Giovanni Cardone Marzo 2022
Fino al 5 Giugno 2022 possiamo ammirare a Palazzo Reale di Milano la mostra Tiziano . E L’Immagine della Donna nel Cinquecento Veneziano a cura di Sylvia Ferino- già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum. La mostra è promossa e prodotta Comune di Milano–Cultura Palazzo Reale, Skira editore e Fondazione Bracco in collaborazione con  Kunsthistorisches Museum di Vienna. In esposizione oltre un centinaio di opere molte delle quali in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, cui si aggiungono sculture, oggetti di arte applicata come gioielli, una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este  del 1994 libri e grafica. Come afferma Sylvia Ferino:  “L’esposizione - aspira a riflettere sul ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo, che non ha eguali nella storia della Repubblica o di altre aree della cultura europea del periodo.” A partire dal volume di Rona Goffen Titian’s Women, pubblicato nel 1997 sono innumerevoli gli studi che si sono concentrati sull’universo femminile nel Rinascimento veneziano. Questa indagine non è tuttavia mai stata posta al centro di una mostra. La struttura portante dell’esposizione affronta dunque un argomento eternamente valido ma anche completamente nuovo, presentando l’immagine femminile attraverso tutto l’ampio spettro delle tematiche possibili e nel contempo mettendo a confronto gli approcci artistici individuali tra Tiziano e gli altri pittori del tempo. Partendo dal tema del ritratto realistico di donne appartenenti a diverse classi sociali, passando a quello fortemente idealizzato delle così dette “belle veneziane” si incontrano via via celebri eroine e sante, fino ad arrivare alle divinità del mito e alle allegorie. Inclusi nella mostra anche i ritratti e gli scritti di famosi poeti che cantarono l’amore ed equipararono la ricerca del bello all’esaltazione della donna e della bellezza femminile, come anche ritratti delle donne scrittrici, nobildonne, cittadine e anche cortigiane. Sono analizzati anche l’abbigliamento e le acconciature femminili sfoggiate nei ritratti, sia reali che ideali, esaminando la moda contemporanea con la sua predilezione per tessuti sontuosi, perle e costosi gioielli. In una mia ricerca storiografica e scientifica che è divenuta modulo monografico  e seminario universitario dove insieme agli allievi abbiamo discusso sulla figura di Tiziano e dell’immagine della donna nel cinquecento in particolar modo a Venezia nell’aprire il saggio dico :  Le immagini non trasmettono la realtà quotidiana ma ne registrano le percezioni e fissano nel tempo quello che ‘fosse la realtà’. Nel ritratto il committente ha la possibilità di essere raffigurato così come egli vede se stesso e soprattutto come vuole che gli altri lo vedano. E’un’autocelebrazione del singolo come parte di una stirpe che a Venezia è plasmata dall’immagine imposta dalle aspettative sociali . L’assenza femminile nei ritratti non corrisponde ad una reale assenza delle donne nella vita della città, né ad una peggiore considerazione sociale rispetto alle signore di altre città italiane. Anzi, abbiamo potuto constatare che, in alcuni casi, era il contrario. Le immagini, per Venezia, sono un veicolo fondamentale per esaltare il proprio modello di governo, stabile, longevo e cristiano. Essendo questo governo prerogativa maschile, ecco che agli occhi di un veneziano del XV secolo, risulta non solo inutile, ma inappropriato ritrarre una donna . Le donne appartengono all’intima sfera famigliare ed il ritratto ha, in questo momento, un significato prettamente politico. Donna e ritratto sono due elementi non conciliabili proprio per il ruolo che svolge l’immagine nella Repubblica e l’esclusione della donna dall’ambito politico, fulcro del mito celebrato, ne determina l’esclusione dall’intero genere. Ovviamente, il ruolo svolto dalle immagini non determina solo l’assenza di ritratti femminili, ma influenza ogni rappresentazione legata alla città.
La figura della donna, in particolare, è un soggetto attraverso cui leggere alcuni cambiamenti non solo artistici, ma soprattutto storici, in atto in questo periodo a Venezia. L’assenza nel genere del ritratto durante il XV secolo con la relegazione della figura femminile all’iconografia religiosa o come contorno necessario di una società fertile e la sua progressiva comparsa a partire da fine secolo, dicono molto sui cambiamenti avvenuti nella società veneziana. Concluso il volontario isolamento dal resto d’Italia con l’espansione in Terraferma, gradualmente la percezione che Venezia ha di sé e del resto del mondo cambia e con essa l’arte. Il trauma di Agnadello scuote ulteriormente questo processo e a poco serve l’immenso impegno celebrativo attraverso i grandiosi programmi iconografici. Qualcosa è cambiato e l’ingresso delle donne come soggetti di ritratti è uno degli indicatori di questo mutamento. Anche l’influenza della pittura del Nord e l’arrivo di artisti toscani in laguna hanno un ruolo nelle innovazioni del processo artistico veneziano. Si tratta di un insieme di concause politiche, sociali e culturali che fanno del passaggio tra Quattro e Cinquecento un momento in cui cambiamenti maturati durante il corso del secolo iniziano a dare i propri frutti e il ritratto, per la sua valenza prettamente sociologica, è un valido strumento di lettura di tale situazione. “Come l’uomo singolo, l’arte si definisce nel dialogo e nel paragone, e la presenza di un fatto rivoluzionario, costringendola a pronunziarsi, ne porta a galla la profonda natura. A contatto di quel reagente, con le sue accettazioni e le sue repulse, l’arte veneziana conobbe meglio la propria indole e definì la propria fisionomia. Il suo comportamento nella prima metà del Quattrocento condizionò anche i successivi sviluppi; soprattutto a quel mezzo secolo si deve se Venezia è la città che conosciamo, diversa dalle altre città del mondo” . Il Quattrocento è effettivamente un secolo decisivo per la storia e l’arte veneziana in cui si colgono i frutti dei secoli passati e si pongono le basi per i futuri cambiamenti. Oltre alle rotte marittime si sono aperte quelle terrestri e un nuovo atteggiamento, in campo artistico e non solo, prende lentamente piede in laguna per dare i suoi frutti soprattutto a partire dal secolo successivo. Salendo verso Nord, gli influssi transalpini destano interesse e si presta attenzione alle novità che giungono da lì. Anche dalla Toscana arrivano nuovi artisti e ciò che si viene a creare a Venezia è un grande insieme di stimoli e suggestioni che la città assimila lentamente, dimostrando interesse pur senza rinunciare alla propria tradizione. Viene a  chiamato a Venezia Paolo Uccello dalla Signoria per restaurare i mosaici marciani nel contempo è in laguna Michelozzo mentre Filippo Lippi lavora a Padova; c’è  l’arrivo  Leon Battista Alberti mentre Donatello è a Padova e vi si ferma per dieci anni.  L’inserimento e la traduzione dei nuovi valori nel tessuto culturale della città è graduale. E’ un lento processo di rinnovamento che si può leggere nelle tele dei Bellini, Carpaccio, Lotto, Giorgione. Differenti furono i contatti che ebbe Venezia con i nuovi influssi da quelli che ebbe la Terraferma. Per quest’ultima gli scambi con la Toscana duravano da secoli. C’erano stati Giovanni Pisano e Giotto, mentre Venezia si manteneva più tenacemente ancorata ad un suo stile, più vicino a Bisanzio che all’Occidente . Si potrebbe iniziare ora un discorso lungo e articolato sui caratteri e i protagonisti della pittura di Venezia e dell’entroterra da cui però devo prender le distanze e rimandare ai tanti contributi presenti. Ciò su cui vorrei focalizzarmi è il cambiamento in atto, risultato di una combinazione di eventi che si scontrano e si amalgamano con i caratteri della società veneziana e di come sia possibile leggere questo cambiamento attraverso le immagini femminili. La raffigurazione della donna è uno specchio della società dato che il ruolo fisico e sociale che le si attribuisce riflettono la natura dell’ambiente circostante . E’ necessario quindi individuare quali sono i fattori che influenzano la forma del ritratto a Venezia e come questi cambino nel corso del secolo. Bisogna individuare le ragioni sociali che regolano questo genere artistico, cosa esso rappresenta all’interno del sistema famigliare veneziano e quali sono i motivi storici e sociali che ne determinano le trasformazioni. Il termine ritratto è una termine generico. L’etimologia deriva da retraho per la parola ritratto ossia trattenere e da protraho ‘da cui portrait’ che significa tirare fuori.
Già nel XVI secolo il termine è utilizzato nel senso di copia tratto per tratto di qualcosa, con accezione diversa rispetto all’imitazione che da l’immagine di qualcosa. Durante il XVII secolo la parola si specializza nel senso preciso di rappresentazione di una figura umana somigliante ad un modello. Tale definizione si fissa nel Dizionario dell’Accademia fiorentina della Crusca che parla di «figura tratta dal naturale» definizione che si svincola dal significato etimologico originale e porta la definizione di ritratto nella direzione di un principio di somiglianza, fissato poi da Burckhardt e che condizionerà a lungo i contributi a riguardo. Il Vocabolario e successivamente Burckhardt, si riallacciano all’evoluzione della letteratura artistica in cui il ritratto appare principalmente un mezzo di riconoscimento in quanto propone un’immagine somigliante di un personaggio. I ritratti di Tiziano, soprattutto quelli di committenti con i quali aveva intercorso relazioni personali, mostrano come sotto un’impostazione formale rigorosamente organizzata possano celarsi dettagli eloquenti riguardo l’opinione che l’autore aveva del soggetto. Esemplari in questo senso sono i ritratti dell’Aretino e il ritratto di Paolo III con i nipoti. Qui il papa, pur inserito in una composizione elaborata per una sala di rappresentanza, studiata nei gesti e nelle posizioni affinché corrispondesse ai desideri sia del papa che del cardinale Alessandro Farnese, appare estremamente invecchiato rispetto ai suoi precedenti ritratti dello stesso Tiziano. Svanita la speranza di essere pagato e scemato l’interesse a mantenere un’immagine del papa che non lasciasse dubbi riguardo la sua morale nonostante le risapute gesta non proprio esemplari raccontate da molti e primo tra tutti l’amico Aretino, Tiziano lascia che la sua personale opinione del pontefice entri nel quadro pur senza contravvenire a nessuna delle richieste. Il viso rugoso ha perso ogni parvenza di vigore e fierezza, il collo scompare nella mozzetta e la fronte sotto il camauro, gli occhi sono incavati, il naso aguzzo, la barba incolta, la schiena incurvata. Data l’età del pontefice si trattava con tutta probabilità di evidenze reali, ma nel confronto con il ritratto eseguito solo tre anni prima sembrano passate almeno tre decadi. La mano sinistra, che nel precedente ritratto era morbidamente abbandonata sul bracciolo, ora lo stringe tenacemente con la ferma intenzione di non lasciare il potere acquisito . Pochi ma studiati dettagli possono portare il ritratto molto oltre la semplice somiglianza fino a raccontare un episodio, una storia o un intera vita in una sola immagine. Nella Repubblica di Venezia, il ritratto femminile compare in ritardo a confronto di altri luoghi della penisola. Questa differenza si giustifica nella centralità che riveste l’individuo nella mentalità cortigiana, centralità che a Venezia è trasferita all’intero apparato cittadino. Il signore di Venezia è Venezia stessa, nella figura del doge, dei suoi organi statali e dei suoi cittadini. Sono i gruppi, non i singoli che detengono il potere e il ruolo di un singolo individuo al di fuori del clan a cui appartiene, è nullo. In una corte è il signore (o principe o sovrano) a detenere il potere che distribuisce ai nobili che ruotano attorno alla sua cerchia . Ferrara si identifica negli Estense, Firenze nella famiglia de’ Medici, Mantova nei Gonzaga e così via. Venezia si identifica nel doge e nel leone marciano, rappresentanti della città stessa. I vari signori, principi e monarca, personificazioni dell’autorità, autopromuovono loro stessi ed il loro casato sfruttando l’appoggio delle arti, veicolo per eccellenza dell’ascesa politica e sociale, innegabile manifestazione visibile e perenne riscontro di tale ascesa. La fastosità delle cerimonie, le trasformazioni che investono gli edifici simbolo della città e le arti figurative rivestono il medesimo ruolo. Il potere della corte nella figura del signore si manifesta in ogni forma visibile, fatto comune anche a Venezia, ma con la determinante differenza che in laguna ciò che viene celebrato è la città stessa. Il significato del ritratto cambia quindi in relazione al luogo e alla struttura politica di tale luogo. Mentre nelle corti Europee si ritrae un individuo in quanto detentore di un potere, a Venezia si ritrae un individuo in quanto membro di un clan e rappresentante della città. Mancano nei ritratti maschili veneziani elementi sfarzosi che ne sottolineano la ricchezza e lo status, ma prevalgono raffigurazione sobrie che ne evidenziano la solidità, la struttura morale e l’onore. Gli attributi presenti si limitano all’abito (indicatore del ruolo politico) e a simboli e stemmi che permettano di identificare il clan familiare.
Le donne invece, appartenendo esclusivamente alla sfera privata, non hanno ragione di comparire nei ritratti. Diversa la situazione dell’immagine femminile in ambiente cortigiano dove, già prima del XVI secolo, si riscontrano numerosi esempi di ritratti femminili. Tra i fiorentini, in particolar modo dalla seconda metà del XV secolo, vi è l’uso di inserire ritratti di contemporanei all’interno di affreschi. Anche l’Alberti, nel terzo libro del De pictura, raccomanda ai pittori di includere i ritratti di concittadini noti nelle scene sacre con lo scopo di catturare l’attenzione dell’osservatore e stimolarne la curiosità . Stando alle parole del Vasari, già Masaccio, negli affreschi della cappella Brancacci nella chiesa del Carmine, aveva dato a San Pietro le fattezze di Bartolo di Angiolino Angiolin ed effettivamente negli affreschi del Carmine è presente una grande varietà di volti che inducono a pensare che Masaccio abbia travestito alcuni personaggi contemporanei dai protagonisti della storia sacra rappresentata . Non solo uomini, ma anche donne vengono ritratte all’interno degli affollati affreschi fiorentini. Nella cappella Sassetti, negli gli affreschi di Domenico Ghirlandaio compaiono entrambi i donatori il banchiere Francesco Sassetti e la moglie Nera Corsi  rispettivamente nell’angolo destro e sinistro dell’immagine mentre nei riquadri centrali sono presenti tutti i figli dei due coniugi. Tutte le figlie sono raggruppate nel primo riquadro raffigurante Il miracolo della resurrezione del fanciullo proprio sopra il ritratto della madre. Le cappelle funerarie erano vissute come uno strumento di propaganda e venivano quindi rappresentati tutti i componenti della famiglia, moglie e figlie comprese dato che ciò che viene celebrato qui attraverso l’immagine è proprio il potere individuale di una determinata famiglia. Immagine e politica sono fortemente connessi non solo a Venezia, ma in tutta Europa. Ciò che cambia è il modo in cui il potere viene concepito e distribuito, differenza fondamentale che si riflette in ogni raffigurazione. La presenza di marito e moglie accompagnati dalla propria famiglia non è solo una peculiarità fiorentina. Tra i più celebri ritratti in cui i consorti compaiono assieme vi sono sicuramente i ritratti dei Gonzaga del Mantegna nella Camera degli Sposi, in cui il marchese Ludovico II è seduto in trono con Barbara di Barandeburgo  circondati dalla famiglia e dai membri della corte. A Milano, nella cosiddetta Pala Sforzesca, Ludovico il Moro viene accompagnato dalla moglie Beatrice d’Este e dai due figli . Ercole de’ Roberti, a Bologna al servizio dei Bentivoglio, esegue un doppio ritratto di Giovanni II e della moglie Ginevra Sforza, sorella di Battista Sforza ritratta nel dittico di Piero della Francesca, a cui probabilmente l’artista ferrarese si è ispirato per i suoi ritratti. Come a Venezia, anche nelle corti italiane si ritraggono ragazze di buona famiglia, novelle o future spose. Questi Ritratti di giovani donne, nonostante l’identità oggi spesso sconosciuta, mostrano un certo grado di idealizzazione della figura secondo il canone vigente di bellezza. Sono figure verginali che è ciò che si chiede ad una giovane sposa, dalla pelle candida, la fronte alta, i capelli biondi e le vesti preziose, tutti dettagli che le identificano come prossime spose ritratte nel momento più significativo della loro vita, il passaggio da figlia a moglie. Alcune volte conosciamo o presumiamo l’identità di queste signore. Ginevra d’Este venne dipinta da Pisanello attorno al 1434.  Posa di profilo su uno sfondo di aquilegie simbolo dell’innocenza mariana e fertilità, garofani attributo delle promesse spose e farfalle un altro simbolo matrimoniale, tutti segnali che sostengono l’ipotesi che si tratti di un ritratto eseguito in occasione del suo matrimonio con Sigismondo Malatesta proprio nel 1434 . A Selvaggia Sassetti, figlia del noto banchiere fiorentino e già inclusa negli affreschi di Domenico Ghirlandaio nella Cappella Sassetti, viene dedicato anche un ritratto a mezzo busto, dipinto da Davide Ghirlandaio in onore del suo matrimonio con Simone d’Amerigo Carneschi . Negli stessi anni Domenico Ghirlandaio esegue anche il ritratto di Giovanna degli Albizzi Tornabuoni  già presente negli affreschi della cappella Tornabuoni. Il dipinto venne eseguito in questo caso non per celebrare, ma per commemorare la donna, morta di parto nel 1488. Attorno al 1475 Sandro Botticelli esegue il ritratto di Esmeralda Brandini . Una decina d’anni più tardi raffigura la giovane dama conservata alla Galleria Palatina  di cui non ci è nota l’identità, ma l’aspetto così distante dall’ideale di bellezza fanno presumere si tratti del ritratto di una donna reale. Anche Simonetta Vespucci fu una donna reale, tanto amata da Giuliano de’ Medici, ma la fama della sua bellezza la rende un’icona ideale che va oltre l’identificazione e rende i suoi ritratti la sintesi in cui tutti i canoni di bellezza esistenti vengono riuniti a formare l’immagine di una bella senza uguali . Tra il 1488 e il 1490 Leonardo da Vinci dipinse Cecilia Gallerani, l’amante di Ludovico Sforza, meglio nota come Dama con l’ermellino . L’animale, in greco galè, tradizionale espressione di moderazione e candore, allude al cognome e alle qualità della cortigiana oltre ad essere un simbolo sforzesco e a riferirsi allo stesso Ludovico. Altri ritratti femminili del maestro ci sono giunti, sui quali a lungo si è discusso e speculato, ancora si ragiona e si formulano ipotesi tra cui la Ginevra de’ Benci, La Belle Ferronière, La Gioconda, capolavori che in questa sede ci servono solo a dimostrare come ritrarre donne, sia in compagnia dei consorti che da sole, fosse un’usanza quanto mai comune nelle corti italiane del Quattrocento. Lo studio del ritratto può rivelarsi un metodo efficace per delineare non solo il percorso artistico di un particolare luogo, ma anche i mutamenti sociali, politici e storici. Dato il carattere prettamente sociologico del ritratto, questo non costituisce solo un mezzo di analisi stilistica, bensì un completo ed efficace specchio dell’intera società da cui viene proposto. La stessa fortuna che il ritratto riscuote qui è indicatrice di alcuni tratti sociali fondamentali della città. Il modo in cui il potere politico viene tramandato fin dal Trecento, fa di Venezia un luogo in cui l’individuo era sottomesso al clan familiare, e il clan allo Stato. Il governo è strettamente legato al patriziato e la conseguenza di questo monopolio politico connesso alla genealogia è l’ossessione per il lignaggio. Questo, oltre ad essere registrato nel documenti e celebrato nelle notizie storiche, viene descritto nei ritratti. La ritrattistica è strettamente connessa alla politica. La fioritura del genere corrisponde infatti al periodo post-serrata, in cui il meccanismo politico si consolida e con esso la necessità di esibire le proprie origini. Il mito marciano, cui sviluppo subisce un’impennata proprio dal XV secolo, successivamente alle conquiste in Terraferma, oltre ad alimentare una cospicua letteratura encomiastica, fornisce un contributo chiave all’evoluzione della ritrattistica individuando nell’immediatezza dell’approccio visivo, la dichiarazione più diretta della dignità patrizia. L’immagine aristocratica acquista la sua forma tangibile attraverso il ritratto che tramanda nel tempo e attraverso le generazioni l’origine, la memoria e la continuità della famiglia e dello Stato. La particolare natura della costituzione veneziana, rende nulle gran parte delle usuali formule utilizzate per identificare i ritratti di quei personaggi che ricoprono le più importanti mansioni, a livello governativo o ecclesiastico. Si utilizza comunemente l’espressione Ritratto di Stato per definire le immagini dei dignitari di monarchie, quali quella Francese o Spagnola. Queste raffigurazioni di carattere pubblico celebrano il sovrano (o la personalità del caso) come rappresentante della nazione che governa, l’incarnazione del potere temporale, fondamento dell’ordine statale . A Venezia la distribuzione del potere è differente. Esso appartiene all’intera classe nobiliare che divide tra i suoi membri diritti e doveri. Si mette al bando l’egoismo individuale, ma si lascia spazio all’orgoglio patrizio anche attraverso forme di celebrazione molto appariscenti. Svincolandosi dall’individuo in quanto tale, a Venezia si celebra dell’intera classe che, in quanto detentrice del potere, si identifica con lo Stato. Data la inusuale costituzione veneziana, si può forse ricorrere alla definizione di ritratto ufficiale o ritratto di rappresentanza. Se durante la prima metà de secolo ci troviamo di fronte soprattutto a ritratti di questo genere, che rappresentano dogi ed alte personalità, la tendenza inizia a cambiare nel secondo Quattrocento. La seduzione che esercitò la pittura fiamminga a Venezia e non solo, fu uno stimolo essenziale per l’elaborazione di un particolare tipo di ritratto, quello borghese. Non solo riservati a regnanti e alle personalità più meritevoli, i ritratti fiamminghi riflettono la composizione della società, dai ministri, ai religiosi e soprattutto la borghesia, ritratti come donatori o raffigurati a mezzo busto.  Gli scambi avvenuti tra il Nord e Venezia influirono profondamente nello sviluppo artistico della città. Fin dal Trecento, la comunità forestiera più numerosa era quella di lingua germanica, già alla fine del Duecento nel Fondaco dei Tedeschi.
Essenziali nei processi commerciali della Serenissima tanto che Gerolamo Priuli, all’inizio del Cinquecento, afferma «tedeschi e veneziani, noi siamo una cosa sola perché antico è il nostro rapporto commerciale» . In laguna non sbarcarono mai i grandi artisti fiamminghi come Van Eyck o Van Der Weyden, ma le loro opere arrivarono molto presto ed ebbero grandissimo eco nel lavoro dei maggiori artisti del Quattrocento, primo tra tutti, Antonello da Messina. La ritrattistica fiamminga raccoglie al suo interno un grande numero di ritratti femminili che però non ebbero alcuna influenza sulla tendenza al ritratto prettamente maschile della Serenissima. Van Eyck, nel 1439, ritrae la propria moglie  offrendo molto di più di un ritratto di donna. Nessuna aspirazione dinastica o volontà celebrativa, ma un ritratto eseguito per il piacere di ritrarre la propria compagna. Di qualche anno precedente è il celeberrimo Ritratto dei coniugi Arnolfini , i mercanti lucchesi trasferiti a Bruges. Roger van der Weyden ritrae delle giovani donne di grande intensità come quelle conservate Berlino e a Washington . Hugo van der Goes dipinge per la famiglia Portinari il famoso Trittico  in cui narra una storia famigliare cui protagonisti non sono solo gli uomini ma anche la moglie e i figli. Si tratta dei primi tre dei dieci figli dei coniugi, una femmina e due maschi, in preghiera assieme ai genitori. A Venezia lo stile fiammingo passò attraverso il filtro marciano che adatta alla propria natura ogni nuovo influsso inglobandolo all’interno del meccanismo di politica e propaganda proprio del suo modo di essere. In questo modo coglie solo i tratti ad essa più consoni e li rielabora a creare opere originali in cui tendenze nordiche, italiane e bizantine confluiscono portando a risultati completamente nuovi. Il ritratto per eccellenza ritrae chi ha diritto di avere una immagine di sé per motivi storici, politici, militari o sociali. Chi è degno di fama è degno di un ritratto. Questo accostamento tra immagine e potere è talmente radicato e duraturo che l’associazione si confonde con il suo inverso ossia: chi è ritratto è degno di fama. La corsa al ritratto a cui si assiste Venezia e non solo, deriva da questa analogia, come se avere la propria effige immortalata fosse la riprova tangibile di una posizione privilegiata o di qualche merito reale o presunto. Questo discorso non può essere, in linea generale, applicato alle donne. La questione donna e potere, spinosa ancora oggi, involve temi di primaria importanza storica, ma affetta anche il sicuramente meno socialmente rilevante settore dell’immagine. Con il termine generale potere si intende l’autorità politica esercitata nella sfera pubblica, autorità notoriamente riservata al sesso maschile. Nonostante alcuni casi di donne governatrici e personalmente impegnate nella gestione politica, solitamente il potere di una donna dipende prima da quello del padre e poi da quello del marito. Pur non prive di un certo peso che gestiscono all’interno della famiglia, cuore pulsante di Venezia in cui pubblico e privato si fondono, l’esclusione formale della donna dalle sfere decisionali ne determina a Venezia prima l’esclusione nella ritrattistica e successivamente ne influenza l’immagine adattandola alle necessita rappresentative della Repubblica. Ciò che legittima la presenza femminile in un ritratto è la Bellezza. Al di là del suo ruolo, del suo nome e della sua posizione, la principale caratteristica femminile è la bellezza. Bella è sinonimo di donna, un epiteto legato al genere femminile, una qualità passiva in quanto necessita di uno sguardo che la contempli, proprio come un ritratto. Secondo Francesco Barbaro è necessario controllare anche gli sguardi delle proprie mogli dato che possono comunicare anche senza parole delineando così l’immagine della perfetta sposa, bellissima e muta, praticamente una statua. La rappresentazione femminile è il luogo dove si accoglie il bello, in tutte le sue accezioni diventando un’espressione dell’idea di bellezza più che una bellezza individualizzata . Non si tratta di bellezza secondo canoni personali o teorici, ma quella consacrata dalla Poesia, in primo luogo del Petrarca . Il poeta abbraccia un’immagine di Laura apparsagli in sogno in cui «Son questi i capelli biondi et l’aureo nodo ch’ancor mi stringe, et quei belli occhi» . Questo canone influenza la declinazione del tradizionale canone di bellezza femminile in arte e letteratura imponendo per i secoli a venire l’ideale della bella dai capelli d’orati.
Gian Giorgio Trissino in I Ritratti dedicati ad Isabella d’Este si riferisce solennemente al Petrarca: “Ma noi il nobilissimo di tutti e pittori, Messer Francesco Petrarca chiameremo, e questa impresa a fare li daremo, il quale primieramente colorirà le chiome, come fece quelle de la sua Laura, facendole di oro fino”. Anche per Ariosto i capelli di Alcina, nel canto VII dell’Orlando furioso, sono d’orati «con bionda chioma lunga et annodata- oro non è che piùrisplenda e lustri». Lodovico Dolce, nel 1557 in riferimento alla descrizione di Alcina dice «Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell’Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina vedranno parimente quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori» . Per quanto riguarda Venezia, gli Asolani di Bembo incarnano il modello di Bellezza esemplare, sublime e sensuale, neoplatonica e panica che rivive anche nelle tele dei pittori, primo tra tutti l’amico Tiziano. Le Belle cinquecentesche sono molte. Sono mascherate da Flore, Veneri, Pomone, Giuditte, Lucrezie e sante  dai lineamenti morbidi e delicati, pelle candida e corpi burrosi, sono nascoste sotto livelli allegorici più o meno riconoscibili  o sono semplicemente delle eleganti donne cui lineamenti corrispondono al profilo della bellezza . Una diffusa credenza, già in più occasioni chiarita , le ha troppo a lungo etichettate come Ritratti di cortigiane non cogliendo invece il riferimento mitologico che impone (o consente) un abbigliamento idealizzato. Sul fatto che le Veneri o le Danae protagoniste di tante tele, non siano cortigiane non vi è dubbio. Probabilmente la loro presenza all’interno di un contesto più ampio quale la rappresentazione di un passaggio mitologico, assieme ad altri personaggi, ne ha reso più semplice l’identificazione. La sensualissima Danae, morbidamente adagiata su un letto sfatto, con la mano distrattamente appoggiata all’interno della coscia sinistra, con la pettinatura scomposta e la mano destra che afferra maliziosamente un lembo del lenzuolo non è mai stata scambiata per una cortigiana. Certo, la documentazione che abbiamo dell’opera non ha permesso nemmeno che insorgessero dubbi e, nel caso, sarebbero stati subito smentiti dalla presenza della vecchia nutrice che chiarisce il momento della narrazione ovidiana. Altre mitiche figure femminili però, non hanno condiviso questa fortunata sorte e, trovandosi come uniche protagoniste di opere, accompagnate solo da pochi seppur chiari simboli, sono state rapidamente assegnate alla categoria delle cortigiane. Palma il Vecchio ha dipinto un’ampia galleria di giovani donne non individualizzate, ma modelli che identificano la sposa promessa come la Donna in Verde di a Vienna che alza con la mano sinistra, in cui compare l’anello sull’anulare, il coperchio di una scatola con fili e nastri . Queste donne e le molte altre che sono state scambiate per meretrici, non hanno proprio nulla a che fare con il mondo dei piaceri a pagamento. Le tele provengono da contesti differenti, di cui spesso sappiamo poco o niente, ma sono tutte accomunate da chiari simboli di fedeltà, verginità e purezza identificandosi come ritratti effettuati in occasione di matrimoni. La Flora di Tiziano, moglie di Zefiro e simbolo di prosperità, offre il suo seno generoso con un gesto sensuale e delicato. Un erotismo moderato che si addice all’atteggiamento di una futura sposa. Lo stesso fa la Flora di Palma  mentre con la mano destra, in cui spicca l’anello, regge un mazzolino di fiori primaverili. E’ chiaro che il seno scoperto non allude in alcun modo alla lussuria, ma alla fecondità. Le belle spose promesse si trovano in vari dipinti anche mascherate da sante. Santa Caterina di Alessandria di Lorenzo Lotto  indossa l’anello matrimoniale ben in evidenza e ritrae una Caterina tra le tante presenti nelle famiglie bergamasche che frequentava . Queste belle non sono fisiognomicamente caratterizzate e non possono quindi essere classificate come ritratti nel senso di «figura tratta dal naturale» in quanto manca l’elemento della riconoscibilità. Pur essendo indirizzate ad una persona fisica ben precisa, in occasione di un matrimonio o un fidanzamento, non hanno alcuna pretesa di identificazione individuale, ma si rifanno al modello petrarchesco che rivive nei poeti cinquecenteschi. Anche definirle bellezze ideali non è corretto, proprio perché la loro destinazione è definita. Esse sono state commissionate in occasione di un evento particolarmente importante, quale un fidanzamento o un matrimonio, con riferimento ad una precisa donna.
I committenti avranno sicuramente espresso delle preferenze e avranno dato delle direttive da seguire nella composizione del quadro che quindi non rappresenta un modello di bellezza universale, ma risponde a specifiche richieste. Esse raffigurano una determinata persona sotto le sembianze di una dea, una santa o un altro personaggio mitologico attraverso la quale si esplicitano le virtù e le qualità della novella sposa e nonostante i simboli più comuni di fertilità e fedeltà si ripetano in molte opere l’anello, il seno scoperto, la camicia bianca questi non sono modelli tandardizzati tanto che in alcuni casi è possibile riconoscere le caratteristiche e le richieste del committente. Nel Ritratto di giovane donna di Giovanni Cariani a Budapest , la protagonista è evidentemente un sposa novella con tanto di fiore tra i capelli, laccio al collo, velo e anello sulla mano destra con indice e medio aperti a forbice in direzione del laccio legato in vita . Si presenta però totalmente vestita in un atteggiamento serio e composto. Forse questa giovane donna non amava l’idea di apparire svestita in un dipinto, a dimostrazione della caratterizzazione, anche se non fisiognomica, di questo genere di ritratto. Amor sacro e amor profano di Tiziano ci pone di fronte allo stesso quesito. Le due figure, così somiglianti in quanto aspetti differenti della medesima sposa da un lato elegante nell’ambito pubblico, dall’altro sensuale in quello privato, si riferiscono ad una donna ben precisa, Laura Bagarotto che il 17 maggio 1514 sposò Niccolò Aurelio. Le bionde donne sulla tela non hanno i connotati di Laura, ma il loro volto si avvicina all’ideale di bellezza in vigore: una donna bionda, morbida, dall’incarnato candido. Non sono un ritratto di Laura né tantomeno un modello ideale di bellezza. Esse sono bellezze ideali specificamente connotate ed indirizzate, una sorta di ritratto celato. Sotto le Flore, le Veneri, le Lucrezie e le Pomone vi sono vere donne, delle quali però non è tanto importante ricordare il nome quanto le virtù. Si rinuncia quindi alla caratterizzazione fisica concentrandosi sull’unico aspetto femminile che conta, quello matrimoniale, che viene elogiato e raccontato attraverso figure secolarmente associale alla fecondità e attraverso chiari simboli di fedeltà, unione e virtù. In una sua lettera, Girolamo Parabosco elogia il pittore Parrasio Micheli che aveva ritratto la sua amante nelle vesti di Lucrezia e Giacomo Franco in Habiti delle donne veneziane presenta un’incisione raffigurante Diana dicendo «Essendo stata di mano di un eccellente pittore dipinta una famosissima Signora sotto metaforica trasmutazione in Diana». All’interno di volti e corpi universali si trovano quindi figure particolari che nulla hanno a che vedere con la prostituzione bensì con il matrimonio. L’elemento che accomuna queste donne ritratte è quindi la loro condizione di spose fatto che, oltre a legittimare l’evidente potenziale erotico emanato (se in caso non fosse sufficiente il pretesto allegorico), trasporta il ritratto all’interno della sfera politica. Guardando una di queste belle, nulla ci fa pensare alla politica, ma piuttosto vi scorgiamo rimandi letterari, filosofici o mitologici, inducono a riflettere su cosa sia la bellezza, l’amore, l’armonia tutti argomenti sui quali questi artisti erano profondamente immersi e che hanno trasportato all’interno delle loro opere. Oltre all’artista vi è però anche un committente e il significato che riveste il matrimonio all’interno delle dinamiche famigliari e politiche veneziane. Al di là dell’aspetto più poetico di queste figure, vi è in esse l’esigenza di celebrare un recente o imminente matrimonio, fatto che molto di rado coinvolgeva sentimenti amorosi, ma sempre implicava una dinamica politica simboleggiata dall’anello  , promemoria visibile della condizione di moglie e delle sue regole. Benché la bravura di un artista induca a percepire queste raffigurazioni come il dono romantico di uno sposo innamorato e non si può escludere che talvolta lo siano state esse si inseriscono nella celebrazione del matrimonio come evento fondamentale della società patrizia, inteso in senso dinastico e politico. Il discorso attorno alla Bellezza affetta la rappresentazione, il gusto estetico, talvolta anche le scelte dell’artista o del committente, ma in tema di matrimonio, pilastro su cui si fonda l’intera società veneziana, la realtà dietro l’immagine ha poco di ideale e molto di pratico. Anche nelle corti italiane, l’immagine femminile tende a rifarsi ad un modello di bellezza codificato più che riprodurre fedelmente dal naturale, ma a differenza di quanto accade a Venezia, i ritratti eseguiti hanno proprio la funzione che si propongono ossia raffigurare quella precisa donna. I matrimoni non sono la sola occasione per effigiare le proprie consorti e si raffigurano le donne con lo scopo di celebrare l’individuo oltre alla sua famiglia dato che esse rivestono un ruolo principale nel protrarsi della stessa attraverso il loro essere figlie, mogli e madri. Il ritratto di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio  raffigura Giovanna degli Albizi, moglie di Lorenzo Tornabuoni nel 1488, anno in cui morì di parto. Il viso, i capelli e le vesti sono simili a quelle che porta negli affreschi della Cappella Tornabuoni, ma i suoi lineamenti delicati, regolari, la pelle bianchissima fanno pensare ad un adattamento della fisionomia verso il modello di bellezza vigente.  Il processo di costruzione del ritratto è esattamente l’inverso di quello applicato a Venezia. Nelle corti si parte dalla donna della quale si vuole eseguire il ritratto e se ne adattano alcune caratteristiche per avvicinarla al modello di bellezza ideale vigente. A Venezia si dipinge una Bella alla quale si aggiungono (a volte) dei dettagli che possano identificarla come la sposa di un determinato uomo o, più spesso, semplicemente come una sposa, accomunando tutte le donne alla medesima condizione di moglie, attributo necessario e direttamente collegato al privilegio di essere ritratte. Il cambiamento emotivo che coinvolge la città e che si percepisce nelle parole e nelle immagini, abbraccia l’Amore, l’Armonia, la Bellezza all’interno di un discorso più ampio, che affonda le sue origini storiche nella politica espansionistica del Quattrocento, nelle sconfitte militari del primo Cinquecento e si allarga a toccare dapprima la sfera culturale, ansiosa di accogliere nuovi stimoli, e in seguito ogni ambito sociale, morale e anche politico. La donna, come oggetto d’amore e sinonimo di bellezza, diventa il fulcro di un nuovo interesse. Ad ancora impercettibili cambiamenti nella realtà, corrispondono più profonde rivoluzioni culturali le quali, con il tempo, coinvolgeranno l’intero sentire veneziano. Eroine, Poesie d’amore, Donne-fantasie, Spose verginali, Bellezze petrarchesche, Veneri, Lucrezie, Pomone, Flore, Amori sacri e Amori profani sono i cento nomi di una donna veneziana che però ancora non ne ha uno suo. Di ritratti femminili ancora ce ne sono pochi nella prima metà del XVI secolo e gradualmente aumentano. Forse, come suggerisce la Goffen, ciò è dovuto anche al fatto che a partire dai primi anni del Cinquecento circa i matrimoni nobili iniziano a diminuire così le mogli e future vedove sono sempre più rare, più ricche e quindi più importanti . O forse è solo il risultato del naturale processo di maturazione che conduce progressivamente ad una nuova considerazione dello Stato, dell’individuo e anche della donna. Osservando i ritratti eseguiti dai maestri veneziani durante la prima metà del secolo scorgiamo ancora una certa esiguità di figure femminili individualmente caratterizzate al pari di quelle maschili e, quando ci sono, spesso non sono patrizie veneziane. Tiziano non ritrae molte donne Tra queste Laura Dianti, Eleonora Gonzaga, Isabella Este, Clarice Strozzi, la figlia Lavinia e la donna elegantemente vestita di rosso alla National Gallery. Poche veneziane quindi, di cui una ritratta per motivi affettivi personali, l’altra probabilmente su commissione, ma le ragioni e il soggetto rimangono sconosciuti. Qualche anno dopo Tintoretto, Veronese, Paris Bordone aggiungono alcune signore all’elenco di donne ritratte sia singolarmente  che in gruppo  anche se il numero rimane decisamente inferiore a quello di ritratti maschili. Il ritratto, pur lentamente sganciandosi dal suo significato strettamente connesso alla politica che giustifica la presenza solo di coloro che sono gli artefici del mito della città, rimane il lampante manifesto personale di un individuo che, nel caso di un uomo, può essere indirizzato verso un significato collettivo e politico, ma nel caso di una donna il pronuncia a chiare lettere il nome di quella persona. Per essere protagonista di un ritratto, una donna deve acquisire valore in quanto individuo e manca ancora molto tempo prima che ciò accada. La mostra è divisa in undici sezioni : I. Premessa II. Ritratti III. Le “Belle veneziane” IV. “Apri il cuore” V. Coppie VI. Eroine e sante VII. Letterati, polemisti, scrittori d’arte VIII. Donne erudite. Scrittrici, poetesse, cortigiane IX. Venere e gli amori degli dei X. Allegorie XI. Oltre il mito. A Venezia nel Cinquecento l’immagine della donna assume un ruolo unico e una importanza quale non si era mai vista prima nella storia della pittura. Da un lato vi è la presenza di Tiziano, con il suo interesse per la raffigurazione della donna nella sua tenera carnalità e sofisticata eleganza, e dall’altro il particolare status di cui le donne godevano nella società veneziana. Le spose veneziane esercitavano infatti diritti non comuni, quali il continuare a disporre della propria dote e il poterla distribuire tra i figli, dopo la morte del marito. Le donne non potevano partecipare alla vita politica o finanziaria, ma rivestivano certamente un ruolo importante nella presentazione dell’immagine legata al cerimoniale pubblico della sontuosa e potente Repubblica. Contemporaneamente, si assiste a un grande incremento della letteratura sulla donna, con il rinnovato entusiasmo per il Canzoniere di Petrarca, per l’Arcadia di Jacopo Sannazzaro, per l’Orlando furioso di Ariosto da parte di importanti letterati come Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione. Nei loro scritti, letterati e poeti si concentrano sempre di più sulle donne e sul loro ruolo di vitale importanza per la famiglia e per la continuità del genere umano. Un altro fattore importante è la solida fiducia nel potere dell’amore, a cui vengono attribuiti i meriti di rafforzare il matrimonio e garantire figli di bell’aspetto, intelligenti e felici. Così, l’aspetto di una donna amata e desiderata inizia ad acquisire sempre maggiore importanza. Una forte componente erotica nella pittura dell’epoca diventa soggetto per i poeti, in una sorta di accesa competizione tra pittura e poesia, vinta dalla pittura per l’immediatezza e il fascino delle immagini proposte. Questa concentrata attenzione sulla donna probabilmente alzava la loro autostima e ispirava le più erudite a partecipare con loro scritti alle discussioni di genere nella famosa “querelle des femmes” che costituisce il più importante movimento “proto-femminista” prima della rivoluzione francese. Donne come Moderata Fonte con il suo sorprendentemente moderno dialogo Il merito delle donne, e poi Lucrezia Marinelli con il suo discorso su La nobiltà et l’eccellenza delle donne mettono in questione la superiorità dell’uomo. A Venezia è nell’arte figurativa che il tema si impone, grazie alla figura magistrale di Tiziano, che pone la figura femminile al centro del suo mondo creativo. Grazia, dolcezza, potere di seduzione, eleganza innata sono le componenti fondamentali delle immagini femminili della Scuola Veneta, che vede in Tiziano il protagonista indiscusso, grazie a lui lo scenario artistico dell’epoca muta completamente. Per Tiziano la bellezza artistica corrisponde a quella femminile: meno interessato al canone della bellezza esteriore rispetto alla personalità di una donna e alla femminilità in quanto tale, riesce a non sminuirne mai la dignità, indipendentemente dal contesto, dalla narrazione o dalla rappresentazione. Le “belle veneziane” sono donne reali o presunte tali, ritratte a mezza figura e fortemente idealizzate. Grazie allo studio approfondito di testi fondamentali come ultimamente L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio  del1616, una sorta di enciclopedia dei gesti, queste donne non vengono più considerate come cortigiane ma come spose. Con vesti spesso scollate, dove il mostrare il seno non è simbolo di spregiudicatezza sessuale, ma, al contrario, sta a significare l’apertura del cuore, un atteggiamento di sincerità e verità, atto consensuale della donna verso lo sposo per suggellare le nozze. Queste opere sostituiscono i ritratti reali di donne delle classi patrizie o borghesi, avversati dal sistema oligarchico di governo che rifiutava il culto della personalità individuale. Quando Tiziano ritrae donne reali si tratta di figure non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova, o sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino. Le cortigiane erano spesso anche colte ed alcune di loro diventarono famose per i loro scritti, come per esempio Veronica Franco, che in una lettera ringrazia persino Tintoretto per averla ritratta. Tuttavia sino ad oggi esistono pochissimi ritratti identificabili con sicurezza con cortigiane individuali in dipinti a olio. Ci sono poi le eroine come Lucrezia, Giuditta o Susanna che rappresentano l’onore, la castità, il coraggio e il sacrificio o Maria Maddalena nella sua fase spirituale di penitenza. E infine le figure mitologiche come Venere che nasce dal mare come Venezia e personifica la città. In tutte le donne dipinte Tiziano celebra le loro molteplici e diversificate qualità. Agli occhi di chi le guarda appaiono tutte come fortissime personalità, come divinità.
 
Oltre Tiziano potremo opere di Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto. La mostra è coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico internazionale composto da noti studiosi del settore quali Anna Bellavitis, Jane Bridgeman, Enrico Maria Dal Pozzolo, Wencke Deiters, Francesca Del Torre, Charles Hope, Amedeo Quondam. Il libro che accompagna la mostra è pubblicato da Skira in tre edizioni, italiana, tedesca e inglese.
 
Palazzo Reale di Milano
Tiziano. E L’Immagine della Donna nel Cinquecento Veneziano
dal 23 Febbraio 2022 al 5 Giugno 2022
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso  
 fot. 1 Tiziano Lucrezia e suo marito
fig. 2 Tiziano  Ritratto di eleonora Gonzaga della Rovere
fig. 3 Giorgione Laura
fig. 4 Tiziano Isabella d'Este