Struth è uno dei più apprezzati fotografi del panorama artistico contemporaneo a livello internazionale.
Vive e lavora tra Berlino e New York. Le sue opere si trovano nelle collezioni dei più importanti musei del mondo tra cui il Moma, il Metropolitan di New York, la Tate di Londra e il Museo d’Arte Moderna di Tokio.
Nato in Germania nel 1954, studia pittura all’Accademia d’arte di Düsseldorf con il concettuale astrattista Gerhard Richter: il prolifico lavoro di quest’ultimo si snoda in particolare tra pittura e fotografia. Richter lavora su soggetti, che variano spesso e si rifanno anche a quadri famosi, aventi come
fil rouge l’Annunciazione di Tiziano (riproposta in cinque versioni tramite una rimembrante sfocatura dinamica).
Struth si avvicina alla pittura surrealista e iperrealista e a metà degli anni 80 si concentra sugli scatti rivolti ai ritratti di individui e gruppi.
La serie dedicata ai musei e la relazione tra il pubblico e le opere d’arte, iniziata nel 1989, è però il suo fulcro di interesse. Queste foto dal formato monumentale, che ricordano quello degli affreschi rinascimentali, ritraggono i visitatori fermi o in movimento nei più famosi musei del mondo. Le foto esposte nelle sale del Louvre, del Prado, degli Uffizi o della National Gallery di Londra, rendono visibili i vari tipi di osservazione del pubblico ritratto, invitando noi, che a nostra volta guardiamo le immagini, a far affiorare le nostre percezioni sensoriali. Struth mette mirabilmente sulla stessa linea di sguardo i visitatori, noi osservatori e i soggetti delle opere. L’osservatore è al centro della scena attraverso l’illusione della presenza dentro di essa e tramite la sua immedesimazione con i protagonisti della fotografia, tende ad “osservarsi mentre osserva”, in una sorta di percorso introspettivo. I visitatori vengono immortalati durante una contemplazione-fusione con importanti capolavori dell’arte del passato (le celebri
Museum Photographs) e formano una moltitudine armonicamente omogenea dal variopinto tocco “tizianesco”. Vengono “catturati” inconsapevolmente sulla scena nell’atto di compiere le loro azioni: questo favorisce l’illusione della piena identificazione tra gli spettatori ritratti e l’osservatore, che viene “trascinato” all’interno della rappresentazione (cit. “Mi sono focalizzato sulle possibili reazioni ed esperienze vissute dagli osservatori di fronte alle opere).
La sottile liaison tra lo scorrere del tempo antico delle opere d’arte rappresentate e il tempo appena trascorso del flusso dei visitatori immortalati genera una storia del tempo presente, che si compie nel momento preciso in cui noi, da osservatori privilegiati, diveniamo parte integrante della narrazione (come anche accadeva nelle opere del rivoluzionario artista seicentesco Caravaggio con il loro manifestarsi “qui e ora”). L’obiettivo e’ quello di equiparare il tempo del dipinto con quello dello spettatore, sottolineando come il rapporto tra i due possa rendere contemporaneo il quadro stesso ( cit. “Per quasi tutte le fotografie della serie ho atteso pazientemente la giusta disposizione dei visitatori del museo di fronte all’opera di mio interesse. Solamente in pochi casi ho dovuto disporre gli spettatori nello spazio, per poter ottenere un risultato visivo e compositivo soddisfacente”).
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Protagoniste assolute degli anni 90 sono invece le foto a colori di medio e grande formato delle sue immense ed estese foreste selvagge, rievocanti talvolta gli scenari del pittore Rousseau, le cosiddette Paradises, di cui dice: “volevo realizzare delle fotografie, dove le cose erano cosi complesse e dettagliate, che potresti guardarle per sempre e mai vedere tutto. Ho notato che la gente passa molto tempo guardando in silenzio queste immagini”. Ci perviene solo il riverbero più impalpabile della luce e della sua stessa presenza di fotografo, ossia della sua “vigilanza tranquilla”, cosi come l’ha definita lo scrittore Sean O’Hagan.
A questi scatti fanno eco quelle di monumenti architettonici famosi. Una delle foto più celebri delle
Museum Photographs è senz’altro quello del Pantheon ripreso al suo interno, realizzato nel 1992 e venduto all’asta nel giugno del 2013 per 1,2 milioni di dollari. Il rapporto tra la figura umana e l’architettura pende a favore di quest’ultima. La grandiosità del formato permette la contemplazione di un’infinità caleidoscopica di particolari, unendo cosi uno sguardo panoramico ad uno ravvicinato.

Sia nelle serie in bianco e nero che in quelle successive a colori, i contesti architettonici sono carichi di richiami metaforici e rivestono il ruolo di specchio di un’umanità assente ritratta attraverso un’architettura, che delinea uno studio antropologico e culturale dello spazio abitato.
Il primo metodico ed accurato lavoro privo di cromie sulle città di Struth è infatti un’indagine sull’anima dei luoghi in cui viviamo. (cit. “Com’è la storia incorporata nell’architettura di una città?”).
Il suo sguardo si è poi focalizzato a partire dal 2007, a seguito di un viaggio in Corea del Sud, dove ha avuto la possibilità di visitare un imponente cantiere navale nell’isola di Geoje, su impianti industriali come torri di raffreddamento o di estrazione,
silos, impianti nucleari, sale operatorie, serre di coltivazione di Sorghum
total green mansueti e filiformi (“paradisi artificiali”) capannoni e centri di ricerca scientifica (cit. “il mio interesse in questo caso non è rivolto tanto alla tecnologia in sé, quanto piuttosto ai contesti che consentono all’ambizione umana di manifestarsi e agli intrecci che nascono da questo processo); ambienti che nel loro insieme rappresentano l’avanguardia, la sperimentazione e l’innovazione nelle attività umane (Golems Playground, Georgia Tech, Atlanta, 2013). Sono oggetti ripresi frontalmente, che si stagliano su di un cielo grigio chiaro, sfruttando un’ampia gamma di chiaroscuri e di
nuances. Ciò che ha portato ad un miglior risultato di questi lavori è stato, a detta di Struth, il fatto di essere un “non-specialist” ossia un estraneo del settore, in quanto questo gli ha permesso di vedere un determinato spazio da angolature e prospettive differenti e insolite.
Un approccio intellettuale, meditato e controllato nei dettagli, che spiega anche il carattere statico delle sue immagini e la predilezione per il grande formato (cit. “i tempi di esposizione sono lunghi e questo modo di procedere mi consente di lavorare lentamente e in modo analitico”).
Cinque sono i macro insiemi tematici, in cui si può ripartire la sua opera: le strade inanimate (ma al contempo animate) di Düsseldorf e di New York a prospettiva centrale, gli squadrati e particolareggiati paesaggi urbani dal
mood futurista, i ritratti familiari (celebre il suo
portrait su Richter e la sua famiglia) strumenti narrativi capaci di indagare ed esplorare la natura più intima e psicologica delle persone ritratte, i visitatori di musei celebri (tutto ebbe inizio con le fotografie intitolate “Giulia Zorzetti con dipinto di Francesco De Mura” e “Restauratori in San Lorenzo Maggiore”), i paesaggi naturali
full size (le sopracitate Paradises, di cui è riuscito a coglierne tutto il fascino e la bellezza) gli avvenieristici impianti industriali, i cosmici laboratori spaziali (Full-scale Mock-up 2, JSC, Houston, 2017) e i centri di ricerca con dettagli di cromie, che da complementi diventano determinanti e distintivi per la foto stessa e che si possono definire “tastiere di colore mondriane” di policromia architettonica (“La policromia in architettura è uno strumento indispensabile, tanto quanto la pianta o la sezione di un edificio. Anzi, di più: la policromia, elemento stesso della pianta e della sezione” cit. Le Corbusier).
E’ proprio su questi ultimi luoghi, solitamente inaccessibili al pubblico e per questo nascosti e sconosciuti, che si accende nella mente del fotografo un interruttore dalla grande potenza comunicativa, che racchiude una ricerca che va oltre le solite vedute e che ci regala foto intense e spettacolari, di grande livello tecnico, dove lo sguardo si perde nella contemplazione, tra le geometrie misteriose, i colori accesi e le superfici lucidissime, o cerca di appigliarsi ad un punto di inizio o ad una fine tra i grovigli di cavi dello Spettometro (che ritroviamo, a noi invisibili, nella vita di tutti i giorni), o ancora rimanendo talvolta impigliato e sospeso in una osservazione estenuante, perché si rincorre all’infinito. Cavi che sembrano richiamare il
dripping dalla forte carica segnica e gestuale di Jackson Pollock, influenzato anch’egli come Struth dal Surrealismo e amante di superfici ampie su cui operare (il suo “Number 27” capolavoro di Espressionismo Astratto è lungo oltre tre metri). Nell’immagini sprigionate non vi è né centro né direzione di osservazione, bensì sono generate da una pittura “across the board” (a tutto campo).
Un dipinto di Pollock o una foto di Struth sono come dei mondi calamitanti, dentro cui ci si può anche perdere, una volta che si cominciano a seguire tutte le pennellate, i grovigli, le tinte e le sfumature. Foto che ora troviamo esposte in una selezione di 25 immagini a colori di grande formato al Mast di Bologna dal 2 Febbraio al 22 Aprile.
Un’occasione imperdibile per venire a conoscenza, rimanere stupiti (impossibile non sostare rapiti e lasciarsi scappare più di un
wow) e talvolta anche divertiti (basti pensare alla foto “Chemistry Fume Cabinet” scattata presso l’University of Edinburgh nel 2010, raffigurante un esperimento sulle emissioni chimiche in un ambiente che, per chi non è del settore o non ha le informazioni necessarie per capirlo, può apparire più come uno scatto di una sala allestita per una festa di bambini con palloncini colorati e scritte sul vetro), dalla complessità e dalla forza, nonché dall’influenza tecnologica che questi meccanismi e dispositivi hanno e che avranno sulla nostra esistenza.
L’esposizione, dal titolo Nature & Politics, è a cura di Urs Stahel ed è accompagnata sul lato tematico opposto da una video-proiezione di
classic music with guitar, in cui viene evidenziata la meticolosità manuale e artistica di un dialogo sonoro intrinseco, che racconta ciò che è invisibile all’animo umano dal titolo
Read This Like Seeing It for the First Time del 2003.
Siete pronti a calarvi in questo immersivo e suggestivo viaggio visivo?
Maria Cristina Bibbi Febbraio 2019
Info
THOMAS STRUTH Nature & Politics
MAST di Bologna, dal 2 febbraio al 22 aprile 2019, Web: http://www.mast.org/