Giovanni Cardone Giugno 2022
Fino all’11 Settembre 2022 si potrà ammirare al MANN- Museo Archeologico Nazionale di Napoli la mostra Sardegna Isola Megalitica è curata da Federica Doria, Stefano Giuliani, Elisabetta Grassi, Manuela Puddu e Maria Letizia Pulcini, con il coordinamento di Bruno Billeci e Francesco Muscolino. Nel comitato scientifico figurano Manfred Nawroth, Yuri Piotrovsky, Angeliki Koukouvou e Paolo Giulierini. L’esposizione è promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, con il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, la Direzione Regionale Musei della Sardegna e, per la tappa partenopea, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, l’evento ha ottenuto il Patrocinio del MAECI e del MIC e si avvale della collaborazione della Fondazione di Sardegna e del coordinamento generale di Villaggio Globale International. La mostra, che ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, rientra nel progetto di Heritage Tourism finanziato dall’Unione Europea con i fondi POR FESR SARDEGNA 2014/2020 (Azione 6.8.3). La tappa napoletana di “Sardegna Isola Megalitica” è organizzata in collaborazione con Regione Campania e Comune di Napoli. Intesa Sanpaolo è partner della mostra al MANN. Il coordinamento della mostra al Museo è di Laura Forte -Funzionario archeologo del MANN, le simmetrie con la Sezione Preistoria e Protostoria sono valorizzate a cura di Giovanni Vastano -Funzionario archeologo del MANN. Il focus su Ettore Pais è di Andrea Milanese -Funzionario storico dell’arte del MANN. L’allestimento della mostra nel Salone della Meridiana è di Andrea Mandara con Claudia Pescatori e, per la parte grafica, di Francesca Pavese.
L’architetto Silvia Neri ha coordinato l’allestimento di Nuragica e del corner dedicato a Barumini. In mostra figurano anche fotografie e filmati di Nicola Castangia e Maurizio Cossu -Associazione Archeofoto Sardegna che, con le loro gigantografie, raccontano la bellezza dei siti archeologici dell’isola. La mostra “Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo” giunge al MANN, unica tappa italiana, dopo il successo riscosso presso tre prestigiosi istituti: il Museo Nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino, il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e il Museo Archeologico Nazionale di Salonicco, vuole rivelare al pubblico storie suggestive, testimonianze materiali, civiltà affascinanti, per molti versi ancora tutte da scoprire. Il percorso racconta le antichissime culture megalitiche della Sardegna, tra cui anche quella nuragica, accende i riflettori sulle sepolture delle “domus de janas”, di epoca neolitica ed eneolitica, e sulle iconiche riproduzioni statuarie di “dee madri”, talvolta veri e propri capolavori artistici. Focus, ancora, sulle incredibili architetture dei nuraghi, che hanno caratterizzato l’Età del Bronzo nell’isola, sulle cosiddette “tombe di giganti” e sui contatti, a volte imprevedibili, tra civiltà soltanto geograficamente lontane. Tra i quasi duecento reperti esposti, provenienti dai Musei Archeologici Nazionali di Cagliari, Nuoro e Sassari, vi sono i famosi bronzetti nuragici raffiguranti donne, uomini, guerrieri e animali; spade votive; modellini di edifici e navi; monili e vasellame. L’esposizione è arricchita da ricostruzioni e approfondimenti grafici e multimediali per contestualizzare lo straordinario patrimonio megalitico dell’isola. Eccezionale prestito in mostra è una delle celebri sculture in pietra dei Guerrieri di Mont’e Prama, sulla cui datazione vi è ancora ampio dibattito tra gli studiosi. Grazie al Ministero della Cultura italiano e alla direzione del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il capolavoro, mai prestato sinora, è ambasciatore di un messaggio di continuità tra le antichissime culture mediterranee.
Una presenza particolarmente significativa, in un momento in cui le recenti scoperte archeologiche trasmettono la perenne attualità del nostro passato. Come dichiara il Presidente della Regione Sardegna Christian Solinas : “Con la quarta tappa, al MANN di Napoli si conclude l’itinerario della mostra internazionale “Sardegna Isola Megalitica”. Un’iniziativa che fa parte di un intenso percorso intrapreso dalla Regione per valorizzare il patrimonio archeologico sardo, parte considerevole di quello nazionale. Stiamo puntando a rilanciare l’Isola, anche grazie ad investimenti per nuovi modelli di sviluppo: la cultura, e quindi il turismo culturale, rappresenta uno scenario possibile, nel quale crediamo fortemente. Infatti, la valorizzazione della nostra storia, della nostra identità e delle nostra cultura sono strumenti fondamentali di sviluppo e promozione. Nella mostra, ospitata in quattro importanti musei europei, la civiltà nuragica, troppo spesso sottovalutata e trascurata, è stata la protagonista: la Sardegna può contare su circa 7.000 nuraghi che offrono un’opportunità di rilancio della nostra offerta culturale anche sul mercato internazionale, non solo come punto di riferimento per studiosi, ma anche per appassionati e turisti”. Cinque querce accolgono i visitatori nell’Atrio del MANN: non a caso sono delle piante, tipiche della Sardegna, a sottolineare le radici comuni tra culture diverse. Il parallelismo della botanica, suggerito anche dall’allestimento di aromi tipici isolani (il mirto regna sovrano) nelle aiuole dei giardini del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, apre la strada alle suggestioni culturali.
Come dichiara il Direttore del MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli Paolo Giulierini: “Abbiamo tutti abbastanza presente la classica suddivisione della storia della Sardegna: la fase prenuragica e quella dei nuraghi e delle tombe dei giganti; il successivo periodo in cui si concentra la produzione di raffinati bronzetti nuragici, forse la più rappresentativa espressione dell’ethnos sardo, e il successivo arrivo dei Fenici e dei Cartaginesi che perfezionano nell’isola il modello dei centri urbani; la romanizzazione finale, a prezzo anche di gravi episodi di violenza da parte dell’Urbe e di una scarsa integrazione delle popolazioni dell’interno. Nel corso di studi consolidati nel tempo e di una bella mostra intitolata “Le Civiltà e il Mediterraneo”, alla quale anche il MANN ha partecipato, si è anche chiarito la posizione baricentrica della Sardegna per tutti coloro che, fin dall’età del Bronzo, dovessero intraprendere rotte o scali commerciali da Oriente a Occidente: fossero essi mercanti Micenei, Fenici, Ciprioti e, più tardi, Cartaginesi o Etruschi, avidi soprattutto di metalli. Forse è meno chiaro al grande pubblico come, nel corso di molti millenni, il popolo sardo si riplasmi di continuo, assorbendo i nuovi arrivati e rielaborando, talora attivamente, talora in forma coercitiva, ulteriori stimoli culturali. L’idea di formazione del popolo etrusco, rispetto ai rigidi criteri della provenienza in blocco di un popolo da una sola area geografica, sviluppata da Massimo Pallottino, potrebbe in effetti tranquillamente allargarsi ai Sardi ma, a ben vedere, un po’ a tutti i popoli dell’Italia antica. Basti pensare alla stessa Campania che vede, dopo sporadiche incursioni micenee nell’età del Bronzo che avviano connessioni con le popolazioni locali, un arrivo massiccio, a partire dal IX secolo a.C., di Greci lungo le coste, Etruschi, Campani e altri popoli italici in molti centri dell’interno. E, a ben guardare, anche le stesse cornici geografiche, pur determinando con i fiumi, le fonti, le risorse naturali in genere o le conformazioni geologiche alcune caratteristiche di base degli insediamenti, mutano in parte e vengono riplasmate da questo infinito numero di uomini e donne che, conoscendosi, incrociandosi, talora combattendosi, formano quegli ethnoi che, pur se costretti a parlare nel tempo la lingua dei nuovi padroni, in realtà conservano “sotto traccia” caratteristiche definite fino ai giorni nostri. Andare alla scoperta dei mattoncini di questo DNA culturale è, credo, la cosa più stimolante che possa fare una mostra. È per questo che abbiamo voluto collaborare, grazie all’impegno e al coordinamento di Villaggio Globale International, storico partner del MANN, alla mostra i “Sardegna Isola Megalitica” insieme alla Regione Sardegna, il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e gli altri musei dell’isola, il Museo Nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino, Il Museo Archeologico Nazionale di Salonicco, il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, con il quale il MANN ha realizzato mostre straordinarie del calibro di “Canova e l’Antico”, “I Longobardi”, “Pompei: Dei, Uomini ed Eroi”. Perché la valorizzazione dei Nuragici è, in ultima analisi, un esempio di metodo scientifico che dimostra come il Mediterraneo sia stato, nel tempo, una madre sempre accogliente, disponibile ad accogliere “figli” spesso litigiosi ma per i quali si è sempre trovato un equilibrio di convivenza; una madre che ha insegnato che la pluralità genera progresso e sviluppo, l’isolamento solo arretratezza. C’è un bel motto che è stato adottato da Procida capitale italiana della Cultura 2022, per il quale il nostro Istituto è altresì impegnato: “la cultura non isola”. Questa mostra va proprio in questo senso e permette non solo una riflessione sul rapporto tra i popoli antichi ma offre ricchi spunti di dialogo anche a noi contemporanei: dai soggetti organizzatori a tutti coloro che verranno a vedere gli straordinari reperti. Il MANN ha voluto, non a caso, allestire l’esposizione accanto alla sezione della Preistoria e dell’età del Bronzo della Campania, proprio per permettere anche una visione in parallelo, per gli stessi periodi, della storia delle due regioni. E, per non far dimenticare quello straordinario museo a cielo aperto che è la Sardegna, con centinaia di torri che precorrono di oltre 2000 anni i castelli medievali, immersi in un paesaggio mozzafiato, dove regnano sovrani la quercia e il mirto, ha anche voluto allestire, nei giardini, dei riferimenti a questo mondo tramite ricostruzioni architettoniche e paleobotaniche. Per ritrovare la nostra storia, il nostro essere uomini del Mediterraneo, occorrerà abbandonare per un po’ le acque cristalline solcate spesso da grandi Yacht e puntare sui paesaggi dell’entrotera: all’improvviso, vedendo quelle antiche pietre, che ancora dominano i rilievi, ci troveremo proiettati in una dimensione temporale ancestrale e potremo ascoltare, quasi per magia, antichi suoni, voci e aromi. Quelle genti passate sono ancora lì, di vedetta, che ci aspettano e ci interrogano. In realtà abitano in noi, ma siamo troppo presi dalla nostra frenesia per ascoltarli. E, allora, la Sardegna dei nuraghi, quella vera, ci può aiutare anche a ritrovare noi stessi.”
La mostra, giunta a Napoli, si arricchisce su iniziativa del MANN di approfondimenti ed eventi collaterali, che aprono, come nella linea del Museo partenopeo, all’incrocio dei linguaggi. Innanzitutto, come nelle tappe all’estero di “Sardegna Isola Megalitica”, anche al Museo Archeologico Nazionale di Napoli l’esposizione dialoga con le collezioni permanenti dell’Istituto: in questo caso le simmetrie sono stabilite, naturalmente, con la Sezione Preistoria e Protostoria del MANN. Nella sala CXXVII (127), in particolare, sono posti in risalto, tramite una grafica ad hoc, gli oggetti nuragici presenti nei corredi funerari delle cosiddette Tombe Osta 4 e Osta 36 da Cuma prima metà VIII sec. a.C.. I reperti sono forse giunti in Campania tramite “intermediazione” villanoviana: tra l’età del Bronzo finale e la prima età del Ferro, infatti, vi era una consolidata circolazione di cose e persone tra i centri dell’Etruria costiera e la Sardegna. La scoperta delle tombe Osta il nome è derivato da Ernesto Osta, che condusse nella necropoli di Cuma lo scavo di 36 tombe a fossa della prima Età del Ferro avvenne durante il breve periodo di tempo in cui l’accademico piemontese Ettore Pais ricoprì il ruolo di direttore del Museo Nazionale di Napoli dal 1901 al 1904. Pais, che ha segnato la storia della museografia sarda ha fondato il Museo archeologico dell’Università di Sassari e diretto il Museo di antichità di Cagliari, cercò di arginare il fenomeno degli scavi clandestini nella necropoli cumana, concedendo licenze di scavo a privati, tra cui proprio Ernesto Osta, per ricondurne l’azione sotto il controllo dello Stato. In mostra, dunque, è presente un approfondimento dedicato allo studioso che, nella sua intensa attività di ricerca, ha approfondito la storia e la cultura della Sardegna prima e dopo la conquista da parte dei Romani. In esposizione, ancora, grazie alla collaborazione con la Direzione regionale Musei della Campania, un’interessante sezione sui materiali nuragici rinvenuti nella nostra Regione: si tratta di quattro bottoni, un pendaglio a triplice spirale e una cesta biconica miniaturistica, concessi in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano e ritrovati in contesti dell’Età del Ferro. Dall’archeologia ai nuovi linguaggi della comunicazione a corredo della mostra “Sardegna Isola Megalitica”, i visitatori possono anche immergersi nel percorso di “NURAGICA”, originale format multisensoriale che ha avuto grande successo in Sardegna.
Negli ambienti limitrofi al Salone della Meridiana, l’experience proposta al pubblico ha due declinazioni. In primis, il percorso con le riproduzioni in scala 1:1 di una serie di monumenti: la tomba dei giganti; i nuraghi in sezione- una fonte sacra la capanna delle riunioni il complesso scultoreo di Mont’e Prama. In allestimento, ancora, prevista la ricostruzione degli attrezzi di alcune botteghe metallurgiche e la presentazione della mappa con le principali rotte di navigazione mediterranea da e verso la Sardegna. Il secondo segmento di NURAGICA è la stanza della realtà virtuale: i visitatori, indossando particolari visori, riescono a vivere la sensazione di camminare in un antichissimo insediamento megalitico. “La Sardegna custodisce i segreti di una storia grandiosa”, spiegano i curatori Paolo Alberto Pinna e Maria Carmela Solinas della Sardinia Experience, la cooperativa ideatrice e produttrice del format. “Con Nuragica è possibile averne per la prima volta una visione d’insieme e allo stesso tempo andar via emozionati e incentivati a visitare i luoghi dell’isola narrati lungo il percorso”. Il focus sulla Sardegna consente anche di valorizzare il legame con la Fondazione Barumini, che, dall’agosto 2021, ospita percorsi realizzati anche con reperti del MANN: tra questi, l’esposizione sugli Etruschi inaugurata lo scorso maggio. In occasione di “Sardegna Isola Megalitica”, la Fondazione Barumini presenta in allestimento un modello del nuraghe ‘Su Nuraxi’, riconosciuto patrimonio dell’Umanità Unesco nel 1997. Ancora, inseriti in allestimento alcuni manichini con vestiti tradizionali e le maschere di Ottana, “Merdules”, “Boes” e “Filonzana” le maschere sono fornite grazie alla collaborazione con l’Associazione di promozione sociale “Gruppo Boes e Merdules”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla storia della Sardegna apro il mio saggio dicendo : “La Sardegna con una superficie di 24,090 km2 è per estensione la seconda isola del Mediterraneo, geograficamente equidistante dalla penisola Italiana e dalle coste del Nord Africa. Il suo territorio, un mosaico di catene montuose, altipiani, colline e pianure, avrebbe ospitato l’uomo a partire dal Pleistocene medio, come ipotizzato in base al ritrovamento di manufatti Clactoniani, in giacitura primaria, nei siti di Sa Coa de Sa Multa e Sa Pedrosa Pantallinu (Martini, 2009). Il primo reperto scheletrico attribuibile ad Homo sapiens è una porzione di falange ritrovata in uno strato datato ~20,000 anni fa (Paleolitico Superiore) nella Grotta Corbeddu di Oliena-Nuoro .Fino a pochi anni fa si riteneva più antica la falange trovata nella Grotta Nurighe (Cheremule), temporalmente inquadrata tra 300 e 100 mila anni fa e attribuita al genere Homo. L’attribuzione al genere Homo è attendibilmente frutto di un equivoco interpretativo in quanto è stato dimostrato appartenere ad un esemplare adulto della famiglia Gypaetinae (Mallegni et al., 2011). Il popolamento della Sardegna potrebbe essere avvenuto nel Pleistocene durante i periodi glaciali, in cui la regressione marina determinò una notevole riduzione dei bracci di mare (Sanna, 2009). Durante il Pleistocene medio le fasi più adatte per il passaggio dell’uomo sarebbero da identificare con la glaciazione Mindel, circa 440-340 mila anni fa, e soprattutto con il tardo glaciale Riss (150-140 mila anni fa). Altri due periodi favorevoli sono inquadrabili nel Pleistocene superiore tra 70 e 50 mila anni fa e ~20 mila anni fa . In questa ultima fase si è registrata la massima continentalità delle aree di piattaforma e le massime regressioni marini comprese tra -130 e -100 metri. La Sardegna assieme alla Corsica rappresentava un unico blocco emerso mentre le isole dell’arcipelago toscano costituivano una penisola che distava dalla Sardegna mediamente 20 miglia e solo 5 miglia marine tra Capo Corso e l’isola di Capraia. L’arrivo di Homo sapiens potrebbe essersi verificato nel Paleolitico superiore tra 24 e 15 mila anni fa durante il periodo di massima regressione attraverso la Toscana e la Corsica che distavano tra loro solo 5 miglia marine . Durante il Mesolitico le tracce dell’uomo in Sardegna sono frammentarie . A questo periodo appartiene un altro reperto umano della Grotta Corbeddu, costituito da un mascellare ed un temporale riferibili a circa 9000 anni fa mentre la continua presenza dell’uomo è testimoniata a partire dai siti del tardo Neolitico-cultura di Ozieri .
Il Neolitico è caratterizzato da forti cambiamenti legati alla rivoluzione tecnologica, industriale e socio-economica che portarono alla comparsa dell’agricoltura e dell’allevamento, alla produzione di nuovi utensili in pietra levigata e di nuovi manufatti ceramici e alla produzione tessile a partire da fibre vegetali e animali . La neolitizzazione dell’Europa occidentale sarebbe avvenuta attraverso due correnti principali: la prima Linear Pottery Culture si interessò l’Europa centrale e da qui si spostò verso il Nord e l’Est della Valle del Reno, la seconda più strettamente Mediterranea che portò alla diffusione della corrente a ceramiche impresse nel Mediterraneo occidentale: Grecia, Italia, Francia, Spagna e Portogallo, e interessò anche la Sardegna. Ancora non è chiaro se la neolitizzazione sia da attribuire ad un processo che ha interessato principalmente un movimento culturale e solo marginalmente un flusso demografico (cultural diffusione model) o se al contrario abbia interessato un massiccio movimento di popolazione (demic diffusion model) che avrebbe avuto come conseguenza la sostituzione delle popolazioni mesolitiche. Secondo Lugliè seguendo il demic diffusion model, la comparsa delle comunità neolitiche in Sardegna rappresenterebbe il primo vero popolamento dell’Isola che sembra poter essere interpretato come un processo di rapida colonizzazione. Comunque le popolazioni neolitiche arrivate in Europa occidentale sarebbero giunte dal Vicino Oriente attraverso l’Anatolia . Seguendo la cronologia di Tykot del 1994 , basata su datazioni al radiocarbonio calibrate, è possibile suddividere il Neolitico in antico (6000-4700 a.C.), medio (4700-4000 a.C.) e recente (4000-3200 a.C.). La stessa suddivisione viene riportata da altri autori (Tanda 1998a; Lugliè, 2009b) ma con diversi range temporali. All’interno del Neolitico antico vengono riconosciute almeno tre facies culturali, anche se non sono ancora ben chiari i rapporti: la facies a ceramiche impresse cardiali di Su Carroppu, la Facies di Filiestru-Grotta Verde e la Facies epicardiale . I siti di rinvenimento ascrivibili a questo periodo sono concentrati soprattutto lungo la costa occidentale (Centro-Sud), tuttavia si hanno evidenze anche nell’entroterra. Le modalità insediative erano caratterizzate sia da insediamenti all’aperto sia da insediamenti in grotta o ripari . I resti scheletrici attribuibili a questo periodo sono scarsi e incompleti e comunque i ritrovamenti sono avvenuti all’interno di grotte. L’economia sarebbe stata basata sulla raccolta e sull’allevamento degli ovini, caprini e dei suini e la pratica agricola è attestata dal ritrovamento di strumenti di molitura a Su Carroppu e dal ritrovamento di cereali nella Grotta Filiestru . Il Neolitico medio è caratterizzato dalla cultura di Bonu Ighinu individuata nella grotta di Sa Ucca ‘e Su Tintirriolu di Mara -Sassari. La presenza di questa cultura è attestata in tutta l’Isola, per lo più in grotte e ripari sotto roccia, ma esistono anche testimonianze di villaggi all’aperto . A questa cultura si attribuisce la produzione di statuine di una presemibile divinità femminile, in stile volumetrico. I principali siti funerari sono la Grotta Rifugio di Oliena nella quale sono stati trovati i resti di almeno 11 individui in deposizione secondaria, e la necropoli ipogeica di Cuccuru s’Arriu (Cabras) dove sono state individuate 19 tombe. Di queste 13 scavate nel bancone arenaceo costituite da una camera preceduta da pozzetto, 4 a fossa e 2 terragne scavate tra il terreno e il bancone roccioso. Tutte le sepolture erano singole escluse due tombe a pozzetto con sepoltura doppia. Il defunto era in posizione più o meno contratta, sul fianco sinistro, e nelle tombe ipogeiche sono state ritrovate delle statuine femminili interpretate come rappresentazione della Dea Madre . I resti zooarcheologici attestano anche qui la presenza di ovini, caprini, suini e bovini, tuttavia con un incremento dei bovini e una diminuzione dei suini rispetto al Neolitico antico. L’incremento dei bovini potrebbe essere collegato anche all’attività agricola, testimoniata dal ritrovamento a Sa Ucca ‘e Su Tintirriolu di semi di farro, orzo, lenticchie e fave . Al Neolitico medio risale anche la facies di San Ciriaco individuata per la prima volta da Santoni nel villaggio di Cuccuru s’Arriu nel 1982, che assieme ai ritrovamenti di Sant’Iroxi (Decimoputzu) e di San Ciriaco (Terralba) costituirebbero i siti più significativi di questa facies. Le differenze con la cultura di Bonu Ighinu e con la successiva cultura di Ozieri sono legate a caratteristiche morfologiche e tipologiche delle ceramiche e dell’industria su pietra e su osso.
Il Neolitico recente è invece caratterizzato dalla cultura di Ozieri o di S.Michele dalla Grotta eponima nel comune di Ozieri così definita da Lilliu nel 1963 . Diversi i siti di ritrovamento tra i quali Sa Ucca ‘e Su Tintirriolu, Monte d’Accoddi, Cuccuru s’Arriu e Anghelu Ruju. La tipologia abitativa più comune è quella del villaggio all’aperto anche se è documentato l’uso della grotta e del riparo sotto roccia. A questo periodo sono attribuite diverse modalità di sepoltura, sia primarie che secondarie. Si trovano deposizioni singole o plurime in fosse terragne (es: Cuccuru s’Arrius), inumazioni collettive ed ossari in grotte (es: Palmaera), tombe a circolo, dolmen e domus de janas (es: San Benedetto di Iglesias, Montessu). La domus de janas è una grotticella artificiale, tipica di questo periodo con circa 3500 esemplari in tutta l’isola, ritenute un’evoluzione delle grotticelle artificiali della cultura di Bonu Ighinu. Può presentarsi in modalità più o meno articolata ed è testimoniato il loro riutilizzo sino al Medioevo . Durante questo periodo l’agricoltura avrebbe assunto un ruolo prevalente , mentre i resti animali della grotta Filiestru rivelano un aumento di ovini e caprini rispetto ai periodi precedenti. Si osserva anche la presenza di ossa di animali selvatici come cinghiale, cervo, muflone e Prolagus sardus proveniente da diversi siti. L’Eneolitico si sviluppa tra il IV e il III millennio a.C. in continuità con il Neolitico, fatto che complica la distinzione tra i due nelle prime fasi , e in base agli autori ha una diversa scansione temporale. È Possibile individuare una fase sub-Ozieri, che segna il passaggio graduale dal Neolitico all’Eneolitico rappresentato appieno dagli aspetti di Filigosa e di Abealzu per poi arrivare alla Cultura di Monte Claro che mostra una fisionomia distinta e alla cultura del Vaso Campaniforme. Infatti come evidenziato da Tanda del1998 tra il Neolitico recente e le prime fasi dell’Eneolitico gli elementi di distinzione sono costituiti principalmente dai materiali, mentre i tipi insediativi e tombali sono spesso analoghi. La successiva cultura eneolitica di Monte Claro, che si distingue dalle precedenti, deriva da un processo di acculturazione di stimoli esterni, mentre la cultura del Vaso Campaniforme è legata all’arrivo di culture esistenti in Europa . La tipologia di insediamento è ancora rappresentata in prevalenza da villaggi all’aperto e raramente da ripari naturali; continua la deposizione collettiva secondaria in domus de janas come nel sito di Filigosa (Macomer) o riutilizzate come a Santu Pedru ed Anghelu Ruju (Alghero), in anfratti, in allées couvertes e in tombe a circolo. Compare per la prima volta, nel sito di Filigosa, la sepoltura con semi-combustione e scarnificazione del cadavere. La cultura di Monte Claro deve il suo nome alla scoperta della grotticella a forno sul colle di Monte Claro - Cagliari nel 1906 da parte di Taramelli. Si tratta di una cultura diffusa in tutta la Sardegna, con particolare densità nel meridione e per la quale è possibile distinguere tre facies regionali: settentrionale, centro-orientale e meridionale . Gli insediamenti sono rappresentati da strutture all’aperto, organizzate in villaggi anche di dimensioni rilevanti, con differenti tipologie di abitazioni: alcune con profili in muratura formanti lo zoccolo lapideo che sorreggeva l’alzato in materiale deperibile (Biriai-Oliena e diversi siti nel Sulcis), quelli parzialmente scavati nelle formazioni argillose nel Campidano e identificati come “fondi di capanna” . Risalgono a questo periodo le muraglie megalitiche di Monte Ossoni-Castelsardo e Monte Baranta-Olmedo. Le tombe e i rituali funerari si differenziano tra Nord e Sud dell’isola. Mentre al Nord si riscontra la sepoltura in grotta o il riutilizzo di precedenti strutture funerarie come le domus de janas o i dolmen; verso Sud si osservano precisi rituali funerari e forme di seppellimento in ipogei esclusivi, ciste litiche, tombe a fossa, grotte e domus de janas. Gli ipogei Monte Claro sono del tipo a forno, con pozzetto di accesso e una o più celle laterali come nel caso di via Basilicata a Cagliari, dove è stato ritrovato un inumato in ogni cella in posizione rannicchiata sul fianco sinistro. Particolare il riutilizzo della tomba di Scaba ‘e Arriu di Siddi dove il vano monte Claro era delimitato da lastre infisse a coltello, è presente una sepoltura (probabilmente occasionale) di due individui in posizione rannicchiata sul fianco sinistro sotto una capanna nel sito di Corti Beccia-Sanluri . Il rituale funerario prevedeva sia la deposizione primaria collettiva o singola sia secondaria collettiva dopo scarnificazione .
È testimoniato anche l’uso di vasi situliformi ricolmi di ossa con segni di bruciatura .La cultura del Vaso Campaniforme o beaker, dovuta alla forma a campana del bicchiere che caratterizza questa corrente, assieme ad altri manufatti caratteristici come i brassards, ha diffusione paneuropea e si spinge fino all’Africa settentrionale . In Sardegna è presente in tutta l’isola, con maggiore incidenza nel Sassarese e nell’Iglesiente e perdura sino alla successiva cultura di Bonnànaro con la quale sembra “imparentarsi” . Secondo Lilliu i piccoli gruppi umani di cultura campaniforme rappresentavano dei gruppi marginali che si spostavano per commerciare i loro prodotti. Non è possibile individuare strutture abitative e sepolture tipiche di questa cultura. I campaniformi praticavano il riutilizzo delle precedenti domus de janas con sepolture singole anche in cista litica primarie, secondarie e collettive . L’età del Bronzo viene suddivisa in 4 periodi: antico, medio, recente e finale . Al Bronzo antico e alle prime fasi del Bronzo Medio appartiene la Cultura di Bonnànaro che viene divisa in Bonnànaro A e B. Al Bonnànaro A apparterrebbe la facies di Corona Moltana nel comune di Bonnanaro e al Bonnanaro B la facies di Sa Turricola presso Muros-Sassari . Alcuni autori riconoscono all’interno del Bonnanaro A, che si sviluppa nel Bronzo antico, diverse facies come esposto nel lavoro di Santoni del 2009. Il Bonnanaro A è in continuità con il Campaniforme e sembra presentare elementi di similitudine con la cultura di Polada . Il Bonnanaro B sarebbe più legato al successivo periodo nuragico portando allo sviluppo dei primi nuraghi. Testimonianze di questa cultura sono rinvenute soprattutto nei siti funerari in quanto i contesti abitativi conosciuti sono scarsi. I contesti funerari, che riguardano principalmente sepolture collettive secondarie si riferiscono a domus de janas riutilizzate o costruite ex novo come quella di Corona Moltana, grotte naturali , allèes couvert (Li Lolghi e Coddu Vecchiu di Arzachena) e tombe di giganti. La Sardegna tra il Bronzo medio e la prima età del Ferro è stata caratterizzata dal fiorire della cultura nuragica alla quale è stato attribuito l’appellativo di “civiltà” sia per l’ampiezza dell’arco cronologico, sia per l’evoluzione culturale che per la ricchezza delle sue manifestazioni . Il nome deriva dalla costruzione di almeno 7000 imponenti strutture chiamate nuraghi: torri ciclopiche tronco-coniche. Il primo problema da affrontare nel tentativo di dare una descrizione della cosiddetta Civiltà Nuragica è quello relativo alla cronologia e alle fasi culturali. La maggior parte delle ricostruzioni cronologiche della protostoria sarda si basano sulla comparsa di nuove forme culturali in rapporto alle stratigrafie archeologiche e all’associazione di materiali culturali con materiali osservabili in altre culture, fatto che ne testimonierebbe la contemporaneità. Spesso lo sconvolgimento delle stratigrafie archeologiche, la mancata pubblicazione di dati riferibili agli scavi o il recupero di materiali senza un adeguato scavo archeologico, quindi senza le indicazioni stratigrafiche, non permette una corretta interpretazione dei dati. Oltre a queste problematiche occorre tener conto che l’età del Bronzo in Sardegna è caratterizzato da un fiorente sviluppo culturale che si manifesta con un’ampia varietà di forme le quali non permettono una distinzione precisa e netta delle fasi. Vengono qui riportate alcune delle suddivisioni cronologiche con una divisione in periodi e fasi che non intende vagliare criticamente la specificità delle singole fasi culturali, precisando che in questo lavoro di tesi la cronologia di riferimento è quella di Tykot del1994. Un’altra suddivisione proposta è quella di Ugas del1998 che prevede 5 periodi e 16 facies culturali. Osservando le tabelle si nota come le suddivisioni di Tanda e Lilliu differiscano soltanto per le diverse datazioni del Nuragico arcaico e del Medio nuragico, mentre la cronologia sposta in avanti di almeno 200 anni l’inizio del periodo nuragico e si riallinea con le suddivisioni di Tanda e Lilliu a partire dal primo Ferro. La cronologia di Tykot è in linea con quanto ritenuto da Contu che reputa la Civiltà Nuragica non anteriore alle fasi iniziali della media Età del Bronzo, intorno al 1600 a.C. La Civiltà Nuragica inizierebbe quindi nel Bronzo medio intorno al 1600 a.C. secondo alcuni studiosi già nel Bronzo Antico con la cultura di Bonnanaro che caratterizza l’inizio del Bronzo, e terminerebbe nel 238 a.C. con la conquista della Sardegna da parte dei romani o addirittura nel 476 d.C. con la caduta dell’impero Romano .
In realtà non è al momento possibile stabilire con precisione il termine del periodo nuragico. Secondo l’interpretazione terminologica dell’aggettivo “nuragico” che derivando da nuraghe implicitamente ne sottolinea la rilevanza, questo periodo non sarebbe da ritenere proprio della civiltà nuragica in quanto a partire dal 900-850 a.C. non vennero costruiti nuovi nuraghi. Secondo Ugas il fatto che quelli esistenti venissero ristrutturati ed utilizzati come templi e che a questo periodo risalga la produzione di modelli di nuraghe in pietra, bronzo e argilla fa si che il primo Ferro sia correttamente indicato come appartenente al periodo nuragico. In tempi successivi si osserva una resistività del nuraghe soprattutto come luogo sacro . Particolare è l’altare a forma di nuraghe nel sacello-fortezza di su Mulinu a Villanovafranca che accompagnò i culti sino al II secolo d.C. , e il riutilizzo del nuraghe (per esempio San Teodoro di Siurgus e Su Mulinu) come luogo di sepoltura durante l’età vandalica e bizantina . Il passaggio tra la cultura Bonnánaro e le prime fasi dell’età nuragica nel Bronzo medio sembra caratterizzata da elementi di continuità riscontrabili sia nella tradizione ceramica sia nelle tecniche costruttive dell’architettura funeraria, come sembrerebbe testimoniare la facies di raccordo Sant’Iroxi Bronzo Antico seppur limitata agli ambiti funerari . Lo sviluppo culturale è solo in parte chiaramente definibile e i dati di cronologia assoluta si raccordano parzialmente con la suddivisione cronologica basata su record archeologico . Il Bronzo medio viene diviso in almeno tre fasi che variano a seconda degli autori. Per esempio Lo Schiavo identifica la fase Sa Turricola, la fase San Cosimo e “a pettine”; mentre Ugas distingue gli aspetti Sa Turricola, Monti Mannu e San Cosimo. La divisione di queste tre fasi non permette sempre distinzioni nette, tuttavia si osserva nell’ultima fase la comparsa delle decorazioni “a pettine” che caratterizzeranno il Bronzo recente. Da notare che in questo periodo sono presenti anche dei pugnali in rame e in bronzo, in continuità con quelli della facies Sant’Iroxi del Bronzo Antico . Successivamente si ha la comparsa delle prime decorazioni “a pettine”. I nuraghi compaiono nelle fasi iniziali del Bronzo medio con la tipologia a corridoio mentre i nuraghi monotorre a tholos compaiono alla fine del periodo. Le prime testimonianze di insediamenti riguardano frequentazioni in grotta e abitazioni a zoccolo litico di pianta rettangolare e circolare nel Bronzo medio I, che nella fase più avanzata si strutturano in complessi ad isolato con cortile come a Su Muru Mannu-Cabras . Il Bronzo recente è caratterizzato dalla produzione ceramica con facies a “pettine”, diffusa soprattutto nel centro e nel Nord dell’isola, mentre nel Sud si ha la diffusione di una ceramica fine non decorata definita “grigio nuragica”, le cui caratteristiche sembrerebbero essere legate a influenze provenienti dall’area egea. Infatti è in questo periodo che i contatti con il Mediterraneo orientale ed in particolare con Cipro condizionano lo sviluppo locale della metallurgia, testimoniato dal ritrovamento di lingotti oxhide . Importante anche il ritrovamento di ceramica micenea che conferma la presenza di approdi costieri nell’isola e di una circolazione interna dei prodotti con la presenza di stazioni micenee una delle quali probabilmente ubicata nella costa sudoccidentale come testimoniato dai ritrovamenti nel nuraghe Antigori di Sarroch . La produzione metallurgica riguarda asce a margini rialzati, punteruoli e scalpelli, pugnali a lama piatta e spade votive . È in questo periodo che si diffonde il nuraghe a tholos anche polilobato e con il villaggio sia contiguo sia distante da esso. Il Bronzo finale è caratterizzato da profondi cambiamenti nella società nuragica che porterà all’abbandono della costruzione dei nuraghi i quali, secondo Depalams , verranno utilizzati per immagazzinare derrate e come luoghi di culto, e che vedrà fiorire la costruzione dei villaggi. Le abitazioni sia nel Bronzo finale sia nel successivo Ferro si sviluppano attorno al nuraghe. Spesso si sovrappongono a tratti murari o riutilizzano materiale crollato delle precedenti costruzioni, dando vita a strutture ad isolati costituite da un cortile centrale che raccorda edifici circolari. Alcuni esempi si trovano a Su Nuraxi Barumini e a Genna Maria-Villanovaforru . Le abitazioni sono provviste di laboratori, magazzini e servite dalle prime infrastrutture . Durante il periodo del Ferro si osserva nei villaggi la presenza costante delle sale del consiglio di forma circolare e dotate di bancone-sedile, in alcuni villaggi sono presenti strutture circolari gradonate, piccoli anfiteatri, identificati come palestre. Il Bronzo finale viene suddiviso in facies culturali che a seconda degli autori variano da due a tre . Le fasi finali del Bronzo Finale sono rappresentate dai ritrovamenti degli scavi dell’Acropoli di Lipari (Eolie, Sicilia), che testimoniano un commercio indiretto, tramite gruppi micenei o fenici, o diretto con queste zone. È in questa fase che si ha un incremento delle brocche askoidi, delle brocche carenate e di altre ceramiche assieme all’aumento della decorazione incisa . La produzione metallurgica vede aumentare lo strumentario da lavoro che subirà un’ulteriore spinta durante il Ferro. Alle fasi finali del Bronzo, primo Ferro, appartengono i materiali di Mont’e Prama secondo le datazioni effettuate su tre individui provenienti da tre diverse zone degli scavi condotti negli anni ’70 . Questo sito risulta di importanza centrale in Sardegna e nel Mediterraneo a causa del ritrovamento di imponenti statue in calcare arenaceo. La tipologia tombale più utilizzata è quella delle tombe dei giganti, l’architettura varia da ortostatica-dolmenica e quella con muratura isodoma , costruite a partire dal Bronzo medio con blocchi rocciosi. Nel Bronzo Finale si affianca l’uso di tombe a corridoio costruite con filari di pietre squadrate che sono state rinvenute sia in superficie come a Motrox’e Bois-Usellus, sia semi-ipogee come a Su Fraigu di San Sperate che ricoperte da terra come a Brunku Espis-Arbus. Spesso venivano riutilizzate anche tombe precedenti quali le domus de janas. Si tratta di tipologie tombali con sepolture per lo più collettive e secondarie . Al Ferro risalgono le sepolture monosome a inumazione in pozzetto di Monti PramaOristano, quelle di Is Aruttas di Cabras e di Antas, quelle in tafoni della Gallura e a fossa di Senorbì, marcando un cambiamento dalle sepolture collettive a quelle individuali . La fase successiva è quella che interessa il primo ferro che inizierebbe nel 900-850 a.C., salvo correttivi dendrocronologici che la farebbero risalire al 1020 a.C. , e terminerebbe nel 510 a.C. con l’occupazione cartaginese dopo l’attacco di Asdrubale e Amilcare. Di particolare importanza nel ferro sono i contatti con le altre culture, soprattutto con i fenici e gli etruschi tra il 725-600 a.C. e con le popolazioni greco-orientali nel periodo arcaico . Da sottolineare che mentre nel periodo geometrico i contatti con i fenici, gli etruschi, l’Italia meridionale, Creta e le altre regioni del Mediterraneo sono caratterizzate da una diffusione dei manufatti sardi in queste terre, durante il periodo orientalizzante è la produzione fittile locale a subire le influenze fenice e soprattutto quelle etrusche. Nel processo di espansione fenicia nei mari e nelle terre occidentali, che ha visto sorgere tra la fine del IX secolo e l’inizio dell’VIII numerosi insediamenti, la Sardegna ha svolto un ruolo importante per la sua posizione strategica nei commerci tra il vicino oriente, il Mediterraneo e l’Atlantico . I mercanti fenici si stabilirono a Sant’Imbenia, nel Golfo di Alghero dove organizzarono con le comunità locali la commercializzazione del vino della Nurra lungo le rotte mediterranee e atlantiche . Già nella prima metà dell’VIII secolo a.C. le aree costiere centromeridionali dell’isola sono caratterizzate da centri fenici: Sulky, San Giorgio di Portoscuso e San Vittore di Carloforte nel Sulcis con irradiazioni all’interno dell’area sulcitana testimoniate a Monte Sirai, nel nuraghe Sirai e nel nuraghe di Tratalias. Nell’oristanese si trovano Othoca e Tharros, altri approdi furono costruiti ad Olbia a Nora, a Bithia e nel Golfo di Cagliari . Sono riconosciuti fenomeni di interrelazione culturale con le comunità locali testimoniate anche dal ritrovamenti di materiale fenicio nei santuari nuragici. Importanti testimonianze culturali e della crescita degli insediamenti fenici ci arrivano dalle necropoli ed in particolare da Monte Siriai, Bithia, Tharros e Othoca, dove sono stati ritrovati anche materiali di importazione greca e etrusca. Il rituale funerario prevedeva l’incinerazione, sono pochi i casi di inumazione di cui si hanno esempi a Othoca e a Monte Siria . Queste comunità sardo-fenice verranno poi sconvolte nel VI secolo a.C. dai Cartaginesi che si espandono nel Mediterraneo tra il 540 a.C. e il 509 a.C., anno del primo trattato con Roma che segna il dominio di Cartagine sulla Sardegna .La portata del mutamento del passaggio dai Fenici ai Cartaginesi è testimoniata dal cambiamento nel rituale funerario che passa dall’incinerazione in fossa o in cista litica all’inumazione in tombe a cassone o a camera costruita, e dalla produzione artigiana in generale che si arricchisce di maschere e gioielli in oro.
Gli obiettivi di Cartagine riguardavano principalmente il controllo delle aree a potenzialità agricola e mineraria e di nuove rotte commerciali con il potenziamento di alcuni centri costieri di fondazione fenicia come Neapolis, Tharros e Karalis che convogliavano anche risorse provenienti da aree interne . La fine del dominio politico cartaginese avvenne nel 238 a.C., quando le truppe mercenarie puniche in rivolta contro la madrepatria e sotto attacco dai Sardi si rivolsero a Roma. Lo scontro tra sardi e romani pose fine al potere dei latifondisti sardo-punici con la sconfitta nel 215 a.C. dell’esercito di Amsicora nella battaglia di Cornus . L’influsso dell’occupazione Cartaginese continuò a farsi sentire in alcune aree dell’isola anche nei secoli successivi. Infatti sono state ritrovate iscrizioni in lingua punica risalenti al II sec. a.C nelle città di Nora, Sulky e Tharros, al I secolo a.C. a Sant’Antioco e al IV secolo d.C., in caratteri latini, nella attuale chiesa campestre di San Salvatore di Sinis-Cabras . Il periodo della dominazione romana avrebbe avuto inizio nel 238 a.C. e sarebbe terminato con l’arrivo dei Vandali nel 455 d.C, poco prima della caduta dell’Impero Romano d’occidente che avverrà nel 476 d.C. I romani fondarono nuove città come Fordongianus, presero possesso dei precedenti insediamenti fenicio-punici costieri e dell’entroterra e riutilizzarono anche vecchi siti nuragici, come luoghi di culto e di sepoltura. I riti funerari romani prevedevano sia la cremazione più frequente nel periodo repubblicano sia l’inumazione deposizione singole, collettive o con riutilizzo e riduzione del precedente defunto con tipologie di tombe differenti: tombe ipogee a camera, a fossa, alla cappuccina, in enchytrismòs, in sarcofago. È testimoniato anche il riutilizzo di luoghi di sepoltura appartenenti a culture precedenti. Durante questo periodo è possibile distinguere tre fasi. La prima corrisponde all’età Repubblicana (238-38 a.C.) ed è caratterizzata da continue campagne militari che avevano lo scopo di abbattere la resistenza dei Sardi, la seconda fase è caratterizzata da un periodo di pace che si manifesta durante l’Età Imperiale, sino alla metà del III secolo d.C., che vede il miglioramento delle condizioni dell’Isola grazie alle numerose opere pubbliche come strade e acquedotti. Si diffonde la lingua latina e la religione cristiana che si afferma intorno al 200 d.C. L’ultima fase è quella del declino che in questo periodo coinvolge anche l’economia della Sardegna.
Il Percorso della Mostra “Sardegna Isola Megalitica”
Alla Sardegna viene riconosciuto sempre più dagli studiosi internazionali un ruolo di primo piano in età preistorica e protostorica: centro nevralgico che, dai contatti stabiliti sulle rotte del Mare Nostrum, si protendeva verso l’Europa continentale e verso i mercanti orientali. Un’isola che ha visto svilupparsi, nel corso dei millenni, culture e civiltà uniche, capaci di dar vita a testimonianze artistiche di pregio ed evidenze monumentali. Il mito e la leggenda hanno spesso incrociato la storia nell’interpretazione delle antiche civiltà sarde, società senza stato e scrittura ancora al centro di studi e scavi. “Sardegna Isola Megalitica” dà conto dei più recenti indirizzi di ricerca: è il megalitismo, ovvero l’attitudine alla realizzazione di edifici con elementi litici di grandi dimensioni, a configurarsi come il filo rosso scelto per il percorso espositivo: questa tendenza contraddistinse l’isola per un lungo lasso di tempo, dall’Età Neolitica sino a tutta l’Età del Bronzo e del Ferro, segnando il paesaggio sardo attraverso i lasciti della civiltà nuragica circa 7mila edifici detti appunto “nuraghi”. Il percorso espositivo parte dal periodo finale del Neolitico, quando si diffondono alcune strutture architettoniche sarde: le “domus de janas”, scavate nella roccia in lingua sarda le “case delle fate o delle streghe” sono caratterizzate da facciate successivamente monumentali poi ci furono i dolmen. Per l’Età del Rame, approfondimenti sul santuario di Monte d’Accoddi, altare monumentale unico nel panorama del Mediterraneo che presenta analogie con le ziqqurath del Vicino Oriente, e sulla muraglia monumentale di Monte Baranta. La mostra conduce, naturalmente, nel cuore della civiltà nuragica, vero simbolo dell’unicità della Sardegna. I nuraghi, costruiti in numero elevatissimo con blocchi di basalto, trachite e granito a partire dal 1800 al 1600 a.C. circa, pur avendo grande varietà tipologica e funzionale, erano tutti accomunati dalle torri a tholos (sistema di copertura). I nuraghi avevano molteplici funzioni, che intrecciavano diversi ambiti della vita quotidiana, così come sottolineato in mostra: l’alimentazione, l’agricoltura e l’allevamento, il controllo del territorio, le produzioni artigianali. Attorno ad esse, in molti siti, si sono sviluppati villaggi più o meno estesi, talvolta racchiusi da antemurali altrettanto imponenti, intervallati da torri. Nello stesso contesto, il megalitismo connotava anche i monumenti funerari e i luoghi di culto, inquadrando i mutamenti che hanno caratterizzato le forme della religiosità nella lunga fase nuragica. Le “tombe di giganti”, ad esempio, sono così chiamate a livello popolare con riferimento alle imponenti dimensioni delle strutture architettoniche che nell’immaginario venivano collegate al gigantismo dei defunti. In realtà erano sepolture collettive, che ospitavano anche centinaia di individui e forse celebravano il culto degli antenati. Davanti alle tombe dei giganti si praticavano rituali complessi e si distribuivano offerte, spesso al cospetto della rappresentazione di divinità (betili). Allo stesso modo, i luoghi di culto e i santuari si articolavano in numerose tipologie edilizie, tutte improntate al megalitismo: templi a pozzo, fonti sacre e templi a megaron erano diffusi nell’intera Sardegna a partire dal Bronzo Recente e, di frequente, le diverse tipologie strutturali coesistevano all’interno dello stesso complesso. La religiosità delle genti nuragiche è rappresentata in mostra dal numero cospicuo di ex voto figurati in bronzo, i cosiddetti “bronzetti”: sono interessanti reperti che riproducono non solo uomini e donne che ricoprono diversi ruoli della società, ma anche animali, oggetti e persino edifici. Proprio la produzione della bronzistica figurata offre uno spaccato vivace della società nuragica, con particolare riferimento a vestiario, armi, alimentazione e abitudini quotidiane. Viceversa, le collane e i vaghi d’ambra, rinvenuti negli scavi degli ultimi trent’anni in tanti santuari della Sardegna, testimoniano gli stretti collegamenti dell’isola non solo con il mondo mediterraneo, ma anche con le reti commerciali e culturali della penisola. Anche nell’Età del Ferro (I millennio a.C.), in una società in cui si sono profondamente modificate le dinamiche sociali, economiche e costruttive, i nuraghi, pur non edificati da vari secoli, continuano a essere centrali nell’immaginario collettivo quale simbolo di un passato mitico in cui tutta la popolazione dell’isola si riconosce. Finito il tempo degli ingegnosi e arditi costruttori di torri nuragiche, si diffondono dunque le miniature di tali edifici, realizzate in pietra, ceramica, bronzo e anche in materiali deperibili e utilizzate probabilmente come altari in rituali collettivi. Manufatti che, rinvenuti al centro al centro di edifici megalitici, sono stati infatti interpretati come “capanne delle riunioni”. A questa fase storica risale la definizione delle prime élite sociali che assumevano il predominio in un territorio: a Mont’e Prama, nella Sardegna centro-occidentale, una di queste aristocrazie si è autorappresentata e autocelebrata con un complesso scultoreo unico nel suo genere, composto da quasi 40 imponenti statue in pietra di Guerrieri, Arcieri e Pugilatori, oltre a modelli di nuraghi e betili. Per la nuova società, il tempo lontano degli eroi diventa oggetto di venerazione e richiamo identitario. In mostra vi è una straordinaria testimonianza dei capolavori di Mont’e Prama – per la cui valorizzazione e gestione è stata istituita, un anno fa, un’apposita Fondazione, nata da un accordo tra il Mic, il Comune di Cabras e la Regione Sardegna e presieduta da Anthony Muroni: si tratta di un “Pugilatore” alto con piedistallo 190 cm e pesante circa 300 chilogrammi. Rinvenute in frammenti a partire dagli scavi del 1975-1979 e ricomposte grazie a interventi di restauro di eccezionale delicatezza, queste imponenti statue, nelle loro raffigurazioni schematiche realizzate secondo uno stile convenzionale d’impronta geometrica, non trovano paragoni nel variegato patrimonio artistico e monumentale della Sardegna; ancora oggi, mentre le scoperte continuano, gli studiosi si confrontano sulle diverse interpretazioni delle sculture, Un dato tuttavia è certo: la civiltà nuragica era ormai al tramonto. Nonostante questo, il suo retaggio continua ad essere leggibile attraverso i secoli, malgrado il mutare dell’orizzonte storico: dapprima con l’arrivo dei Fenici, attestati lungo le coste sarde a partire dal IX secolo a.C., ancora con la presa dell’Isola da parte di Cartagine ultimo scorcio del VI secolo a.C., infine con l’arrivo dei Romani.
Anche dopo la conquista romana del 238 a.C., l’eredità nuragica appare evidente, come testimoniano alcuni reperti in mostra e le fonti epigrafiche che ci restituiscono un’onomastica prelatina. Persino in età medievale i nuraghi e addirittura le “domus de janas” sono stati oggetto di riutilizzo e molti villaggi medievali si sono addensati proprio intorno alle torri nuragiche: un mondo in evoluzione che non dimentica le sue origini.
MANN – Museo Archeologico di Napoli
Sardegna Isola Megalitica
dal 10 Giugno 2022 all’11 Settembre 2022
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.30
Martedì Chiuso
Le Foto dell’Allestimento della mostra Sardegna Isola Megalitica credit © Valentina Cosentino