locandina(3)Gli inglesi hanno sempre avuto una particolare predilezione per Pompei. Forse ancor più dei tedeschi, dei francesi e degli americani: agli inglesi Pompei mette i brividi. Un luogo che impressiona per la sua valenza psicologica e che scatena la fantasia di trovarsi dinanzi alla brutale realtà dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che tutto distrusse ma al contempo tutto conservò, pietrificando e carbonizzando.


Il mito degli scavi di Pompei, alimentato inesorabilmente sin dalla sua scoperta alla fine del XVIII secolo, non ha mai smesso di brillare nelle passioni archeologiche dei turisti di tutto il mondo. Pompei metafora concreta del tempo consolidato in un istante, palese esemplificazione del tragico violento passaggio dalla vita alla morte. Il mito di Pompei continua ad impressionare perché all’interno del sarcofago di lava l’uomo contemporaneo cerca la conferma di sé stesso, in esso desidera specchiarsi alla ricerca di similitudini, distanze, meraviglie sorprendenti secondo il luogo comune che “tutto sembra come oggi”. Da Gli ultimi giorni di Pompei di Edward Buwler-Lytton del 1834, maestro del proto-marketing letterario sull'antica città campana, ad oggi, la produzione di romanzi, saggi e film riempie biblioteche e cineteche: dal Viaggio in Italia di Rossellini agli Ultimi giorni di Pompei di Sergio Leone, fino al Live in Pompei dei Pink Floyd.
Buwler-Lytton - inventore di espressioni di un moderno marketing della comunicazione, come "la penna è più potente della spada" e il celeberrimo "era una notte buia e tempestosa" - è dunque uno dei padri fondatori della passione britannica, e non solo, per Pompei.

last_days_of_pompeii_1959_poster_03Tra marzo e settembre 2013 il British Museum ha dedicato una fortunata esposizione (https://news-art.it/news/vivere-e-morire-a-pompei-e-ercolano.htm), definita “la più grande mostra su Pompei ed Ercolano che sia mai stata realizzata”, assumendo come unico sponsor la banca d’affari Goldman Sachs, incriminata per frode avendo venduto titoli tossici generatori della crisi bancaria del 2010. Oltre allo sponsor pagante, in evidenza, non poteva mancare ovviamente la partecipazione della Sovrintendenza di Napoli, non tuttavia come ci si aspetterebbe per la vigile cura scientifica della mostra e dei contenuti del documentario che ne è scaturito.

Viene voglia di proporre qualche riflessione non tanto sull’operazione della mostra londinese, ormai terminata, quanto sui contenuti del documentario di recente proiettato, in 1000 cinema di 51 paesi, e lanciato dallo slogan reboante: “La più grande ricostruzione della storia del cinema. La vita e la morte di Pompei ed Ercolano”. Se è facile rispondere alla domanda per quale scopo la Goldman Sachs abbia sponsorizzato la mostra, ci chiederemo cosa si vede, e cosa si dice, nel film su Pompei.

goldman-sachs-jp-morganIl documentario, lanciato con una campagna mondiale in grande stile per diffusione e marketing, si pone sulla scia di alcuni documentari/evento proiettati al cinema, dedicati ad altre mostre tenutesi alla National Gallery di Londra su Leonardo e Vermeer, alla Royal Academy su Manet e a Oslo su Munch. Il documentario/evento è in effetti una novità nel panorama delle strategie della produzione di mostre/evento.
Il pubblico di mezzo mondo può assistere alla visita virtuale in compagnia di critici e storici comodamente seduto nella poltrona del cinema, sgranocchiando pop corn. Il costo del biglietto è più salato di quello di un film normale; quanto quello del biglietto della mostra, meno però se al biglietto si aggiungesse l’extra della guida in loco, secondo la logica del paghi 1 prendi 2.
Inoltre l’esperienza estetica, seppur non in presenza degli oggetti, è ampliata dall’emozione del grande schermo, dalla visione delle opere mostrate in alta definizione, coadiuvata dalla musica a tema e dal montaggio di scene di fiction appositamente realizzate. Il risultato è indubbiamente più emozionante che seguire un documentario alla TV per coinvolgimento emotivo e soprattutto perché Mostra/Evento/Film si pongono su un unico piano semantico. I visitatori possono affermare: non sono andato a vedere la mostra, ma ne posso parlare come se ci fossi stato. Sul piano commerciale gli organizzatori puntano all’obiettivo che il pubblico potrà programmare di recarsi alla mostra successiva, o al museo che si è visto in quel bellissimo evento cinematografico.    

Pompei1Sul piano tecnico non vi è molto da eccepire: immagini ad altissima definizione accompagnano l’idea che questo tipo di prodotti didatticamente - e perché no anche scientificamente - possano offrire occasioni di altissimo profilo per la trasmissione di conoscenza. Non v’è dubbio che queste opportunità, pensando a Carlo Ludovico Ragghianti, pioniere del critofilm tra gli anni ’50 e ‘60,  sarebbero da accogliere entusiasticamente come il ritorno del documentario sull’arte per il grande schermo. Quindi cos’è che non va?

La questione discutibile non sta infatti nelle potenzialità del mezzo quanto nel contenuto e nell’approccio culturale. Il documentario sulla mostra londinese, curata da Paul Robert, pur presentando una notevole selezione di oggetti di altissima qualità, degli oltre 250 provenienti quasi esclusivamente dalle collezioni dei musei campani, esposti per sezioni tematiche, è condotto da due presentatori televisivi dalla risata facile e dalla fantasia voyeristica quando si tratta di descrivere immagini di soggetto erotico, notoriamente numerose nei fasti della Pompei sepolta dalla lava.

pan--620x420Gli accompagnatori scientifici, capeggiati dal direttore del British Neil McGregor, affermano di voler mostrare gli aspetti più quotidiani della vita di due comuni città dell’epoca imperiale romana. La studiosa Mary Beard in particolare, autrice di un volume divulgativo su Pompei, introduce lo spettatore, solo per fare un esempio, “nei bar e caffè” di  Pompei e non nelle più rispondenti tabernae, ritenendo con questa attualizzazione che il grande pubblico possa capire meglio ciò di cui si parla. Oppure si afferma che la struttura della società romana era basata sullo schiavismo, ma non se ne affrontano la complessità e le problematiche con la giusta misura. Si chiama poi il cuoco italiano Giorgio Locatelli, unico “specialista” nostrano con ristorante a Londra, per analizzare le forme del pane e dei cibi carbonizzati della gastronomia pompeiana. Ma non sono tanto gli aspetti formali di questa mediocre divulgazione da intrattenimento a risultare inadeguati, quanto la modalità feticistica e parziale, assai poco storico-archeologica, di analizzare i manufatti esposti con un continuo e ossessivo rimando alle similitudini con usi e costumi della contemporaneità, collocandoli in rendering virtuali senza mai mostrare i luoghi allo stato attuale.

pompeii-summary_2498247bQuel che infine appare più grave è il modo con cui gli organizzatori dell’operazione tengono conto dei naturali responsabili della tutela del patrimonio di Pompei ed Ercolano, ricordiamolo, tra i 49 siti Unesco italiani. Si parla dei “good friends” di Napoli e della loro “grande generosità nel prestare” pezzi rarissimi, senza mai dire esplicitamente dove questi siano conservati, né quando e da chi sono stati scoperti, informazioni reperibili in un recondito link del sito del museo dedicato all’operazione. Infine, alla domanda: “quanto c’è da scavare ancora a Pompei e Ercolano?” la prudente risposta di lasciare sepolto quel molto che è ancora sotto terra, prediligendo piuttosto la conservazione e lo studio dell’esistente, giunge solamente dalla voce di coloro che non hanno ufficialmente l’autorità per affermarlo.

Pompei-Live-Mon-17th-June_-165Lo spettatore italiano, e quello del resto del mondo, esce dalla proiezione sbalordito dallo spettacolo, ma con la deprimente percezione che il British Museum riesce a fare ciò che gli archeologi e i sovrintendenti italiani, pressoché ignorati, vittime della scarsa consapevolezza e dotati di mezzi modestissimi, non riusciranno mai a fare, perché non in grado di custodire e proporre con altrettanta spettacolarità le bellezze di Pompei ed Ercolano. La divulgazione storico-archeologica sarebbe necessaria e benvenuta come le mostre scientifiche, se non scivolassero nella superficiale riproposizione in stile pop della storia quotidiana di Pompei decontestualizzata, utile evidentemente a ridare smalto alla Goldman Sachs, che ha tutto da guadagnare dietro al paravento pompeiano, con l’avallo del British Museum.

Come non pensare, anche da questi segnali, che probabilmente siamo prossimi al commissariamento culturale dell’Italia, oltre a quello economico?        
T. Cas. (01/12/2013)

Fonti delle immagini:
Calco pompeiano di uomo in fuga:
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/fotogallery/2010/03/calchi/calchi_fotogallery-1602596791256.shtml#8
Immagini di Pompei:
http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2010/12/16/pompei_crolli_torre_annunziata_indagati.html
Immagini del documentario:
http://it.cinema.yahoo.com/blog/multisala/pompei-evento-cinematografico-british-museum-cinema-102900395.html
http://www.agi.it/spettacolo/notizie/201310302342-spe-rt10359-pompei_e_ercolano_nella_ricostruzione_firmata_british_museum
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2013/26-marzo-2013/londra-si-accorge-ercolano-pompeiprima-mostra-british-museum-212352742691.shtml
Vignette Goldman Sachs:
http://www.nocensura.com/2012/06/goldman-sachs-tristi-sacerdoti-del-dio.html#
https://abrelosojosnoamatrix.wordpress.com/2013/04/