L’esposizione affiancava per la prima volta i bozzetti donati dal
conte Antoine Seilern al Courtauld Institute di Londra con quelli di analogo soggetto dell’Hermitage di San Pietroburgo, provenienti dalla
collezione settecentesca di Caterina II di Russia, con l’obiettivo di far luce su questo particolare aspetto della produzione del maestro fiammingo e di ricostruirne il complesso
modus operandi.
Come chiarito dal saggio introduttivo di Joanna Woodall, la predilezione di Rubens per il bozzetto, che il pittore stesso definisce “
dissegno colorito” in una lettera del 1614, va interpretata come una
precoce adesione all’estetica del pittoresco, fondata sulla
matericità del colore e sulla
rapidità creativa del fare pittorico. Nel bozzetto, infatti, si fondono quelle categorie di “disegno” e “colore” che vengono presentate come distinte, se non addirittura antitetiche, dalla trattatistica cinquecentesca, che le associa, rispettivamente, alle facoltà dell’intelletto e dei sensi. In consapevole contrasto con la tradizione, Rubens riunificava i due poli dialettici mediante la produzione di schizzi ad olio, annullando la distanza concettuale e temporale che si interponeva tra l’ispirazione e l’esecuzione dell’opera d’arte, ossia tra l’idea e la materiale trasposizione di essa.
Se a livello terminologico e concettuale la produzione di “dissegni coloriti” costituisce un
superamento dell’antitesi tra il disegno “apollineo” e la “dionisiaca” stesura del colore, sul piano della tecnica artistica questa sintesi si traduce in un utilizzo innovativo dell’imprimitura, ovvero di quello strato di tono bruno interposto tra la preparazione in gesso della tela e la crosta pittorica esterna. Intensificando lo spessore e la quantità dei pigmenti scuri dell’imprimitura, l’artista fiammingo riusciva infatti ad evidenziare le striature create dal pennello carico di colore e ad orchestrare l’intera gamma cromatica del dipinto mediante la definizione dei mezzi toni.

Obiettivo principale della mostra era pertanto quello di conferire visibilità ai concetti e alle peculiarità tecniche rilevate sinora. Le prime sette sezioni della mostra si imperniavano su
temi iconografici ricorrenti nei bozzetti di Rubens oppure su
schizzi eseguiti per specifici cicli decorativi, mentre l’ottava e ultima sezione, per la verità meno indispensabile, radunava opere utili al confronto stilistico.
Un primo nucleo di opere era formato dagli schizzi preparatori per il
Trittico eseguito per la Cattedrale di Anversa tra il 1611 ed il 1613, comprendente la
Deposizione dalla Croce (fig. 1), affiancata dalla
Visitazione e dalla
Presentazione al Tempio. Come rilevato dal saggio di Alexey Larianov incluso nel catalogo, i bozzetti, che tradiscono la rielaborazione delle soluzioni compositive di
Daniele da Volterra e del tardo michelangiolismo di matrice toscana, rivelano un momento cruciale nella produzione di Rubens, ovvero
l’avvio di un proficuo e duraturo dialogo con l’arte italiana. All’interno della sezione dedicata all’
Assuzione della Vergine, l’esemplare più significativo era forse lo schizzo dell’Hermitage, che riassume, come illustrato da David Freedberg nel 1978, i due momenti dell’assunzione e dell’incoronazione, divenendo un
unicum iconografico.

Al gruppo di opere raffiguranti la
Conversione di San Paolo (fig. 2) si collega l’efficace profilo biografico del Conte Antoine Seilern (1901-1978) delineato da Ernst Vegelin van Claerbergen per il catalogo della mostra. Conoscitore e fine collezionista dei bozzetti di Rubens, Seilern nutriva, infatti, un interesse particolare per la genesi e gli sviluppi dell’episodio di Saulo, di cui aveva acquisito schizzi e disegni preparatori.
La seconda parte della mostra era imperniata sui bozzetti relativi ai
grandi cicli decorativi cui si lega la straordinaria fortuna dell’artista fiammingo in Europa. Dagli schizzi per il
distrutto soffitto della chiesa dei Gesuiti ad Anversa, che dialogano a distanza con i teleri veneziani di Tintoretto e Veronese (fig. 3), a quelli per i dipinti commissionati nel 1622 da Maria de Medici per la
galleria del Palais du Luxembourg; dai bozzetti per il
soffitto della Banqueting House del palazzo di Whitehall richiesti da Carlo I, cui si rivolge l’attenta analisi di Natalia Gritsay, ai lavori preparatori, intrepresi nel 1634, degli apparati effimeri per l’ingresso trionfale del cardinal-infante Ferdinando ad Anversa, celebrati dall’incisione di Theodoor van Thulden (fig. 4). Infine, all’interno dell’ultimo eterogeneo insieme di opere, vale la pena di ricordare il bozzetto con la
Deposizione di Cristo (fig. 5) quale uno degli apici nella ricezione rubensiana delle novità del Caravaggio.

Se da un punto di vista scientifico la mostra si innesta sugli studi di
Julius Held, cui si deve il catalogo ragionato dei bozzetti di Rubens (1970), e di
Michael Jaffé, autore del fondamentale
Rubens e l’Italia (1984), il metodo adottato nell’esposizione dimostra un’attenzione inedita per lo studio sinottico di aspetti tecnici e stilistici, rivelando la complementarietà tra i dati relativi all’esecuzione dell’opera d’arte e quelli riguardanti le soluzioni compositive ed iconografiche. Sfortunatamente, questo duplice approccio non sembra aver goduto di un’adeguata considerazione da parte della critica successiva, eccezion fatta per la recente pubblicazione
Rubens Unveiled. Notes on the Master’s Painting Technique (2012), concepita come una postilla alla mostra
Rubens revealed. La furia del pennello del 2010. Entrambe le iniziative si devono a Nico van Hout, esperto di tecniche artistiche del XVII secolo e pioneristico indagatore dell’utilizzo dell’imprimitura negli schizzi ad olio di Rubens.
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La fortuna critica della mostra inglese del 2003 sembra, dunque, appena agli albori, quasi a conferma del carattere innovativo del metodo adottato. Sarebbe auspicabile che alcuni degli studi in divenire fossero condotti in Italia, non soltanto perché Rubens stesso, per cultura figurativa e preparazione teorica, era profondamente italiano, ma anche e soprattutto in una prospettiva più ampia, perché un approccio interdisciplinare costituirebbe il più fertile completamento della disciplina fondata da Cesare Brandi e perché, come affermava Luigi Salerno nel 1988, “il restauro è indispensabile premessa della critica”.
Giulia Martina Weston, 07/02/0214
Didascalie
1. Peter Paul Rubens, La Deposizione dalla Croce, olio su tavola, 115,2×76,2 cm, Londra, The Courtauld Gallery, 1612-1613
2. Peter Paul Rubens, La conversione di San Paolo, olio su tavola, 95×120,7 cm, Londra, The Courtauld Gallery, 1610-1612
3. Peter Paul Rubens, Ester e Assuero, olio su tavola, 50,1×47,2 cm, Londra, The Courtauld Gallery, 1620
4. Theodoor van Thulden, Prospetto del Palco, incisione, 54×60,5 cm, in Pompa Introitus, Anversa 1641-1642
5. Peter Paul Rubens, La Deposizione di Cristo, olio su tavola, 83,1×65,1 cm, Londra, The Courtauld Gallery, 1615