Il pittore siciliano dell’essenzialità racchiusa nella luce mistica e nella striscia di mare di un azzurro infinito, che la separa “invisibilmente” dal cielo (La lontananza del mare, 2003), tra realtà ed immaginazione, tra Modica e Sicli, dialoga al Mart di Rovereto con il promoter dell’astrazione geometrica, guidata dal rigoroso e lineare disegno, che corre sul filo di una sua coerenza stilistica.
Come fosse un haiku, un componimento giapponese stringato, legato alla natura o ad una stagione: si materializza così una “flashante” illuminazione nel silenzio.
L’azzurro di Guccione (Mare a Punta Corvo, 1995-2000), scorre parallelo a quel Bis Azzurro (1963) di Perilli.
Quest’ultimo sfida la pura dimensionalità attraverso dei piani, che si articolano come “aquiloni” in uno spazio privo di gravità. (La contemplazione di un’evidenza, 1967).
Cosa direbbero Newton e Piero della Francesca? Rimarrebbero senz’altro esterefatti.
Al centro di tutto troviamo il colore e la forma.
I cromatismi di Perilli sono accesi e vitaminici (La visione globale, 1973, fig. 1). L’esordio è incentrato su di un sottile segno calligrafico, che in alcuni casi sembra nei tratti una figuratività preistorica ma anche l’espressionismo astratto di Twombly (Le rocce dell’antica saggezza, 1957, L’unione dei contrari 1959).
Scomparso recentemente all’età di 94 anni è stato, insieme ad Accardi & Co., protagonista del gruppo astrattista Forma 1. Insieme ai suoi colleghi artisti fondò una galleria a Roma, L’age D’Or, che realizzava mostre (tra cui quella dell’Arte Astratta e Concreta presso la GNAM di Roma) pubblicava quaderni (tra cui Forma 2 – Omaggio a Kandinskij) e vendeva riviste d’avanguardia internazionali. In particolare collaborerà alla realizzazione delle riviste Origine e Arti Visive. Perilli scrive vari Manifesti e collabora ad allestimenti teatrali. Formatosi nello studio del pittore Baldinelli (e a seguire in quello di Guttuso), ebbe il “pallino grafico” fin da giovane, tanto da organizzare una mostra con gli altri studenti del suo liceo, il Giulio Cesare. Laureatosi in Storia dell’Arte con una tesi su De Chirico nel 1945, si dedicò sin da subito ad una pittura geometrica non figurativa (Paesaggio Astratto, 1947).
In quel periodo entrerà a far parte insieme a Munari, Soldati e Dorfles del Mac (Movimento Arte Concreta) ed avvierà insieme a Burri & Co. la Fondazione Origine (1951). Su invito di Lucio Fontana realizzerà pitture murali per la Triennale di Milano.
Innumerevoli le mostre personali, collettive, le retrospettive e le sue partecipazioni alle Biennali di Venezia del 1952, ‘58, ‘62 e ‘68.
Durante i suoi viaggi all’estero in terra francese incontrerà anche personalità artistiche innovative come Arp e Picabia.
Nel 2006 la mostra “La stravaganza della Scultura” riunisce le sue opere scultoree: dalle Colonne (1963-68), ai Dostorti e le Argille (1996-1998) fino agli Alberi. A fine 2019 a Palazzo Petrangeli si tiene nel centro del paese della Teverina la grande mostra “Achille Perilli beyond”. L’ultima retrospettiva a lui dedicata risale a Marzo scorso, organizzata dalla casa d’aste Cambi di Milano.
Ora la sua opera insieme a quella di Guccione è nuovamente sotto i riflettori al Mart di Rovereto fino al 9 Gennaio 2022. Tutto è nato da un lampo di genio di Vittorio Sgarbi e Lorenzo Zichichi, a cura di Marco Di Capua e Daniela Ferrari, in collaborazione con l’Archivio dei due artisti. Su cosa li unisca, il critico d’arte Sgarbi dichiara: “l’infinito, elemento intrinseco della ragione, creato in modo indeterminato dalla mente automamente”. Sensoriale quello di Guccioni (libero da ogni “geolocalizzazione”), a cui si affianca quello mentale e concettuale di Perilli. E lo spettatore, una volta allacciate le cinture e seduto comodamente, va in…orbita!
Geometrie nette ma non spigolose, cromie brillanti e squillanti (Grande spazio sincreto, 1951, fig. 3), che paiono strizzare l’occhio all’arte astratta di Mondrian con le sue linee orizzontali e verticali, originate dalle ramificazioni di un albero.
Per chi osserva è come se si lanciasse con il parapendio: l’impatto ottico dei colori, che sembrano essere visti dall’alto, è indescrivibile (la sensazione è vorticosamente optical, come se ci si trovasse in un labirinto di scale di Escher – protagoniste peraltro di recente per aver ispirato il gioco di Squid Game).
Linee rigorose di Perilli da una parte, pulizia e pace dall’altra attraverso il tocco di Guccione, con le sue tonalità di ceruleo, di bianco, sabbiose e nude, che ricreano la luce del Sud (Sulla spiaggia di Sampieri, 1967).
Nei quadri dell’artista siciliano ci si immerge totalmente, sia che il soggetto rappresentato sia il mare o il bosco (forest bathing), visto semplicemente affacciandosi dal balcone dei suoi quadri (. La striscia di azzurro è un tema su cui ruota la sua iintera opera, un “richiamo di immagine” come il monte Fuji di Hokusai.
Sembra che l’artista rispetti i quattro principi della disciplina orientale e filosofica Zen: purezza, legame con la natura, essenzialità e ordine (Il grido della luna, 2000, fig. 2). Un proverbio giapponese dice: “la natura sboccia nell’assenza di parole”. Dinanzi ai quadri di Guccione ci si accorge che è proprio così (“Uomo in giardino, 1962). La sua è una forma di silenziosa meditazione, che aiuta a liberare la mente, scaricandola dai pensieri, dalle tensioni e dallo stress, semplificarne il riposo e raggiungere così la serenità. Anche noi vorremmo essere in grado di staccare realmente la spina, andare in stand by e resettare tutto, mettere gli stati d’animo sul piatto della bilancia ed allegerire così le tensioni. Guccione è stato abile nel spazzare via le ombre e gestire le sue emozioni: ciò si evince dall’infinita striscia di mare raffigurata always so quiet (Ombra sul mare, 1973-1974).

Goethe diceva che i monti sono maestri muti e si circondano di discepoli silenziosi: in questo caso abbiamo il mare e gli alberi a fare da maestri, che rimandano ad un altro sé profondo e puro. Il proprio background personale si sostituisce all’occhio. Il reale lascia il posto all’immaginazione. Sotto alla sintesi formale c’è di più, uno strato sotterraneo, una trama fitta, che trasborda i bordi di uno spazio unitario ed entra in collisione con la prospettiva, eludendola. Questo accade sia in Guccione che in Perilli. I poliedri di quest’ultimo generano piani fluttuanti, mentre si viene avvolti da una leggerezza ed una assenza di peso, come ci trovassimo dinanzi a delle sculture di Calder.
Ora siamo pronti per far librare come rondini (Rondini, 1962) il nostro sconfinato paesaggio interiore.
 
 
Novembre 2021 Maria Cristina Bibbi
Info
Piero Guccione e Achille Perilli. Ai confini dell’astrazione
Mart Rovereto, in corso fino al 9 Gennaio 2022
Web: www.mart.tn.it

Didascalia immagini

1. La visione globale, 1973, Perilli

2. Il grido della luna, 2000, Guccione
3. Grande spazio sincreto, 1951, Perilli
3. Balcone, 1964, Guccione