27 gennaio-19 febbraio 2017
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i
Maria Ilaria GARAVELLI
Esiste ancora l'arte sacra nel 2017 ?
Domanda lecita, in un mondo in cui l'arte fluisce nella matericità della vita quotidiana. Non vi è nulla di sacro nelle
Brillo Box di
Warhol, se non, per il mercato, il fatto che sia opera di
Warhol stesso.
Il tema del sacro e della spiritualità nell'arte, per quanto in un remoto passato fosse il principale motore della produzione artistica, nella contemporaneità ha perso l'anelito ad essere tramite ed elevazione per l'anima verso qualcosa di impalpabile e divino. L'azione compiuta da
Leonardo Regano e dagli artisti invitati per
Sequela ci mostra, andando quasi controcorrente, un ritorno a quella scelta interiore di
seguire la tensione verso il bene, nonostante il sacrificio, la fatica di mantenere una scelta e una fede, elemento che oggi è divenuto sempre più labile all'interno di una moralità che, come dice il curatore “
come tutto il resto deve essere fast&easy
”. Quanto possiamo soffermarci al giorno d'oggi sul nostro essere credenti, seguaci di un Dio, qualunque esso sia, senza pensare a quanto questo sia diventato un'onta, un onere, piuttosto che una chiamata d'amore gratuito?
Ho trovato coraggioso il lavoro degli artisti, provenienti da esperienze e luoghi diversi, che abbracciano gli ultimi trent'anni di storia. Come possono queste tre generazioni confrontarsi con l'arte del passato, così devota e vicina alla identificazione dell'opera con la divinità stessa? Nel passato, in ogni pittura o scultura c'era un sostrato di inviolabilità, di sacralità, che rendeva quell'opera rappresentazione e mezzo per accedere a sfere di contemplazione superiore, tornando a una radice della stessa parola religione:
religo, ovvero,
legare. Ricongiungersi a qualcosa di perduto tra le pieghe e la velocità de mondo, riunirsi a Dio, o anche tornare ad essere un tutt'uno con la propria anima, in un ideale dualismo, che ci riporta alla incarnazione di Cristo.
L'ambiente scelto per raccogliere gli esiti del percorso affrontato da ogni artista, ci restituisce un dialogo con un passato di grande fede: l'
ex chiesa di San Mattia, piccolo gioiello nascosto, uno dei tanti che Bologna trattiene dentro di sé. Gli affreschi ci riportano a momenti di trionfo della Chiesa, di fasto, di profonda, quanto bigotta, devozione. Tuttavia, nel contemplare l'insieme, solo la forma è cambiata. Il contenuto continua a restituirci un momento di raccoglimento religioso.


Le opere contemporanee si incastrano nell'ambiente, nelle nicchie laterali, come nuove pale d'altare o statue votive, come i grandi ritratti femminili di
Domenico Grenci, “
maliarde tentatrici” che, come
Maddalene ci osservano da un onirico passato, nella loro vana sensualità; come
Francesco Diluca, che con l'opera
Capillari ci mostra un corpo virile ormai secco e svuotato della sua funzione vitale, come un michelangiolesco
David a cui è rimasto poco più che un arrugginito sistema circolatorio, segno della inevitabile contingenza del corpo a scapito dell'anima, della bellezza transeunte della fisicità.
Il complicato rapporto tra anima e corpo ci riporta ancora al mistero dell'incarnazione. In
Red river, opera il cui impatto visivo è di notevole suggestione ed emozione,
Elizabeth Aro sembra farci toccare il sangue di Cristo, la più preziosa reliquia, che scorre da un ideale costato del Crocifisso fino ai nostri piedi, nella tangibilità del prezioso velluto broccato, in cui, dice il curatore, “
c'è tutta la tradizione della religiosità latina”.
Scuotono la nostra interiorità più nascosta - quella dei rimossi, delle dimenticanze, del diniego - le opere di
Letizia Cariello, che usa materiali della propria vita quali doni votivi, in ricordo degli eventi drammatici della storia, nei quali l'uomo ha messo da parte la religione, e ciò che ne deriva, al servizio della banalità del male.
Un percorso di redenzione è quello che
Bill Viola ci narra in
The Innocents, in cui il battesimo attraverso l'acqua apre la vita a un mondo definito e a colori, in un tripudio di luce, che ripercorre i passi del
Vangelo di Matteo “Voi siete la luce del mondo. [..] Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.”
Un percorso verso la Bellezza, non solo attraverso la sofferenza e il dualismo uomo-Dio e anima-corpo. Il secondo
corpus di opere che compongono la mostra ci offre la meraviglia del Creato, del ritorno alla Natura come luogo in cui ritrovarsi e ritrovare collegamento con un Essere altro.
L'opera di
Maria Cristina Carlini, posta al centro dell'altare maggiore, pone i suoi
totem tra terra e cielo su un manto di vera terra, generatrice e densa di vita, ripercorrendo il misticismo indù dell'ascesa verticale.
Altro elemento legato alla terra è la spiga che Maria Lai pone come elemento distintivo della sua composizione. Il grano, sulla base del versetto dal
Vangelo di Giovanni (12.24), sin dal IX secolo, è divenuto simbolo di resurrezione, in quanto sia l'uomo sia il seme per risorgere hanno bisogno di morire. La spiga diventa quindi emblema della vittoria sulla morte, nonché rimando al pane di vita nuova: il corpo di Cristo.

Alla contemplazione del creato si accosta
Giulia Dall'Olio, pittrice che, nel suo classicissimo ed elegante stile, sembra continuare quella tradizione bolognese iniziata con
Annibale Carracci di rappresentare il paesaggio come protagonista del disegno divino. Un grande albero si staglia al centro della composizione, immerso nel colore dell'infinito, in cui l'occhio si perde; tutto ciò che vi è attorno sembra regolato da una danza ordinatrice, un primigenio ricordo della
Genesi.
E alla
Bibbia torna anche l'installazione di
Maurizio Osti, che conclude idealmente il ciclo. Tre libri, che potrebbero rappresentare tre momenti di una vita, ripercorrono il disegno di Dio per l'universo, ma anche le classicissime tre età dell'uomo: la genesi, l'esodo e l'apocalisse.
Un libro quindi, che chiude il percorso ideato da
Regano e dagli artisti invitati. Il
Libro dei Libri, come richiamo a una “culturalità” della religione. E se l'arte - come la religione e la letteratura- è disciplina umanistica (
Panofsky docet), allora ciò che è davanti ai nostri occhi nella mostra
Sequela altro non è che l'ideale proseguimento di una antica
humanitas, nel bisogno di rendere artistica la propria chiamata interiore. Un evangelico “
vieni e seguimi” che si rinnova ancora oggi nel dono della parte più intima, sensibile e privata da parte di ogni artista.
di