Giovanni Cardone Maggio 2022
In questa mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Roberto Sanchez apro il mio Saggio dicendo: Se da un lato il Futurismo si sviluppa e si consolida attorno alle scelte e alla volontà di Marinetti, forse il poeta non eccelso ma grande organizzatore puntando sugli aspetti razionalistici e diurni della vita, dall’altro la pittura metafisica tende a esplorare i recessi notturni e reconditi ed interiori della psiche umana. Il Futurismo guarda soprattutto alle masse, alla collettività, la pittura metafisica è introspettiva, è la “compagna del sé”, pone domande essenziali mai prima formulate, estranee tanto ai futuristi quanto ai cubisti. Questi furono gli intenti dichiarati all’inizio del Manifesto: “Il futurismo pittorico si è svolto quale superamento dell’impressionismo, dinamismo plastico e plasmazione dell’atmosfera, compenetrazione di piani e stati d’animo. Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione”.
Il parolibero Marinetti disse con entusiasmo: “L’arte, prima di noi, fu ricordo, rievocazione angosciosa di un Oggetto perduto (felicità, amore, paesaggio) perciò nostalgia, statica, dolore, lontananza. Col Futurismo invece, l’arte diventa arte – azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, realtà brutale nell’arte, splendore geometrico delle forze, proiezione in avanti. Dunque l’arte diventa presenza, nuovo oggetto, nuova realtà creata cogli elementi astratti dell’universo. Le mani dell’artista passatista soffrivano per l’Oggetto perduto; le nostre mani spasimavano per un nuovo Oggetto da creare”. “Le invenzioni contenute in questo manifesto sono creazioni assolute, integralmente generate dal Futurismo italiano. Nessun artista di Francia, di Russia, d’Inghilterra o di Germania intuì prima di noi qualche cosa di simile o di analogo. Soltanto il genio italiano, cioè il genio più costruttore e più architetto, poteva intuire il complesso plastico astratto. Con questo, il Futurismo ha determinato il suo stile, che dominerà inevitabilmente su molti secoli di sensibilità”. Nel 1917 Balla sperimenta una serie di scomposizioni della natura in chiave puramente teosofica (Trasformazioni Forme e Spirito). Nel 1918, alla galleria di Anton Giulio Bragaglia, espone, tra le altre opere dedicate all’intervento in guerra, il Complesso plastico pubblicato nel manifesto del 1915 accanto a sedici dipinti dedicati alle ‘forze di paesaggio’ unite a diverse sensazioni. Accanto a queste ricerche, lo studio della natura trionfa nei motivi delle Stagioni: dalla fluidità, morbidezza o espansione della primavera, alle punte d’estate al drammatico dissolvimento autunnale; sono lavori sperimentali volti a quella particolare ricerca astratta del tutto europea ma al tempo stesso lontana e nuova rispetto alle contemporanee ricerche astratte dei pittori in voga in questi anni sicuramente conosciuti da Balla (come Kandinskij e Arp, Léger e Larionov, Mondrian e Gon?arova). Periodo, dunque, questo di Balla del tutto internazionale che viene a chiudersi col viaggio a Parigi nel 1925 per la “Exposition des Arts Decoratifs et Industri els Modernes”, particolarmente importante perché segna l’inizio dello stile Art Déco. Il Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, l’11 marzo del 1915. Insieme a Fortunato Depero, Balla firma il manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo che rappresenta una delle tappe più significative nell’evoluzione dell’estetica futurista. Con questo manifesto trova una completa maturazione la volontà del Futurismo di ridefinire ogni campo artistico secondo le sue teorie e di rifondare le forme stesse del mondo esterno fino a coinvolgere anche gli oggetti e gli ambienti della vita quotidiana.
Questo principio artistico non costituisce una novità storica, infatti è già principio fondamentale della poetica dello Jugendstil, ma mentre in quel caso si fa riferimento a un’idea d’arte come valore assoluto, ora le finalità sono del tutto diverse: per il Futurismo l’arte non è più fine a se stessa e non ha come obiettivo la pura esperienza estetica ma diviene uno strumento per affermare una diversa concezione della vita e un suo rinnovamento, nel quale predomina un intento di trasformazione culturale verso l’idea che il Futurismo ha della modernità. La più importante innovazione proclamata dal manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo è la proposta di estendere l’estetica futurista a tutti gli aspetti della vita quotidiana. I campi della ricerca sembrano illimitati: arredo, oggettistica, scenografia, moda, editoria, grafica pubblicitaria: nulla sembra essere estraneo alla sensibilità dei due artisti. I futuristi imposero il loro segno distintivo fin dalle prime celebri ‘serate’, durante le quali gli artisti-autori-declamatori indossavano abiti da loro stessi disegnati e maschere che suggerivano la robotizzazione e meccanizzazione dell’uomo. Una delle strade maestre percorse dall’avanguardia è stata il perseguimento di una sintesi delle arti che, conducendo a un progressivo assottigliamento dei confini di competenza fra pittura, scultura, architettura, musica, teatro, danza, letteratura, almeno nel senso della ricerca di un principio compositivo e strutturale (anzi costruttivo) comune, ha anche tentato di ricucire lo strappo ottocentesco fra arte e vita, infrangendo le tradizionali barriere tra spazio virtuale dell’opera d’arte e spazio reale dell’uomo, tra sfera estetica e sfera fenomenologica. La ricerca di questa sintesi, in pittura, si è così frequentemente espressa attraverso l’uso di una figura retorica quale la sinestesia, come restituzione di una globalità di percezioni sensoriali diverse e simultanee, percezioni tuttavia sempre coordinate dalla facoltà superiore della visione, intesa come facoltà conoscitiva in grado di compiere un’operazione di sintesi e di ricognizione appercettiva. Viene così ribadito il primato dell’occhio, della vista e della visione, che può anche giungere a ribaltarsi da frastuono percettivo in silenzio meditativo, in visione interiore e ciò sembra costituirsi come tendenza estrema e radicale dell’astrazione in manifestazione del sublime. Tale primato del resto pervade la teoria dell’arte e l’estetica tra la scorcio del secolo XIX e l’inizio del XX, con l’affermazione del pensiero purovisibilista di Konrad Fiedler e della contrapposizione tra valori tattili e valori ottici da parte di Alois Riegl.
Proprio secondo Fiedler la visione “è una facoltà conoscitiva e creatrice di forme (visive), operante nell’attività artistica in modo assolutamente indipendente sia dall’intelletto, creatore di forme concettuali, sia dal sentimento e dalla sensazione; indipendente quindi anche dalle concezioni filosofiche, scientifiche, religiose”. L’astrazione, come processo mentale caratterizzante il XX secolo in tutte le sue manifestazioni, dall’arte e dalla filosofia alle scienze, incarna questa possibilità di ricondurre il reale a una visione sintetica e globale, a una struttura combinatoria di elementi costanti che danno luogo a un modello rappresentativo di tutti gli accidenti possibili, espressione di un neoplatonico mondo delle idee e paradigma ordinatore delle apparenze: è la ricerca dell’assoluto nell’epoca della relatività. Il concetto di astrazione (da abstrahere, cioè staccare, separare, rimuovere) implica l’operazione di individuare ed estrarre alcuni elementi, ma anche il necessario “distacco” del soggetto nei confronti dell’oggetto (natura). Solo tale distacco può dar luogo a una sintesi della visione dopo l’analisi della percezione, coincidendo in parte questo processo con il polo cui Wilhelm Worringer, nella sua teoria estetica, ha opposto quello dell’empatia. Proprio per Worringer che ha in mente l’arte ornamentale l’astrazione si costituisce come tendenza sovrastorica riscontrabile in diverse epoche; e nell’arte moderna tale processo, in misura maggiore o minore, è frequentemente verificabile in nuce anche nelle poetiche naturalistiche, almeno a partire dall’impressionismo, mentre è alla base di quelle tendenze che, scomponendo le strutture narrative e le catene sintagmatiche, isolano o decontestualizzano singoli oggetti, figure e immagini, quali la pittura metafisica o il surrealismo, oltre che, naturalmente, dell’astrattismo vero e proprio. L’impulso all’astrazione sembra scaturire dalla necessità di approdare a una struttura assoluta e regolatrice del reale, a un modello rappresentativo e non imitativo, dove “l’elemento primario non è il modello naturale, bensì la legge che da esso si astrae”. Visione, come facoltà conoscitiva e intuitiva, e astrazione, come operazione mentale e razionale, muovendo da una Anschauung der Welt (immagine ‘visiva’ del mondo) attraverso un rinnovato Weltgefühl (sentimento del mondo), approderanno nella cultura del Novecento a una radicale Weltanschauung (visione del mondo): già la scienza positivista ad esempio, recuperata da alcune avanguardie artistiche come il futurismo e principalmente da Giacomo Balla, elabora la nozione astratta di ‘tempo spazializzato’, inteso cioè come successione di attimi e facendo incarnare un’entità invisibile come il tempo in porzioni di spazio; Henri Bergson, che rifiuta tale modello rappresentativo, riconduce il tempo al concetto di ‘durata’, il tempo cioè concretamente vissuto dalla coscienza e che la memoria (con il suo bagaglio di immagini) dilata oltre il presente della percezione; Arnold Schönberg, nella sua teoria musicale dodecafonica, tenta utopicamente di realizzare un’inversione del tempo (come fotogrammi proiettati a ritroso) attraverso la serie per moto retrogrado, inversione affidata in realtà più alla percezione visiva della grafia musicale che all’ascolto; Ferdinand de Saussure, nel suo procedimento di astrazione volto a delineare un modello rappresentativo del linguaggio, definisce il significante (usando tra l’altro una sinestesia) come “immagine acustica”.
Ho sempre amato incontrate gli artisti nel proprio studio è quello che ho fatto anche con Roberto Sanchez essendo uno studioso del futurismo e dell’astrattismo- geometrico sono rimasto rapito dalla sua arte, egli rappresenta in toto l’esistenza e i suoi significati più profondi. Certamente posso dire che la pittura di Roberto Sanchez si avvicina al linguaggio futurista di Giacomo Balla e in particolar lo si evidenzia dal gesto, dalla forma e dallo spazio e dalla scomposizione delle opere che segnano e dividono lo spazio ed aprono per alcuni aspetti a pennellate irregolari e dinamiche . A queste s’intervallano linee sottili costitutive di minimi tracciati poliritmici, penetranti somatizzazioni che registrano la vigorosa rapidità con cui Roberto Sanchez imprime sulla tela la propria indelebile organizzazione astratto- geometrica. La sua pittura sostiene equilibrismi accumulativi ed esercizi di gesto che smembrano la materia colorata con nitida soggettività, frugando il reale e nel contempo scavando animosamente dentro l’inconscio che in automatico produce una tensione moto-emotiva totalizzante, la quale filtra per poi implodere senza leggiadrie superficiali sulla tela, all’interno di movimentazioni cromaticamente disgiuntive-congiuntive. Roberto Sanchez è tenace, non ammette remore nella manifestazione di un “sé” stretto tra visioni e forza interiore; “sé” interloquente con il cosmo ad esso esterno, affidato ad un contatto diretto-autonomo con la pittura e con gli impasti che annullano qualunque ipotesi d’organicità cromatica poiché a questa preferiscono l’azione di un’imprimitura individuale, passibile di forte spiritualizzazione. Un’imprimitura che non lascia fluire accademicamente il colore, ma al contrario porta alla creazione di eccellenti frizioni abrasive, taglienti e spigolose, appassionate come le sfrontate voluttà incisorie dalla classica linearità segnico-direzionale. La capacità di concepire e costruire tramite strumenti “classici” (pennello, colore, tela) appare particolarmente significativa in una pratica processuale che si spinge oltre la generica categorizzazione astratto -geometrico frammento su frammento, le sovrapposizioni cromatiche distribuite da Roberto Sanchez acquisiscono lo status di caratteriali strutturazioni prospettiche, piani intrecciati dove torna puntuale l’azione coprente-velante-sovrastante delle differenti pigmentazioni. La pittura di Roberto Sanchez si distingue anche per il rigore e l'equilibrio formale delle composizioni geometriche e delle ampie campiture che evidenziavano una tavolozza dai toni tenui, e una ricerca di armonia basata su un gioco di pesi e contrappesi, di cui la chiave di volta era, in sostanza, la ubriacante reiterazione e il reciproco bilanciamento di tasselli cromatici dello stesso colore e di forme geometriche simili, anche se sempre, leggermente, sottilmente diverse, le armoniche composizioni di Sanchez si frammentano le forme si frantumano, si addensano in formazioni più complesse e articolate. Spicca energico il colore che sovrasta e avvolge, mettendo in scena un dinamismo de-compositivo di un raziocinio ciclico e indipendente.