Giovanni Cardone Marzo 2023
Fino al 4 Aprile 2023 si potrà ammirare presso la Galleria Lineadarte Officina Creativa Napoli la mostra di Sergio Spataro In- Bilico a cura di Giovanna Donnarumma, Gennaro Ippolito e Sergio Spataro. Ho incontrato tantissime volte nel suo studio Sergio Spataro e li si percepisce l’energia, la ricerca e la sperimentazione che descrive ha pieno la sua personalità di artista. E per questo che nelle opere di Sergio Spataro vi è una sottile relazione tra segno e materia  che costituisce una costante poetica che ha un’eco immediato. Affiora una struttura silenziosa e lirica che crea un felice equilibrio: una sorta di dinamica interna che arricchisce lo sguardo di attese emotive, di ulteriori possibilità . La sua tecnica che egli conferisce alle sue opere, sembrano che trasudano luce ed ombra. In effetti, anche il suo informale, resta imbrigliato nelle percezioni dell’artista raccolte nella sua vita di tutti i giorni. I suoi soggetti fanno parte interamente della sua esistenza, ma nello stesso tempo perdono, attraverso la pittura, quella referenzialità che li vincolerebbe all’esistenza, all’occasionalità. Si può esattamente dire che i suoi sono ‘soggetti’,  e non ‘motivi’. Si tratta in altri termini di spunti per far rivelare la pittura che si nasconde dentro le cose, lungo le strade, negli orizzonti ampi dei campi. In questa mostra le opere dell’artista certamente ci fanno riflettere sull’inquietudine che tutti noi stiamo vivendo e al tempo stesso può anche essere considerata come una possibilità o meglio ancora come forma estrema di libertà. Se pensiamo a quanto possano essere oppressivi i vincoli e i ruoli sociali, a quanto possano essere alienanti le costrizioni civili i luoghi comuni e i pregiudizi, le maschere che quotidianamente siamo costretti ad indossare, ecco che tutta questa “liquidità” tutta questa possibilità di trasformazione non può che sembrarci addirittura una catartica o meglio una salvifica possibilità di riscatto di vera affermazione oppure di auto-determinazione. Penso a Bauman quando dice : “ Che la nostra sociètà  sta focalizzando la sua attenzione sul passaggio dalla modernità alla postmodernità, e le questioni etiche relative.  Egli ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati. Bauman sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore . In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano”. Testo a catalogo di Mino Iorio che dice : Sergio Spataro nasce a Palermo il 17 maggio del 1951 ma è solo un dato anagrafico, perché già in tenera età lo ritroviamo a Napoli dove resterà per la maggior parte del suo percorso artistico e creativo. La sua sarà una formazione completamente acquisita nel capoluogo partenopeo, infatti, dopo aver frequentato il liceo artistico, l’ambiente accademico lo coinvolgerà fino ad un certo punto perché presto se ne allontana per dedicarsi esclusivamente all’attività creativa. È del 1979 la sua prima personale presso la Galleria d’Arte di San Carlo, il centro artistico e creativo guidato da Raffaele Formisano (nel 1950), un riferimento culturale che ha profondamente segnato il contesto artistico napoletano a partire almeno dalla fine degli anni cinquanta in poi poiché, grazie alla forte carica emotiva e alla profonda passione per le avanguardie artistiche del suo principale organizzatore, fu avviata un’intraprendente ricognizione di tutte quelle giovani promesse di artisti contemporanei che abitavano non solo la Città ma soprattutto la Provincia, animati com’erano da entusiasmi e da grandi speranze. Proprio in questo contesto sono rintracciabili i modelli a cui Sergio Spataro s’ispira. Il Gruppo 58 con i suoi fondatori – Luca (Luigi Castellano), Guido Biasi, Lucio Del Pezzo, Bruno di Bello, Sergio Fergola e Mario Persico – che è sicuramente tra gli archetipi e alla base della sua formazione originaria. Ma saranno i vari Enrico Bugli che alle frequentazioni di Pino Pascali e Baldo Diodato, artisti dall’inequivocabile linguaggio dadaista, alterna, a metà degli anni sessanta, la vicinanza con il Gruppo 70 fondato a Firenze; Carmine Di Ruggiero con la sua oggettualizzazione dell’immagine in senso materico ed espressionistico come superamento del post-cubismo che si era piuttosto radicato negli anni sessanta a Napoli accordando i suoi repertori linguistici esclusivamente sul dato della luce; Ciro De Falco che soprattutto negli anni settanta piega la sua arte all’impegno nel sociale mostrando una forte interesse per i materiali poveri e il riciclo degli oggetti sottratti alla quotidianità, ciò che Enrico Crispolti definì “repertorio problematico” nel panorama esistenziale dell’artista; Gerardo Di Fiore anch’egli sensibile alla condizione disperata dell’uomo contemporaneo sempre più risucchiato in un baratro che nel linguaggio informale diventa la principale fonte d’ispirazione; e per finire, Gianni Pisani, che unisce un personalissimo surrealismo alla Pop Art senza troppe preoccupazioni di carattere teoretico ma elaborando innanzitutto una pittura trasognata che spesso non può non cedere a intense connotazioni di carattere figurativo e immaginifico. Sono fondamentalmente gli anni della contestazione a cui aderiscono tutte le neoavanguardie e Sergio Spataro, con grande energia,è partecipe di quest’arte che è soprattutto denuncia sociale. I suoi maestri in questo gli hanno fornito tutte la coordinante per procedere spedito nella direzione dell’artista impegnato. Così nel 1979, proprio nella Galleria d’Arte di San Carlo, in occasione della mostra sopracitata, il critico Vitaliano Tiberia osserva che lo stile adottata da Spataro è dotato di un linguaggio scevro da qualunque “compiacimento estetizzante” e ne esclude qualunque cedimento mistificatorio e conformistico. A tal punto che in lui si fa strada la dominante tematica del Sudario, al tempo stesso espressionistica e concettuale, l’impronta assimilata a iconografia, come avrà modo di dire – nella sostanza - Enrico Crispolti nel 1984. Un ready made, confezionato, prefabbricato, pronto all’uso che – ancora con le parole di Crispolti - “erano dipinti antipittorici sostanzialmente testimoniali, evidentemente di un profondo disagio esistenziale”e aggiungo io, la traccia dell’invisibile come impronta materiale dell’assenza del reale-presente. L’arte di Sergio Spataro si dispiega come il lenzuolo che ha avvolto il corpo di un martire dinanzi allo spettatore orante che ne riverisce la forza emotiva pur ignorandone il dramma esistenziale e si limita a rivolgere sommessamente un cenno di partecipata commozione. Sempre negli anni ottanta, proprio insieme ad uno degli artisti appartenente all’ambiente della Galleria di San Carlo, Alberto Lombardi, un’astrattista originario di Marigliano, a poca distanza da Napoli, si ritrova nel 1982 a Kassel in Germania per realizzare Pronto soccorso per l’umano/poetico, un’azione/istallazione realizzata nell’ambito di Documenta Urbana I, dove attraverso l’utilizzo di sessanta cassette contenenti un kit completo formato da acqua, colori, pennelli, occhiali, specchio, si proponeva ai passanti il recupero della propria “visualizzazione” nel presente che evidentemente si contrapponeva “all’invisibile” passato e “all’invisibile” futuro. Un autentico esperimento di affermazione della propria identità che per ovvi motivi storici si era volutamente smarrita, ignorata, rinnegata. Si tratterebbe, analogamente, dello stesso passe-partout del “Gesù tormentato” presentato da Pier Paolo Pasolini nel famoso film, capolavoro assoluto del 1964, “Il Vangelo secondo Matteo”, quando nella sequenza del Monte degli Ulivi il regista non cerca mai di attuare una “ricostruzione storica” della Palestina dell’epoca evitando di “sacralizzare un soggetto [già] sacro” - come lo stesso Pasolini afferma - nel tentativo di rendere“visibile” il dubbio che è in Gesù, fattosi uomo, confinato nella sua solitudine, nello sfondo di una città“addormentata”e annichilita nella sua stessa indifferenza. Molti per strada a Kassel prenderanno a calci le cassette dei due artisti italiani perché ai loro occhi risultano clamorosamente invadenti. Quelle cassette offendono pubblicamente gli abitanti del posto che hanno rimosso dalla memoria collettiva la distruzione- quasi totale -  della città durante la seconda guerra mondiale e qualunque opera di ricostruzione, soprattutto quella mentale, appare un affronto, una provocazione insopportabile. Dirà Lucius Burckhardt nel suo volume dedicato all’artista del 1984 “La nostra vita è distruzione: nel momento stesso in cui creiamo, distruggiamo. Se fossimo continuamente coscienti della nostra distruttività, forse smetteremmo di creare”. Ma il pensatore svizzero è alla base di molte altre componenti culturali che si possono rintracciare nell’artista Sergio Spataro. Burckhardt, come fondatore della promenadologia elabora la percezione del paesaggio, inteso come insieme di elementi antropici e naturali, la cui storia può essere studiata attraverso la pratica del camminare. Si tratterebbe sostanzialmente dell’antichissima esperienza aristotelica dei peripatetici e dell’accademia dei filosofi che da essa ne derivava. Ma molto più avanti nei secoli ci sarebbe da intercettare la figura del flâneur approntata da Charles Baudelaire; il gentiluomo che nel XIX secolo vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio e quando “la città ha raggiunto dimensioni tali da diventare [essa stessa] paesaggio”. In merito scriverà il filosofo Frédéric Gros: “Il flâneur è sovversivo. Sovverte la folla, la merce e la città, come pure i loro valori … L’atto di camminare del flâneur è più ambiguo, la sua resistenza alla modernità ambivalente. La sovversione non sta nell’opporsi, ma nell’aggirare, nello stornare, nell’amplificare fino ad alterare, nell’accettare fino a superare. Il flâneur sovverte la solitudine, la velocità, l’affarismo e il consumo”. E potrei aggiungere che il flâneur,-Sergio Spataro – sperando che non me ne voglia per questo – realizza tutt’oggi Sudarie opere concettuali di varia fattura pensate “in quell’equilibrio instabile” del suo quotidiano da cui, la poetessa Angela Schiavone, riflettendo su alcune opere la poetessa Angela Schiavone scrive:
funamboli sospesi tra terra e cielo
nel bilico di coscienze intermittenti
ricerchiamo falsi paradisi immersi in
un purgatorio dove nulla si purga
nel freddo della carne raggelata
siamo degni solo dei gironi infernali
bilicare è un alibi per non ripulire
un mondo dove anche i paradisi
portano agli inferni e l’eterno
improvvisamente
viene meno all’eterno
Identificandosi completamente nella dimensione burckhardiana di paesaggio e nell’idea moderna di ecologia che si materializza soprattutto nelle sue opere in ceramica raku, uno dei capitoli più interessanti di questo nostro artista tutto dedito alla “lavorazione” della materia. In questi lavori, Spataro ceramista, origina un ricchissimo repertorio di opere caratterizzate da una vasta gamma di elementi zoomorfi e fitomorfi che finiscono per diventare i protagonisti di un universo parallelo dove poter vivere senza la preoccupazione di un presente incalzante e con la tipica felicità di un bambino, quello che Crispolti chiamerà “evasione di puro lirismo immaginativo”. L’arte di Sergio Spataro oggi richiama quella di grandi artisti come il neo-dadaista spagnolo Antonì Tàpies, figura emblematica dell’informale internazionale, che, guarda caso, nel 1959 e nel 1964 partecipa anch’egli alla Documenta di Kassel, e Alberto Burri, soprattutto nella fase di forte sperimentazione materica dei primi anni cinquanta, quando utilizza il catrame, gli smalti, le sabbie, spesso tutto applicato sul piano concreto della tela. Opere come Tamara, olio su carta murillo, di cm50x70, del 1998, oppure Casula, selezionata per il concorso Koinè/Vaticano 1990/2000 e la stessa Kiev, opera mista con piombo e colori ceramici di cm 90x25 del 2022 sono la prova del suo posizionamento inequivocabile nell’orizzonte artistico contemporaneo. La scelta di un linguaggio espressionista che utilizza caratteri e temi a volte figurativi, a volte di completa disgregazione della forma nella sua intellegibilità, a totale vantaggio del tratto unico, deciso e cromaticamente prevalente. E infatti, in occasione della sua ultima sua mostra intitolata IN-BILICO, e realizzata a Maddaloni presso La Galleria Studio Il Castello, Rosario Pinto , attraverso il suo noto editoriale de “Il Calabrone dipinto” afferma che  “Nel corso del tempo, infatti, il tratto dell’affondo segnico ha garantito alla pittura di Spataro di poter guadagnarsi una cifra espressionistica, di cui egli ha fornito una delibazione che spazia dalle dinamiche figurative a quelle aniconiche, con una consistenza gestuale di indiscutibile pregnanza emotiva.” I disegni a china su carta praga di piccolo formato, cm 8x8 del 2010, sono l’esempio di come egli intenda il tratto figurativo. Un segno sottile ma carico con al suo interno l’idea di un flusso energetico che non desta equivoci perché di chiara adesione alla natura espressiva. Ed è come ci appare proprio la notevole Deposizione, fatta con tempera grassa e china su carta murillo di cm 50x70, del 2022; una grande scena vibrante basata sulla giustapposizione di vertiginose aree cromatiche che si orchestrano nell’intera composizione. Da cui, per dirla con Giovanni Cardone, “Affiora una struttura silenziosa e lirica che crea un felice equilibrio: una sorta di dinamica interna che arricchisce lo sguardo di attese emotive, di ulteriori possibilità”. Negli ultimi lavori di Sergio i colori sono la struttura di un singolare linguaggio che sgorga fluido sulle jute tra i rossi carminio e i blu cobalto, nella veste dei gialli e irradiata dagli ori. Nella mostra del giugno 2021, intitolata “La sezione aurea del Caos” e realizzata presso Spazio Vitale ad Aversa, Luigi Fusco  lo definisce “Alchemico, panteistico, dionisiaco, emotivo, ironico, sprezzante verso se stesso e dissacrante nei confronti dell’arte e della cultura in generale” e non può sottrarsi al confronto - anacronistico, certo - ma perfettamente attinente per quanto riguarda il principio, con Albrecht Dürer, ovvero l’artista incisore che drammatizza le sue scene ed estremizza le sue creature aderendo con grande autorevolezza alla rivoluzione culturale impressa dalla riforma protestante nei primi decenni del ‘500.  E che Sergio Spataro sia stato accompagnato nei suoi percorsi, anch’egli, da questo conflitto interiore - vuoi di natura religioso, vuoi di natura sociale ed esistenziale – è un dato incontrovertibile.
 
Galleria Linedarte Officina  Creativa
Sergio Spataro In –Bilico
dal 10 Marzo 2023 al 4 Aprile 2023
dal lunedì- Martedì e Giovedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00
3275849181- 3342839785 - possono variare, verificare sempre via telefono