di Andrea Dusio
Il sospetto circolava da tre anni. Esisteva una centrale di produzione di dipinti che falsificavano lo stile di alcuni grandi maestri del passato: Cranach, Orazio Gentileschi, Parmigianino, El Greco e altri. Il caso, emerso dalle indagini diagnostiche svolte in un laboratorio americano, ha prodotto in Francia un'indagine che, ripercorrendo a ritroso il percorso dei quadri, dai compratori alle case d'asta e da queste ai mercanti che li avevano ceduti, è arrivata in Emilia, a Reggio, con il clamoroso arresto del pittore Lino Frongia, nella giornata dell'11 settembre, a fronte di un mandato europeo, per i capi d'imputazione di truffa, riciclaggio e contraffazione di opere d'arte, e contestualmente di altri due reggiani, Mathieu Ruffini e il padre Giuliano, molto conosciuti nell'ambiente dell'arte e in particolare dai frequentatori del segmento commerciale Old Master.

Quando nel 2016 la stampa britannica, con riferimento all'avversario di Sherlock Holmes, cominciò a parlare di un “Moriarty dell'arte antica”, i contorni dello scandalo non erano ancora ben definiti. Presto però si è capito che erano non meno di 25 dipinti indiziati di essere dei falsi prodotti con straordinaria abilità, tanto da ingannare gli esperti delle maggiori case d'asta. Sotheby's nell'autunno di quell'anno si vide infatti costretta a restituire a un privato collezionista 10 milioni di euro, come compensazione dell'acquisto di un quadro attribuito a Franz Hals: si trattava di un ritratto maschile, non documentato in precedenza e assente dalla letteratura scientifica. Ma nella sede newyorchese della multinazionale britannica leader tra i broker di arte antica avevano accettato l'opera con entusiasmo, riconoscendola come un autografo del maestro olandese. Il quadro era apparso sul mercato per la prima volta nel 2008, allorché Giuliano Ruffini, francese di origine italiana, lo aveva portato a periziare alla filiale di Christie's di Parigi, affermando di averlo acquistato da un commerciante iberico. Christie's decise di inviarlo alla propria sede londinese per esaminarlo con maggior attenzione, ma la licenza per l'esportazione doveva essere ratificata dal Louvre. Blaise Ducos, curatore della sezione dedicata agli artisti fiamminghi e olandesi, decise però di dichiarare immediatamente il dipinto tesoro nazionale, impedendone l'espatrio, alla luce di una campagna diagnostica che aveva previsto raggi x, infrarossi e ultravioletti. Il Louvre avanzò dunque una richiesta d'acquisto per 5 milioni di dollari. Lo Stato francese non riuscì a reperire le risorse per finalizzare l'operazione, e l'opera tornò sul mercato, forte anche del parere positivo di Quentin Buvelot, curatore della Mauritshuis di Den Haag, probabilmente la maggiore autorità in materia se si parla di pittura olandese del Seicento: “È eseguito con tanta raffinatezza e capacità tecnica che la gran parte dei connoisseurs ha creduto che il dipinto fosse del maestro stesso”, ebbe a dire Buvelot quando cominciò a circolare l'ipotesi che si trattasse di un falso. Intanto nel 2010 l'opera, tornata sul mercato, venne comperata per 3 milioni di dollari dal gallerista londinese Mark Weiss, confortato anche dal parere di Claus Grimm, esperto di Hals, che attribuì il ritratto non a Frans ma al figlio Peter. “Mi sembrava che l’autore fosse un imitatore, ma non avevo elementi sufficienti per avanzare una proposta alternativa”, affermò in seguito Grimm. Nel 2011 l’opera è passata poi nella collezione di Richard Hedreen, a Seattle, con l’intermediazione di Sotheby’s, per la cifra sopra citata di 10 milioni di dollari.

Lo scandalo è scoppiato quando, nel marzo del 2016, la Gendarmerie ha sequestrato un dipinto riferito a Lucas Cranach il Vecchio, in mostra al Caumont Centre d'Art di Aix-en-Provence. Si trattava di una “Venere col velo” entrata recentemente nelle collezioni dei principi di Liechtenstein, dopo essere stata acquistata per 7 milioni di dollari dalla Colnaghi Art Gallery di Londra. Dopo un confronto con “Le Grazie” del Louvre gli inquirenti hanno visto rafforzato il dubbio che si trattasse di un falso, e hanno voluto ricostruire i passaggi di proprietà del dipinto. È così emerso che era stato ceduto a Colnaghi da Ruffini. Un giornalista francese, Vincent Nose, ha provato a ricostruire il gruppo di opere cedute dal collezionista italo-francese: l'elenco comprende il ritratto di Hals, un “Davide con la testa di Golia” ritenuto autografo di Orazio Gentileschi, anche lui venduto a Weiss. E poi un “San Gerolamo” della scuola del Parmigianino e un ritratto del Cardinal Borgia della cerchia di Velazquez.

Allarmata da quanto emerso, Sotheby's ha voluto svolgere accertamenti più approfonditi sul quadro venduto al collezionista di Seattle. Attraverso la Orion Analytical, una tecnologia perfezionata in un laboratorio del Massachusetts da James Martin negli Anni Novanta, sì è scoperto che la tela contiene materiali utilizzati solo a partire dal XX secolo. L'opera è stata declassata a “contraffazione moderna” e il compratore interamente rimborsato (per qualcuno troppo velocemente, e su questo oggi esisterebbe una causa legale tra casa d'asta e un fondo d'investimento).

Nel frattempo le autorità francesi hanno prima interrogato Ruffini e il figlio, facendo poi scattare una segnalazione alla Procura di Reggio Emilia. L'abitazione degli indagati è stata perquisita a seguito da parte dell'apertura di un fascicolo da parte del pm Giacomo Forte. Nell'operazione sono state sequestrate e avviate ad accertamenti diagnostici una “Testa di Cristo” di Andrea Solario e una “Scena carnevalesca” dell'ambiente di Bruegel. Il provvedimento è stato però impugnato dai legali Gaetano Pecorella e Federico De Belvis, che hanno ottenuto il dissequestro delle opere.

La stampa italiana ha sistematicamente ignorato la notizia, anche quando le testate specializzate del mondo anglosassone hanno cominciato a riportare l'ipotesi che nel Nord Italia, e segnatamente in Emilia, esistesse una qualche fucina da cui questi falsi per molti versi strabilianti, in grado di ingannare i massimi esperti di musei e case d'asta, venivano sfornati in serie, con il silenzio e la compiacenza probabile di più di un esperto. Chi scrive ricorda di aver dedicato al caso una doppia pagina sul settimanale “Pagina 99”, titolata “è italiano il falsario che ha beffato il Louvre?” e accolta da un assordante silenzio. Intanto il legale parigino di Ruffini lavorava al tentativo di scagionare Ruffini, spiegando che il suo cliente, dopo aver consultato professionisti, art dealer e periti, non aveva alcuna ragione di ritenere falsi i dipinti entrati in suo possesso. Emblematico in tal senso l'esempio dell'opera attribuita a Gentileschi, ripresa da un olio su tela con identica iconografia. Si tratta di rarissimo dipinto su pietra. La tecnica avrebbe indotto il collezionista a ritenerlo del XVIII o XIX secolo. Però Mina Gregori, Roberto Contini e Francesco Solinas avevano esaminato l'opera, senza smentire l'attribuzione. Anche il Cranach era a suo modo raro, perché realizzato su tavola di quercia, quando il pittore tedesco prediligeva un altro legno, il tiglio. E mentre gli inquirenti cercavano nelle campagne reggiane il forno utilizzato per anticare le opere, il caso sembrava destinato a uscire dalle cronache. Per riemergere prepotentemente ora, con l'arresto di un artista molto conosciuto come Frongia, che è stato interrogato a Bologna e poi subito rilasciato. È stato lo stesso pittore a costituirsi. Scarcerato dalla corte d’appello, ora dovrà attendere l’udienza per l’estradizione in Francia. Giuliano Ruffini invece era stato arrestato a sua volta a giugno, ed è poi stato scarcerato, ma l'11 ottobre lo aspetta l'udienza in cui le autorità francesi dovranno produrre le prove dei reati contestati. Il figlio Mathieu a oggi è indagato a piede libro.

Le imputazioni riguarderebbero fatti che cominciano nel lontano 1985, e si spingono sino al sequestro da parte della GdF di un San Francesco attribuito a El Greco a Treviso, nel contesto della mostra monografica a Ca' dei Ferraresi. Il dipinto apparteneva a Frongia. Il giro d'affari legato alla vendita dei dipinti ora riconosciuti come falsi si aggirerebbe intorno ai 255 milioni di dollari.

Ricordiamo che Frongia non è nuovo a essere chiamato in causa in merito a dipinti antichi e al sospetto di una loro contraffazione. Nel 2008, in occasione della mostra del Correggio alla Galleria Nazionale di Parma, Vittorio Sgarbi affermò di aver visto il “Volto di Cristo” esposto come autografo del maestro emiliano proprio nello studio di Frongia, salvo poi ribadirne l'autenticità. Era stato Ruffini a vendere l'opera alla Fondazione Correggio. Frongia negò di aver realizzato il dipinto, pur ammettendo di aver prodotto alcuni quadri nella maniera di alcuni grandi artisti del passato, tra cui un Cristo di impaginazione differente che riecheggiava lo stile del Correggio. Sgarbi allora parlò di lui come “Il più grande tra gli antichi maestri viventi”. 
settembre 2019