Claudio STRINATI :
Anna Di Fusco è un’ artista che vive la sua esperienza con sincero fervore e, insieme, con normale naturalezza. I suoi lavori si susseguono a ritmo regolare e l’ itinerario mentale della pittrice non è mai apparentemente turbato da qualcosa di esteriore o di estraneo all’ arte stessa. Senza voler parlare di progettualità, nel senso più tecnico della parola, o di consapevole pianificazione, risulta subito chiaro appena ci si accosta alla sua esperienza, come le opere di
Anna Di Fusco siano comunque il frutto di una sorta di spontanea strategia creativa, nel senso che ogni quadro nasce in conseguenza dell’ altro e in questo collegamento necessario sta l’ origine stessa di un’ arte che guarda sempre e solo all’ essenziale e obbedisce a una ispirazione sicura e concreta. E’ anche vero che una simile affermazione potrebbe essere scambiata per un paradosso essendo l’ arte della
Di Fusco completamente orientata sul versante dell’ astrazione, eppure è proprio in un marcata aspirazione alla concretezza che l’ insieme del lavoro della nostra artista assume il suo pieno significato.
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Come sempre, del resto, non esiste un’ astrazione assoluta come non esiste neppure una mimesi assoluta sul versante opposto del figurativo. In questa mostra, poi, barlumi o residui di suggestioni mimetiche appaiono e scompaiono, in parte generate da un rapporto singolare anche se molto libero con la sede in cui ci troviamo.
Siamo nell’ area agrigentina e, per fare un solo e vivido esempio, quel curioso andamento del terreno qui chiamato
“zampe di elefanti” sembra di vederlo apparire evidente in due tele dell’ autrice dove accentua quella sua tipica caratteristica di attraversare le opere con tracce rialzate e rugose tali da animare la superficie in maniera forte e delicata al contempo. Un modo di fare qui strettamente connesso con il sito reale geografico anche se l’ impostazione di base dell’ artista non consiste affatto nell’ adeguarsi a una esigenza di rappresentazione veridica ma, al contrario, va tutta verso la vocazione astratta, presupposto principale della sua pittura. Così i riferimenti naturalistici entrano nelle opere della
Di Fusco con estrema discrezione tanto che le “
zampe d’elefante”, esposte in questa mostra, dialogano bene con un altro quadro che parla, sia pur per sobri cenni, del luogo. Questa volta è il mare, il “
mare nostrum” dove le strutture compositive caratteristiche della
Di Fusco danno la suggestione del movimento dell’ acqua da cui trapelano inquieti segni rossi, colore molto amato dall’ artista che quasi farebbe pensare a funesti destini sempre più rintracciabili sui mari squassati dalle immani tragedie dell’ immigrazione, fatale conseguenza dell’ andirivieni di popoli affacciati sul mediterraneo. C’è persino, a proposito dei commoventi residui figurativi che trapelano nel lavoro di
Anna Di Fusco, l’ esplicita e pacata immagine della bandiera italiana tenuta insieme da un nastro che salda i semplici rapporti cromatici in una forma insolitamente solenne e sintetica.
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Insomma non è che la
Di Fusco non guardi il mondo intorno a sé e non ne dia conto.
Del resto già qualche tempo fa, quando questa mostra non era neanche ancora progettata, la
Di Fusco aveva tratto ispirazione, durante un altro viaggio in Sicilia, dall’ osservazione dei crateri, producendo una serie di quadri in cui la superficie pittorica è animata da una sorta di rilievo sabbiato che conferisce all’ insieme un effetto di vitalità e vortice, effetto a partire dal quale l’ artista ha poi continuato a lavorare ben oltre il limite naturalistico imposto da quel tipo particolare di rappresentazione.
Ma già in opere che si misurano anche con un criterio di verosimiglianza, rifulge il vero filo conduttore dello stile della
Di Fusco, che risiede in questo andare e venire tra l’ ispessimento delle superfici e il loro alleggerimento, una specie di movimento pendolare per cui gli estremi si toccano in una dialettica interna destinata a rinnovarsi continuamente, ammettendo di volta in volta sia l’ uno sia l’ altro orientamento ma sempre mantenendo un andamento equilibrato e armonico. E’ come se nell’ orientamento di fondo dell’ artista restasse sempre vigente l’ esigenza di contemperare la dimensione prettamente estetica con quella più esplicitamente etica. La
Di Fusco lavora infatti a stratificazioni e eliminazioni proprio secondo un andamento dialettico. Mostra con chiarezza il suo sistema di costruzione dell’ immagine, ancorchè astratta, procedendo come volesse, paradossalmente, prima nascondersi e poi manifestarsi con la massima chiarezza di espressione. Vi è in lei una esplicita emotività e , nello stesso momento, il chiaro intento di far capire come nella sua opera tutto sia sotto il controllo di una ragionevolezza e di una quiete interiore che nulla può sconvolgere o anche solo disturbare. C’è, dietro un tale metodo di lavoro, un pensiero spirituale profondo, una istanza di meditazione e interiorità. La
Di Fusco sembra voler trascendere il singolo individuo per collocare l’ insieme dell’ opera in una prospettiva più libera e meno soggettiva.

Eccone un valido esempio: nella recente
“Quarta Biennale internazionale d’ arte” al
Santuario di San Francesco di Paola, la
Di Fusco ha esposto un quadro notevole che si chiama
L’ essenza. Nel catalogo curato da quel raffinato e dotto storico dell’ arte che è
Mons. Pietro Amato, il commento è molto accurato e sentito, al punto che vi si legge come quel quadro, peraltro di qualità invero notevole, divenga nella percezione di osservatori attenti e bene istruiti nelle cose dell’ Arte “ una silenziosa metafora del dramma e della speranza, carica di realismo e di visionaria espressività”. E’ un giudizio interessante e condivisibile e che può essere esteso all’ intera produzione dell’ artista che su questa intensa visionarietà fonda veramente la quintessenza del suo stile.In effetti una nitida attitudine a guardare oltre l’ immediata percezione ha fatto sì che la nostra autrice potesse muoversi andando avanti e indietro rispetto alla verosimiglianza delle cose senza mai perdere il filo conduttore che lega le sue opere. E questo filo conduttore non è nell’ apparenza immediata ma nella struttura profonda sottesa ai dipinti, qualunque ne sia l’ argomento, qualunque sia lo spunto da cui l’ autrice è partita per realizzarli.
Due quadri di notevole significato sembrano rappresentare libri sovrapposti come a creare una sorta di muro compatto e incombente. In altri casi la stessa sensazione di una sorta di “muro” visivo posto davanti all’ osservatore fa intravedere meglio gli obiettivi essenziali perseguiti dall’ artista. In un altro caso ancora l’ impronta visiva sembra scaturita dalla connessione di piccoli frammenti, come spezzoni di una pellicola cinematografica ricomposta e tenuta insieme dal rilievo impresso sulla tela dalla spatola, strumento prediletto dalla pittrice, che le permette di regolarizzare e inturgidire le superfici secondo un ritmo regolare e armonioso. Ne scaturiscono forme rigorosamente geometriche, come cubi o cerchi che sembrano girandole, ma questo
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non impedisce alla
Di Fusco di esplorare anche l’ opposto, vale a dire una sorta di personalissimo informale, come accade in un quadro ispirato ai “colori di Roma” dove la definizione precisa delle forme è annullata dalla stesura che consuma i colori manomettendoli e sciupandoli quasi a rivelarne una essenza segreta e nascosta che pure si manifesta evidente a occhi che non hanno remore nel vedere e nel capire. Qui emerge un altro aspetto significativo dell’ artista: l’ attenzione al variare della luce fino a sprofondare nell’ oscurità che confina con una specie di “non essere” della pittura, verso una profondità che paradossalmente potrebbe arrivare a cancellare la visione stessa. E quadri di questo tipo recano appena sottili tracce come graffiature che ancora una volta tendono a consumare la superficie contrastando con quel senso costruttivo e solido espresso da una cospicua parte della sua produzione.
Del resto tutta l’ operazione pittorica della
Di Fusco dà l’ impressione di una tendenza a affinare sempre più la mente trascinando con sé l’ osservatore sulla medesima strada per accrescerne la consapevolezza rispetto alla cognizione dell’ Arte. C’è, peraltro, nella nostra autrice una cultura che tende a immettere nel suo sistema figurativo elementi di diversa provenienza e estrazione. Non sono tanto i singoli quadri a caricarsi di un significato specifico, quanto l’ insieme dell’ opera, sempre più sviluppato e approfondito per conseguire un modo specifico di fare esperienza dell ’arte, nel produrla e nel farla percepire.
L’ arte di
Anna Di Fusco pretende, insomma, un approccio libero, una mente sottratta alle contingenze del momento e disposta a assimilare i moti essenziali della percezione stessa. Questa pittura che sembra tendere verso la più radiosa emanazione luminosa, è nello stesso tempo quieta e introversa e cerca, all’ opposto, il buio insieme a una sorta di segno universale in cui tutto possa radicarsi assumendo significato.
Non si potrebbe definire questo modo di fare arte, facile o difficile. Ma è probabile che per chi vi si accosta senza pregiudizi o remore, una tale pittura possa risultare di tutta evidenza, facile in definitiva, di quella facilità che è possibile raggiungere quando una vera e profonda meditazione incentrata proprio sulle massime complessità dell’ esistenza sfocia naturalmente in quella semplicità che, come è ben noto, resta sempre la cosa più difficile da raggiungere.
E qui, nell’ insieme del lavoro di Anna Di Fusco, è forse possibile trovare un caso esemplare di un simile itinerario.
Claudio STRINATI
Polo Regionale di Agrigento per i siti culturali - Museo archeologico - Auditorium “Lizzi”
2 Dicembre - 9 gennaio
Il Soprintendente
Gabriella COSTANTINO
Anna Di Fusco nasce a Sesto Campano (Isernia), si trasferisce a Roma dove si laurea in Lingue e letterature straniere, e dove oggi vive e lavora. A partire dal 2010 si concretizza la sua poliedrica ricerca artistica che parte dalla pittura intesa come linguaggio espressivo autonomo, nella quale sintetizza le proprie multiformi esperienze culturali, in particolare i viaggi intorno al mondo, il pensiero buddista e la letteratura. La sua pittura si configura come la dimensione più eclettica di un astrattismo che tende alla spiritualità e alla rivelazione di una nuova verità estetica. L'artista mostra una significativa cultura visuale, certamente data dai lunghi viaggi che la sua vicenda biografica ha contemplato.
Anna Di Fusco negli ultimi anni ha ricevuto numerosi consensi dalla critica nazionale ed ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all'estero (Zurigo, Norvegia); ricordiamo la
biennale d'arte di Grottaglie e Paola nel 2014 e nel 2016, presso il
Convento di San Francesco, diretta da
Mons. Pietro Amato, Vicario Generale della Diocesi di Roma. Sue opere si trovano in alcuni musei d'arte contemporanea e collezioni private italiane. Nelle opere previste per il percorso espositivo di Agrigento l'artista interpreta alcuni suggestivi luoghi del nostro paesaggio che hanno colpito il suo immaginario, prima tra tutte una suadente interpretazione delle marne della Scala dei Turchi e dei calanchi della Valle dei Templi, e un omaggio al mare mediterraneo come luogo di accoglienza, speranza e tragedia, ispirato da recenti fatti di cronaca riguardanti gli sbarchi dei migranti.

La mostra, presentata da
Gabriella Costantino e da
Gioconda La Magna, direttore del
Polo Museale di Agrigento, ed accompagnata da un catalogo con testi, tra gli altri, di
Claudio Strinati, storico dell'arte, direttore del
Polo Museale Romano dal 1991 al 2009 e noto divulgatore di storia dell'arte e di
Gaetano Bongiovanni, noto studioso e storico dell'arte della
Soprintendenza di Palermo e
Carla Mariani nota esperta nella tecnica del restauro, è ospitata ad
Agrigento fino al 7 Gennaio 2017, per poi spostarsi presso i suggestivi spazi espositivi del settecentesco
Palazzo Sant'Elia a Palermo. In occasione della mostra alcune opere della Di Fusco saranno ospitate presso la
Farm Cultural Park di Favara, le
FAM di Agrigento, il complesso monumentale di
Santa Maria dei Greci e
il Parco Archeologico Valle dei Templi.