Giovanni Cardone Agosto 2022
Il 13 Agosto 2022 se ne andato un grande maestro, ricordo che avevo dieci anni seguivo sulla Rai Uno Quark correva l’anno 1981 che nel 1995 si e trasformato in Superquark lungo i miei quarantuno anni ho avuto la fortuna come tanti di seguire Piero Angela che con la sua grandezza ci ha trasmesso la ‘Conoscenza’ . Piero Angela ha saputo creare un nuovo linguaggio, un nuovo modo di concepire la conoscenza come lui amava dire: “Divulgare significa semplicemente tradurre, cioè dire la stessa cosa con altre parole”. Il suo modo di fare divulgazione si è distinto per l’apparente leggerezza narrativa che celava però un rigoroso e approfondito lavoro di ricerca e redazione di contenuti accurati. È un esempio tipico di come la chiarezza del linguaggio e l’emotività unite insieme possano aprire la strada alla comprensione e all’apprendimento. Possiamo dire che Piero Angela è nato a Torino il 22 dicembre 1928 dal medico antifascista Carlo Angela durante la seconda guerra mondiale salvò le vite di numerosi ebrei falsificando le loro cartelle cliniche: per questa sua azione ottenne il titolo di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem e da Maria Luigia Maglia, dopo gli studi al liceo classico della sua città natale ha cominciato la sua carriera di pianista jazz quella per la musica è una passione che non avrebbe mai abbandonato: per molti anni infatti è stato solito suonare il piano anche nelle sue trasmissioni, con il nome di “Peter Angela”. Nel 1952 abbandonò la carriera di musicista professionista (aveva suonato nel frattempo con importanti musicisti jazz come Rex Stewart, Franco Mondini, Nini Rosso ed altri) per cominciare quella di giornalista in Rai. Fu tra i pionieri del giornalismo televisivo: quando nel 1954 cominciarono le trasmissioni, Angela fu corrispondente del Telegiornale, prima da Parigi e poi da Bruxelles, per diventare infine nel 1968 conduttore del TG delle 13:30 e, nel 1976, primo conduttore del TG2. Come giornalista ricoprì anche l’incarico di inviato di guerra: seguì infatti nel 1967 la Guerra dei Sei Giorni e ne 1968 la guerra del Vietnam. Sempre nel 1968 cominciò a realizzare alcuni documentari intitolati Il futuro nello spazio, dedicati al programma Apollo della NASA: fu questo l’inizio della sua attività di divulgazione scientifica, proseguita con trasmissioni dedicate alla scienza come Destinazione Uomo, Da Zero a Tre Anni, Dove va il mondo?, Nel buio degli anni luce, Indagine sulla parapsicologia, Nel cosmo alla ricerca della vita. Risale invece al 1981 l’inizio di Quark - Viaggi nel mondo della scienza, titolo “preso a prestito dalla fisica”, spiegava lo stesso Piero Angela presentando il programma, “dove molti studi sono in corso su certe ipotetiche particelle subnucleari chiamate appunto quark, che sarebbero i più piccoli mattoni della materia finora conosciuti. È quindi un po’ un andare dentro le cose”. La formula del programma, destinata a riscuotere un enorme successo, era quella del contenitore divulgativo: venivano trasmessi i documentari su scienza e animali della BBC, c’erano approfondimenti e interviste con gli esperti, riproduzioni di esperimenti, e inizialmente anche i cartoni animati di Bruno Bozzetto con cui venivano introdotti i concetti scientifici più difficili.  Quark, anticipato dalla celeberrima sigla con l’Aria dalla Suite nº 3 in re maggiore BWV 1068 di Johann Sebastian Bach, andò in onda dal 1981 al 1989 su Rai Uno, e ne furono tratti diversi spin off che andavano ad approfondire diversi argomenti: Il mondo di Quark (1984), dedicato all’antropologia, Quark economia e Quark Europa (1986), Quark in pillole, con filmati di durata più breve, Quark italiani (1988), con documentari sulla natura di autori italiani, e poi ancora Quark speciale nel 1992, che proponeva in italia la serie Le sfide della vita di David Altenborough Enciclopedia di Quark (1993), con approfondimenti monografici su diverse discipline, Quark estate (1993), con 11 documentari inediti, e Serata Quark. Risale invece al 1995 l’evoluzione del programma, SuperQuark, così chiamato in quanto veniva raddoppiata (a due ore) la tipica durata di una serata di Quark, anche se il format è rimasto pressoché inalterato: la trasmissione comincia con un documentario naturalistico (si trattava soprattutto di documentari della BBC e, dal 1998, della National Geographic, a cui seguiva poi un commento in studio), e proseguiva con servizi e interviste agli ospiti in studio, momenti in cui spesso venivano condotti esperimenti scientifici in compagnia del fisico Paco Lanciano.

SuperQuark è ancora in corso: la nuova stagione, la ventinovesima della trasmissione, è cominciata appena lo scorso 6 luglio. Piero Angela ha poi collaborato con il figlio Alberto come autore di Ulisse, il programma monografico dedicato soprattutto alla storia e alla scienza (una curiosità: per precisa volontà di Piero Angela, il figlio Alberto non lo chiamava mai “papà” sul lavoro, ma lo chiamava per nome). Ha poi curato la rubrica Scienza e società su TV Sorrisi e Canzoni ed è stato curatore della rivista Quark, pubblicata dal 2001 al 2006. È stato inoltre tra i fondatori del CICAP. Durante la sua lunga carriera ha ricevuto dodici lauree ad honorem, ha vinto sette telegatti, e gli sono stati dedicati un asteroide (il 7197 Pieroangela) e addirittura un mollusco (la Babylonia pieroangelai). Nel 2004 è stato insignito del titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e nel 2021 del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Nel suo libro del 1917 Il mio lungo viaggio, una sorta di summa della sua carriera, ha avuto modo di parlare anche della sua idea di divulgazione. “Divulgare”, ha scritto, “vuol dire, in pratica, tradurre dall’italiano in italiano, dicendo le stesse cose in modo chiaro. Un lavoro non sempre facile perché per poter spiegare bisogna prima aver capito bene”. “Secondo la mia esperienza”, aggiungeva Alberto Angela, “è possibile spiegare a un grande pubblico anche questioni complesse, aiutandosi magari con una grafica efficace, che permetta di far comprendere i concetti base”. E ciò vale anche per la divulgazione culturale, che Angela riteneva fondamentale: “L’Italia è piena di luoghi che possono essere valorizzati e richiamare visitatori, consentendo loro di comprendere meglio ciò che stanno vedendo. È un’operazione di divulgazione questa volta non scientifica, ma culturale a mio avviso molto importante perché avvicina il pubblico al nostro grande passato, e può creare anche una maggiore sensibilità alla conservazione dell’immenso patrimonio che abbiamo ereditato”. L’ultimo messaggio di Piero Angela è stato affidato alla pagina Facebook di SuperQuark: “Cari amici, mi spiace non essere più con voi dopo 70 anni assieme. Ma anche la natura ha i suoi ritmi. Sono stati anni per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana. Soprattutto ho avuto la fortuna di conoscere gente che mi ha aiutato a realizzare quello che ogni uomo vorrebbe scoprire. Grazie alla scienza e a un metodo che permette di affrontare i problemi in modo razionale ma al tempo stesso umano. Malgrado una lunga malattia sono riuscito a portare a termine tutte le mie trasmissioni e i miei progetti (persino una piccola soddisfazione: un disco di jazz al pianoforte…). Ma anche, sedici puntate dedicate alla scuola sui problemi dell’ambiente e dell’energia. È stata un’avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati. A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato. Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese. Un grande abbraccio”. In questo articolo grazie al maestro Piero Angela cerco di capire cosa è la divulgazione c’è un esempio che permette di chiarire subito il concetto. Ecco una frase ‘vera’ presa di peso da un libro: “Nella categorizzazione del reale la determinazione di certi attributi discriminanti non è riducibile se non a una elaborazione della percezione ambientale che semplificando i dati ha anche la funzione di facilitare l’attività strumentale del soggetto”. Avete capito qualcosa? Andreste avanti nella lettura di un libro scritto in questo modo? Divulgare vuol dire, in casi come questo, tradurre. Tradurre dall’italiano in italiano. Ecco come potrebbe essere scritto il testo citato in un linguaggio divulgativo: “Nell’osservare la realtà tendiamo a raggruppare le cose in categorie, individuando certe loro caratteristiche: questa elaborazione mentale ci consente di semplificare i dati, per poterli utilizzare poi più facilmente”. Purtroppo molti testi importanti sono spesso cosparsi di vetri rotti, spine, aculei, acidi corrosivi, che fanno inutilmente soffrire e spesso anche allontanare il lettore. E qui occorre naturalmente chiarire un punto essenziale. Va benissimo che gli esperti parlino tra loro in modo specialistico: lo fanno i matematici, i ferrovieri, i medici, i piloti, i tributaristi, anzi è doveroso l’uso di un certo linguaggio nella propria cerchia professionale, in quanto ogni parola ha un significato ben preciso. Ma le cose vanno in modo diverso quando ci si deve rivolgere a persone che non hanno lo stesso tipo di specializzazione, anzi, che sono incompetenti nella materia. Se si parla di fisica a un avvocato, quale linguaggio bisogna usare? Quanto ne sa di fisica un avvocato? Probabilmente sa solo quello che ha imparato a scuola a meno che coltivi letture proprie. Quindi ricordi lontani e spesso obsoleti. Malgrado sia una persona istruita e colta, nella comprensione della fisica si trova al livello di un ragazzo intelligente di quindici anni il quale, anzi, ne sa certamente di più, e dunque occorre utilizzare con lui un linguaggio estremamente divulgativo. La stessa cosa vale se si parla di chimica a uno storico, o di genetica a un critico d’arte. In altre parole occorre distinguere tra cultura e competenza.

Ognuno di noi è competente nel proprio campo, ma non necessariamente in un altro. Quindi: tutti abbiamo bisogno di divulgazione, quando vogliamo capire qualcosa che non conosciamo. Questo concetto è importante, perché a volte si tende a pensare che la divulgazione che contiene al suo interno la parola vulgus sia destinata a persone poco istruite: non è così. È destinata a far capire le cose a persone anche coltissime che non hanno la competenza necessaria. Se si è tagliati fuori da certe conoscenze a causa di un linguaggio specialistico, si rischia di essere amputati di una parte importante delle capacità di capire le infinite connessioni che, in particolare, la scienza e anche la tecnologia continuamente crea all’interno della società e della stessa cultura. Questo vale, del resto, per ogni altro tipo di saperi, perché tutto ha bisogno di divulgazione: anche l’arte, la musica, l’economia se gli elettori capissero un po’ più di economia, un Paese potrebbe forse funzionare meglio. E questo permette di capire i danni di vario tipo provocati dalla mancanza di divulgazione. Spesso si dice che un linguaggio difficile è uno strumento di potere, per escludere gli altri dal sapere, o per intimidire. Oppure che è un modo per esibire la propria erudizione in passato era tipica la citazione di frasi latine. Forse ciò è vero, ma solo in parte: più semplicemente, la maggior parte delle volte, è soltanto una cattiva abitudine, una difficoltà a esprimersi in un diverso linguaggio. Imparare a divulgare, infatti, è come imparare una lingua straniera: occorre studiare, esercitarsi e naturalmente avere attitudine per questo particolare modo di parlare e di scrivere. Perché, come è stato detto, «è più difficile essere facili». Nel senso di saper ‘tradurre’ bene, senza tradire. I danni dovuti a un linguaggio specialistico usato al di fuori della propria cerchia professionale sono numerosi, in ogni campo. Basta visitare un sito archeologico, un monumento storico, un museo e leggere i cartellini, per accorgersi che non sono stati scritti per i visitatori. Sono pieni di dettagli dotti, di date, di riferimenti che il visitatore, il più delle volte, dimentica in una frazione di secondo dopo averli letti, perché non toccano i suoi interessi, non stimolano la sua curiosità, il suo piacere di scoprire, non fanno ‘vivere’ ciò che si vede. Ci sono ricerche che mostrano come alla fine di un percorso museale o espositivo il visitatore solitamente ha capito decisamente poco della civiltà raccontata attraverso questi cartellini. Ciò vale per il contenuto di molti altri ‘cartellini’: la cartella delle tasse, i rendiconti bancari, le clausole assicurative ma qui l’interesse è proprio quello di non far capire troppo. O anche le schede dei referendum. Un esempio famoso è quello delle tre schede per la consultazione sulle centrali nucleari: non era comprensibile la domanda referendaria, perché veniva riportato solo il numero della legge da abolire con un linguaggio tortuoso e specialistico. È vero che, per ragioni di inattaccabilità formale e per evitare contestazioni può rendersi necessaria una formulazione di quel tipo, ma in questo caso, con una nota tra parentesi sarebbe stato più che opportuno spiegare all’elettore a quale dei tre quesiti si riferiva ogni scheda, proprio per una forma di rispetto per chi votava e doveva decidere su questioni importanti.
Questo tipo di linguaggio viene spesso usato, paradossalmente, anche da chi dovrebbe invece aiutare il proprio cliente a capire come funziona l’oggetto che ha comprato, e non a fargli maledire l’azienda produttrice ogni volta che consulta il manuale: si tratta dei famigerati ‘libretti di istruzione’. Ci sono libretti di 50, a volte 100 pagine, per far funzionare un telefono cellulare o un videoregistratore, con un linguaggio che nessuno mai utilizzerebbe quando parla, dove «attivare il selettore di funzione» vuol semplicemente dire “premere il bottone rosso”. Anche in questo caso si rende inutilmente difficoltoso ciò che potrebbe essere facilmente comprensibile. Qualcuno ha detto che è tipico delle persone poco intelligenti rendere complicate le cose più semplici. È vero, ma solo in parte. Il più delle volte l’errore lo commette chi sceglie le persone sbagliate: erroneamente, infatti, si pensa che un esperto sia la miglior persona per spiegare una cosa, mentre molto spesso non lo è. Un esperto che deve spiegare come funziona un videoregistratore o qualunque altro oggetto tende a parlare una lingua che non è quella del suo interlocutore. Questo avviene anche perché manca il contatto diretto con la persona cui è destinata la spiegazione. Ci sono piccoli esperimenti di psicologia che spiegano bene questo fenomeno. Si è provato a mettere dei passanti in particolari situazioni e a osservare come si modificava il loro linguaggio a seconda degli interlocutori. La situazione era la seguente: un volontario, complice dello psicologo, fermava degli individui in una stazione ferroviaria e chiedeva loro un’informazione. Ottenuta la risposta, ringraziava. Successivamente i complici cambiavano: a chiedere la stessa informazione era un bambino, oppure uno straniero. Il linguaggio cambiava, si adeguava all’interlocutore: le persone rispondevano in modo sempre più chiaro e attento, assicurandosi che chi li ascoltava avesse capito. Avevano insomma un riscontro immediato delle loro spiegazioni, e adattavano il linguaggio alla capacità di comprensione dall’individuo che avevano di fronte. Gli autori di libretti di istruzione ma non solo loro scrivono invece senza avere di fronte il destinatario o, meglio, i destinatari tra i quali ci sono persone molto diverse, che avrebbero bisogno di linguaggi differenti e magari di versioni diverse del libretto. Un buon linguaggio divulgativo però funziona bene per tutti e può rappresentare quel territorio comune in cui ognu­no può ritrovarsi magari con note aggiuntive a piè di pagina per gli esperti. Questo non avviene perché le persone che scrivono cartellini, libretti di istruzione o didascalie museali non si curano di controllare quanto gli utenti o i visitatori hanno capito o hanno faticato a capire non li hanno dinanzi, non osservano le loro espressioni perplesse, irritate o annoiate. Stranamente mentre l’economia di mercato induce le aziende a soddisfare i clienti perché continuino a sceglierle, nell’ambito della comunicazione del prodotto egualmente importante non si osserva lo stesso spirito competitivo. Il fatto di considerare l’esperto la persona adatta a scrivere un testo o anche ad allestire un museo ha creato in certi casi danni gravissimi. Perché, specialmente in passato ma ancora oggi, ha di fatto scoraggiato lettori e visitatori, impedito l’accesso a conoscenze preziose, ha spento interessi e forse vocazioni, non svolgendo quello che è il ruolo fondamentale della comunicazione culturale accendere i cervelli. Naturalmente non è sempre così. Le cose funzionano quando raramente capita che l’esperto sia anche un buon comunicatore, capace di mettersi dalla parte di chi riceve l’informazione, cioè il pubblico. Oppure quando questa parte, importante, della comunicazione viene delegata a un esperto in divulgazione. Si tratta di una tendenza emersa, per es., in certi musei della scienza, dove l’équipe non è più formata soltanto dallo scienziato e dall’architetto, ma si è allargata al comunicatore, che mette la sua capacità sia di linguaggio sia creativa al servizio del messaggio. Questa integrazione evita anche clamorosi errori dovuti a mancanza di collegamento tra le parti. Un caso esemplare è quello di un gruppo di divulgatori scientifici che fu contattato per allestire un nuovo museo di fisica, seguendo le indicazioni generali degli esperti e naturalmente con la loro consulenza. Decisero di creare un ambiente buio, con particolari effetti luminosi che potessero meglio illustrare certi fenomeni della fisica, attraverso una serie di esperimenti. Tuttavia l’edificio era in fase di costruzione e l’architetto lo aveva previsto con grandi vetrate.
In altre parole si era ideato il museo a prescindere dal contenuto, cercando semplicemente di fare un’opera architettonica di qualità. Agire in questo modo è come fare un abito senza conoscere le misure del destinatario e senza neppure sapere per quale occasione servirà. Come si dice, a ognuno il suo mestiere: il divulgatore dotato ovviamente di una preparazione scientifica deve creare l’allestimento, lo scienziato deve essere il referente e il controllore della correttezza, l’architetto a sua volta deve ‘vestire’ l’opera, seguendo le esigenze dell’allestimento e suggerendo eventuali soluzioni creative per quanto riguarda il contenitore. In passato molto spesso è mancata completamente la percezione che la comunicazione effettuata attraverso le parole, le immagini, gli scritti, gli oggetti o quant’altro debba sempre usare un linguaggio adatto al pubblico che vuole raggiungere: se si confondono i livelli, il risultato finirà per non accontentare nessuno, né gli esperti né il pubblico. Questo può valere anche per le enciclopedie, soprattutto quelle del passato meno sensibili alle esigenze divulgative ma anche oggi gli esempi negativi non mancano. Un’enciclopedia infatti è anch’essa, proprio per sua natura, un’opera divulgativa. Raccoglie migliaia di voci e per ognuna deve elaborare una sintesi, puntuale e aggiornata. Ma chi sono i lettori di un’enciclopedia? La destinazione dipende naturalmente dal tipo di opera che si vuole realizzare, ma è evidente che di norma è destinata a raggiungere un pubblico molto diversificato, con livelli e competenze differenti. Per scrivere i testi solitamente vengono scelti esperti dei vari settori che in questo caso sono chiamati a scrivere per il pubblico non necessariamente di competenti. Spesso attraverso un attento lavoro redazionale il linguaggio specialistico viene ‘tradotto’ diventando così, il più delle volte, comprensibile. Per quanto riguarda le riviste scientifiche, la soluzione adottata è la separazione degli autori e dei testi, raggruppati in vari livelli. Vi sono riviste specialistiche di settore, che si rivolgono in modo specifico ai propri addetti ai lavori riviste per biologi, oppure per fisici, o per informatici ecc.. Vi sono poi riviste scientifiche generaliste, di alto livello come «Nature», «Scientific American», che contengono lavori originali ma anche parti leggibili da chi ha una formazione scientifica. Poi ci sono vere e proprie riviste di divulgazione scientifica riservate a persone che hanno familiarità e interesse per la scienza, e che contengono ogni tipo di argomento, trattato in modo comprensibile. Infine vi sono riviste o giornali che hanno rubriche o pagine di scienza e di tecnologia destinate a un pubblico generale, quindi con un taglio più giornalistico, sia per la scelta dei temi sia per la trattazione. In questo modo ognuno può scegliere il suo livello di competenza. E trovare il proprio modello di divulgazione. Va detto, in proposito, che la divulgazione è importante anche per gli stessi scienziati: la ricerca infatti è diventata così ramificata e specializzata che solitamente un astrofisico sa poco di biochimica cerebrale e, analogamente, un geologo non sa molto di psicologia sperimentale: riviste di divulgazione di livello sono quindi molto utili per informare su cosa sta avvenendo in altri campi. Il fisico Edoardo Amaldi, che per anni aveva lavorato fianco a fianco con Enrico Fermi, raccontava che quest’ultimo era un ottimo divulgatore, molto bravo nello spiegare le cose ai suoi collaboratori. Alla fine dell’esposizione chiedeva se era chiaro ciò che aveva finito di illustrare e di fronte alla risposta affermativa riprendeva da capo la spiegazione, entrando nei dettagli, per approfondire i passaggi che aveva saltato. Si tratta di un modo di procedere molto efficace perché per capire i dettagli bisogna prima aver afferrato l’insieme. Bisogna aver ben chiaro il contesto, il concetto generale, il paesaggio, per così dire. A quel punto i dettagli vanno a collocarsi nei punti giusti e a integrarsi in uno schema mentale acquisito. Questa è la ragione per cui spesso un lettore non riesce a inquadrare bene una notizia, o a capire il senso di una ricerca: gli manca il contesto, il quadro d’insieme in cui questa notizia o questa ricerca si inseriscono. Se si vuol aiutare un lettore a capire è quindi sempre importante collocare un fatto nuovo nel suo contesto, senza dare per scontato che chi legge già lo conosca. Ma esistono particolari tecniche per divulgare? È un po’ come chiedere se esistono tecniche per parlare o per scrivere: esistono naturalmente delle regole generali, ma ciò che si dice o si scrive è soprattutto il frutto della propria professionalità, preparazione, creatività, stile, talento e così via. Vi sono però alcuni elementi che è importante tenere sempre presenti. Per comprendere ciò è forse utile anche in questo caso partire da un piccolo esperimento di psicologia. In un laboratorio del dipartimento di psicologia di un’università americana, alcuni studenti sono stati sottoposti, uno alla volta, a un curioso test. Dovevano leggere articoli di giornali o di settimanali mentre un poligrafo quella che impropriamente viene chiamata la macchina della verità registrava le loro leggere variazioni di battito cardiaco, tensione muscolare, sudorazione, pressione arteriosa ecc., attraverso una serie di sensori. In altre parole i dati del poligrafo, in parallelo con il procedere della lettura, segnalavano la maggiore o minore ‘eccitazione’ del soggetto nei confronti dell’articolo. Cioè si evidenziava l’attenzione e quindi l’interesse che la lettura suscitava,questo  esperimento rileva un aspetto fondamentale del funzionamento del cervello. Schematizzando al massimo, è ben noto che il nostro cervello è composto da più parti collocate in tre aree principali: quella più arcaica e più interna che presiede a certe funzioni automatiche di base, quella intermedia, il cosiddetto sistema limbico, che è il centro delle emozioni, e infine la corteccia, il sottile strato che avvolge il cervello, composto da neuroni molto finemente intrecciati che presiedono alle attività superiori elaborazione delle memorie, immaginazione, linguaggio, musica, intelligenza, comandi motori ecc. Queste varie aree agiscono naturalmente in modo integrato e danno luogo al comportamento. L’esigenza fondamentale di sopravvivere richiede comportamenti adatti a evitare le cose dannose e a raggiungere invece quelle utili. Una lunga evoluzione ha creato un meccanismo molto efficace: ogni volta che ci troviamo di fronte a una situazione spiacevole oppure piacevole, il centro delle emozioni reagisce e ‘accende’ il sistema nervoso, creando uno stato generale di allerta, di attenzione, e produce particolari sostanze biochimiche che raggiungono la corteccia cerebrale. È questa particolare condizione che consente alla corteccia di memorizzare un evento, attraverso la crescita di microscopiche ramificazioni nella rete dei neuroni. In altre parole il nostro cervello è continuamente in contatto con il mondo esterno, percepisce milioni di immagini, suoni, sensazioni, ma si ‘accende’ e memorizza solo quelle esperienze che per lui sono significative: in pratica che rappresentano premi oppure punizioni. Questa memorizzazione sarà tanto più intensa quanto più queste esperienze hanno comportato un rischio oppure una gratificazione. In questo modo il nostro cervello impara a reagire e a comportarsi adeguatamente quando una situazione analoga si ripresenterà. Ovviamente si tratta di un sistema molto più complesso e raffinato, che qui abbiamo schematizzato, delineando solo il concetto di base. Ma ognuno può facilmente verificare che il film della sua vita è costituito soprattutto da ‘fotogrammi’ che hanno creato forti emozioni, rimaste impresse nella memoria: successi e insuccessi, amori e delusioni, promozioni e bocciature, vittorie e sconfitte, gioie e dolori, malattie e guarigioni, matrimoni e separazioni, soddisfazioni e amarezze, innamoramenti e abbandoni, nascite e morti. L’elenco è sterminato e riempie ogni vita umana.  Con livelli di emozione ovviamente diversi e con significati diversi a seconda delle esperienze individuali. È proprio per questa ragione che, se si vogliono ‘accendere’ le emozioni in un lettore o in un telespettatore e quindi interessarlo, è importante presentargli situazioni in cui egli possa immedesimarsi ed essere coinvolto. Se si guardano, per es., le trame dei film specialmente di quelli che fanno cassetta si vedono facilmente i tiranti delle emozioni: amori, lotte, avventure, inseguimenti, scene che fanno ridere, piangere, rabbrividire, stupire, inorridire, meravigliare e così via. Anche la pubblicità si avvale degli stessi meccanismi per colpire le emozioni dello spettatore con immagini spettacolari, divertenti, inusuali, sorprendenti, in modo da indurlo a memorizzare la scena e a ricordare la marca del prodotto. Con una ripetitività che permette di fissare bene il ricordo. Nel mondo dell’informazione, si dice spesso, i grandi titoli si riferiscono soprattutto a cinque ‘S’: sesso, sangue, soldi, salute, sport. Ma si potrebbero aggiungere molte altre ‘S’, come scandali, stupore o speranza. Anche i telegiornali, a loro modo, mettono sempre in evidenza le notizie più emotive. Tornando al precedente esempio degli studenti collegati al poligrafo, la lettura di vari tipi di testi può consentire allo sperimentatore di misurare le variazioni emotive da essa prodotte.
In questo modo si può misurare non soltanto la risposta al tipo di notizia, ma anche al modo in cui essa è scritta. A creare emozioni, infatti, è anche lo stile di chi scrive, la sua capacità di coinvolgere il lettore, di suscitare il desiderio di continuare ad andare avanti. Insomma è anche il giornalista o lo scrittore che riesce ad ‘accendere’ il cervello. A volte persino su argomenti non particolarmente emotivi che non appartengono alle famose ‘S’, ma che vengono resi emotivi grazie al modo in cui sono raccontati. Un punto cruciale della scrittura divulgativa è che non basta essere chiari, bisogna riuscire a coinvolgere l’emotività. In modo diverso naturalmente, ricorrendo a tecniche più nobili, percorrendo strade più indirette, ma avendo sempre come bersaglio strategico l’‘accensione’. Perché se non si attivano i centri che regolano l’attenzione non si verifica, nella corteccia cerebrale, quella situazione biochimica adatta a suscitare e a mantenere l’interesse. Naturalmente esistono anche testi in apparenza noiosi e poco coinvolgenti che possono attivare il sistema e creare interesse: per es., un fiscalista leggerà con attenzione le nuove norme che vengono a modificare il pagamento dei contributi, un fisico leggerà avidamente la versione originale dell’ultima ricerca sul bosone di Higgs, un matematico si divertirà a leggere un articolo sulla storia dei numeri primi. Ognuno, insomma, prova interesse per le notizie che riguardano il campo nel quale è competente. Il problema principale del divulgatore è quello di suscitare curiosità e partecipazione in un pubblico molto differenziato per livello educativo, competenze, interessi. Una ‘nobile’ emotività può essere suscitata rivolgendosi a una qualità che tutti gli esseri umani posseggono, sia pure in misura diversa: la curiosità, il desiderio di conoscere, il piacere di scoprire.

E’ quello che in settanta anni di carriera ha fatto Piero Angela donandoci momenti unici ed irripetibili, che sono la ‘Conoscenza’ e la curiosità. Le parole commesse del figlio Alberto Angela al funerale : Lui ci ha insegnato tante cose con trasmissioni, libri, ha usato tutti i media per divulgare. L'ultimo insegnamento l'ha dato non con le parole ma con l'esempio: mi ha insegnato in questi ultimi giorni a non avere paura della morte, che è la paura di qualsiasi essere umano. L'ha attraversata con una serenità che mi ha sconvolto, che mi ha colpito. Mai visto in mezzo allo sconforto o alla tristezza. Ha fatto una quantità di cose e questo è uno dei motivi per cui se n'è andato soddisfatto. Ha attraversato quest'ultimo periodo con una razionalità, come se fosse quasi una missione Apollo". E poi ancora: "Quando ha capito che era ormai arrivato il suo tempo ha fatto le sue ultime trasmissioni e pure un disco jazz. Aveva una forza incredibile. Ha fatto un discorso ai familiari e dopo 24 ore che l'ha fatto se n'è andato. Mai vista una cosa cosi. Lo dico come figlio e collega giornalista. Aveva un approccio alla vita razionale, scientifico, e di amore, di come la vita dovrebbe essere vissuta”. Ho avuto la sensazione di avere Leonardo da Vinci in casa. Papà amava ripetere un suo aforisma: "Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire". Lo ripeteva e credo lo abbia interpretato fino alla fine. Per lui era importante avere una vita colma, era un insegnamento per tutti noi. Riempire la vita, amare tutte le passioni come ha fatto lui. Anche se da torinese sembrava molto riservato c'era un fuoco dentro di lui. A mio modo di vedere lui continuerà a vivere attraverso i libri, le trasmissioni, i dischi jazz, ha dichiarato il figlio di Piero Angela. "Continuerà a vivere in tutti quei ragazzi che cercano l'eccellenza, con sacrificio. Sarà vivo in tutte le persone che cercano di unire, di assaporare la vita. Una persona scientifica ma con il senso dell'umorismo grandissimo. Era bravo in tutte le cose, persino nel disegno. Una mente che, ancora adesso, mi sorprende. L'eredità che ci lascia è importante: non è un'eredità fisica ma di atteggiamento nel lavoro. Anche io cercherò di fare la mia parte".