Fa già molto discutere l'uscita - o lo scoop come ci sembra più adeguato dire- di Vittorio Sgarbi, e se è vero che non è certo la prima volta, in questo caso il noto critico potrebbe aver aperto un vero e proprio vaso di Pandora.
 

L'attribuzione a Caravaggio lanciata in un articolo su Sette, il settimanale culturale del Corriere della Sera, della Giuditta con la testa di Oloferne, un dipinto molto conosciuto ed esposto nella mostra in corso a Palazzo Braschi, Artemisia Gentileschi e il suo tempo, con una tradizionale, ancorchè non accolta generalmente, attribuzione appunto ad Artemisia Gentileschi, sta già scatenando, da parte del mondo degli addetti ai lavori, una serie di reazioni quasi tutte in disaccordo con l'idea del noto critico, che però qui sembra in parte ridimensionare le sue affermazioni.

C'è però anche chi la pensa diversamente e sposa in pieno l'attribuzione di Sgarbi, come Carlo Guarienti ad esempio, uno dei più grandi artisti italiani contemporanei:
"Stamattina appena ho letto l'articolo, mi sono subito recato a vedere l'opera dove è esposta, e non ho avuto nessun dubbio: si tratta di un Caravaggio originale al 100% !"

Ce lo ha quasi urlato al telefono Guarienti, evidentemente ancora in preda all'emozione. Eppure -gli abbiamo detto- quel quadro era molto conosciuto e non si era mai parlato di questa possibile autografia caravaggesca.

"Io da vicno non l'avevo mai visto. Va osservato attentamente: guardate la mano che tiene la testa di Oloferne! Non vedete che è la stessa della Zingara della Pinacoteca Capitolina ? E la conduzione pittorica? Dalla foto avevo avuto solo una positiva impressione; da vicino si vede perfettamente che è un Caravaggio tipico, non ci sono dubbi; io non sempre concordo con Vittorio Sgarbi, ma stavolta devo riconoscere che ha visto bene! Il prossimo 3 gennaio mi vedrò con il proprietario, che è un vecchio amico, Fabrizio Lemme, e gli chiederò come abbia fatto a prendere questo quadro e a non accorgersene prima di chi fosse".

Fabrizio Lemme, grande appassionato collezionista e connoisseur, notissimo nel mondo degli storici dell'arte e degli studiosi, si trova in breve vacanza negli Stati Uniti, lo abbiamo raggiunto al telefono a New York per sapere cosa ne pensa della novità. Ci dice scherzando che da adesso pretenderà di essere chiamato "Ser Fabrizio", ma poi precisa :"Che dire? Adesso sono in vacanza. Posso esprimere solo una considerazione prima di ulteriori ragguagli, e cioè che nel complesso delle attribuzioni a Caravaggio, se consideriamo che se ne conteggiano anche sessanta o settanta di quadri che gli vengono riferiti, questo di mia proprietà non è sicuramente il meno attendibile, anzi credo che possa avere una legittima plausiibilità".

Era necessario quindi sentire il parere del responsabile dell'attribuzione, Vittorio Sgarbi. Queste le domande che gli abbiamo rivolto e le sue risposte:
 
D- Professor Sgarbi che succede? Sembrava stesse filando tutto abbastanza liscio per la mostra a Roma su Artemisia Gentileschi, una grande affluenza di pubblico, buon riscontro da parte della critica ed ecco la bomba: la Giuditta della collezione Lemme esposta a Palazzo Braschi non sarebbe un dipinto di Artemisia ma addirittura attribuibile a Caravaggio! Spiegaci innanzitutto i motivi per cui non dovrebbe essere un quadro di Artemisia come pure molti hanno sempre creduto

R- Innanzitutto che non fosse un quadro di Artemisia lo sapevano tutti, a cominciare dal proprietario. Quando andammo, con Alessandro Zuccari ed altri, come commissione che gestiva la vendita della collezione Lemme, da Emanuele Emmanuele (Emanuele Francesco Maria Emmanuele è il Direttore della Fondazione Roma, che acquisì la gran parte della collezione dell'avvocato Fabrizio Lemme, ndA), si parlava di una stima molto alta per abbassare la quale noi escludemmo proprio questo dipinto -che infatti è ancora in collezione Lemme-, appunto perchè non si credeva che fosse di Artemisia. Il punto in effetti è che questa Giuditta confligge chiaramente con il primo dipinto datato dell'artista che è quello di Pommersfelden, la Susanna e i Vecchioni del 1610; consideriamo poi che di lì a poco Artemisia dipinge la famosa Giuditta di Capodimonte, del 1611-12 seguita poco dopo dalla replica degli Uffizi, vedi che c'è un mondo completamente diverso; ci trovi una scena sanguinaria, violenta, con due donne che uccidono un uomo; ed è questa la prima vera Artemisia. Come si può pensare che la stessa mano abbia realizzato in quello stesso torno di anni la versione Lemme? Così diversa, con quella posa, con quei tratti; quando dovrebbe averla dipinta Artemisia, sei anni prima? o quando ancora neppure disegnava? No, non è proprio un'opera sua, con buona pace della Baldassari che ha mandato un messaggio patetico ... E' una questione di modi e stili che stranamente i curatori della mostra non hanno saputo cogliere.

D- Ma a dire la verità i curatori -oltre alla Baldassari, Spinosa e la Mann, ndA- hanno posto un punto interrogativo nel catalogo; ecco, ti chiedo non era meglio che anche tu sostenessi il dubbio in attesa di ulteriori riscontri, piuttosto che presentare l’idea di Caravaggio?

R- Io ho sempre cercato di evitare per tutta la vita di fare attribuzioni a Caravaggio, specie dopo le ultime pubblicazioni che ne presentano decine; ho scelto questo dipinto perchè mi intrigava l'idea della retrodatazione e basandomi sulle assonanze con altre opere, in particolare ho riflettuto sulle prime opere romane del  Merisi, sulla  Buona Ventura ...

D- Ti interrompo perchè ho sentito il parere di un grande artista contemporaneo (vedi sopra Carlo Guarienti) che ha deciso di vedere il dipinto da vicino dopo aver letto il tuo articolo e mi ha fatto lo stesso paragone, in particolare lo ha convinto la resa delle mani della Giuditta Lemme raffrontabili con quelle della Zingara dei capitolini.

R- E' confortante; il parere di un artista nasce sempre dall'osservazione e dalla pratica maturata. Per quanto mi riguarda posso dire che a me l'idea è venuta da una conversazione con l'amico Marco Fabio Apolloni (si tratta di un noto antiquario di Roma, ndA) proprio dopo la visita alla esposizione; è stato lui che mi ha fatto notare come l'ipotesi di una datazione dell'opera al 1612 fosse incongruente e che dunque bisognasse retrodatarla e di conseguenza non riferirla ad Artemisia; a questo punto ho  pensato alla possibilità della mano di Caravaggio, di cui ancora molte cose sono ignote. A partire dal buco che esiste tra il 1592 e il 1595: pensiamo alla questione di ritratti (ma non sono affatto d'accordo con Franco Moro che ha cercato di riempire quel buco con una ritrattistica attribuita a Caravaggio, mentre invece parla un linguaggio moroniano). Dunque ho pensato a retrodatare la Giuditta Lemme verso il 1595 ed ho rivisto bene la questione; in particolare ho guardato a fondo l'immagine, ed a questo punto è scattata l'illuminazione; guardando il sacco che è nelle mani di Abra, la fantesca, ti accorgi che è sporco di sangue, vale a dire che la testa decapitata vi è già stata contenuta ed ora è nella mano di Giuditta; un'immagine macabra ma estremamente realistica, di un naturalismo sensazionale, che certo solo Caravaggio poteva concepire; una scena geniale: la tragedia si è compiuta e la protagonista ci appare perfino compiaciuta mentre ci guarda.

D- Tuttavia devo farti notare che il dipinto è estremamente conosciuto e che lo hanno potuto vedere più e più volte a casa del proprietario, Fabrizio Lemme, sudiosi del calibro di Faldi, Zeri, Briganti, Fagiolo dell’Arco, Marini, per non dire dei più importanti antiquari o dei molti altri studiosi da sempre frequentatori della casa del collezionista; è credibile che nessuno di costoro abbia mai avuto neppure un bagliore della illuminazione che hai avuto tu?

R- Certo è possibile, io sono sicuro invece del fatto che prima di me l'illuminazione la ebbe Giovanni Testori, che in effetti era così convinto di quale fosse il vero autore del dipinto che a suo tempo provò a comprarlo dall'avvocato Lemme.

D- Devo dirti però che ho parlato con l'avvocato Lemme e che non ricorda affatto questa circostanza.

R- Non la ricorderà lui, ma certamente la ricorda molto bene il figlio di Testori, che mi ha telefonato raccontandomi l'episodio.

D- Insomma, in sostanza si può dire che tu non dai come certa l'attribuzione a Caravaggio della Giuditta Lemme, ma che la tua è un'idea ?

R- Esattamente, la mia è un'idea attributiva, confortata però dai riscontri oggettivi relativi all'epoca e ai modi stilistici incompatibili con la mano della Gentileschi ma riferibili strettamente a certe selte di Caravaggio.

D- Un'ultima domanda: sei consapevole che la questione che si pone, e si pone ormai sempre più spesso al di là ora di questa nuova attribuzione, è se con queste continue ‘scoperte’, a volte decisamente bislacche, di quadri attribuiti a Caravaggio, si rischi di ridimensionare la professionalità degli studiosi e incrinare il valore stesso della ricerca?

R- E' un'osservazione giusta; sicuramente di quadri che da qualche tempo riemergono con l'attribuzione a Caravaggio ce ne sono decisamente troppi; però se la ricerca va avanti senza fini di lucro e col solo scopo di migliorare le conoscenze a vantaggio della comunità anche rivedendo alcune certezze ritenute acquisite si fa un lavoro giusto e meritorio. A questo riguardo ho già in programma una esposizione che tenderà ad approfondire la questione attributiva della Giuditta Lemme e ricercare nuovi elementi di verifica; saranno con me un manipolo di studiosi molto conosciuti che mi hanno confortato con il loro appoggio.
Pietro di Loreto   Roma 31 / 12 / 2016