Come è noto il Decreto legislativo n. 42/2004 e ss.mm.ii, di tutela e valorizzazione dei beni culturali, in qualche modo supera la risalente tendenza omnicomprensiva volta a vincolare e a trattenere nel territorio nazionale qualunque oggetto di interesse storico artistico, per qualsiasi motivo ivi presente.
Sotto il profilo del diritto eurounitario il principio fondamentale dei Trattati è il riconoscimento della protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale di ciascun singolo Stato membro, come deroga al principio della libera circolazione delle merci nello spazio europeo.
La salvaguardia dei divieti e delle restrizioni previste dalle legislazioni nazionali ha trovato un punto di mediazione nella Direttiva 93/7/CEE e nel Reg. 3911/92/CEE.
Coerentemente ai principi dei Trattati Europei, e del diritto comunitario derivato, poi recepito dalla legislazione nazionale, l’art. 1 co. 2 del D.Lvo 42/2004 dispone che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale debbono concorrere, in attuazione all’art. 9 della Costituzione, “a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio” e “promuoverne lo sviluppo della cultura”. Pertanto la funzione statale di tutela sui beni storico artistici, siano essi pubblici o privati, è giustificata ogniqualvolta gli stessi presentino una connessione identitaria con la Nazione. Del che si trova conferma anche nell’art. 733 c.p., secondo cui oggetto di tutela penale sono esclusivamente quelle cose di rilevante pregio, il cui danneggiamento arrechi “nocumento al patrimonio storico artistico nazionale”.
Il nesso inscindibile tra tutela ed identità nazionale era già richiamato negli atti parlamentari della Commissione Franceschini, passaggio fondamentale nell’elaborazione della successiva normativa di riferimento. La prima dichiarazione della Commissione esordiva infatti precisando che appartengono al patrimonio culturale della nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà, collegando storicisticamente i beni culturali all’identità nazionale.
Se il principio appare di estrema chiarezza, la sua applicazione concreta è stata sovente fonte di contenzioso tra pubblica amministrazione e proprietari privati delle opere d’arte.
Nella pratica infatti, da un lato, si pone il diritto dominicale sul bene, con le relative facoltà, tra cui quella relativa alla libera circolazione in ambito infraeuropeo, con i connessi interessi anche di carattere generale sottesi al mercato antiquario, la cui vivacità è fonte stessa della valorizzazione; dall’altra, l’esigenza di preservare l’integrità del patrimonio culturale nazionale, evitandone il “depauperamento”.
Per tali ragioni lo stesso legislatore (artt. 65 e 68/6, D.Lvo 42/2004 e ss.mm.ii) introduce una stretta correlazione tra il provvedimento di diniego dell’autorizzazione all’esportazione ed il provvedimento di dichiarazione dell’interesse storico-artistico, prevedendo che il diniego comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione ai sensi dell’art. 14. A tal fine contestualmente al diniego, sono comunicati all’interessato gli elementi di cui all’art. 14 comma 2, e le cose sono sottoposte alla disposizione di cui al comma 4 del medesimo articolo”. Tale funzione di “filtro” e di verifica, come è noto, è affidata agli Uffici Esportazione.
Nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione gli Uffici di Esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto di riferimento, presentano interesse storico, artistico ecc., attenendosi a indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero, sentito il competente organo consultivo. In caso di esito positivo, circa la concreta configurabilità dell’ ”interesse”, l’uscita dal territorio nazionale concreterebbe in sé un depauperamento del patrimonio culturale italiano.
Detta competenza, fino a poco fa, si aggiungeva a quella dei Comitati Tecnico Scientifici del Ministero, tenuti ad esprimere il parere obbligatorio prescritto al fine dell’adozione delle decisioni sui ricorsi amministrativi volti a sollecitare la revisione dei vincoli. Oggi i citati Comitati sono stati soppressi per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 12/20 DL 6 luglio 2012 n. 95, conv. nella L. 7 agosto 2012 n. 135, disposizione rientrante nell’ambito degli interventi di spending review, con prevedibili effetti d’incertezza giuridica circa la concreta individuazione degli organi chiamati ad esercitare le predette funzioni consultive.
Ad ogni modo, i criteri cui devono attenersi gli Uffici d’Esportazione sono ancora oggi quelli dettati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti (10 gennaio 1974) e riportati nella circolare del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 2718 del 13.5.74.
In particolare il Consiglio Superiore, consapevole delle difficoltà di esprimere criteri generali in materia tanto vasta e diversa, distingueva in via principale (e non esaustiva) tra "singolarità delle cose stesse" e "relazione con il contesto storico culturale di appartenenza". Sotto il primo profilo rilevano pertanto, ancora oggi:
a) la particolare nobiltà della qualità artistica normalmente indicata come pregio d’arte;
b) la rarità, in linea assoluta, oppure nei confronti di un determinato artista o centro o scuola artistica o in relazione alla regione o zona di provenienza;
c) il particolare significato della rappresentazione;
d) le originali qualità tecniche, anche in senso artigianale;
e) il valore di antichità o di prototipo per oggetti relativi alla storia e alla scienza;
f) la particolare difficoltà di ulteriore acquisizione per restrizioni legali o simili quando si tratti di cosa di altra nazione e di particolare interesse archeologico, storico, artistico, etnografico.
I criteri da a) a e) presuppongono l’italianità dell’opera, ovverosia il suo carattere identitario con la cultura nazionale.
Detta valutazione lascia tuttavia ampi margini di opinabilità e mutevolezza nel tempo, insiti nella discrezionalità tecnica riconosciuta agli Uffici. Inoltre è bene evidenziare che il concetto di Nazione rileva principalmente ai fini storico-geo-politici, ed è peraltro recente, mentre le espressioni artistico-culturali sono sempre di più ampio respiro, tendenzialmente atte a reciproche contaminazioni, influenze, capaci di vivere e diffondersi ben oltre i confini geo-politici delle singole Nazioni ed i limiti temporali.
Ne deriva una prima difficoltà, in sede di applicazione della normativa: quella di arginare il concetto di “italianità” dell’opera d’arte, quest'ultima tendenzialmente di natura universale.
Per tale ragione i provvedimenti degli Uffici d’Esportazione sono tenuti all’obbligo della motivazione a fondamento del proprio “giudizio”. Motivazione sulla quale ancorare, in caso di azione giudiziaria, il limitato sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
Riguardo il criterio f) il discorso appare totalmente diverso. In tale caso si ammette una deroga al requisito dell’ “italianità” dell’opera d’arte, purché vi siano ragioni legate alla particolare difficoltà di ulteriore acquisizioni per restrizioni legali o simili. In altri termini ciò che rileva è la rara rappresentatività dell’opera, sia pur come testimonianza di espressione artistica o culturale di altre Nazioni.
Su tale criterio la giurisprudenza appare assai rigorosa, ben consapevole della natura eccezionale del citato principio che deroga al carattere identitario della cultura nazionale.
Il criterio a mio parere pone oggi qualche dubbio di compatibilità con il diritto eurounitario, successivamente consolidatosi, che si fonda non solo sulla libera circolazione delle merci e sul mercato unico, ma anche sulla progressiva coesione sociale, culturale e politica dei popoli europei.
Il dilemma conferisce nuova vitalità oggi alla nota contrapposizione tra concezione "nazionalistica" e "cosmopolita".
La prima, volta a trattenere sul territorio nazionale qualunque oggetto di interesse storico artistico, originata da esperienze storiche come quelle napoleoniche secondo le quali l’orgoglio patrio era testimoniato dalle raccolte museali frutto dei bottini di guerra.
La seconda, incentrata sulla funzione universale dell’arte e sul riconoscimento del diritto di tutti i popoli di fruire della produzione storico artistica e culturale, di qualsiasi provenienza. In questa prospettiva si colloca lo spirito di collaborazione tra gli Stati volti alla maggiore, reciproca diffusione della proprio patrimonio culturale.
La questione può trovare una composizione politico-culturale: ripensare i principi della circolazione in ambito infracomunitario sulla base di nuove categorie. Il riconoscimento delle culture europee come fattore dinamico di rafforzamento di una coesione sociale e politica, non ancora ultimata. (16/05/2013)
Avv. Antonella Anselmo
Lemme Avvocati Associati
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