edoardiani, secondo il quale il compito di uno scrittore è quello di rendere i personaggi più reali possibile. Quello che lei vede in queste narrazioni è soltanto un insieme di descrizioni minuziose e materialiste di dettagli esteriori, come nel caso di Hilda Lessways, che in realtà non dicono nulla dell’anima e dell’essenza dei personaggi. Gli edoardiani rimproverano ai georgiani la mancanza di personaggi realisti; al contrario, i georgiani accusano gli edoardiani di non parlare mai dei personaggi. Il viaggio da Richmond a Waterloo può allora essere interpretato non come un semplice viaggio in treno, ma come il passaggio da un’era letteraria a un’altra.  L’idea di letteratura della Woolf, a differenza di scrittori come Bennett e Galsworthy, è lontana da qualsiasi tipo di realismo tradizionale o di materialismo. Non le interessano matrimoni e macchinazioni sociali, il trito tran tran della vita materiale quotidiana, ma la ricca fenomenologia della vita interiore del soggetto. Virginia Woolf è una delle figure più significative del ?900, Scrittrice, saggista e icona del movimento femminista, Adeline Virginia Stephen nasce a Londra il 25 gennaio 1882 da Leslie Stephen, celebre critico letterario, storiografo e autore del Dictionary of National Biography, e Julia Princep Jackson, modella per pittori. Dalla loro unione nascono anche Vanessa, Thoby e Adrian, ai quali si aggiungono i figli avuti dai rispettivi matrimoni precedenti: George, Stella, Gerald e Laura; quest’ultima, figlia di Leslie, viene presto ricoverata in clinica a causa dei problemi mentali. Come da tradizione vittoriana, le due sorelle vengono educate in casa e fin da subito immerse in un ambiente ricco di libri e di scrittori, critici e intellettuali. Leslie stimola i figli raccontando storie avventurose, recitando poesie e leggendo romanzi ad alta voce per poi chiedere la loro opinione. Lo studio e lo svago sono attività che alle sorelle sono concesse durante la mattinata, mentre il pomeriggio e la sera devono dedicarsi alla casa, a preparare il tè e intrattenere gli ospiti mostrandosi sempre amabili e cortesi, buone maniere nelle quali ogni donna dell’epoca deve essere maestra. Grazie alla biblioteca di famiglia Virginia scopre la sua passione mostrandosi sin da piccola abile con la scrittura: a soli 9 anni, insieme al fratello Thoby, inizia a scrivere l’Hyde Park Gate News,  una piccola rivista settimanale che racconta gli eventi quotidiani della famiglia fino all’aprile del 1895. La rivista, letta poi dai genitori, dà inizio a quell’ansia e quel turbamento che la accompagnano ad ogni pubblicazione. L’agitazione deriva anche dalla possibilità di poter sbirciare le reazioni dei lettori grazie ad una stanza fatta completamente di vetro. Nel gennaio 1896 torna a scrivervi in maniera più cosciente e adulta, evitando di esporsi troppo e occupandosi di temi più seri, concludendo i testi con la malattia della madre e la partenza dei fratelli all’estero. La vita di Virginia è in poco tempo attraversata da una serie di sconvolgimenti: nel 1895, quando ha soli 13 anni, viene a mancare la madre, nel 1897 muore la sorellastra Stella e nel 1904 il padre. Con la perdita di Julia la situazione non è per niente facile: oltre a venir meno quel punto di riferimento per tutta la famiglia, Leslie, già insicuro malgrado il sostegno fornito dalla moglie, diventa intollerabile, possessivo e sempre bisognoso di consolazione. Rimasti orfani e volendo probabilmente prendere le distanze da un passato doloroso, Virginia e i fratelli si trasferiscono nell’autunno del 1904 al numero 46 di Gordon Square, centro del circolo più esclusivo e anticonformista del ?900 il cosiddetto Bloomsbury Group. Il Gruppo di Bloomsbury non fu un movimento ma una semplice comitiva di amici, tra cui Lytton Strachey, Clive Bell, Roger Fry, E.M. Forster, John Maynard Keynes, Leonard Woolf, Vanessa e Thoby, il cui scopo era quello di superare le limitazioni e costrizioni della cultura vittoriana ed edoardiana in ambito politico, religioso, artistico e morale. Gli apostoli, guidati dai Principia Ethica del filosofo G.E. Moore, sono antimonarchici, scettici nei confronti della religione e contrari a ogni tipo di discriminazione sessuale. Le diverse personalità si incontrano regolarmente nelle loro case per discutere di qualsiasi materia: attualità, letteratura, arte, politica, economia, parlando apertamente anche di argomenti tabù come il sesso. Un altro aspetto importantissimo alla base dei principi del Bloomsbury Group è la rivendicazione della scrittura femminile, portando così alla luce quelle voci per molto tempo represse. Gli incontri hanno un forte effetto positivo su Virginia, tanto da spingerla a una maggiore libertà, a superare la sua timidezza e affrontare il pubblico e il suo giudizio. Questo periodo di tranquillità viene però ben presto sconvolto da due eventi rilevanti: la morte di Thoby, dolore da cui è molto difficile riprendersi, e il matrimonio di Vanessa. Sopraffatta dalla solitudine, dalla gelosia e da un attaccamento morboso nei confronti della sorella, Virginia vuole a tutti i costi entrare a far parte del nucleo familiare e, per sentirsi in qualche modo più vicina, inizia un flirt con il cognato Clive.  Malgrado le rivalità, i rancori e le invidie, le due sorelle saranno per sempre legate da un amore sconfinato e non smetteranno mai di essere l’una il punto di riferimento dell’altra. Tra i primi a essere invitato alle riunioni del Bloomsbury c’è Leonard Woolf, il quale vi si reca una sera per salutare gli amici prima di trasferirsi nello Sri Lanka come funzionario dell’Impero britannico. È il suo primo incontro con Virginia e ne rimane particolarmente affascinato. Rientrato per un congedo dopo sette anni, se ne innamora e decide di non partire più. Già di ritorno dalla luna di miele, Leonard si rende conto che la moglie è particolarmente inquieta e, su consiglio del medico, arriva alla conclusione che è troppo pericoloso per lei avere dei figli. Virginia accetta passivamente questa decisione che, col tempo, le provoca molta sofferenza e invidia nei confronti della maternità della sorella. È il 1917 quando i coniugi fondano la Hogarth Press, la casa editrice che nasce con l’intenzione di impegnare la Woolf in un lavoro manuale, così da poter riposare la mente ed eliminare le ansie causate dal dover sottoporre ad altri i suoi scritti. La grande fortuna di Virginia è proprio suo marito: Leonard è un uomo sensibile, paziente, pieno di attenzioni per la sua fragile donna, sempre pronto ad aiutarla nei momenti più difficili della malattia e a incoraggiarla a scrivere e pubblicare. Il 28 marzo 1941, dopo essersi riempita le tasche di pietre, Virginia muore lasciandosi annegare nel fiume Ouse, nei pressi di Rodmell. Occuparsi degli anni d’oro di Bloomsbury ovvero a inizio Novecento, nel periodo della Londra prebellica è sempre una sfida. Non a caso, è il quartiere londinese più chiacchierato, più discusso e analizzato nella storia del Novecento o, forse oserei dire di sempre. Localizzato nel Distretto di Camden, a nord del Tamigi, tra Westminster e la City of London, il quartiere di Bloomsbury si estende dalle affollate vie commerciali di Holborn, fino alle stradine più tranquille e isolate sul lato orientale di Regent’s Park. È qui, nel cuore culturale della città inglese, che prende il via l’analisi della figura della flâneuse woolfiana, perché è qui che l’autrice ha vissuto gli anni più dinamici e più arricchenti della sua esistenza, sia per quanto riguarda le relazioni umane -e il suo rapporto con la città-, sia per la sperimentazione letteraria. Bloomsbury è per Virginia Woolf (nata Stephen) prima di tutto una via di salvezza, un’occasione per ricominciare in seguito agli anni bui della sua infanzia e adolescenza trascorsi al 22 di Hyde Park Gate, dove ha vissuto con i suoi tre fratelli, Vanessa, Thoby e Adrian, il padre Leslie Stephen e i suoi fratellastri, i Duckworth . Il primo evento funesto che mette a dura prova l’ambiente familiare e segna profondamente l’equilibrio emotivo e mentale di Woolf è la morte prematura della madre, Julie Stephen, nel 1895 . In questi anni di lutto, non solo iniziano le prime crisi depressive, accompagnate da episodi allucinatori- che elaborerà solo una volta adulta, negli scritti autobiografici contenuti nella raccolta Moments of Being- ma, da qui in poi, le relazioni tra persone e luoghi saranno inscindibili nella sua mente, così come nei suoi scritti . Per questo motivo, la casa d’infanzia a Kensington, così come la casa di campagna in Cornovaglia, a St. Ives il luogo di villeggiatura estiva della famiglia Stephen per più di dieci anni sono sempre associate all’ombra della madre. Dal 1904, in seguito alla morte del padre, ai fratelli Stephen non rimane più nulla che li leghi a quel vicolo cieco, silenzioso e ovattato, nel lussuoso quartiere di Kensington. Emblema dell’upper-class dell’Epoca Vittoriana, Kensington è la zona residenziale più elegante di Londra, dove si concentrano i maggiori musei cittadini, il teatro della Royal Albert Hall e le lussuose abitazioni in tipico stile inglese, di architettura vittoriana e georgiana. Questa zona di Londra è spesso annoverata nei libri di storia per aver dato i natali alla regina Vittoria, tant’è che dal 1965 inglobata al quartiere metropolitano di Chelsea ha ottenuto l’onorificenza di “Royal Borough”. Spostandosi da Kensington, i fratelli e le sorelle Stephen si allontanano dalla bigotteria dell’upper-class londinese per abbracciare il clima, certamente più vario e libertino, di Bloomsbury. Il quartiere di Bloomsbury, principalmente abitato dalla middle-class, è storicamente associato all’educazione, alla medicina, ma soprattutto alle arti: un valido termine di paragone potrebbe essere la zona parigina di Montmartre, un luogo in cui, nel primo Novecento, giovani studenti e artisti affittano camere, soffitte, per tentare di dar voce al proprio talento. Tuttavia, come sottolinea Johnstone, nonostante a Bloomsbury l’arte fosse concepita come la più alta espressione della vita di ogni individuo, e l’approccio ai problemi fosse spiccatamente intellettuale, sarebbe errato associare questo stile di vita bohémien allo snobismo. Come precisa Vanessa Stephen, all’epoca le classi sociali esistevano, eccome: la scelta di iniziare una nuova vita a Bloomsbury è dettata principalmente da questioni economiche; il nuovo quartiere è, infatti, meno costoso rispetto a Kensington, ma piace alla sorella maggiore. Il trasferimento è per la nostra autrice un percorso in crescendo di luce che dall’esterno si riflette nell’interiorità, che la accompagna dall’adolescenza all’età adulta, dal grande breakdown emotivo che l’ha portata a commettere il primo tentativo di suicidio, appena diciottenne, alla lenta - anche se altalenante - rinascita. Inoltre, lo spostamento a Bloomsbury le permette di guadagnare un nuovo spazio per sé, riservandosi una camera dove potersi dedicare alla lettura, alla scrittura, senza dover rispondere ai restrittivi valori vittoriani del padre. Se, infatti, i fratelli Thoby e Adrian hanno avuto la possibilità di studiare nelle più importanti scuole del paese, tra cui l’Università di Cambridge, alle sorelle Vanessa e Virginia non è stato concesso nulla di più che lezioni private impartite da entrambi i genitori, a cui si aggiunge la lettura libera dei numerosi testi della biblioteca privata del signor Stephen. In base a quanto detto, Moorcroft Wilson legge il trasferimento in termini simbolici, come una «curious transition from tyranny to freedom» , sia sul piano personale, sia sul piano artistico. Al 26 di Gordon Square la pittura e la scrittura acquisiscono priorità su tutte le altre attività giornaliere, mentre la sera è un momento dedicato alla conversazione con gli amici di Thoby, giovani estranei alla famiglia Stephen, conosciuti durante l’esperienza universitaria a Cambridge. È a Bloomsbury che Virginia impara molte forme di libertà, prime tra tutte la libertà di espressione e di parola. La parola è uno strumento che le è finalmente concesso usare liberamente, ma che deve ancora imparare a gestire, ponderando i silenzi, scegliendo scrupolosamente come introdursi nelle conversazioni. Vanessa Stephen, nei suoi Sketches in Pen and Ink, ci dà testimonianza della natura improvvisata di questi incontri per cui, se inizialmente le sorelle vengono «coinvolte perché presenti in casa» , in seguito Virginia sottolinea l’attenzione che i ragazzi rivolgono alle ragazze, non per come queste si vestono o per come si atteggiano, ma finalmente per cosa pensano. La loro grande apertura culturale e artistica non sarebbe stata possibile se non in luce di una grande onestà intellettuale, di una completa libertà di pensiero e di espressione che afferma Vanessa Stephen in quei tempi era quasi sconosciuta, quantomeno quando uomini e donne erano insieme. Sarà proprio Thoby a prendere la decisione di replicare gli incontri con una certa regolarità, programmandoli una volta a settimana, ogni giovedì sera, a partire dall’agosto del 1905, dando vita alla compagnia di intellettuali riconosciuta oggi a livello internazionale come “Bloomsbury Group”. In realtà, all’epoca, il gruppo di Bloomsbury non era ancora definito in questo modo dai propri membri, almeno non in via ufficiale: la prima a chiamarlo “Bloomsbury”  afferma sempre Vanessa Stephen- è stata la moglie di Desmond MacCarthy, per distinguerlo dai gruppi artistici di Chelsea . Tra le figure di spicco dei giovedì sera letterari, oltre a Desmond MacCarthy, spuntano i nomi di Saxon Sidney Turner, Lytton Strachey, E.M. Forster, Clive Bell. A questi si aggiungeranno Maynard Keynes nel 1907, Roger Fry e Leonard Woolf tra il 1910 e il 1911 . L’ Old Bloomsbury, il periodo che anticipa la morte del fratello Thoby e il matrimonio della sorella con Clive Bell, coincide per Woolf con il momento di massimo splendore della compagnia; nel 1907, per l’autrice si chiude il primo e più autentico capitolo, al quale succede un Bloomsbury «more gregarious», più sconnesso e certamente più ricco di tensione . Dopo il matrimonio di Vanessa il gruppo altera la propria natura pura e intatta, per Woolf quasi monacale: ne risulta che, assumendo il tema amoroso ed erotico come cardine centrale dei discorsi, il salotto si tramuta in un ambiente più frivolo, almeno in superficie. Nel 1911 trovano una nuova sistemazione a Brunswick Square all’interno dello stesso distretto- in quella che si potrebbe definire la quarta fase di Bloomsbury, quella in cui Virginia ha l’occasione di approfondire il suo interesse per Leonard Woolf, «a violent trembling misanthropic Jew» ,appena rientrato dal servizio civile a Ceylon, colonia inglese nel sud-est asiatico . Se inizialmente il matrimonio non sembra essere contemplato da Virginia, perché considerato , pur tuttavia accetterà di sposare Leonard l’anno successivo, mossa dal profondo sentimento di affetto e stima che li lega. Nonostante Bloomsbury sia stato dislocato geograficamente tra le varie residenze, Woolf concepirà sempre Gordon Square come il quartier generale, l’«headquarter», il luogo dove tutto ha avuto inizio. La sua riflessione può risultare in parte contraddittoria, se si considera che, in una lettera del marzo 1925, essa si specchia in un altro quesito, «Who is Bloomsbury?». Viene spontaneo a questo punto per Woolf chiedersi: è il luogo a determinare l’identità del gruppo o lo sono i membri che vi appartengono? Nel caso di Bloomsbury, l’io si riflette e si relaziona prima di tutto con l’altro, nel momento in cui l’identità del singolo abbraccia la pluralità, confrontandosi con la natura stessa del gruppo, il “what”; in aggiunta, proprio perché l’identità collettiva è legata al luogo in cui esso stesso si è costituita, si confronta anche con il “where”. Il binomio “what-where” non può che seguire un percorso unidirezionale che parte dal “who” e sullo “who” fa ritorno: Bloosmbury sarebbe stato lo stesso senza Virginia Woolf e, soprattutto, Virginia Woolf sarebbe stata la stessa senza Bloomsbury? Oggi ci è facile intuire che si tratta di una domanda retorica. Sicuramente incoraggiata da un ambiente vivace e da scoperte sia sociali sia intellettuali, Woolf guarda all’estetica dell’arte e della letteratura dal punto di vista di una donna e di un’artista bloomsburiana.Infatti, è proprio in questo periodo, tra il 1897 e il 1915, che la giovane autrice ha avuto occasione di sperimentare differenti tipologie di scrittura  principalmente diaristica e saggistica- dando il via a una vera e propria sfida con se stessa, un viaggio verso la conquista di una voce autoriale e femminile autentica . In linea a questo legame e reciproca influenza tra Woolf e gli altri membri, Johnstone definisce il gruppo di Bloomsbury una «organic variety» , un ecosistema che si nutre della condivisione di valori e principi estetici, che ne sono il vero motore propulsore. I principi fondativi del gruppo di Bloomsbury sono portatori della concezione per cui l'estetica è alla base dell'etica, e la precede; pertanto, tutto ciò che viene identificato dal marxismo come sovrastruttura- la bellezza, la cultura, i diritti civili- andrebbe invece considerato parte dei valori fondamentali della società moderna . È interessante, a questo punto, soffermarsi sulla concezione di arte, centro di dibattito costante tra i membri del Bloomsbury Group, in particolar modo tra Woolf, E. M. Forster scrittore e Roger Fry pittore. Per Fry, la pittura così come la letteratura non è una copia del mondo reale: l’arte di inizio Novecento deve recuperare la sua centralità, allontanandosi dalla pretesa di oggettività che permea sia Impressionismo sia Naturalismo . Tant’è vero che, in adesione alla posizione di Fry e in netto distacco dal passato recente, Woolf stessa sente l’esigenza di trovare un’alternativa a quello che definisce il materialismo superficiale degli scrittori edoardiani, tra i quali Wells, Bennet e Galsworthy, che hanno deluso il panorama letterario moderno perché come afferma nel saggio Modern Fiction . Leggendo i contributi saggistici di Woolf delle prime due decadi del Novecento non è dunque difficile intuire come l’autrice stia delineando il suo stile di scrittura proprio a partire dalle reciproche influenze interne al Bloomsbury Group. Al descrittivismo asciutto di Bennet, infatti, contrappone la convinzione che dal suo punto di vista attraversa tutti i romanzi di Forster. La soluzione per Woolf è dunque quella di penetrare nella vita segreta e nella coscienza dei personaggi, proponendosi di scavare a fondo, in modo da non dimenticarsi di dire davvero qualcosa riguardo la signora Brown, la vecchia signora all’angolo di fronte che troviamo in tutti i romanzi per Woolf si tratta di un cambiamento epocale. Per Woolf l’arte è sempre la trasformazione della vita in qualcos’altro: l’esistenza contiene in sé le emozioni che possono essere rielaborate e trasformate artisticamente; ma è anche vero che la sua vita diventa vera solamente quando la scrive, quando deve selezionare cosa vuol dire della sua vita scrivendolo. La scelta di Woolf di virare verso una narrazione psicologica frammentaria verrà poi interpretata come il naturale risultato del suo accostamento al modernismo: gli scrittori modernisti scelgono di occuparsi di un’«ordinary mind in an ordinary day» , che però, per chi scrive, acquista un accento diverso dal solito. Woolf coglie a pieno l’esigenza di un rinnovamento interno alla prosa: in dialogo con altri generi, essa va affrancandosi dall’identificazione con la prose fiction, iniziando ad accostarsi al teatro e al ritmo della poesia . È in questa direzione che si fa spazio il modern novel, al cui centro sta la complessità delle percezioni. Come vedremo, è da queste riflessioni stilistiche che Woolf sceglierà di partire quando deciderà di dedicarsi alla scrittura di due romanzi apparentemente tradizionali che Sullam definisce “romanzi a dominante letteraria” : The Voyage Out (1915) e Night and Day (1919). Partendo da questi testi, vedremo come Bloomsbury non è altro che il primo crocevia tra paesaggio e scrittura: sarà interessante esaminare le strutture e i processi della narrazione che spingono l’autrice a sovrapporre alla città di Londra uno spazio narrativo che regge i tempi dettati dalla coscienza. Il catalogo della mostra curato da Nadia Fusini e Luca Scarlini edito da Electa è costruito come un diario intimo, un quaderno di appunti e ricordi, un racconto visivo che, anche attraverso autorevoli saggi, ripercorre i nuclei tematici dell’esposizione, ossia i protagonisti, le case, gli amori, la letteratura, il rapporto con le arti e l’editoria, tracciando il ritratto di una delle esperienze culturali più significative del Novecento
La mostra è suddivisa in cinque sezioni :
Sezione 1 Virginia Woolf
A Room of One’s Own Room, stanza – è una parola chiave del vocabolario woolfiano. Incastonata nel titolo del saggio Una stanza tutta per sé, che farà di Virginia Woolf la scrittrice cult, l’icona benedicente del movimento femminista globale, la parola migra via via in molti altri contesti evocando significati volti a illuminare spazi mentali, fisici e metafisici. Se nel saggio epocale del 1929 il lemma solleva ondate di senso volte alla rivendicazione di uno spazio tutto per sé da parte della donna che scrive, è perché Virginia Woolf di fronte alla domanda: perché sono così poche le donne scrittrici? - risponde che ciò accade perché “una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé, se vuole scrivere.” È questo il famoso incipit del saggio, che così interpreta la realtà storica e sociale e culturale della superiorità numerica degli uomini in campo letterario: la mancanza per le donne di uno spazio separato, sottratto agli obblighi familiari e alle attese tradizionali rispetto alla loro performance di genere. La mancanza di un luogo che si offra come humus fecondo, perché lì sviluppi la coltura dell’immaginazione. È questo spazio che Virginia Woolf invita le donne a conquistarsi. La stanza of one’s own, la stanza singolare, privata, dunque: è da questa immagine che siamo stati guidati a concepire questa mostra a Palazzo Altemps –meraviglioso spazio che senz’altro Virginia Woolf avrebbe amato. Di stanza in stanza ci muoveremo a illuminare il mondo di Virginia Woolf e di Bloomsbury, ovvero degli scrittori e artisti e intellettuali che con lei hanno inventato a Londra agli inizi del Novecento il romanzo moderno, la pittura moderna. Anzi, di più, la vita moderna. Perché i giovani di Bloomsbury sono proprio così, giovani leoni affamati di vita. Vogliono pensare nuovi pensieri, creare nuove forme d’arte e sperimentare nuove forme di vita. E tutto ciò nasce perché Vanessa, Thoby, Virginia e Adrian Stephen, rimasti orfani di madre prima e di padre poi, nel 1904 cambiano casa. E quartiere. Da Kensington a Bloomsbury. Cambia la casa, cambiano le stanze. E cambia il modo di vita.
Sezione 2 Society is the happiness of life
Il verso di Shakespeare che incornicia l’esperienza che questa mostra racconta, suona così: Society is the happiness of life: stare insieme è la felicità. Nella commedia shakespeariana Love’s Labour’s Lost, accade che dei giovani uomini, distolti dal ritiro monastico cui intendono dedicarsi dall’arrivo di giovani donne attraenti, scoprono che gli uomini e le donne sono fatti per vivere insieme, e solo nell’incontro si potrà realizzare l’ideale di una vita piena e felice. Allo stesso modo, stare insieme è la felicità per i Bloomsberries, come scherzosamente, giocando con i doppi sensi delle parole, bloom, fiorire e berries, bacche, verranno definiti Virginia e Vanessa e Thoby Stephen e Duncan Grant e Clive Bell e Roger Fry e Leonard Woolf, e Lytton Strachey e Keynes… Questo verso descrive alla lettera il senso che ‘quelli di Bloomsbury’ attribuiscono all’idea di “comunità”. Uscendo di slancio dall’epoca vittoriana, sostituiscono all’esaltazione dell’egoismo borghese e del conformismo sociale, il valore creativo dell’idea di comunità, nella volontà di inseguire nuove strade di conoscenza e di inventare nuove forme di vita. Insieme, ritirandosi a loro modo dalla vita mondana, dai privilegi e dagli imperativi e dalle costrizioni di classe, e dalla repressione etica e sessuale imposte dall’etichetta e dall’ideologia vittoriana, reinventano la loro esistenza in assoluta libertà intellettuale e sessuale, rispetto a codici ormai esausti e inerti. In questo senso, la loro è una delle proposte più ardite dell’intero Novecento. Se del gruppo di Bloomsbury Virginia, Vanessa e Thoby Stephen furono all’inizio il fulcro, per la rivoluzione creativa di cui Bloomsbury fu l’epicentro un economista come Keynes, un critico d’arte come Fry, uno storico come Lytton Strachey saranno altrettanto fondamentali, perché la rivoluzione di Bloomsbury fu una rivoluzione che sovvertì paradigmi etici, estetici e politici.
Sezione 3 La Hogarth Press: personaggi e interpreti
Nel 1915, dopo una crisi nervosa di Virginia, a mo’ di ergoterapia i Woolf decidono di comprare una pressa e avviare una casa editrice a Hogarth House, la loro residenza di Richmond. Leonard nelle sue memorie segnala come, a livello personale, egli cercasse in quel momento un’attività che assorbisse completamente l’attenzione di Virginia, distogliendola dalla sua malattia. In breve, la casa editrice –nata per pubblicare racconti, prose e poesie difficilmente collocabili sul mercato editoriale britannico– diviene un vero e proprio ritratto dei due fondatori, di cui presenta le opere, insieme a quelle di autori a loro vicini, e dando conto dei loro interessi, tra cultura e politica. Nel 1917 esce il primo elegantissimo volume, stampato a mano, con il nuovo marchio. Il titolo del volume è Two Stories, ovvero Three Jews (Tre ebrei) di Leonard e The Mark on the Wall (Il segno sul muro) di Virginia. Le illustrazioni in xilografia sono di Carrington, che inizia una lunga collaborazione con il marchio editoriale. Siamo nella tradizione squisitamente britannica degli art books, di cui era stato maestro William Morris, con la sua Kelmscott Press. Con la Hogarth Press, però, si opera un cambiamento di rotta evidente e radicale: la raffinatezza della veste va di pari passo con la chiara idea di proporre libri importanti a prezzi accessibili dei migliori autori, coinvolgendo gli artisti amici e vicini, in sintonia con il laboratorio dinamico degli Omega Workshops.
 
Sezione 4 Roger Fry e il Post Impressionismo
Per l’inverno 1910-11 le Grafton Galleries non avevano alcuna mostra da esibire, così chiesero a Roger Fry di organizzare una mostra di pittura contemporanea. Fry ingaggiò come segretario Desmond MacCarthy e andò a Parigi. E di lì portò a Londra ventun Cézanne, trentasette Gauguin, venti Van Gogh, tra cui i girasoli, e Rouault, Derain, Picasso, Manet e Matisse. Li chiamò tutti post-impressionisti, anche se il titolo era impreciso. Non che Fry e Desmond non si aspettassero il dissenso, ma niente in paragone a quello che accadde. La folla entrò nelle stanze e inferocita prese a inveire: quelli non erano quadri, forse solo un pazzo poteva dipingere a quel modo. Ci fu chi sputò sulle tele, alla lettera. Epperò, malgrado lo shock iniziale, continuarono ad andare in massa a vedere quei dipinti “oltraggiosi”, anche solo per imprecare, e la galleria ci guadagnò. Fu un “arte-moto”, commentò Desmond. Ma né lui, né Roger, annegarono tra i flutti. Anzi, l’anno seguente, Fry invitò il pubblico a una seconda mostra con pittori inglesi post-impressionisti, e nel 1912 a una seconda sessione della prima. Al di là dello shock, comunque educativo, inferto al pubblico, vedere quei quadri fu importante; in particolare per Virginia Woolf, scrittrice. Erano opere di artisti che andavano in cerca di una definizione della forma non troppo distante dalla sua ricerca. Fu allora che Virginia capì che il mondo era cambiato. Sì, “On or about December 1910, human character changed”: il carattere, l’indole umana era cambiata – questo dimostravano quei dipinti. Se Virginia Woolf scriverà Jacob’s Room, Mrs Dalloway e To the Lighthouse, è perché vede Cézanne, e vede Cézanne grazie a Roger Fry e con gli occhi di Fry. In Inghilterra senz’altro, nella misura in cui il gusto può essere cambiato da un uomo, Fry fu responsabile di un cambiamento epocale.
Sezione 5 Gli Omega Workshops
Per “quelli di Bloomsbury”, chi vive crea: non solo opere, non solo romanzi, non solo quadri, non solo sculture, oggetti d’arte, ma uno stile appunto, uno stile di vita. Ecco dunque che Virginia e Leonard Woolf, così come Roger Fry, oltre che artisti e intellettuali si fanno concretamente imprenditori. E rivelano nel transito metamorfico la medesima intraprendenza sia in campo editoriale, artigianale, che in campo artistico, intellettuale. Insieme a Vanessa Bell e Duncan Grant, Fry fonda il laboratorio Omega Workshops Ltd. nel 1913, lavorando intensamente al progetto dall’anno prima. Al cuore degli Omega Workshops stava la creazione di opere d’arte applicata: nel 1912 Fry parlava nelle sue lettere del decorative scheme riscontrato tra i giovani artisti britannici che aveva prescelto per presentare il progetto a eventuali sostenitori. Ecco come nasce l’Omega Workshops: un atelier dove l’arte della pittura e della scultura e del design approfondiscono i loro rapporti senza distinzioni gerarchiche e verticali. E dove trionfa il principio del piacere. È bello che l’oggetto d’uso e di consumo dia anche un brivido di emozione estetica. È bello che una porta non sia solo una porta, ma mostri la forma sinuosa di un putto o di una grottesca. E che su un tavolo rotondo usato per mangiare compaia una greca... È giusto e democratico che un oggetto utile e necessario sia una merce, che tutti possono comprare. Provarono a offrire un oggetto che era lì per il consumo, pronto all’uso, ma la cui singolarità e unicità risvegliasse in chi lo ‘usava’ una coscienza del piacere. Che sia una sedia, un tappeto, un cuscino, uno sgabello, un anello, nell’utopia di questi giovani artisti, l’oggetto riguadagnava così tutt’intero il suo valore di bellezza. Non era il denaro che lo prezzava, contava piuttosto la somma e la promessa di piacere, che risvegliava e soddisfaceva. “Abbiamo sopportato troppo a lungo la noia della seriosità ottusa” disse Fry. All’Omega Workshops nel suo periodo d’oro gli artisti ebbero i nomi di Vanessa Bell, Duncan Grant, Wyndham Lewis, Frederick e Jessie Etchells, Henri Gaudier-Brzeska, Carrington, Nina Hamnet, Winifred Gill, Henri Doucet. Fry insisteva però che, come in una antica bottega medievale, gli oggetti rimanessero anonimi, che portassero solo il marchio della lettera greca omega, che stava inscritta all’entrata del 33 di Fitzroy Square.
Lì si lavorava, lì si esponeva e lì arrivavano i clienti a comprare. I clienti erano George Bernard Shaw, H.G. Wells, W.B. Yeats, E.M. Forster e altre eccentriche figure della alta società bohémienne, come Lady Ottoline Morrell e Maud Cunard, e Gertrude Stein. La quale fu avvistata aggirarsi lenta tra i colori brillanti delle stoffe, i tavoli e le sedie dipinte, le meraviglie delle posate Fry, delle tazze e ceramiche Matisse, dei gatti in terracotta di Henri Gaudier Brzeska. Non c’era un altro luogo così a Londra; uno spazio dove artisti e clienti si mescolavano e contaminavano, e le opere d’arte direttamente andavano dal produttore al consumatore. Ma sono anni difficili, gli anni della Grande Guerra, e l’Omega, aperta nel 1913, nel 1919 chiuderà. Durerà solo sei anni; sei anni, però, che cambiarono il gusto, sei anni indimenticabili, in cui l’isola si sprovincializzò e accolse le suggestioni che venivano dalla pittura e dalla letteratura francese. Europea.
 
Palazzo Altemps Roma
Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life
dal 26 Ottobre 2022 al 12 Febbraio 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso
Foto Allestimento Mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life credit © Studio Zabalik